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Diffamazione aggravata su Facebook: responsabile chi pubblica post reiterati e lesivi dell’onore dell’ex coniuge (Trib. Frosinone, n. 1417/25)

Il Tribunale di Frosinone ha condannato per diffamazione aggravata una donna che, per anni, aveva pubblicato su Facebook post gravemente denigratori contro l’ex marito, accusandolo di violenze, minacce e corruzione delle forze dell’ordine. La sentenza ribadisce il valore probatorio dei post e la configurabilità dell’aggravante per l’uso del mezzo di pubblicità.


Il fatto

Con decreto di citazione diretta a giudizio, Co.Li. è stata chiamata a rispondere del reato di diffamazione aggravata (art. 595, comma 3, c.p.) per avere pubblicato, sul proprio profilo Facebook, numerosi post a contenuto offensivo nei confronti dell’ex marito Pi.Gi..

Secondo la querela della persona offesa, i post si protraevano da circa cinque anni e contenevano accuse gravissime: violenze domestiche, tentativi di investimento, corruzione di pubblici ufficiali e denunce architettate per coprire condotte criminose. Tali pubblicazioni, talvolta accompagnate da fotografie del Pi., venivano condivise pubblicamente, raggiungendo numerosi utenti, come testimoniato dai numerosi commenti e reazioni.

La vicenda ha avuto gravi ripercussioni sulla vita personale e relazionale della persona offesa, che ha dichiarato di essersi sentito emarginato e umiliato, al punto da limitare la propria vita sociale.


La decisione del Tribunale

Il Tribunale di Frosinone ha dichiarato la piena responsabilità penale di Co.Li., condannandola alla pena di sette mesi di reclusione (pena sospesa) e al risarcimento dei danni, da liquidarsi in sede civile, oltre alla rifusione delle spese legali sostenute dalla parte civile.

Il giudice ha ritenuto:

  • pienamente provata la paternità dei post, non essendovi stata alcuna contestazione da parte dell’imputata né prova di un uso improprio dell’account;

  • integrata l’aggravante del mezzo di pubblicità, considerato che i contenuti erano pubblici e visibili a una pluralità indeterminata di utenti;

  • non credibile l’esistenza di scriminanti o provocazioni, anche per la reiterazione dei post ben oltre la presentazione della querela;

  • non concedibili le attenuanti generiche, data l’assenza di elementi positivi e la mancata collaborazione difensiva.

La pubblicazione costante, protratta nel tempo e dopo l’instaurazione del procedimento penale, è stata ritenuta indicativa di una condotta cosciente e volontaria, priva di ogni contenimento.


Il principio di diritto

“La diffusione reiterata, tramite Facebook, di contenuti diffamatori a carico dell’ex coniuge, riferibili inequivocabilmente alla persona offesa, integra il delitto di diffamazione aggravata ex art. 595, comma 3, c.p., ove i messaggi siano visibili a una pluralità di persone. La reiterazione successiva alla querela esclude la lieve entità del fatto.”

Il Tribunale conferma l’orientamento giurisprudenziale (Cass. Pen., Sez. I, n. 24431/2015; Sez. V, n. 8328/2015) secondo cui la pubblicazione su bacheche pubbliche di Facebook, quando consente la visione ad un numero indeterminato di utenti, è qualificabile come mezzo di pubblicità idoneo ad aggravare la responsabilità penale per diffamazione.

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