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Diffamazione: non ne risponde il giornalista per le offese rilasciate dalla persona intervistata


Corte di Cassazione

La massima

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il giornalista che effettua un'intervista può beneficiare dell'esimente del diritto di cronaca con riferimento al contenuto delle dichiarazioni ingiuriose o diffamatorie a lui rilasciate, se riportate fedelmente ed in modo imparziale, senza commenti e chiose capziose a margine - tali da renderlo dissimulato coautore - e sempre che l'intervista presenti profili di interesse pubblico all'informazione, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, al suo oggetto e al contesto delle dichiarazioni rilasciate. (Nella specie la S.C. ha ritenuto immune da censure la condanna dell'imputato per la pubblicazione di un'inchiesta giornalistica frutto di assemblaggio di dichiarazioni di terzi, commentate con chiose ed amplificate nella loro portata, e di informazioni sul passato di un personaggio politico, senza previa verifica della serietà ed attendibilità delle fonti - Cassazione penale sez. V - 03/09/2021, n. 41013).

Fonte: CED Cass. pen. 2021




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La sentenza integrale

Cassazione penale sez. V - 03/09/2021, n. 41013

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato M.G. e R.A. per diffamazione a mezzo stampa in danno di C.R., presidente della regione Sicilia.


L'accusa ha origine dalla pubblicazione, avvenuta in data 22/11/2012, di un articolo, a firma di R., sul settimanale "Panorama", di cui M. era direttore responsabile, dal titolo "le relazioni pericolose dell'antimafioso C.", nel quale si adombravano relazioni di C., all'epoca Presidente della Regione Sicilia, con personaggi in odore di mafia, dai quali avrebbe avuto appoggio elettorale nelle campagne elettorali del 1998 (allorché C. fu eletto consigliere comunale di (OMISSIS)) e del 2002 (allorché C. fu eletto sindaco di (OMISSIS)).


2. Per la comprensione della vicenda è necessario riportare il contenuto dell'articolo, come letto dal giudicante. Nel sottotitolo si parlava di "frequentazioni poco raccomandabili" di C., mai approfondite dalla magistratura; nel corpo dell'articolo, poi, si richiamava l'informativa del 31/3/2003 del vicequestrore M. indirizzata alla DDA di Caltanissetta, nella quale si leggeva che "la campagna elettorale di C. sarebbe stata in parte condotta da C.E.", più volte notato in compagnia di C., che frequentava la libreria dell'altro. La sentenza spiega che C. era esponente di Cosa Nostra fin dagli anni ‘90, quale membro della cosca mafiosa degli Emmanuello ed era, da ottobre 2002, collaboratore di giustizia. Alla vigilia della campagna elettorale del 1998 era stato appena scarcerato, il 27 gennaio 1998, per poi essere incarcerato da luglio del 1999 all'ottobre del 2001. Conferma delle frequentazioni tra C. e C. sarebbe derivata, secondo il giornalista, dalla sentenza n. 337 del 4/5/2010 del tribunale di (OMISSIS), nonché dalle dichiarazioni, raccolte da R., di D.B.S., che nel 1998 era presidente della sezione (OMISSIS) del "(OMISSIS)", e da E.A., che nel 1998 era attivista dello stesso partito. I due dichiaranti avrebbero riferito al giornalista di aver inserito C. nelle proprie liste e di aver posto a disposizione di C. la sede del partito, per svolgervi la campagna elettorale. Secondo D.B. "fra i due c'era un'amicizia strettissima", tant'e' che C. collaborò attivamente al successo di C. nelle elezioni di quell'anno. Sempre D.B. avrebbe riferito al giornalista che, una volta appreso della collocazione criminale di C., fece le sue rimostranze a C., il quale lo rassicurò sulla "bravura" dell'altro. Dopodicché, qualche giorno dopo, C. minacciò lui ed A. con una pistola, mentre si trovavano all'interno della sezione. Nemmeno di fronte a questo fatto gravissimo C., informato da A., si sconvolse; anzi, continuò a difendere C..


2.1 Sempre dalla informativa di polizia del 31/3/2003 l'articolo traeva lo spunto per parlare di un'altra frequentazione discutibile di C.: quella con D.G.S., all'epoca consigliere provinciale dell'UDEUR ed esponente della Stidda (OMISSIS), arrestato per mafia nel 2004. Conferma di dette frequentazioni sarebbe venuta - secondo l'articolista - da un'intervista data nel 2004, dopo l'arresto di D.G., dallo stesso C. al quotidiano La Sicilia, nel corso della quale C. aveva raccontato di aver ricevuto da D.G., nel corso della campagna elettorale del 2002 (allorché C. era candidato sindaco al comune di (OMISSIS)), la richiesta - rifiutata - di affidare un assessorato al proprio figlio C.P., in cambio del suo appoggio elettorale. All'incontro tra C. e D.G. avrebbe assistito anche S.R. - all'epoca responsabile dei Lavori Pubblici del comune di (OMISSIS) e diretto superiore di D.G.S. -, il quale, stando alle dichiarazioni rese da S. a "(OMISSIS)", avrebbe precisato che l'incontro era stato richiesto da C., avrebbe confermato il contenuto dell'intervista e aggiunto che, alla fine, C. promise a D.G. di interessarsi per trovare un posto di lavoro al figlio. Nell'articolo si diceva anche che nel 2009 S. era stato interrogato su tali fatti dai Carabinieri di (OMISSIS) su delega del Pubblico Ministero, Dott. M.; tuttavia, sottolineava l'articolista, dell'inchiesta scaturita dalle affermazioni di S. non era possibile trovare nessuna traccia documentale.


2.2. Tra le frequentazioni "pericolose" di C. veniva segnalata, nell'articolo, anche quella con B.A., a cui C. fece, nel 1973, da testimone alle nozze. B. sarebbe divenuto, successivamente, un capo clan.


2.3. Ancora, l'articolo riportava le dichiarazioni rese al Pubblico Ministero di Caltanissetta, Dott. P., il 19/1/2007, da R.T., collaboratore di giustizia dal 2006, secondo il quale "tutta la malavita che c'era a (OMISSIS) se lo portava appresso C.... Che è cresciuto nel Bronx, alla (OMISSIS)", tuttavia, dopo l'elezione, "per non farsi scoprire che era colluso, che cosa fa? Attacca sempre la mafia", chiosando "perché il sindaco è stato portato dalla malavita di (OMISSIS)". A tali affermazioni R. faceva seguire, come proprio commento, che tale gravissima affermazione non aveva avuto alcun seguito giudiziario.


2.4. L'articolo si chiudeva dando contezza della mancata risposta del Governatore C. alle ripetute richieste di intervista, formulate da (OMISSIS), per ottenere chiarimenti in merito ai suoi rapporti con i soggetti sopra specificati.


3. La decisione di condanna si basa sulla ritenuta distorsione della realtà ad opera dell'articolista, sia nella parte riguardante le frequentazioni di C., sia nella parte riguardante l'attenzione prestata dalla Magistratura alle segnalazioni ad essa pervenute.


4. Quanto ai rapporti di C. con C.E., la sentenza d'appello che ha fatto proprie le argomentazioni del primo giudice - stigmatizza, innanzitutto, la lettura fatta dal giornalista della sentenza del Tribunale di (OMISSIS) dei 4/5/2010, laddove si parla degli agganci di C. col mondo politico. Nella sentenza si accenna, infatti, a frequentazioni di C. "con appartenenti al mondo politico", ma non si specifica affatto che, tra quei soggetti, vi fosse C.. Anzi, dalla sentenza - che si era avvalsa del contributo dichiarativo dello stesso C. - appare chiaro che il politico compromesso con quest'ultimo era l'ex sindaco G. e che era stato quest'ultimo a beneficiare del contributo elettorale della mafia (OMISSIS).


4.1 Distorta, per la Corte d'appello, è anche la lettura, fatta dal giornalista, dell'informativa di polizia del 31/3/2003. La Corte rimarca, in primis, che si tratta di una richiesta di intercettazione telefonica avanzata dal Dott. M. in relazione a minacce di presumibile stampo mafioso giunte al sindaco di (OMISSIS) C.R. e che nella richiesta era illustrato il quadro in cui avrebbero trovato collocazione le minacce. Nell'illustrazione del contesto il Dott. M. che aveva effettivamente accennato a dichiarazioni di C. confermative dell'appoggio dato a C. alla campagna elettorale del 2002; che aveva effettivamente scritto di una campagna elettorale condotta da C. a favore di C. - aveva però sempre usato il condizionale, mentre l'articolista aveva scritto in forma assertiva, lasciando intendere che si era trattato di un fatto accertato, ed aveva indebitamente esteso l'accusa alla campagna elettorale del 1998, in ordine alla quale nulla emergeva dall'informativa di polizia. La Corte sottolinea, poi, che, antecedentemente alla pubblicazione dell'articolo incriminato, lo stesso M. aveva evidenziato - rapportandosi nel 2012 al sito (OMISSIS) - l'inconsistenza dello spunto investigativo sviluppato nel 2003, avendo poi accertato che tra C. e C. v'erano stati rapporti occasionali. Anche su questo punto, però, l'articolista era stato "capzioso", avendo accostato le dichiarazioni di M. (quelle rese al sito (OMISSIS)) alla recente collaborazione di M. con C., che l'aveva inserito - nel 2012 - nella propria lista elettorale regionale, ingenerando nel lettore l'impressione dell'esistenza di una correlazione opaca tra le due circostanze.


4.2. Quanto al narrato di D.B.S. e A. Emanuele, viene rimproverato al giornalista di aver fatto un uso malaccorto delle dichiarazioni da questi rese, per non aver tenuto conto dell'astio nutrito dai due nei confronti di C. che li aveva destituiti, allorché era sindaco di (OMISSIS), da un incarico precedentemente loro affidato - e per non aver fatto cenno di tale evenienza nell'articolo incriminato; inoltre, per aver riportato, nell'articolo, una circostanza non vera: il fatto che, allorché C. si presentò, armato di pistola, nella sede del partito, erano presenti D.B. ed A., laddove i due avrebbero dichiarato, a dibattimento, che era presente il solo D.B. e che fu quest'ultimo a riferire l'accaduto ad A.. Tanto, senza considerare le contraddizioni in cui i due sarebbero caduti nel corso della deposizione dibattimentale e senza considerare le incongruenze del loro racconto, che hanno indotto la Corte d'appello a concludere per la loro inattendibilità ( D.B. denunciò il danneggiamento della sede del partito, avvenuto il giorno successivo all'episodio della pistola, ma non riferì, in denuncia, quanto era accaduto il giorno prima; A. ha dichiarato, a dibattimento, che D.B. denunciò l'ostentazione della pistola da parte di C., mentre D.B. ha negato di aver denunciato questo fatto alle Autorità; i due continuarono ad appoggiare politicamente C. anche dopo il 1998).


4.3. A ulteriore conferma della scorrettezza del giornalista viene indicato il fatto che lo stesso C., divenuto collaboratore di giustizia, escluse, nel corso di una intervista a (OMISSIS) del 2007, di aver appoggiato le campagne elettorali di C. del 1998 e del 2002. Fatto di cui il giornalista era a conoscenza, ma di cui omise di parlare nell'articolo incriminato, salvo riferirne in una pubblicazione successiva.


4.4. Incongruenti, per la Corte d'appello, sono anche le ulteriori deduzioni difensive, con le quali si è inteso dimostrare la veridicità, almeno putativa, del fatto narrato dal giornalista (la partecipazione di C. alla campagna elettorale di C. del 2002 e la frequentazione di C. e C. fin dal 1998). Invero: A) Nella fotografia pubblicata dal quotidiano "La Sicilia" il 28/5/2002 con la didascalia "Uno dei comitati elettorali di C." non è stato - da nessuno dei testi esaminati - riconosciuto C., tant'e' che nemmeno R. ha menzionato la fotografia suddetta nell'articolo che gli è addebitato. B) Nessuna incongruenza è dato ravvisare, per la Corte d'appello, nel racconto di C. sull'origine dei suoi rapporti con C., atteso che anche il dichiarato di C. corrisponde, sostanzialmente, a quello di C. (i due hanno ricondotto la loro conoscenza all'epoca in cui C. gestiva una libreria nella piazza di (OMISSIS)) e considerato che C. fu detenuto dal luglio 1999 all'ottobre del 2001, per essere nuovamente arrestato a maggio del 2002. Pertanto, la conoscenza tra i due è successiva all'ottobre 2001. C) Non sono congruenti le deduzioni difensive concernenti l'epoca in cui avrebbe preso a funzionare la libreria di C.. Infatti, la prova documentale prodotta dal difensore dell'imputato per dimostrare che la libreria era funzionante già nel 1998 è inidonea allo scopo, atteso che si tratta di un decreto penale di condanna emesso a carico di tale M.L. e per motivi diversi da quelli addotti dalla difesa; inoltre, è solo assertiva - sia in assoluto, si in relazione alla libreria di C. - le deduzione difensiva, secondo cui gli esercizi commerciali vengono avviati, a (OMISSIS), senza licenza (tanto era stato sostenuto per retrodatare al 1998 il momento di apertura della libreria in questione e, quindi, la conoscenza e frequentazione tra C. e C.). D) In ogni caso, conclude la Corte d'appello, non è rilevante l'epoca in cui i due si sono conosciuti, ma se C. abbia appoggiato le campagne elettorali di C.: fatto su cui il giornalista era già stato smentito sia da C. nel 2007 che da M. nel 2012, con intervista al sito (OMISSIS) (detta intervista era conosciuta da R., che ne aveva parlato nell'articolo incriminato, ma al solo fine di dimostrare l'influenza dell'odierna persona offesa sugli investigatori siciliani). Del tutto gratuite si sono rivelate, poi, le dichiarazioni di T. sulle relazioni di C. con la mafia (OMISSIS) e sull'aiuto dato da C. alle campagne elettorali della persona offesa, così come si sono rivelate inveritiere le illazioni dell'articolista - fatte chiosando le dichiarazioni di T. - sull'inerzia degli organi investigativi, atteso che quelle dichiarazioni furono seguite da accertamenti da parte delle Procure di Caltanissetta e Gela, con esiti liberatori per l'indagato.


5. Quanto ai rapporti tra C. e D.G.S., la Corte d'appello rimprovera al giornalista di aver accostato notizie vere a notizie false; di essere incorso in imprecisioni, evitabili con l'esercizio della prudenza; di aver collazionato le notizie raccolte hic et inde in modo da ingenerare nel lettore l'impressione che le indagini su C., pure svolte dalla Procura di Caltanissetta nel 2003, si fossero arenate per effetto della "graziosa" nomina, nel 2012, del Dott. M.N., autore di quelle indagini per conto della Procura suddetta, ad assessore nella giunta presieduta dal governatore C.. In particolare, viene contestato che: A) non è vera la notizia, riferita nell'articolo, che l'incontro tra D.G. e C. del febbraio 2002 fu richiesto da quest'ultimo, avendo lo stesso S. dichiarato che l'incontro fu sollecitato dall'on. Speziale; B) è priva di qualsiasi riscontro l'affermazione, fatta da S., che C. avrebbe promesso a D.G., all'esito dell'incontro, di attivarsi per trovare un posto di lavoro al figlio S.P.. Peraltro, tale affermazione era già stata smentita da C. al quotidiano La Sicilia, che ne aveva dato conto in un articolo del 17/8/2004, senza che R. ne abbia tenuto conto nel suo scritto del 2012; C) l'articolo incriminato nulla dice intorno ai motivi di risentimento di S. nei confronti di C., il quale lo aveva denunciato per abuso d'ufficio, e che proprio per effetto di detta denuncia S. era stato condannato dal tribunale di (OMISSIS) con sentenza del 10/6/2010; D) non corrisponde a verità che il Dott. M. avesse delegato, nel 2009, i carabinieri di (OMISSIS) ad interrogare S. sui rapporti tra C. e D.G., né che avesse aperto un'indagine su C.. Era stato, in realtà, S. a presentarsi spontaneamente ai Carabinieri per riferire di abusi commessi nel comune di (OMISSIS) nel settore rifiuti. Il Dott. M. aveva bensì delegato i carabinieri di (OMISSIS) a svolgere una indagine esplorativa per la verifica di eventuali infiltrazioni mafiose nel settore degli appalti, e tanto aveva fatto sulla base di esposti presentati, tra gli altri, proprio da C.; tale indagine era passata poi al Dott. G., il quale - dopo aver effettuato indagini di sua competenza - stralciò la parte riguardante il comune di (OMISSIS) e trasmise il fascicolo alla locale Procura.


6. In relazione ai rapporti di C. con B.A., pure posti da R. a carico di C., la Corte d'appello rimprovera al giornalista di aver attualizzato al 2012 - epoca della "discesa in campo di C." - la relazione di quest'ultimo con un soggetto divenuto mafioso - o rivelatosi tale - molto tempo dopo la partecipazione di C. al matrimonio dell'altro.


7. La Corte d'appello ha escluso, infine, che siano scriminanti le difficoltà addotte da R. in ordine all'impossibilità di accertare quale sorte abbiano avuto gli spunti investigativi correlati alle dichiarazioni di T., D.B. e S., dovuta alla indisponibilità degli investigatori (mar.11o Bulone e Dott. M.) a farsi intervistare, giacché tale difficoltà avrebbe dovuto indurre il giornalista ad astenersi dalla pubblicazione di notizie non verificabili, ed ha escluso che sia invocabile, nella specie, il diritto di critica e di cronaca, anche sotto forma di inchiesta giornalistica, giacché attraverso la pubblicazione incriminata è stata veicolata un'informazione sostanzialmente falsa: la contiguità di C. con ambienti mafiosi, rimasta impunita per la compiacenza degli investigatori, divenuti collaboratori - dal punto di vista politico - della persona offesa.


8. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore degli imputati con sei motivi, molto articolati, che qui vengono enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.


9. Col primo lamenta che la Corte d'appello abbia travisato il contenuto dell'impugnativa a suo tempo proposta, avendo inteso che nemmeno l'appellante contestava la valenza diffamatoria dell'articolo incriminato, laddove era stata messa in discussione proprio "la lesività dei passaggi dell'articolo posti a fondamento della sentenza di condanna". In particolare, laddove si era parlato - da parte del Tribunale - di "insabbiamenti" o, addirittura, di dirette influenze di C. sulle indagini giudiziarie, attribuiti illogicamente al giornalista, che mai li aveva adombrati.


10. Col secondo motivo lamenta che siano stati disattesi i principi affermati - in tema di giornalismo d'inchiesta - dalla Suprema Corte. Dalle pronunce di quest'ultima si deduce, secondo il ricorrente, che, essendo la notizia ricercata direttamente dal giornalista, l'esigenza di verifica della attendibilità della fonte è meno marcata, "dovendosi ispirare il giornalista principalmente ai criteri etici e deontologici propri della sua attività professionale". E' senz'altro scriminato, pertanto, il giornalista che esercita la propria attività mediante la denuncia di sospetti illeciti, sempreché tali sospetti "non siano obbiettivamente del tutto assurdi". Nel caso di specie, argomenta, i principi dell'attività professionale sono stati integralmente rispettati, essendo state utilizzate fonti reali, verificate nei limiti delle concrete possibilità del giornalista, ed è stato offerto un reale contraddittorio.


11. Col terzo motivo lamenta una "mancanza di motivazione" in ordine alla verifica - omessa, secondo il ricorrente - della credibilità soggettiva delle parti civili ( C. e, originariamente, anche il Dott. M.) e dell'attendibilità intrinseca del loro racconto. Tanto, sebbene siano state spese, nell'atto d'appello, ben dieci pagine volte a rimarcare le gravi contraddizioni emerse nel racconto di C. relativamente ai suoi rapporti con C. e le diverse indicazioni provenienti - sul punto - da A. Emanuele e D.B.S., oltre che dallo stesso C., dal dipendente comunale P. e dal difensore storico di C. (avv. Maria Carmela Guarino, deceduta nel frattempo), secondo la quale C. avrebbe addirittura aiutato - "logisticamente" ed economicamente - il proprio assistito ad aprire la libreria. Da ciò si sarebbe dovuto arguire che diversamente da quanto sostenuto dalla persona offesa - la conoscenza tra i due sarebbe da collocare in un periodo anteriore alla carcerazione di C., rimasto detenuto dal luglio 1999 e all'ottobre 2001. A conferma della inattendibilità di C. il ricorrente deduce, poi, che le ricerche effettuate dal difensore dimostrano - circostanza già dedotta in appello - che C. si è sottratto volontariamente al confronto col giornalista adducendo, pretestuosamente, di non aver avuto notizia della richiesta di intervista, avanzata da R. in data 18/11/2012.


Quanto al Dott. M., la revoca della costituzione di parte civile avvenuta, da parte di quest'ultimo, dopo il suo esame dibattimentale - avrebbe imposto un rigoroso esame della credibilità, totalmente omesso dal giudicante.


12. Col quarto motivo lamenta che la Corte d'appello abbia travisato il contenuto "della prova" quanto ai rapporti di collaborazione tra C. e C. nelle campagne elettorali del 1998 e del 2002, adombrati nell'articolo incriminato. R., infatti, aveva fatto riferimento alla sentenza emessa all'esito del proc. (OMISSIS) non già per provare la collaborazione tra C. e C., ma per l'illustrazione della storia criminale di quest'ultimo e "conseguentemente della compatibilità logico-temporale fra i fatti descritti nell'articolo ed i rari periodi di libertà del C. nella fase temporale in esame". In realtà, la fonte di conoscenza del giornalista era stata, quantomeno in relazione ad una delle due campagne elettorali (quella del 2002, a quanto si intende): a) l'informativa del 31/3/2003 di M., ove si palava del contributo di C. alla campagna elettorale di C. e del rapporto di conoscenza e frequentazione tra i due, nonché della presenza di D.G.P. sul palco da cui C. aveva ringraziato i suoi concittadini per l'elezione a sindaco, a marzo del 2003; b) le dichiarazioni rese a R. dalla giornalista G., che aveva riconosciuto C. in una fotografia pubblicata a margine di un suo articolo del 28 maggio 2002, comparso sul quotidiano La Sicilia (si tratta della fotografia raffigurante il comitato elettorale di C. alle elezioni del 2002).


12.1. Illogicamente, poi, la Corte d'appello ha ritenuto irrilevante l'accertamento circa l'origine del rapporto tra C. e C., dal momento che gran parte dell'istruttoria dibattimentale si è svolta su detto punto e dal momento che tale accertamento risulta decisivo per valutare la credibilità di C. e l'inizio della sua collaborazione con C.. In maniera incongrua, poi, la Corte d'appello si è attenuta ai dati ufficiali per sostenere che l'apertura della libreria da parte di C. avvenne successivamente al 1998 - da cui l'inconciliabilità con il sostegno di C. alla campagna elettorale di C. di quell'anno - atteso che, in base a quanto dichiarato da A. e D.B., sostenuti da fonte documentale (il decreto penale emesso a carico di M., che aveva avuto un diverbio con C. proprio in relazione all'attività da questi svolta), la libreria era già funzionante nel mese di maggio del 1998. Illegittimamente, pertanto, la Corte d'appello ha reputato irrilevante la testimonianza di M., dedotta sul punto dalla difesa.


12.2. Con lo stesso motivo il ricorrente lamenta che la credibilità di D.B. ed A. sia stata esclusa sulla base di fattori (l'archiviazione dei procedimenti avviati sulla base delle loro dichiarazioni; un'aggressione verbale in danno di C. operata dal figlio di A.) intervenuti successivamente alla pubblicazione dell'articolo per cui è processo, nonché il fatto che detta valutazione sia stata operata senza l'acquisizione - richiesta dalla difesa - del provvedimento di imputazione coatta emesso ad agosto 2016 dal G.I.P. di Catania a carico di C. per diffamazione in danno di D.B. (additato dal primo come soggetto "in mano a Cosa nostra") e senza l'acquisizione dell'intervista resa dal Dott. M. al giornale "La Sicilia" in data 12/3/2016, nel corso della quale M., dimettendosi dalla carica di assessore, accusava C. di anti-mafiosità di facciata e di aver proseguito, nella politica regionale di smaltimento dei rifiuti, la stessa politica dei predecessori, garantendo la continuità con Confindustria Sicilia, il cui presidente, Montante, risultava da poco sottoposto ad indagine per concorso esterno in associazione mafiosa.


12.3. Lamenta altresì che siano state poste a carico del giornalista le dichiarazioni di T., tratte dall'interrogatorio reso dallo stesso nel proc. n. 4252/2007 e riportate fedelmente nell'articolo, nonché il fatto che T. sia stato ritenuto apoditticamente non veritiero nonostante sia stato giudicato credibile in sentenze definitive e dallo stesso Pubblico Ministero del giudizio d'appello. Contesta, poi, che fosse non veritiera la chiosa del giornalista relativa all'inerzia degli investigatori di fronte ai sospetti di collusioni mafiose del C., avanzati da più parti, sia perché la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di (OMISSIS) in data 10/2/2014 aveva avuto ad oggetto fatti successivi e diversi rispetto a quelli trattati nell'articolo (aveva riguardato un presunto abuso d'ufficio e "presunti condizionamenti di C., tramite contatti con i pentiti"), sia perché l'indagine della DDA di Caltanissetta, conclusa anch'essa con richiesta di archiviazione, aveva avuto ad oggetto profili di illiceità collegati all'incontro di C. con D.G.S., avvenuto nel 2002. In ogni caso, poi, si era trattato di procedimenti ignoti all'articolista e conclusi con archiviazioni successive alla pubblicazione dell'articolo. Tanto, senza contare che lo stesso Dott. M. si era espresso, in udienza, in termini meramente dubitativi circa l'esistenza di procedimenti avviati dalla DDA sul conto di C., mentre il Pubblico Ministero d'udienza li aveva addirittura esclusi.


12.4. Quanto alla parte dell'articolo concernente i rapporti di C. con D.G.S., il ricorrente ribadisce di essersi limitato a riportare quanto riferito dall'ing. S.R. e dallo stesso C., che aveva ammesso in una intervista resa al quotidiano La Sicilia il (OMISSIS) - di aver avuto tre incontri con D.G., di cui gli era nota la caratura criminale, e di aver avuto da questi la richiesta di un posto di lavoro per il figlio D.G.P., in cambio del suo appoggio elettorale. Anche S. ha confermato, a dibattimento, di aver fatto da mediatore all'incontro suddetto e di averlo riferito al mar.llo B. allorché fu da questi sentito nell'ambito di un'indagine che, a quanto gli fu detto dal maresciallo suddetto, era condotta, per la DDA, dal Dott. M.. Inopinatamente, poi, viene addebitato al giornalista di aver riportato quanto riferito da un soggetto ( S.) che aveva motivi di astio nei confronti di C., da cui era stato denunciato e per cui era stato condannato, atteso che il procedimento avviato nei confronti di S. si è concluso - in Cassazione - con pronuncia assolutoria.


12.5. Illogicamente, infine, viene addebitata al giornalista la parte dell'articolo concernente i rapporti di C. con B.A., atteso che si tratta di aspetto incontestato.


13. Col quinto motivo lamenta la violazione dei principi - affermati dalla Suprema Corte - in tema di verità putativa. Ripete che il giornalista ha utilizzato fonti documentali di carattere oggettivo e dichiarazioni - confermate a dibattimento - acquisite direttamente e fedelmente riportate nell'articolo; che ha tentato, inutilmente, di raccogliere la versione della persona offesa e degli investigatori; che non gli possono essere addebitati esiti istruttori successivi alla pubblicazione dell'articolo.


14. Col sesto motivo deduce che la particolare qualificazione dei soggetti intervistati - D.B., A. e S. - autorizzava certamente il giornalista a rendere pubbliche le loro dichiarazioni, in quanto costituenti "una notizia in sé". Lamenta che tale principio, affermato dalla Suprema Corte e fatto oggetto di discussione in appello, non abbia ricevuto, in sentenza, alcuna applicazione.


15. Con memoria del 14 luglio 2021 il difensore degli imputati ha sintetizzato e riproposto i motivi di ricorso e insistito per l'accoglimento dello stesso.


16. Con propria memoria dell'11 luglio del 2020 il difensore della parte civile ha contestato specificamente i motivi di ricorso, di cui ha chiesto il rigetto.


CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.


1. La complessità della vicenda portata all'attenzione di questa Corte e la molteplicità delle questioni poste dai ricorrenti impongono lo svolgimento di alcune considerazioni preliminari, attinenti, principalmente, anche se non unicamente, alla responsabilità del giornalista che si affidi, nella confezione di un articolo di stampa, a fonti dichiarative compulsate direttamente, nonché a fonti documentali preesistenti. Nella specie, infatti, l'articolo incriminato riporta ampi stralci di dichiarazioni acquisite direttamente da D.B.S. e S.R., nonché il contenuto di verbali di dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia T. Rosario nel 2007 e di verbali redatti dal vice-questore M. nell'anno 2003. Tanto a supporto della "notizia" contenuta nell'articolo, relativa alla frequentazione di C. con esponenti mafiosi, almeno fino al 2002, e all'appoggio elettorale da questi ricevuto nelle campagne elettorali del 1998 e del 2002. Fatto che e', pacificamente, idoneo a ledere la reputazione dell'interessato.


2. Si tralascia di richiamare, perché generalmente noti, i principi, affermati in plurime sentenze di questa Corte, che sopraintendono all'operatività della scriminante del diritto di cronaca e di critica allorché l'informazione sia pregiudizievole per l'altrui reputazione (verità, continenza e rilevanza pubblica: ex multis, SU. n. 4950 del 26/3/1983), ed il concl a. favore dell'ordinamento - e della giurisprudenza nazionale e sovranazìonale - per il libero dispiegarsi dell'attività giornalistica, fondamentale per lo sviluppo della dialettica democratica e per la formazione delle opinioni sui temi di interesse sociale (sul punto, Corte Cost. n. 105 del 1972; n. 225 del 1974; n. 94 del 1977; n. 132 del 2020; CEDU, 27/3/1996, Goodwin contro Regno Unito; Cass. pen, SU, n. 37140 del 30/5/2001). In questa sede merita particolare considerazione la posizione del giornalista che riporti - nel corpo di un articolo di stampa - dichiarazioni altrui, pregiudizievoli per la reputazione di terzi.


3. Sul punto, le Sezioni Unite di questa Corte, intervenute già nel 2001, hanno affermato che, in via di principio, non è scriminata dall'esercizio del diritto di cronaca la condotta del giornalista che riporti, anche se alla lettera, le dichiarazioni dell'intervistato di contenuto oggettivamente lesivo dell'altrui reputazione, in quanto al giornalista stesso incombe pur sempre il dovere di controllare la veridicità delle circostanze riferite (SU, n. 37140 del 30/5/2001, che riprende e sviluppa argomenti già contenuti in SU, n. 8959 del 30/6/1984). Il che significa che il giornalista deve fare tutto quanto in suo potere per verificare la veridicità di quanto raccolto e, ove tale possibilità non gli sia data, di rinunciare alla pubblicazione dell'intervista. Diverso è il caso, invece, in cui, pur effettuando le dovute verifiche, il giornalista cada in errore sulla veridicità del narrato; in questo caso soccorrono i principi sulla verità putativa, che esimono da responsabilità l'errante, lasciando ferma quella del deceptor.


4. Le stesse sezioni unite, avvertite del potenziale conflitto di tale affermazione con i principi della libera manifestazione del pensiero e della corretta e integrale informazione, hanno subito precisato, però, che possono ricorrere nella pratica casi, non definibili a priori, in cui "l'interesse sociale della notizia può acquistare un'importanza tale da importare anche la prevalenza - nel controllo della sussistenza della scriminante del diritto di cronaca - sugli altri due" (id est, sulla verità del fatto e sulla continenza espressiva). E fanno l'esempio delle dichiarazioni rilasciate da soggetto che occupa una posizione di alto rilievo nell'ambito della vita politica, sociale, economica, scientifica, culturale, il quale rilasci dichiarazioni, pure in sé diff a.rie, nei confronti di altro personaggio, la cui posizione sia altrettanto rilevante negli ambiti sopra indicati. In tal caso, aggiunge la Corte, è la dichiarazione rilasciata dal personaggio intervistato che crea di per sé la notizia, indipendentemente dalla veridicità di quanto affermato e dalla continenza formale delle parole usate. Notizia che, se anche lesiva della reputazione altrui, merita di essere pubblicata perché soddisfa quell'interesse della collettività all'informazione che deve ritenersi indirettamente protetto dall'art. 21 della Costituzione.


5. A questo punto il problema - già intravisto, nel 2001, dalle Sezioni Unite - si è spostato sulla qualificazione da dare al personaggio che rilascia l'intervista, al fine di accertare se effettivamente trattasi di personaggio noto e affidabile, le cui dichiarazioni siano comunque meritevoli di pubblicazione, dal momento che dall'alta carica istituzionale si può passare al leader di un partito, all'uomo politico, che senza essere un leader, può tuttavia avere seguito ed influenza sull'opinione pubblica e, lasciando il campo della politica, anche in altri ambiti, quali, a titolo di esempio, la scienza, la medicina, la cultura in generale, lo spettacolo, possono ravvisarsi personaggi noti, le cui dichiarazioni possono assumere un indubbio interesse sociale ad essere divulgate. E ciò non solo in ambito nazionale o internazionale, ma anche in ambiti più ristretti, fino a quello locale o settoriale. Problema risolto, almeno in linea di principio, dalle stesse Sezioni Unite, sul rilievo che alla scriminante del diritto di cronaca non può attribuirsi una natura statica e immutabile, dovendosi riconoscere ad essa una struttura dinamica e flessibile, adattabile di volta in volta a realtà diverse, con la conseguenza che la soluzione, caso per caso, della sussistenza, o meno, della responsabilità del giornalista intervistatore per avere pubblicato dichiarazioni diffamatorie dell'intervistato deve essere necessariamente demandata al giudice del merito, il quale dovrà tener conto, in primo luogo, dell'effettivo grado di rilevanza pubblica dell'evento dichiarazione, considerando poi - al fine di verificare se davvero il giornalista si sia limitato a riferire l'evento piuttosto che a divenire strumento della diffamazione - in quale contesto valutativo e descrittivo siano riportate le dichiarazioni altrui, quale sia la plausibilità e l'occasione di tali dichiarazioni. Quindi, è stato argomentato, per distinguere l'illecito dal lecito occorrerà accertare, attraverso una puntuale interpretazione dell'articolo, se il giornalista abbia assunto la prospettiva del terzo osservatore dei fatti, agendo per conto dei suoi lettori, ovvero sia solo un dissimulato coautore della dichiarazione diffamatoria, che agisce contro il diffamato, essendo evidente che in quest'ultimo caso dovrà trovare applicazione la normativa sul concorso delle persone nel reato di cui all'art. 110 c.p., (così le Sezioni Unite sopra richiamate, in motivazione, le quali hanno anche precisato che l'individuazione dei presupposti cui è subordinata l'operatività della scriminante è riservata alla valutazione del giudice di merito che, se sorretta da adeguata e logica motivazione, sfugge al sindacato di legittimità).


6. La prassi giurisprudenziale formatasi successivamente alla decisione sopra riportata ha dato applicazione al principio teste' espresso, ritenendo che sia soggetto "autorevole" - le cui dichiarazioni, pur non sottoposte a verifica o pur mancando di continenza, siano suscettibili di essere divulgate senza responsabilità per l'intervistatore - il Presidente della Commissione Antimafia (Cass., n. 37435 del 9/7/2004), un parlamentare (cass., n. 2384 del 26/11/2010), ispettori ministeriali chiamati a valutare l'operato di esponenti locali della CRI (cass., n. 28502 del 11/4/2013, la quale ha attribuito rilevanza, altresì, alla posizione del diffamato), la sorella di un soggetto deceduto successivamente al suo arresto (cass., n. 6911 del 6/10/2015), il protagonista di una vicenda economica e finanziaria di medio rilievo (cass., n. 29128 del 17/9/2020), un funzionario provinciale che aveva subito carcerazione per un reato da cui era sto poi assolto (cass., n. 19889 del 17/2/2021). Come è già stato rilevato di recente, emerge con forza dall'evoluzione giurisprudenziale teste' rassegnata che, "perché sussista l'interesse alla pubblicazione dell'intervista, la notorietà dell'intervistato non necessariamente debba essere intesa come sinonimo di sua autorevolezza a priori - quasi che la giustificazione del giornalista discenda da una sorta di inganno in cui la statura professionale, istituzionale o morale del suo interlocutore lo abbia fatto cadere in merito quantomeno all'affidabilità delle sue dichiarazioni - né possa prescindere dalla notorietà della persona offesa e delle vicende oggetto delle propalazioni, anche in relazione alle quali deve essere misurata la "qualifica" del propalante" (cass., n. 29128 del 2020). Trattasi di evoluzione perfettamente in linea con la giurisprudenza della CEDU - anzi, da tale giurisprudenza influenzata - la quale, operando in sede interpretativa dell'art. 10 della Convenzione, ha, proprio di recente rammentato che, "quando i giornalisti riprendono delle dichiarazioni fatte da una terza persona, il criterio da applicare consiste nel chiedersi non se tali giornalisti possano dimostrare la veridicità delle dichiarazioni in questione, ma se abbiano agito in buona fede e si siano conformati all'obbligo che normalmente hanno di verificare una dichiarazione fattuale fondandosi su una base reale sufficientemente precisa e affidabile che possa essere considerata proporzionata alla natura e alla forza di quanto affermano, sapendo che più l'affermazione è seria, più la base fattuale deve essere solida" (CEDU, Magosso e Brindani c. Italia del 16/1/2020, che rimanda anche alle sentenze Dyundin c. Russia, n. 37406/03, p. 35; Pedersen e Baadsgaard c. Danimarca, n. 49017/99 p. 78). Infatti, ha aggiunto la Corte, "sanzionare un giornalista per aver contribuito alla diffusione di dichiarazioni fatte da un terzo durante un colloquio ostacolerebbe gravemente il contributo della stampa ai dibattiti su problemi di interesse generale e sarebbe ammissibile solo in presenza di motivi particolarmente seri (Novaya Gazeta e Milashina c. Russia, n. 45083/06, p. 71, 3 ottobre 2017, Dyundin, sopra citata, p. 29, e Jersild c. Danimarca, 23 settembre 1994, p. 35, serie A n. 298)".


7. E' bene aggiungere, poi, che tutte le decisioni sopra passate in rassegna si sono sempre preoccupate di specificare che, per l'operatività della scriminante, è necessario - oltre alla rilevanza pubblica della notizia - che il giornalista riporti le dichiarazioni del soggetto "autorevole" in maniera fedele ed imparziale, "senza commenti e chiose capziose a margine, tali da renderlo dissimulato coautore" (Cass., n. 16959 del 21/11/2019) e che risponde secondo gli ordinari parametri di valutazione per i commenti e le espressioni, poste "a latere" o a margine dell'intervista, che non si limitino a riassumerne il contenuto o a commentarlo, ma che riportino fatti o opinioni diversi o anche antagonisti rispetto al contenuto delle dichiarazioni rilasciate" (cass., n. 51235 del 9/10/2019). Questo perché, se il compito del giornalista è quello di riportare fedelmente - in funzione di una completa informazione - il pensiero e il giudizio del soggetto "autorevole", pur se lesivo dell'altrui reputazione, l'intervistatore non deve amplificare, in assenza di un rigoroso accertamento della verità del narrato, il contenuto lesivo dell'informazione, aggiungendo la propria voce a quella dell'intervistato e trasformandosi, così, in simulato diffamatore.


D'altra parte, anche la deontologia professionale - a cui, come si dirà, gli imputati si appellano - prescrive al giornalista "l'osservanza dei doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede", oltre al rispetto della "verità sostanziale" (L. 63 del 1963 art. 2), sicché - laddove l'attività del giornalista si sostanzi nella raccolta di informazioni su un determinato oggetto o su una determinata persona, avente rilievo pubblico, in vista di un "sevizio" a lui dedicato, è necessario che egli verifichi - se non la verità di quanto dichiarato dall'intervistato - almeno l'attendibilità di quest'ultimo e faccia quanto in suo potere per fornire una informazione il più completa possibile, che permetta al lettore di valutare la serietà della fonte dichiarativa e la plausibilità dell'informazione da questi promanante.


8. Alla luce di tali criteri l'attività di R. non può dirsi scriminata dal diritto di critica o di cronaca, esercitato - dice il ricorrente - mediante una inchiesta giornalistica, che si è concretizzata nella raccolta di informazioni sul conto di C. (o meglio, sul suo passato). Questo perché - come rilevato dai giudici di merito - l'articolo incriminato costituisce un assemblaggio di dati ed informazioni non verificate dal giornalista; perché nessuna indagine è stata effettuata sulla serietà delle fonti; perché l'articolista non si è limitato a riportare le dichiarazioni di terzi, ma le ha fatte proprie e utilizzate per amplificare il contenuto lesivo delle "informazioni" ricevute, in un mutuo scambio di ruoli col dichiarante; perché l'articolo si è arricchito delle chiose del giornalista, funzionali ad una rappresentazione parziale e distorta della realtà. Sulla base di tanto è stata fondata anche la colpevolezza del direttore responsabile. Infatti.


9. Le informazioni non sono state verificate dal giornalista, quantomeno in relazione alla campagna elettorale del 1998. Circa l'attivismo di C. a favore di C. non è stato addotto - a dimostrazione della verità dell'assunto - elemento alcuno, se non le dichiarazioni di D.B. ed A., di cui si dirà. La Corte d'appello ha esaminato puntualmente gli elementi invocati dagli imputati (la fotografia raffigurante il comitato elettorale di C.; le dichiarazioni del difensore storico di C.; le dichiarazioni dei soggetti informati sull'epoca di apertura della libreria; le dichiarazioni di P.S.) per rilevare che da nessuno di essi è venuta la conferma del dato propalato attraverso l'articolo, atteso che si tratta di elementi equivoci e non significativi (la fotografia è illeggibile; il difensore di C. non ha riferito alcunché sulla campagna elettorale; l'epoca di apertura delle libreria non è rilevante, perché non prova l'attivismo del mafioso a favore di C.; le dichiarazioni di P. vanno in tutt'altra direzione). Irritualmente, pertanto, la difesa ripropone la lettura di tali dati, per le preclusioni connaturate al giudizio di legittimità e perché essi riguardano, al massimo, come sottolineato dal giudicante, la credibilità di C. o il suo ricordo, da cui non dipende la soluzione della questione prospettata (non rileva, infatti, quando i due si siano conosciuti, ma se C. abbia consapevolmente beneficiato dell'aiuto elettorale di C.).


10. Nessuna valutazione è stata operata, da parte del giornalista, circa l'attendibilità soggettiva - e quindi "l'autorevolezza" - delle fonti dichiarative compulsate. Tale aspetto della responsabilità è stato vagliato diffusamente dalla sentenza impugnata, laddove è stata illustrata la storia dei rapporti di C. con D.B. ed A. per rilevare che si trattava di persone che avevano motivi di risentimento nei confronti di C., per essere stati destinatari di una lettera di licenziamento da parte di quest'ultimo; lettera che era stata causa di una rottura mai ricucita (pag. 18). A fronte di tanto R. si è limitato, nell'articolo, a riferire che D.B. era, nel 1998, il presidente del "(OMISSIS)" e A. un attivista della sezione, senza fare alcuna menzione del dato sopra menzionato, che, ove riferito, avrebbe offerto al lettore elementi di valutazione ulteriori, capaci di far meglio apprezzare l'affidabilità della fonte. Ne' il ricorrente adduce elementi, e nemmeno deduce, di aver svolto, prima della pubblicazione dell'articolo - che pure gli era costata, a suo dire, mesi di lavoro - alcun accertamento, che gli era consentito ed era alla sua portata, sui rapporti intercorrenti tra il governatore e i due propalanti.


Analoga inerzia è stata logicamente rilevata - a pag. 23 - in ordine alla posizione di S., che pure era stato denunciato da C. ed era stato, proprio per questo, condannato dal Tribunale di Gela per abuso d'ufficio appena due anni prima (dell'intervista).


Ne' maggiore prudenza è stata operata, per quanto si dirà, nel riportare le dichiarazioni di T..


Nessun appunto, quindi, può muoversi al giudicante per aver stigmatizzato l'utilizzo di fonti informative prive di "autorevolezza", nel senso più volte precisato, giacché non è sufficiente - per declinare l'autorevolezza della fonte - la "vicinanza" del dichiarante all'argomento trattato nell'articolo, imponendosi pur sempre il vaglio della sua attendibilità soggettiva, specie quando si amplificano - attraverso la stampa - voci pregiudizievoli per l'altrui reputazione.


11. Non è poi esatto che gli imputati si siano limitati a riportare le dichiarazioni di soggetti a conoscenza delle vicende elettorali di C., lasciando al lettore il compito di valutarle, giacché - come rilevato dal giudicante in plurimi passaggi motivazionali - l'articolista ha esternato totale adesione al propalato dei soggetti intervistati e del collaboratore di giustizia ed ha operato una estensione del significato proprio della relazione di M., attribuendogli un carattere assertivo di cui la relazione è priva. Tanto è stato evidenziato in ordine alle dichiarazioni di D.B., A. e S., che hanno costituito, per l'articolista, il veicolo principe per la ricostruzione della carriera politica della persona offesa, attraverso espressioni secche e concise, che non hanno mai lasciato spazio al dubbio o a letture alternative, trasmettendo, in tal modo, un messaggio avvalorato dal giornalista stesso, che si è fatto mallevadore della serietà e della veridicità di quanto dichiarato sul conto di C.. Tale modus procedendi è stato correttamente stigmatizzato dal giudicante, atteso che il narrato degli intervistati non era stato sottoposto - per quanto già detto - ad alcuna verifica, sicché si imponeva al giornalista moderazione e distacco nel riportare e diffondere le dichiarazioni di questi ultimi.


Lo stesso dicasi per le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, rappresentate come il tassello di chiusura di un mosaico compromettente per C., senza tener conto del fatto - e senza avvertire il lettore - che proprio le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia esigono prudenza nell'apprezzamento e abbisognano, per legge, di puntuali riscontri, prima di essere poste a base del fatto che si intende dimostrare.


Quanto, infine, alla relazione del vice-questore M. del 2003, puntuali e logici sono gli appunti mossi aì ricorrenti dal giudicante, giacché non vennero indicati, nell'articolo, l'origine dell'accertamento svolto dagli inquirenti (una denuncia per minacce presentata proprio dalla persona offesa), il contenuto dell'accertamento - che era stato esteso alla verifica dei rapporti di C. con la mafia locale - e nemmeno il suo esito, che era stato liberatorio per C., tant'e' che lo stesso investigatore aveva reso pubblico tale convincimento in un'intervista rilasciata poco prima della pubblicazione dell'articolo incriminato. Invece, della relazione del vice-questore vennero utilizzate unicamente le parti sfavorevoli alla persona offesa, laddove si parlava, in maniera peraltro ipotetica, della frequentazione di C. con C. e del "supporto" da questi dato, nel 2002, alla campagna elettorale dell'altro; vale a dire, di un sospetto degli investigatori, che aveva consigliato l'approfondimento delle indagini e che era divenuto, per l'articolista, un dato accertato, da porre sicuramente a carico dell'investigato.


12. Fondato è pure l'ulteriore rimprovero mosso al giornalista di avere, per un verso, taciuto gli elementi di conoscenza in suo possesso favorevoli a C. e di avere, per altro verso, arricchito - strada facendo - l'articolo di commenti tendenziosi, volti a suggerire una lettura delle dichiarazioni riportate che fosse sfavorevole alla persona offesa, attraverso una soggettiva selezione delle fonti e un suggestivo accostamento dei fatti.


Sotto il primo profilo è stato - logicamente - dato rilievo al fatto che l'articolista ha ignorato quanto dichiarato nel 2007 dallo stesso C. (che aveva escluso di aver appoggiato le campagne elettorali di C.), nonché l'intervista rilasciata prima della pubblicazione dell'articolo da M. (che aveva illustrato l'esito delle indagini su C., favorevoli per l'indagato) e le spiegazioni date da C., già nel 2004, sull'origine e l'esito dei suoi incontri con D.G.. Si tratta effettivamente di informazioni - note al giornalista che, ove riferite, avrebbero aiutato il lettore a meglio decifrare le propalazioni degli intervistati e del collaboratore di giustizia, sicché l'averle taciute rappresenta effettivamente un segno della direzione univoca, e non obbiettiva, imposta dagli imputati all'articolo.


Sotto il secondo profilo è stato - altrettanto logicamente - addebitata agli imputati la chiosa sulla inerzia degli investigatori, trattandosi di dato non veritiero e, comunque, non verificato; come pure incensurabile, per la sua obbiettiva logicità, è l'addebito, mosso al giornalista, di aver accostato l'assunzione di M. e M. in ruoli politici al mancato sviluppo degli spunti investigativi provenienti da T.. Si tratta effettivamente di accostamenti che lasciano intravedere - oltre al distorto uso della funzione giudiziaria - una umbratile verginità politica di C., frutto dei favori elargiti a chi avrebbe dovuto investigare su di lui. Ne' giova agli imputati insistere sul fatto che M. e M. si sono sottratti al confronto, valendo al riguardo quanto rammentato dal giudicante a pag. 24 e 25: gli investigatori non avrebbero potuto sottoporsi alle loro domande senza violare il segreto istruttorio; i giornalisti avrebbero potuto rivolgersi al Procuratore della Repubblica per avere le informazioni di cui avevano bisogno; il Dott. M. non è mai stato titolare di una indagine su C.; l'incertezza sullo stato degli accertamenti giudiziari avrebbe dovuto indurre il giornalista ad astenersi dal commentarli negativamente.


13. Conclusivamente, completa e logica - e perciò incensurabile in questa sede si appalesa la motivazione posta a base del giudizio di responsabilità, secondo cui gli imputati non hanno agito in buona fede e, per usare le parole della CEDU, non si sono "conformati all'obbligo che normalmente hanno di verificare una dichiarazione fattuale fondandosi su una base reale sufficientemente precisa e affidabile che possa essere considerata proporzionata alla natura e alla forza di quanto affermano", perché non hanno effettuato nessuna verifica dell'attendibilità degli intervistati, che era alla loro portata; non hanno conservato il necessario distacco dagli intervistati e dal narrato del collaboratore; hanno sovraccaricato le informazioni hic et inde raccolte con loro personali deduzioni, traendone conclusioni non dimostrate e prive, comunque, di solida base fattuale. Tanto si pone obbiettivamente in contrasto con la buona fede invocata e con l'principi della deontologia professionale, a cui gli stessi ricorrenti hanno fatto riferimento.


14. Le notazioni che precedono rendono ragione anche della infondatezza delle ulteriori doglianze difensive. Infatti:


a) nessun travisamento è stato operato - dalla Corte di merito - del contenuto dell'appello, né la Corte d'appello si è sottratta all'esame delle censure difensive, avendo ampiamente spiegato perché l'articolo debba ritenersi diffamatorio, senza nulla tralasciare in ordine agli argomenti addotti dalla difesa. Ha anche spiegato quale sia il senso della parola "insabbiamento" utilizzata dal primo giudice ed ha - correttamente ed esaustivamente - formulato il suo giudizio sulla base di un attento esame dell'articolo incriminato;


b) il giudizio di responsabilità è basato sul contenuto dell'articolo e sulla negligenza dell'articolista e del direttore responsabile; non già sulla credibilità attribuita al governatore C. o al Dott. M.. A fronte di un articolo incidente sulla reputazione altrui spetta all'articolista dimostrare la sussistenza delle condizioni necessarie all'operatività della scriminante del diritto di cronaca o di critica e tale dimostrazione va data in maniera rigorosa, senza possibilità di modificare l'oggetto del giudizio: ovvero, non più la veridicità di quanto propalato, o l'autorevolezza della fonte utilizzata, ma l'attendibilità della persona offesa. Tanto, senza considerare che Tribunale e Corte d'appello hanno puntualmente argomentato in ordine ai momenti di conoscenza e frequentazione tra C. e C. (il solo aspetto della credibilità di C. fatto oggetto di disamina e contestazione), pervenendo alla logica conclusione che rilevante, in questo procedimento, non è l'accertamento dell'epoca della conoscenza tra i due, ma quello dell'aiuto prestato da C. alla campagna elettorale dell'altro. Del tutto generica e fumosa è stata, invece, la contestazione della attendibilità di M., sicché nessuna pregnante motivazione sì imponeva al riguardo;


c) quanto al travisamento della "prova", lamentato col quarto motivo, si è di fronte ad un travisamento del fatto processuale da parte del ricorrente: l'addebito mosso dal ricorrente alla Corte d'appello non e', in realtà, quello di aver travisato la prova (la sentenza del 2010, emessa all'esito del cd procedimento (OMISSIS)), ma di aver mal interpretato l'atto d'appello e il riferimento fatto dall'appellante alla sentenza suddetta. Il che avrebbe concretato un vizio di motivazione che la lettura della sentenza dimostra chiaramente essere insussistente;


d) la responsabilità del giornalista (e del direttore responsabile) non è stata collegata, almeno in via principale, alla falsità del narrato degli intervistati e del collaboratore di giustizia, su cui pure i giudici di merito hanno soverchiamente insistito, quanto - per come già detto nei paragrafi precedenti - alla mancata verifica della attendibilità delle fonti, che si imponeva al giornalista in considerazione della gravità delle affermazioni da queste provenienti, all'adesione prestata dal giornalista al narrato degli intervistati e al "valore aggiunto" che, da tale adesione, è venuta alle accuse dei dichiaranti;


e) la rinnovazione dell'istruttoria in appello costituisce, com'e' noto, evenienza eccezionale, sicché la decisione negativa del giudicante può essere sindacata in Cassazione solo dimostrando la decisività della prova pretermessa. Di tanto non v'e' traccia nella specie, atteso che - come rilevato dalla Corte d'appello - nessun significativo elemento di giudizio sarebbe derivato dall'acquisizione del provvedimento di imputazione coatta emesso a carico di C. nel 2016 per diffamazione in danno di D.B. e dall'intervista rilasciata dal Dott. M. nello stesso anno, trattandosi di fatti molto successivi alla pubblicazione dell'articolo e non pertinenti all'oggetto del giudizio (l'imputazione a carico di C. è stata conseguenza di incontinenza verbale, mentre il Dott. M. aveva espresso una personale opinione sulla anti-mafiosità di C.);


f) l'annullamento, ad opera della Corte di Cassazione, della sentenza di condanna emessa dalla Corte d'appello a carico di S.R. - denunciato da C. - è stato operato per vizio di motivazione, con rinvio al giudice civile competente, stante l'intervenuta prescrizione del reato contestato. Inutilmente, pertanto, i ricorrenti si appellano a tale decisione per escludere l'ostilità tra i due;


g) la pacifica sussistenza di un rapporto di conoscenza tra C. e B. non toglie che il riferimento alla stessa - fatto nel corpo dell'articolo di stampa abbia assunto valore diffamatorio, perché accostato ad altri fatti e circostanze compromettenti per la reputazione di C.. La Corte d'appello ha spiegato che tale frequentazione risaliva al 1973, allorché B. non aveva manifestato nessun segno di mafiosità, e che si trattava di frequentazione dovuta alla comune appartenenza territoriale. Fatti di cui l'articolista non avrebbe potuto prescindere nel tratteggiare la personalità del soggetto preso di mira.


15. In conclusione, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte in tema di responsabilità del giornalista, sicché vanno disattese le censure mosse col ricorso. Va però rilevato che è maturata, nel frattempo la prescrizione del reato, commesso il 22/11/2012, pur tenendo conto delle sospensioni nel frattempo intervenute. Ne consegue che la sentenza va annullata agli effetti penali, mentre vanno fatte salve le statuizioni civili.


L'infondatezza del ricorso comporta che i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali, nonché alle spese di rappresentanza della parte civile, che si liquidano in dispositivo.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili. Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese in favore della parte civile, che liquida in complessivi Euro 4.000, oltre accessori di legge.


Così deciso in Roma, il 3 settembre 2021.


Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021



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