top of page

Diffamazione: non punibili le offese contenute in una diffida stragiudiziale


Corte di Cassazione

La massima

In tema di diffamazione, può configurarsi l'esimente di cui all'art. 598, comma 1, c.p. anche quando le espressioni offensive siano contenute in una diffida stragiudiziale, prodromica a successive iniziative legali (Cassazione penale sez. V - 09/04/2019, n. 24452).


Vuoi saperne di più sul reato di diffamazione?

Vuoi consultare altre sentenze in tema di diffamazione?



La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza al vaglio odierno di questa Corte è stata pronunziata il 24 aprile 2018 dalla Corte di appello di Milano, che ha ribaltato la condanna inflitta dal Tribunale della stessa città a A.P.M.M.A.D. per diffamazione aggravata ai danni del notaio G.F.. La diffamazione - secondo la contestazione - sarebbe stata commessa con l'invio di una diffida al notaio G., a P.D. ed ai soci della s.r.l. Daupher a firma anche dell'imputato, con la quale si affermava che le procure notarili rilasciate dai componenti della famiglia del prevenuto al P. erano state utilizzate per alienare e disporre di loro proprietà contro la loro volontà ed a loro insaputa, invitando la professionista a annullare e cancellare tutti gli atti stipulati a loro nome, contro la loro volontà ed a loro danno. Il ribaltamento della sentenza di condanna del Tribunale è intervenuto perchè la Corte di appello ha reputato sussistente la causa di non punibilità di cui all'art. 598 c.p..


2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore della parte civile G.F..


2.1. Il primo motivo deduce - citando giurisprudenza sul punto - l'erronea applicazione della disposizione di cui all'art. 598 c.p. perchè essa non potrebbe trovare applicazione quando le espressioni siano calunniose; nel caso di specie - assume la ricorrente - ella era stata accusata del reato di falso ideologico in atto pubblico di cui all'art. 479 c.p..


2.2. Con il secondo motivo di ricorso, la parte assume l'erroneità della revoca delle statuizioni civili, sulla scorta della natura di causa di non punibilità della norma sull'immunità giudiziaria, che non escluderebbe l'illiceità del fatto. A sostegno del proprio assunto, la ricorrente invoca l'applicazione dell'art. 598 c.p., comma 2.


3. Il 25 marzo 2019 il difensore dell'imputato ha depositato una memoria in cui ha rievocato i fatti che avevano preceduto l'invio della diffida, spiegando che la procura irrevocabile a vendere conferita dal padre A.G.P. al P. era stata revocata ex art. 1724 c.c. nel momento in cui era stato lo stesso A.P. ad intervenire nella stipula del contratto preliminare con l'Immobiliare Daupher rappresentata sempre dal P., per la vendita del castello di famiglia.


Una volta intervenuta la revoca tacita, il notaio non avrebbe potuto stipulare la vendita reputando ancora P. procuratore speciale di A.G.P., il che - allorchè gli ignari componenti della famiglia A.P. avevano appreso della vendita - aveva reso necessaria non solo la diffida, ma anche un'azione civile ed una denunzia alla Procura della Repubblica.


Quanto ai singoli motivi di ricorso, la difesa dell'imputato ne lamenta l'inammissibilità sostenendo che:


- al momento dell'invio della diffida, l'imputato ed i suoi familiari erano convinti - a prescindere dalle reali responsabilità della professionista - che al notaio fosse addebitabile la stipula del definitivo a loro insaputa.


- Il risarcimento invocato non sarebbe dovuto, perchè la diffida era un atto essenziale per l'esercizio delle facoltà difensive.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso della parte civile è infondato e va pertanto respinto.


2. Il primo motivo di ricorso è infondato.


2.1. Secondo la ricorrente, l'esimente di cui all'art. 598 c.p. non potrebbe trovare applicazione laddove - come nel caso di specie - le espressioni non siano solo lesive dell'altrui reputazione, ma appaiano anche calunniose; nel caso di specie detta calunniosità - secondo l'impostazione del ricorso - risiederebbe nella circostanza che la G., con la diffida corpo di reato, era stata accusata del reato di falso ideologico in atto pubblico di cui all'art. 479 c.p..


2.2. Appare opportuno rappresentare - per una migliore intellegibilità delle questioni di diritto che si andranno a vagliare - che la diffida contenente le espressioni asseritamente diffamatorie si pone a valle di una complessa vicenda, che - secondo quanto è possibile ricavare dalla sentenza impugnata e dalle prospettazioni delle parti - ha visto il rilascio, il 12 aprile 2007, a P.D. di una procura speciale irrevocabile a vendere alcuni immobili della famiglia P.M., redatta dal notaio G., con autorizzazione a contrarre con se stesso. P., in vista dell'operazione immobiliare, era stato nominato amministratore unico della Immobiliare Daupher s.r.l., con quote intestate a P. stesso, all'odierno imputato ed alla madre C.A.. Il (OMISSIS), P.G.M., l'imputato e la madre avevano stipulato, sempre a ministero del notaio G., il preliminare di vendita di alcuni immobili alla società immobiliare suddetta e, il successivo 28 dicembre, il P., quale procuratore speciale della parte venditrice e quale amministratore della Daulpher, aveva partecipato alla compravendita definitiva, pure rogata dall'odierna parte civile, che si era poi concretizzata una volta elasso il termine per l'esercizio del diritto di prelazione da parte del Ministero dei beni culturali sul castello medievale facente parte del compendio venduto. Secondo l'odierno imputato, la vendita del 28 dicembre era avvenuta senza che i A.P. ne fossero a conoscenza, il che aveva reso necessario l'invio della diffida, l'attivazione di un giudizio civile e la presentazione di una denunzia alla Procura della Repubblica.


2.3. Fatta questa breve premessa in fatto, occorre evidenziare che la tesi della ricorrente circa l'inapplicabilità dell'esimente ex art. 598 c.p. non può trovare seguito.


2.3.1. Per affrontare il thema decidendum occorre ricordare che l'esimente di cui all'art. 598 c.p. concerne le offese contenute in scritti presentati o discorsi pronunciati dalle parti o dai loro difensori in procedimenti innanzi all'autorità giudiziaria od amministrativa, non punibili nella misura in cui le espressioni offensive riguardino, in modo diretto ed immediato, l'oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale nel sostenere la tesi prospettata o comunque nell'ottica dell'accoglimento della domanda proposta (Sez. 5, n. 2507 del 24/11/2016, dep. 2017, Carpinelli, Rv. 269075 - 01; Sez. 5, n. 12057 del 23/09/1998, Lamendola A, Rv. 214354-01), quand'anche esse non siano necessarie e riguardino passaggi non decisivi dell'argomentazione (Sez. 5, Sentenza n. 14542 del 07/03/2017, Palmieri, Rv. 269734 - 01; Sez. 5, n. 6495 del 28/01/2005, Bonazzi, Rv. 231428 - 01). Ai fini dell'applicabilità dell'art. 598 c.p., deve essere esclusa, invece, la necessità che le offese abbiano anche un contenuto minimo di verità o che la stessa sia in qualche modo deducibile dal contesto, in quanto l'interesse tutelato è la libertà di difesa nella sua correlazione logica con la causa a prescindere dalla fondatezza dell'argomentazione (Sez. 5, n. 2507 del 24/11/2016, cit.; Sez. 5, n. 40452 del 21/09/2004, Ummarino ed altro, Rv. 230063).


Quanto alla possibilità che l'offesa cui correlare l'art. 598 c.p. sia contenuta non già in un vero e proprio atto interno al giudizio, ma ad uno che lo precede, questa Corte (Sez. 5, n. 46864 del 28/11/2005, Vecchione ed altri, Rv. 233046 - 01) ha statuito che la norma in discorso trova applicazione anche in relazione ad una diffida stragiudiziale prodromica alle successive iniziative legali, come quella in discorso.


Sulla scorta di questa coordinate ermeneutiche, può essere operata una prima delibazione positiva circa la scelta del Giudice di appello di ritenere applicabile l'immunità giudiziaria, sia quanto alla tipologia di documento-veicolo delle espressioni diffamatorie, sia, sotto il profilo contenutistico, con riferimento alla funzionalità delle espressioni a sostenere la tesi dell'imputato - e dei suoi familiari - circa l'invalidità della procura e dell'atto di compravendita immobiliare che, sulla sua base, era stato stipulato dal Notaio G.. Ed invero, nella diffida le cui espressioni sono state trasposte nel capo di imputazione - che è il primo riferimento con cui confrontarsi - non vi era altro che una richiesta tesa ad inibire l'ulteriore utilizzo della procura ed a porre nel nulla gli atti che la presupponevano, rappresentando che detta procura era stata utilizzata per alienare le proprietà di famiglia contro la volontà degli A.P.M. ed in danno di questi ultimi; ebbene, può affermarsi che si tratti esattamente della prospettazione che l'imputato ha poi formulato nella causa civile che è seguita alla diffida, dal momento che sulla ricostruzione (non già sulla fondatezza naturalmente) della tesi coltivata dall'imputato e dai suoi familiari non pare vi sia contestazione da parte della ricorrente.


2.3.2. Passando oltre - e venendo, in effetti, al cuore della doglianza della ricorrente - occorre domandarsi se l'applicazione della cd. immunità giudiziaria possa trovare un limite nella predicata calunniosità delle accuse mosse al notaio G..


Ebbene, in limine all'esame di tale aspetto della vicenda sub iudice, occorre anticipare che il ricorso lambisce in parte qua l'inammissibilità laddove, nel sostenere la tesi dell'inapplicabilità della scriminante a cagione della calunniosità delle accuse, si limita ad enunciare che il notaio G. sarebbe stata accusata del reato di falso ideologico in atto pubblico, senza tuttavia precisare come le espressioni asseritamente calunniose potessero evocare una condotta così penalmente caratterizzata in capo alla professionista. Si tratta, quindi, di un'impostazione che è ai limiti della genericità.


Volendo andare oltre ed esaminare la doglianza sotto il profilo contenutistico, va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte ha effettivamente individuato un limite all'operatività della disposizione di cui all'art. 598 c.p. nella calunniosità delle accuse contenute nelle espressioni rivolte alla persona offesa (Sez. 5, n. 31115 del 30/06/2011, P.O. in proc. Farumi, Rv. 250587 - 01; Sez. 6, n. 32325 del 04/05/2010, Grazioso, Rv. 248080 - 01; Sez. 5, n. 29235 del 19/05/2011, Cicciò e altri, Rv. 250466 - 01).


Ciò, tuttavia, non ha le implicazioni che la parte civile ricorrente auspicherebbe.


La stessa giurisprudenza sopra evocata, infatti, ha dato per scontato che questo principio presupponga che colui che abbia attribuito alla persona offesa una condotta costituente reato lo abbia fatto nella consapevolezza della falsità delle accuse; tale consapevolezza, a ben vedere, rappresenta l'in se del reato di calunnia, che non consiste sic et simpliciter nell'attribuire a qualcuno la commissione di un reato, ma nel muovere dette accuse con la certezza dell'innocenza dell'incolpato, certezza che va esclusa quando l'autore del fatto abbia agito basandosi su circostanze di fatto non solo veritiere, ma la cui forza rappresentativa sia tale da indurre una persona di normale cultura e capacità di discernimento a ritenere la colpevolezza dell'accusato (Sez. 6, n. 3964 del 06/11/2009, dep. 2010, De Bono, Rv. 245849 - 01). Ebbene, nè dal ricorso, nè dalla sentenza impugnata si evince che l'imputato abbia agito ad onta della coscienza che le accuse mosse al notaio G. fossero false ovvero sulla base di circostanze di fatto prive di valenza corroborante della tesi sostenuta. Vi è, anzi, uno snodo della vicenda - debitamente evidenziato nelle difese dell'imputato e che emerge anche dalla ricostruzione storica della sentenza impugnata - che depone in senso esattamente contrario; ci si riferisce alla partecipazione del mandante A.G.P. alla stipula del contratto preliminare della vendita per cui la procura era stata rilasciata, circostanza potenzialmente idonea a far escludere, nella visione che della vicenda aveva l'imputato, la persistente validità della procura a vendere per essere avvenuta una revoca tacita ex art. 1724 c.c., con la conseguente ragionevolezza della convinzione che il successivo utilizzo della procura fosse stato illegittimo.


3. Il secondo motivo di ricorso - con cui la parte assume l'erroneità della revoca delle statuizioni civili, invocando l'applicazione dell'art. 598 c.p., comma 2, - è del pari infondato.


A norma dell'art. 538 c.p.p., comma 1, la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile può discendere solo da una pronunzia di condanna sul versante penale. Nè appare concludente il riferimento che la ricorrente opera alla disposizione di cui all'art. 598 c.p., comma 2 (secondo cui il Giudice, pronunciando nella causa, può, tra l'altro, assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno), che si riferisce non già al giudicante penale che prosciolga l'imputato ex art. 598 c.p., comma 1, ma ai poteri del giudice della causa nella quale sono state scritte o pronunciate le frasi offensive. A quest'ultimo proposito, il Collegio, invero, condivide un precedente di questa Corte che, interrogandosi anche sulle differenze con la norma di cui all'art. 89 c.p.c., ha ritenuto che, giacchè i limiti di applicabilità dell'art. 598 c.p., comma 1 sono tutti nella funzionalità delle eventuali offese all'esercizio del diritto di agire in giudizio riconosciuto a chiunque dall'art. 24 Cost., è ragionevole concludere che solo il giudice della causa in cui le frasi offensive furono scritte o pronunciate possa valutare, a conclusione del giudizio, se la giustificazione di quelle offese debba escludere anche la risarcibilità del danno non patrimoniale eventualmente patito da colui cui furono rivolte (Sez. 5, n. 6701 del 08/02/2006, Massetti ed altro, Rv. 234007 - 01).


4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 9 aprile 2019.


Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2019

bottom of page