Cassazione penale sez. II, 11/02/2022, (ud. 11/02/2022, dep. 22/02/2022), n.6051
La massima
Con la sentenza in argomento, la Suprema Corte ha affermato che nel caso di c.d. estorsione mediata, ovvero delle minacce portate a mezzo lettera o telefono, l'aggravante delle più persone riunite sarà ravvisabile solo nel caso in cui la lettera sia firmata da due o più persone o se alla telefonata minatoria partecipino più persone, ma non anche nel caso in cui la parte offesa abbia la sensazione che colui che ha spedito la lettera minatoria o ha fatto la telefonata minacciosa sia in collegamento con altre persone. Per le stesse ragioni non sarà ravvisabile l'aggravante in discussione quando le minacce o le violenze nei confronti della parte offesa siano poste in essere da diversi coimputati non contestualmente, ma distintamente in momenti successivi.
La sentenza
Fatto
La Corte di appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la decisione assunta dal tribunale di Velletri il 26 maggio 2020, che aveva riconosciuto la responsabilità degli imputati per il concorso nella estorsione aggravata tentata descritta al capo A della imputazione (in continuazione, per Z., con la contravvenzione di cui al capo B) e aveva applicato la pena di anni tre di reclusione ciascuno, oltre la multa, differenziata in ragione della continuazione ( Z.); pena così ridotta per la scelta del rito.
Avverso tale sentenza ricorrono gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo a motivi della impugnazione le ragioni in appresso sinteticamente indicate, nei limiti dettati dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
1. Z.G.:
1.1. inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, vizi esiziali di motivazione dedotti in maniera promiscua (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e), con riferimento alla divisata qualificazione giuridica (estorsione tentata in concorso), dovendo il fatto più correttamente inquadrarsi nel paradigma della ragion fattasi, con minaccia alla persona (art. 393 c.p.), in ragione del prospettato interesse dell'agente alla riscossione di un credito che era stato a lui ceduto dal titolare originario della pretesa;
1.2. I medesimi vizi sono dedotti per il negato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dovute in ragione del buon comportamento processuale del ricorrente.
2. B.F.C.:
2.1. violazione e falsa applicazione della legge penale (art. 606 c.p.c., comma 1, lett. b, in riferimento all'art. 628 c.p.c., comma 3, n. 1, come richiamato dall'art. 629 c.p., comma 2), perché la Corte ha riconosciuto l'aggravante di aver commesso il fatto (minacce rivolte a distanza attraverso la conversazione e la messaggistica telefonica e telematica) in più persone riunite sulla base della percezione avvertita dalla persona offesa e della concorrenza di condotte minatorie realizzate tramite separato invio di messaggi;
2.2. vizi esiziali di motivazione in riferimento al concorso nel tentativo di estorsione, avendo la Corte travisato la prova documentale costituita dalla lettura dei messaggi minatori inviati alla persona offesa; il ruolo in concreto assunto incide anche sull'irragionevole rigore del trattamento sanzionatorio;
2.3. i medesimi vizi sono denunziati con il terzo motivo di ricorso, avendo la Corte capitolina rifiutato irragionevolmente il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, così non differenziando le due posizioni processuali.
Diritto
I motivi di ricorso sono solo parzialmente fondati e vanno pertanto accolti per quanto di ragione.
1. Inammissibile, a fronte della doppia decisione conforme di condanna, fondante su congruo e non contraddittorio ordito motivazionale, si rivela la doglianza svolta (nell'interesse del solo Z.) in merito alla corretta qualificazione in termini di conato estorsivo del fatto contestato, che la difesa vorrebbe qualificare come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con minaccia alla persona (art. 393 c.p.), in quanto manifestamente infondata. La censura si risolve, peraltro, nella mera riproposizione delle tesi già prospettate al giudice della revisione nel merito e da questi motivatamente respinte, senza svolgere alcun ragionato confronto con le specifiche argomentazioni che logicamente e storicamente sostengono la motivazione di secondo grado (Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv. 244181; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584).
1.1. Quanto alla più mite qualificazione giuridica (art. 110,393 c.p., per il concorso in esercizio arbitrario delle proprie ragioni con minaccia alla persona) del fatto, il ricorrente si attarda ad identificare un differente movente dell'azione intimidatoria, tutto orientato al recupero di un ipotizzato credito vantato da un terzo soggetto ( P.) che allo Z. lo avrebbe ceduto, circostanza che troverebbe anche un certo sostegno per quanto dichiarato dallo stesso offeso, che al P. avrebbe chiesto appunto chiarimenti.
Il motivo, quale che sia la modalità violenta della dedotta riscossione, si colloca fuori fuoco e non coglie il punto essenziale che identifica l'imputazione in diritto: per esercitare, ancorché con violenza di modi, un preteso diritto, occorre infatti che una tale pretesa sia giuridicamente azionabile dal creditore nei confronti del debitore; viceversa, come già ritenuto da questa Corte, è certamente configurabile il delitto di estorsione nei casi in cui l'agente abbia esercitato la pretesa, con violenza e/o minaccia, fuori da ipotesi di concorso con l'ipotizzato titolare del credito, giacché tale pretesa non sarebbe certamente tutelabile in giudizio da parte del terzo, risultando in concreto diretta a procurarsi un profitto ingiusto, consistente nell'ottenere il pagamento dell'ipotizzato debito, agendo nella violenza da soggetto estraneo al sottostante (solo ipotizzato e giammai dimostrato) rapporto obbligatorio (Sez. 2, n. 16658 del 16/01/2014, D'Errico, Rv. 259555 e Sez. 2, n. 45300 del 28/10/2015, Immordino, Rv. 264967; sul punto v., da ultimo, Sezioni unite n. 29541 del 16/07/2020, ric. Filardo, in motivazione). Peraltro, come diffusamente argomenta il giudice del merito, la esistenza a monte di un credito da esigere è rimasta solo ipotizzata dagli imputati, senza che di una tale circostanza sia tracciata evidenza alcuna (Sez. U. cit. evidenzia in motivazione la necessità di una ontologica evidenza delle ragioni di credito).
1.1.1. I tre vizi di motivazione dedotti sul medesimo punto in maniera promiscua, oltre a palesare evidente inamissibilità (ancora Sez. U. Filardo, in motivazione), non si confrontano con la lucida e puntuale argomentazione svolta dalla Corte territoriale.
1.2. Anche quanto al negato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche la Corte ha argomentato la decisione con logica e puntuale completezza, facendo richiamo alla assenza di qualsivoglia elemento degno di positiva valutazione, in modo conforme ai generali criteri applicativi (art. 133 c.p., apprezzamento del fatto e della personalità dell'autore, oltre che della condotta post delictum) della norma di cui all'art. 62 bis c.p..
2. B.F.C..
2.1. Il primo motivo di ricorso speso nell'interesse del B. è viceversa fondato, estendendo peraltro i suoi effetti favorevoli (art. 587 c.p.p., comma 1) nei confronti del concorrente Z.. Nel duplice giudizio conforme di merito è rimasta valorizzata, nel concorso di fattori eziologici convergenti, la "unità" dell'azione intimidatoria, portata a distanza tramite messaggi e conversazioni singolari. La minaccia fu pertanto avvertita dalla vittima, secondo i giudici di merito, come frutto di una sinergia, ancorché delocalizzata. Tuttavia, dalla più attenta lettura del fatto si evince che tale sinergia si manifestò con minacce che, ancorché coincidenti verso il medesimo obiettivo, mai furono il frutto di una compresenza (per quanto a distanza) di attori al cospetto (virtuale) della vittima. La motivazione, pertanto, non si conforma all'orientamento assolutamente consolidato di questa Corte, che valorizza sul punto la necessaria efficacia causale della detta compresenza "fisica", ancorché distanziata dalla vittima, senza che possa avere rilievo la percezione da parte dell'offeso di una tale ontologia (Sez. 2, n. 46148, del 10/10/2019, Rv. 277776, che si cita anche per la messe di precedenti conformi indicati in nota CED:... poiché la "ratio" dell'aggravamento non deriva necessariamente dalla maggiore costrizione esercitata simultaneamente sulla vittima, quanto piuttosto dalla maggiore potenzialità criminosa correlata all'oggettiva compresenza di più persone sul luogo del delitto e nella esecuzione dello stesso).
Da quanto detto discende che nel caso di c.d. estorsione mediata, ovvero delle minacce portate a mezzo lettera o telefono, l'aggravante delle più persone riunite sarà ravvisabile solo nel caso in cui la lettera sia firmata da due o più persone o se alla telefonata minatoria partecipino più persone, ma non anche nel caso in cui la parte offesa abbia la sensazione che colui che ha spedito la lettera minatoria o ha fatto la telefonata minacciosa sia in collegamento con altre persone. Per le stesse ragioni non sarà ravvisabile l'aggravante in discussione quando le minacce o le violenze nei confronti della parte offesa siano poste in essere da diversi coimputati non contestualmente, ma distintamente in momenti successivi. In tale situazione, infatti, sarà ravvisabile un concorso di persone nel reato, ed, eventualmente, l'aggravante di cui all'art. 112 c.p., n. 1, nel caso i concorrenti siano cinque o più, ma non l'aggravante delle più persone riunite che, come si è detto, ha una ratio del tutto diversa (Sez. 2, n. 671, del 23/10/2019, dep. 2020, Rv. 277817; Sez. U., n. 21837, del 2011, dep 2012, Rv. 252518, in motivazione sub 2.1., pag. da 9 a 12).
La sentenza impugnata, che di tale esegesi non ha tenuto conto nella qualificazione circostanziale del fatto, deve pertanto essere annullata sul punto, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che faccia corretta applicazione del principio di diritto poco sopra richiamato.
2.2. Il secondo motivo resta assorbito, in quanto la dimensione sanzionatoria da calcolare per il tentativo di estorsione è strettamente dipendente dalla qualificazione circostanziale del fatto.
2.3. Quanto a negata cittadinanza alle circostanze attenuanti generiche, la Corte ha ritenuto di valorizzare la grave offensività del fatto per entrambi gli imputati, il che in assenza di rilevanti elementi differenziali nella condotta post delictum non costituisce né violazione della legge penale, tanto meno vizio di logicità della motivazione.
PQM
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di entrambi gli imputati limitatamente alla ritenuta circostanza aggravante della commissione del fatto in più persone riunite con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d'appello di Roma. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022