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La lieve entità nel reato di spaccio non può fondarsi su criteri meramente quantitativi (Cass. pen. n. 17511/2025)

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1. Premessa

La sentenza in esame affronta un tema ricorrente e tuttavia ancora foriero di contrastanti applicazioni: la configurabilità del fatto di lieve entità nei reati in materia di stupefacenti, ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990.

Il caso si segnala per l’interessante analisi svolta dalla Corte di cassazione in ordine ai criteri interpretativi che regolano il discrimen tra il fatto “lieve” e la condotta di non minima offensività, anche alla luce di parametri apparentemente favorevoli all’imputato (quantità modesta, assenza di organizzazione esterna, utilizzo dell’abitazione).


2. Il fatto

L’imputato era stato tratto a giudizio per la detenzione e la cessione reiterata di crack e hashish, in quantitativi non trascurabili, all’interno della propria abitazione, ove si trovava già sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari per reati della medesima specie.

A seguito di perquisizione, venivano rinvenuti: un bilancino sporco di polvere bianca, strumenti per il confezionamento, un'agenda con annotazioni compatibili con l'attività di spaccio, contanti per oltre 4.700 euro, nonché:

  • 80,15 g di hashish (pari a 1.079 dosi medie singole),

  • 31,75 g di crack (pari a 180 dosi medie singole di cocaina pura).

Il Giudice dell’udienza preliminare aveva ritenuto i fatti sussumibili nell’ipotesi di lieve entità. In riforma della decisione, la Corte d’appello di Palermo aveva accolto l’impugnazione del pubblico ministero, escludendo l’applicabilità del comma 5 e infliggendo una pena detentiva più severa.


3. Il ricorso e le doglianze

La difesa aveva censurato la sentenza d'appello deducendo:

  • errata esclusione del fatto di lieve entità sulla base di parametri non decisivi (quantità, eterogeneità della droga, uso dell’abitazione, strumenti da taglio);

  • inadeguata valutazione del dato ponderale, inferiore a soglie ritenute compatibili dalla giurisprudenza con l’ipotesi lieve;

  • richiamo improprio a precedenti penali non valorizzati con rigore, in assenza di un giudizio unitario sulla complessiva offensività della condotta.


4. La decisione della Corte di Cassazione

La Quarta Sezione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo che la Corte d’appello abbia correttamente escluso la configurabilità della fattispecie di cui al comma 5, avendo operato una valutazione unitaria e globale di tutti gli elementi di fatto e di contesto.

Secondo la Corte, la rilevanza penale della condotta travalica i limiti della “minima offensività”, in quanto:

  • L’attività di spaccio era sistematica, protratta nel tempo, e non occasionale;

  • L’abitazione era stata trasformata in un centro operativo, munito della strumentazione necessaria per il frazionamento e la vendita;

  • Le sostanze detenute erano differenti per tipo e altamente attive, con un numero significativo di dosi ricavabili;

  • Le annotazioni contabili e la somma di denaro rinvenuta indicavano un circuito ben strutturato di clientela.

Nonostante alcuni precedenti (Cass. pen., sez. IV, n. 13548/2025, Braushi) abbiano ammesso la compatibilità del comma 5 con forme di “piccolo spaccio organizzato”, il Collegio ha valorizzato i criteri già affermati da Cass. pen., Sez. Un., n. 51063/2018, Murolo, secondo cui l’apprezzamento deve essere globale e non frammentario, e un singolo parametro negativo può assorbire ogni altra considerazione favorevole.


5. Il principio di diritto

"Ai fini della configurabilità del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, la valutazione sulla minima offensività della condotta non può essere condotta in base a criteri parcellizzati o esclusivamente quantitativi, ma deve fondarsi su un giudizio complessivo che tenga conto della qualità e quantità della sostanza, delle modalità esecutive, della finalità, del contesto e dell’idoneità della condotta a inserirsi in circuiti di spaccio di una certa sistematicità."


6. Conclusioni

La decisione conferma l’indirizzo più rigoroso della giurisprudenza di legittimità, che richiede per l’applicazione del comma 5 un’effettiva modestia del fatto, intesa non come assenza di elementi sintomatici della professionalità, ma come compressione di tutti gli indici normativi verso il livello minimo dell’offesa.

In tal senso, il principio di offensività e quello di proporzionalità della pena fungono da criteri assiologici e sistematici, orientando l’interpretazione verso una razionale distinzione tra devianza marginale e criminalità strutturata. Il fatto che il soggetto operasse in condizioni di restrizione cautelare rafforza, in ultima analisi, l’idea di un’attività consapevolmente e stabilmente organizzata.


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. IV, 06/05/2025, (ud. 06/05/2025, dep. 09/05/2025), n.17511

RITENUTO IN FATTO


1. Con sentenza del 16 ottobre 2024 la Corte di appello di Palermo, in riforma della sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Termini Imerese, ha condannato,548/4 alla pena di anni 4 e mesi 4 di reclusione ed Euro 22.000,00 di multa, per avere detenuto e ceduto a terzi (in più occasioni) della sostanza stupefacente del tipo crack ed hashish; condotte contestate, rispettivamente, ai capi 1 e 2.


1.1. Più in particolare, accogliendo l'appello del Pubblico ministero, la Corte territoriale ha escluso che il fatto potesse essere ritenuto di lieve entità, ai sensi del comma 5 dell'art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in ragione del tipo e della quantità di stupefacente rinvenuto nonché delle altre modalità della condotta, analizzate alla luce di quanto rinvenuto nel corso della perquisizione.


2 Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione Sc.GI., a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.


2.1. Con un unico motivo il ricorrente deduce violazione della legge penale sostanziale e vizio della motivazione, poiché mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, nella parte in cui la Corte territoriale ha escluso la lieve entità dei fatti accertati, senza considerare che né l'esame del dato quantitativo, né la diversità della sostane trattate sono di per sé circostanze ostative al riconoscimento della predetta ipotesi. D'altra parte, si osserva, il quantitativo di sostanza rinvenuto è risultato inferiore a quello che una ricognizione statistica effettuata dalla giurisprudenza ha individuato come compatibile con il fatto di lieve entità.


La Corte territoriale ha inoltre erroneamente valutato, sempre al fine di escludere l'ipotesi di cui al comma 5, la presenza di precedenti penali specifici, lo svolgimento dell'attività all'interno della propria abitazione e la disponibilità di strumenti utili al confezionamento: si tratta infatti di indicatori compatibili con l'ipotesi di un "piccolo spaccio organizzato", ovvero un fatto di lieve entità, per come si desume dal raffronto di quest'ultima disposizione con l'art. 74, comma 6, dello stesso decreto.


3. Richiesta e disposta la trattazione orale, all'odierna udienza le parti hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è inammissibile.


1.1. All'analisi dei motivi è utile premettere che, secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, nel corso di una perquisizione nel domicilio presso il quale Sc.GI. si trovava sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari (sempre per reati in materia di stupefacenti), la polizia giudiziaria rinvenne: 1) un bilancino di precisione sporco di polvere bianca; 2) banconote di diverso taglio per un importo complessivo di Euro 4.795,00; 3) una agenda, sulla quale erano state annotate date, nomi e somme di denaro, riconducibile all'attività di spaccio (come ammesso in sede di interrogatorio); 4) sostanza stupefacente di tipo crack ed hashish; 5) strumenti utilizzati per la pesatura ed il confezionamento dello stupefacente.


Complessivamente, venivano rinvenuti e sequestrati: 1) 80,15 gr. di hashish, da cui erano ricavabili gr. 26,977 di THC puro, pari a 1.079,09 dosi medie singole; 2) gr. 31,75 di crack, da cui erano ricavabili 27,143 gr. di cocaina pura, pari a 180,95 dosi medie singole.


A fronte di tali risultanze, come anticipato, la Corte di appello ha escluso che il fatto potesse essere ritenuto di lieve entità, riformando sul punto la sentenza di primo grado.


1.2. Come noto, l'ipotesi di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (pacificamente ritenuta autonoma fattispecie di reato), è configurabile allorquando i fatti previsti dagli altri commi dello stesso articolo, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, debbono ritenersi di lieve entità.


I giudici di merito (pp. 3 e ss. sentenza ricorsa) hanno ritenuto provato che le condotte di detenzione e di cessione riguardarono differenti tipologie di stupefacente, di cui è stato pure posto in evidenza il dato ponderale (per la cocaina superiore a quello indicato nella ricognizione statistica effettuata su un campione di sentenze), l'elevato valore del principio attivo e quindi il cospicuo numero di dosi ricavabili.


Ancora, il ricorrente, nel mentre era agli arresti domiciliari per altra causa, ha adibito la propria abitazione a vero e proprio "market della droga" (p. 4 sentenza ricorsa), munendosi della strumentazione necessaria per procedere alla pesatura, al frazionamento ed al confezionamento dello stupefacente, nonché di un "libro mastro" su cui annotare le transazioni.


D'altra parte, la reiterazione nel tempo delle cessioni ha trovato conferma sia nel rinvenimento di una significativa somma di denaro, sia nelle dichiarazioni rese dagli acquirenti.


Sicché, analizzando i dati probatori disponibili ed effettuando una valutazione complessiva della condotta dell'imputato, i giudici di merito hanno negato la ricorrenza della fattispecie di cui al comma 5, avuto riguardo alla capacità di


approvvigionamento e diffusione dello stupefacente, ritenendola non compatibile con una condotta di minima offensività.


Nozione che, d'altra parte, deve essere rapportata ai principi costituzionali di offensività e di proporzionalità della pena, come evidenziato anche da questa Sezione (Sez. 4, n. 50257 del 05/10/2023, Scorcia, Rv. 285706 - 01, in un caso in cui la minima offensività è stata esclusa avendo riguardo al livello di professionalità del traffico, all'elevato grado di purezza della cocaina, ed al numero dosi ricavabili).


Nella specie, come visto, le condotte accertate sono state ritenute espressione di un'attività organizzata - connotata di gravità e svolta in maniera non occasionale - di spaccio di stupefacenti da reperire e diffondere nel mercato in modo sistematico.


In tal modo, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione del consolidato orientamento di legittimità secondo il quale la fattispecie di cui al comma 5 è configurabile solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 - 01; Sez. 3, n. 33103 del 16/04/2024, Frisco, non mass.; Sez. 3, n. 33415 del 19/05/2023, Tramentozzi, Rv. 284984 - 01).


Vero è, come sostiene il ricorrente, che la fattispecie del fatto di lieve entità non è di per sé incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale, ma inserita in un'attività criminale organizzata o professionale (Sez. 4, n. 13548 del 27/02/2025, Braushi, non mass.; Sez. 6, n. 28251 del 09/02/2017; Rv. 270397 - 01, che argomenta dal raffronto con l'ipotesi di cui all'art. 74, comma 6, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309); ma è anche vero che, nella specie, la Corte territoriale ha compiuto una valutazione globale ed unitaria dei diversi indicatori di gravità del fatto (come richiesto da Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076 - 01), assegnando carattere prevalente alle modalità della condotta, nonché agli altri indicatori che testimoniano l'inserimento in avviati traffici.


La Corte di appello, quindi, ha sottolineato la concreta capacità di azione del soggetto - nonostante la restrizione cautelare - e le sue relazioni con il mercato di riferimento, avuto riguardo all'entità della droga movimentata, alla diversa tipologia di stupefacente, ed al numero di assuntori riforniti (Sez. 6 n. 13982 del 20/02/2018, Lombino, Rv. 272529 - 01; cfr., anche Sez. 3, n. 23945 del 29/4/2015, Xhihani, Rv. 263651 - 01, con riguardo alla protrazione nel tempo dell'attività di spaccio, ai quantitativi di droga trattati, ed al possesso della strumentazione necessaria per il confezionamento delle dosi e per l'elevato numero di clienti).


Così individuate, quindi, le ragioni dell'impossibilità di considerare la fattispecie di minima offensività, il ricorrente si è invece limitato a contestare l'omessa


valutazione complessiva del fatto e a formulare critiche - versate in gran parte in fatto - alla possibilità di valorizzare questo o quell'indicatore, senza però censurare l'apprezzamento unitariamente svolto dalla Corte territoriale.


Né, d'altra parte, può ipotizzarsi un vizio di motivazione - dedotto peraltro in maniera promiscua - nella misura in cui non si sarebbe tenuto conto degli esiti della ricognizione statistica su un significativo campione di sentenze (pp. 6 e 7 ricorso), che peraltro la Corte territoriale ha ritenuto non favorevole per l'imputato con riguardo alla cocaina (p. 5 sentenza ricorsa): la più recente giurisprudenza di legittimità ha condivisibilmente chiarito che la qualificazione.del fatto ai sensi dell'art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non può effettuarsi in base al solo dato quantitativo, risultante dalla ricognizione statistica su un campione di sentenze che hanno riconosciuto la minore gravità del fatto, posto che per l'accertamento della stessa è necessario fare riferimento all'apprezzamento complessivo degli indici richiamati dalla norma (Sez. 4, n. 13597 del 25/03/2025, Settimio, non mass.; Sez. 3, n. 9237 del 11/02/2025, Peters, non mass.; Sez. 3, n. 12551 del 14/02/2023, Rv. 284319 - 01).


Infine, il Collegio evidenzia che, contrariamente a quanto ritiene il ricorrente (p. 7 ricorso) la Corte territoriale ha fatto solo un generico riferimento alla commissione di altri reati della stessa specie (p. 7 sentenza ricorsa), senza assegnargli alcuna valenza nel più ampio giudizio sull'offensività della condotta; diversamente, ha valutato la condotta anche in ragione della contestuale sottoposizione alla misura cautelare degli arresti domiciliari (p. 5).


3. Stante l'inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 7 giugno 2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare in Euro tremila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.


Così deciso in Roma, 6 maggio 2025


Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2025

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