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Giudizio abbreviato: quando conviene davvero

Aggiornamento: 10 nov

Giudizio abbreviato e giusto processo: disciplina, garanzie e limiti dell’impugnazione (artt. 438-443 c.p.p.)

Il giudizio abbreviato è un istituto processuale che viene spesso spiegato male e compreso peggio.

Si tende a ridurlo a una “scorciatoia” processuale, a un rito minore, a un surrogato impoverito del dibattimento.

È un pregiudizio diffuso — ma infondato.

In realtà l’abbreviato è una scelta strategica, che incide sulla forma dell’accertamento e sul modo in cui il giudice perviene alla decisione.

In questo breve contributo proveremo a offrire alcune indicazioni di massima, di taglio operativo, rispetto alle domande che più frequentemente ci vengono poste su questo tema.


  1. Se chiedo l’abbreviato ammetto di essere colpevole?

No.

Quando si parla di giudizio abbreviato, molti – anche addetti ai lavori – pensano subito al patteggiamento. È l’errore più diffuso.

Ma l’abbreviato non è una ammissione di colpa, non c'è una trattativa con il PM, non si scende a patti con nessuno.

Si tratta di un vero e proprio giudizio, all'esito del quale l'imputato può essere dichiarato colpevole o innocente.

Quello che cambia – e qui sta la vera essenza del rito – è il come il giudice arriva alla decisione.

Nel dibattimento classico la verità processuale si “costruisce” in aula: testimonianze, controesami, confronti, crolli narrativi, smentite e ritrattazioni.

Nel giudizio abbreviato no.

Nel giudizio abbreviato la prova non si forma in udienza: viene valutata così com’è già stata raccolta nella fase delle indagini preliminari.

E questo – nella pratica – significa una cosa molto semplice: il giudice decide leggendo il fascicolo del pubblico ministero.

Non c’è altro.


  1. Quando scegliere l'abbreviato?

È evidente che non vi è alcuna razionalità nell’optare per il giudizio abbreviato quando dagli atti emerge – con chiara evidenza – la prova della responsabilità.

In simili ipotesi la scelta tecnicamente coerente, se vi è spazio, è il patteggiamento: non ha alcun senso prendere in giro se stessi e il tribunale.

Il criterio di valutazione corretto, almeno nella mia esperienza professionale, si fonda su una premessa metodologica: il dibattimento non deve essere in grado di aggiungere conoscenza ulteriore rispetto a quella già ricavabile dal fascicolo del pubblico ministero.

In altre parole, si sceglie l’abbreviato quando il dibattimento non può aggiungere nulla rispetto allo stato degli atti cristallizzato nel fascicolo del pubblico ministero.

Io – personalmente – non propongo mai l’abbreviato per lo “sconto di pena”.

Propongo l’abbreviato quando — già nella fase delle indagini preliminari — ho nel fascicolo del pubblico ministero la prova dell’estraneità del mio assistito ai fatti.

In quelle situazioni l’approdo al dibattimento non aggiungerebbe nulla: sarebbe un inutile esercizio retorico, e talvolta perfino dannoso, perché prolungherebbe inutilmente un giudizio che — sul piano probatorio — è già maturo.

Se la prova che "smonta" l’impianto accusatorio è già lì — introiettata nel fascicolo, cristallizzata ed oggettivamente verificabile — allora il dibattimento è completamente superfluo.

Facciamo qualche esempio.

Penso ai reati informatici fondati su log server certificati: qui il tema probatorio (“chi ha fatto cosa”) dipende da pacchetti dati firmati, time-stamped, simmetricamente replicabili. Non c’è un testimone da controesaminare. La prova — se è genuina — è già autosufficiente.

Penso all’autoriciclaggio quando l’intera operazione è tracciata dai flussi bancari: qui il tema difensivo non è “che cosa è accaduto?” ma “che significato giuridico ha ciò che è accaduto?”. L’oralità non sposta l’asse cognitivo: spiega, ma non crea conoscenza nuova.

Il materiale probatorio è già lì — lineare, verificabile.

Penso ai falsi documentali “puri”, quando la comparazione grafometrica o digitale è già stata eseguita secondo standard ripetibili.

In questi contesti, non vi è alcuna razionalità nel “aprire” un dibattimento: significherebbe imporre all’imputato e al tribunale un percorso lungo, costoso e improduttivo, per arrivare — dopo mesi — alla stessa conclusione che posso dimostrare oggi, in un’udienza sola.


  1. Con l’abbreviato ho lo sconto di pena?

Sì.

L’art. 442, comma 2, c.p.p. è chiarissimo:

– una riduzione della pena di 1/3 per i delitti;

– una riduzione della pena di 1/2 per le contravvenzioni.

Si tratta di un meccanismo automatico ma non di un premio morale.

La riduzione di pena non è un riconoscimento di “minor colpevolezza”, né una moral suasion all’ammissione di colpa — perché, come si è detto in precedenza, nel giudizio abbreviato non si ammette nulla.

Il legislatore — già nel 1988 — ha ragionato in termini di costo cognitivo del processo.

Il dibattimento è la sede nella quale la prova si costruisce, si forma, si contesta e talvolta si distrugge.

Costa tempo, risorse pubbliche, udienze, notifiche, citazioni, presenza di testimoni, calendarizzazioni, fisiologiche lungaggini.

Se l’imputato — liberamente — rinuncia a tutto questo, il sistema gli riconosce ex lege una riduzione della pena solo se verrà condannato.

È un principio semplice: lo Stato risparmia tempo e dispendio processuale — e trasla una parte di quel risparmio sull’imputato.

Insomma, nessuna “colpa attenuata”, nessuna simbologia confessionale.


  1. Quando non scegliere l'abbreviato?

Si deve essere molto chiari su questo passaggio.

La scelta dell’abbreviato non è mai una scommessa psicologica, né un gesto di “fiducia” nell’esito favorevole. È sempre una valutazione sulla completezza del materiale probatorio.

Se la difesa ritiene – sulla base del quadro attuale – che la conoscenza non sia ancora completa, e che un segmento decisivo di prova debba essere "formato", non solo valorizzato, allora il rito abbreviato non è tecnicamente praticabile.

Un teste che ha mentito davanti alla polizia giudiziaria può crollare in tre domande ben poste.

Una persona offesa che ha riferito una versione lineare può contraddirsi su un dettaglio dirimente.

Una consulenza tecnica apparentemente solida può incrinarsi su un singolo quesito.

Tutto questo – per definizione – non accade nel giudizio abbreviato.

Perché l’abbreviato, come si è detto, è un giudizio sullo stato degli atti; il dibattimento viceversa è un giudizio nel quale la prova si forma davanti al giudice.

È una distinzione radicale.

E l’errore più grave che si possa commettere è anticipare un abbreviato quando la difesa ha ancora una leva probatoria da esercitare nella dialettica orale.

In conclusione:

a) quando la prova è già integra, completa, verificata, oggettivamente autoconsistente, può convenire il ricorso al giudizio abbreviato;

b) quando la prova deve ancora essere formata, sollecitata, stressata – il giudizio ordinario diventa l'unica opzione necessaria.


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