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Il giudice di appello può riqualificare il fatto se la ridefinizione dell'accusa era prevedibile.

Il giudice di appello, anche in presenza della sola impugnazione dell'imputato, può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall'art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, anche senza disporre una rinnovazione totale o parziale dell'istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell'accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica in peius del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione (sez. VI, 17/03/2022).

Cassazione penale sez. VI, 17/03/2022, (ud. 17/03/2022, dep. 06/04/2022), n.13157

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Torino confermava la pronuncia di primo grado del 9 ottobre 2019 con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Biella aveva condannato, all'esito di giudizio abbreviato, C.L., G.S. e B.M.A. in relazione al reato di cui all'art. 61 c.p., n. 9 e n. 11-quinquies, art. 81 c.p., comma 2, artt. 110 e 572 c.p. - già originariamente contestato nell'imputazione e così riqualificato il fatto che dal giudice di primo grado era stato ritenuto integrare gli estremi di quello previsto dall'art. 571 c.p. - per avere, con condotte tenute in Strona tra il febbraio e il maggio 2016 in danno e alla presenza di minori, abusando dei poteri e in violazione dei doveri inerenti al pubblico servizio di insegnanti della locale scuola materna, maltrattato gli alunni dell'istituto loro affidati per ragioni di educazione, istruzione e vigilanza, minacciandoli, ingiuriandoli, percuotendoli con colpi sferrati al volto, sul sedere e tirate di orecchie, umiliandoli anche di fronte ai compagni di classe e trascurando i bisogni dei più piccoli che non venivano aiutati ad andare in bagno, tenendo nei loro confronti atteggiamenti aggressivi palesemente inadeguati alla loro tenera età, compresa tra i tre e i cinque anni, così da cagionare loro sofferenze fisiche e psicologiche.


2. Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso le tre imputate, con atto sottoscritto dal loro difensore, le quali hanno dedotto due motivi.


2.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 522 c.p.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale violato il divieto di reformatio in peius, disattendendo anche la regola della correlazione tra accusa e sentenza, considerato che nel giudizio di primo grado il Pubblico Ministero aveva "provveduto alla modifica dell'imputazione", chiedendo la condanna delle imputate per il diverso reato di cui all'art. 571 c.p., istanza poi recepita dal Giudice per le indagini preliminari; in ogni caso, per avere riqualificato giuridicamente i fatti con una decisione che aveva comportato una violazione del diritto di difesa, ivi compresa la richiesta di accesso ai riti alternativi, e del divieto di reformatio in peius rispetto alla decisione di primo grado.


2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 110 e 572 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e illogicità, per avere la Corte distrettuale travisato le prove, senza fornire l'indicazione di elementi idonei a dimostrare l'esistenza del contributo causale concorsuale ascritto a ciascuna imputata ovvero di una volontà comune; a tal fine valorizzando registrazioni video (peraltro non indicate in maniera specifica) di singoli episodi nei quali le prevenute non erano mai state compresenti: così apoditticamente affermando che le loro condotte fossero state ispirate da un comune e condiviso programma educativo e fossero state espressione di un atteggiamento abituale, nonostante gli inquirenti avessero segnalato solamente pochi ed isolati episodi "degni di nota"; ed ancora, per avere la Corte di appello omesso di considerare gli elementi di prova favorevoli alla difesa, quali le dichiarazioni rese dai genitori, che avevano riferito di non aver mai saputo alcunché di rilevante dai propri figli, e la circostanza che, fatta eccezione per uno degli allievi, nessun bambino fosse stato "ritirato" da quella scuola.


3. Con memoria trasmessa via pec il 24 febbraio 2022 il difensore delle ricorrenti ha dedotto due motivi nuovi.


3.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 521 e 522 c.p.p., per avere il pubblico ministero proceduto nel corso del giudizio di primo grado alla modifica dell'imputazione, benché fosse stato instaurato il rito speciale dell'abbreviato ‘seccò; e per avere la Corte di appello riqualificato i fatti, con una soluzione peggiorativa per le imputate,, nonostante non vi fosse stata presentazione dell'impugnazione da parte del rappresentante della pubblica accusa, alla fine lasciando immutato il trattamento sanzionatorio.


3.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 110 c.p., e vizio di motivazione, per travisamento della prova, con riferimento alla posizione della imputata B., per avere la Corte territoriale sostenuto che le registrazioni video effettuate il 29 aprile 2019 avessero ripreso la prevenuta, cosa smentita dalla documentazione video in atti; e per essere stata omessa ogni motivazione circa il concorso delle imputate nella commissione di tutti gli episodi loro addebitati.


4. Con memoria trasmessa via pec il 4 marzo 2022, la difesa delle imputate ha ripreso gli argomenti già esposti a sostegno del ricorso ed è tornata a chiedere l'annullamento della sentenza impugnata.


5. Il procedimento è stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui al D.L. n. 137 del 2020, art. 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati dal D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7, convertito dalla L. 16 settembre 2021, n. 126; ed ancora dal D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene la Corte i ricorsi presentati nell'interesse di C.L., G.S. e B.M.A. vadano rigettati.


2. Il primo motivo dell'originario ricorso, ripreso e sviluppato con il primo motivo nuovo formulato ai sensi dell'art. 585 c.p.p., comma 4, è infondato: e ciò per due ordini di ragioni.


2.1. In primo luogo va osservato come la scelta operata dal Pubblico Ministero nel corso del giudizio di primo grado di chiedere la condanna delle imputate per il reato di cui all'art. 571 c.p., così diversamente qualificando i fatti addebitati, non comportò alcuna modifica descrittiva dell'imputazione né la contestazione di un "fatto diverso da come descritto nell'imputazione" ai sensi dell'art. 423 c.p.p.: modifica che, peraltro, a seguito della instaurazione del giudizio abbreviato "secco" ovvero non subordinato ad integrazione probatoria, è pacifico che non sarebbe stata comunque consentita, giacché l'art. 441 c.p.p., nel richiamare le disposizioni previste per l'udienza preliminare, esclude l'applicazione dell'art. 423 c.p.p. (così, tra le tante, Sez. 4, n. 3758 del 03/06/2014, dep. 2015, Costa, Rv. 263196).


Tanto si desume a contrario anche dalla disposizione dell'art. 441-bis c.p.p. che, nel disciplinare i provvedimenti del giudice dell'abbreviato a seguito della formulazione di nuove contestazioni da parte del pubblico ministero ai sensi dell'art. 438 c.p.p., fa espressamente riferimento ai soli casi di abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria di cui all'art. 438, comma 5, ovvero alle ipotesi nelle quali il quadro degli elementi di prova utilizzabili sia mutato in conseguenza dell'esercizio da parte del giudice del potere di integrazione probatoria d'ufficio a mente dell'art. 441, comma 5.


2.2. In secondo luogo, non è configurabile alcuna delle ulteriori violazioni di legge prospettate dalla difesa, considerato che, rimasta immutata la descrizione dei fatti contenuta nel capo di imputazione, la Corte di appello ben poteva procedere alla loro corretta qualificazione giuridica, trattandosi di potere del giudice il cui esercizio, in linea generale, non subisce alcuna limitazione.


In tale ottica, non è riconoscibile la lamentata violazione delle ragioni difensive.


Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione hanno chiarito, con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619).


Del pari non è ravvisabile alcuna violazione del diritto di difesa come tutelato dall'art. 6 CEDU. La Corte Europea dei diritti dell'uomo ha affermato che è violato il diritto dell'imputato "ad essere informato in maniera dettagliata della natura e dei motivi dell'accusa formulata nei suoi confronti", nonché il "diritto a disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie alla preparazione della sua difesa", laddove "il ricorrente (non sia) stato avvertito della possibilità di una riqualificazione dell'accusa formulata nei suoi confronti e, ancora meno, che egli (aveva) avuto l'occasione di discutere in contraddittorio la nuova accusa" (C. EDU, sent. del 11/12/2007, n. 25575/04, Drassich c. Italia). Ma tale criterio interpretativo è inapplicabile nel caso di specie nel quale non vi è stata alcuna decisione di riqualificazione ‘a sorpresà, essendo state le imputate condannate in secondo grado ai sensi dell'art. 572 c.p. per i fatti già loro contestati, cioè sulla base di quella norma incriminatrice che era stato loro in origine addebitata e con riferimento alla quale avevano esercitato le loro ragioni difensive fin nel corso del giudizio di primo grado.


Non è pertinente neppure il richiamo al divieto di reformatio in peius in quanto la Corte di merito, tornando a qualificare i fatti ascritti alle imputate ai sensi del già contestato art. 572 c.p., ha avuto cura di non modificare il trattamento sanzionatorio, lasciando inalterata, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, la pena inflitta dal primo giudice.


Va, quindi, riaffermata la validità del principio di diritto secondo il quale il giudice di appello, anche in presenza della sola impugnazione dell'imputato, può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall'art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, anche senza disporre una rinnovazione totale o parziale dell'istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell'accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica in peius del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione (così, tra le altre, Sez. 5, Sentenza n. 5083 del 14/01/2020, Prundu, Rv. 278143).


3. Il secondo motivo del ricorso, in parte ripreso e sviluppato con il secondo dei motivi nuovi formulati ai sensi dell'art. 585 c.p.p., comma 4, è inammissibile perché presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge oppure perché contenente doglianze formulate per la prima volta nel giudizio di legittimità o manifestamente infondate.


3.1. Per ciò che concerne i dedotti vizi di motivazione, nella sentenza impugnata non è riconoscibile alcuna manifesta illogicità o contraddittorietà: i rilievi formulati dalle prevenute si muovono, invero, nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono, quindi, in non consentite censure in fatto all'iter argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale, per altro, vi è puntuale risposta a detti rilievi, in tutto sovrapponibili a quelli già sottoposti all'attenzione della Corte territoriale. La quale ha avuto modo di affermare, con motivazione adeguata e con una rigorosa lettura delle emergenze processuali, come il reato dovesse considerarsi integrato per l'accertato comportamento delle tre insegnanti che, apparse inadeguate nel gestire una situazione caratterizzata da una normale vivacità dei loro allievi, a fronte della impossibilità di far comprendere ai minori i richiami orali, erano passate alle vie di fatto, utilizzando la forza fisica con modalità mai consentite, ad esempio tirandoli per i capelli o per le orecchie, strattonandoli per un braccio o dando schiaffi tanto da far sbattere l'allievo con la testa; oppure impiegando epiteti gravemente offensivi, quali "maiale", o minacciando di "buttare via" il bambino; ancora, assumendo iniziative umilianti, quale quella di lasciare sporco un minore, che non aveva fatto in tempo ad andare in bagno, e di farlo prendere in giro dagli altri compagni; creando un diffuso disagio psicologico e morale di molti allievi, vittime di una forma di persistente sofferenza.


Circostanze oggettive che i giudici di merito avevano rilevato dalla visione diretta delle registrazioni video e che erano state riscontrate dalle analitiche denunce presentate dai genitori di ben quattro bambini con riferimento a numerosi di quei gravi episodi, descritte in termini tali da comprovare l'esistenza di quei reiterati e ben radicati comportamenti diffusi tra gli insegnanti, manifestatisi in singoli casi di violenza su ciascun bambino quali segmenti espressivi dell'uso sistematico e condiviso di forme maltrattanti nel trattamento dei minori a loro affidati (v. pagg. 12-15, sent. impugn.).


Con riferimento allo specifico motivo attinente al travisamento della prova per un'asserita utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale, denunciato in relazione alla posizione della imputata B., è sufficiente aggiungere come tale censura sia inammissibile ex art. 606 c.p.p., comma 3, in quanto dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione - benché nella sentenza di primo grado quel materiale processuale fosse stato già ugualmente valorizzato a carico della predetta imputata (v. pag. 4 sent. primo grado) - poiché in tal modo il motivo di doglianza è stato sottratto alla cognizione del giudice di appello, con violazione dei limiti del devolutum ed improprio ampliamento del tema di cognizione in sede di legittimità (così, ex multis, Sez. 6, Sentenza n. 21015 del 17/05/2021, Africano, Rv. 281665); in altri termini, il travisamento della prova doveva essere dedotto al giudice dell'appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimità, non potendo essere dedotto il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado dato che quel travisamento non gli era stato rappresentato (in questo senso Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, Biondetti, Rv. 261438).


3.2. Quanto alle denunciate violazioni di norme di diritto penale sostanziale, va rilevato come, per un verso, la specifica doglianza relativa alla mancata osservanza dell'art. 110 c.p. è inammissibile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 3, perché dedotta per la prima volta solo con il ricorso per cassazione; e come, per altro verso, la censura riferita alla mancata osservanza dell'art. 572 c.p. risulta generica, essendo state, in realtà, le questioni sulla sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice formulate in termini di omessa ovvero contraddittoria argomentazione circa la loro presenza, con la conseguenza che il relativo esame finisce per refluire in quello inerente ai lamentati vizi di motivazione.


D'altro canto, sotto l'aspetto giuridico la decisione della Corte di appello di Torino si pone in linea con l'indirizzo esegetico seguito in materia da questa Suprema Corte, in base al quale l'uso sistematico della violenza, quale ordinario


trattamento del minore affidato, anche dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti: essendo, a tal fine, rilevante per qualificare ai sensi dell'art. 572 c.p. la condotta dell'insegnante della scuola materna di ripetuto ricorso alla violenza, sia psicologica che fisica nei confronti dei bambini, per finalità educative, e non influente, in senso contrario, il limitato numero di episodi di violenza che ciascun bambino, singolarmente considerato, aveva subito (così, tra le tante, Sez. 6, Sentenza n. 11956 del 15/02/2017, B., Rv. 269654).


4. Segue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.


PQM

Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 17 marzo 2022.


Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2022


 

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