Indice:
1. La decisione
5. Il tempus commissi delicti nei reati ad evento differito
La rilevata successione nel tempo di norme incriminatrici penali, espressione di una sostanziale continuità normativa, ha determinato l’insorgere di un contrasto giurisprudenziale circa il criterio di riferimento per l’individuazione del tempus commissi delicti nei reati in cui tra condotta ed evento intercorra un significativo intervallo di tempo e, in tale spazio, si verifichi la sopravvenienza di una disciplina legislativa più sfavorevole per l’imputato. Nel caso di specie, la condotta ascritta all’imputato risale al 20/01/2016, mentre l’evento mortale si è verificato il 28/08/2016; medio tempore è intervenuta la disciplina più sfavorevole dettata dalla legge n. 41 del 2016, che ha delineato il quadro sanzionatorio all’interno del quale è stata definita la pena applicata ex art. 444 cod. proc. pen.
La questione involge il dibattito, particolarmente acceso in dottrina, circa l’unicità o la pluralità dei criteri determinativi del tempus commissi delicti (sulla pluralità dei criteri in funzione dei singoli istituti cfr. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, VIII ed., 2013, p. 96).
Secondo un indirizzo giurisprudenziale, infatti, nel caso in cui tra la data della condotta e quella in cui si verifica l’evento decorra un lasso temporale nel corso del quale intervenga una modifica normativa, per il trattamento sanzionatorio deve aversi riguardo «a quello vigente al momento della consumazione del reato: cioè al momento dell’evento lesivo» (Sez. 4, n. 22379 del 17/04/2015, Sandrucci). In particolare, non sussiste alcun un margine per evocare l’applicazione dell’art. 2, quarto comma, cod. pen. «per il rilievo assorbente che questo fa riferimento al tempo in cui è stato commesso il reato e cioè a quello in cui si è consumato» (in tali termini la citata Sez. 4, n. 22379 del 17/04/2015, Sandrucci).
A questo indirizzo è riconducibile anche una decisione che ha ritenuto corretta l’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 (oggi, art. 416-bis, comma 1, cod. pen.) in relazione ai reati di importazione e conseguente detenzione di armi da guerra, nei confronti di un imputato il quale aveva intrapreso trattative con il venditore prima dell’introduzione della circostanza aggravante, in un caso in cui la condotta illecita si era perfezionata, per effetto dell’apporto di altri concorrenti, dopo l’entrata in vigore della nuova norma (Sez. 5, n. 19008 del 13/03/2014, Calamita, Rv. 260003).
Secondo un diverso orientamento, invece, «al fine di stabilire la legge applicabile, non si tratta di individuare il momento della consumazione, ma quello nel quale il reato è stato commesso, come espressamente stabilisce la legge. E se vi sono reati nei quali commissione e consumazione coincidono, ve ne sono altri nel quali il momento della consumazione, col realizzarsi dell’evento, si verifica successivamente o può verificarsi successivamente» (Sez. 4, n. 8448, del 05/10/1972, Bartesaghi, Rv. 122686).
Il legislatore, infatti, uniformandosi ai princìpi di irretroattività e di non ultrattività, ha distinto tra commissione e consumazione del reato. Pertanto, l’interprete non può identificare i due momenti. In caso contrario si giungerebbe all’ «applicazione retroattiva della legge nel caso di nuove o più gravi statuizioni penali, quando la condotta si sia esaurita sotto l’imperio di una legge che non prevedeva il fatto come reato, o che lo prevedeva meno grave di quanto non sia considerato dalla nuova.
Ed in tal modo il reo verrebbe ad essere punito più gravemente per il fatto puramente casuale che nel periodo di tempo intercorrente tra la sua condotta e l’evento sia sopraggiunta la nuova legge, in tal modo determinandosi quell’incertezza sul grado di illiceità del comportamento umano che è escluso in modo assoluto dal principio dell’irretroattività» (così ancora, Sez. 4, n. 8448, del 05/10/1972, Bartesaghi, Rv. 122686).
Le Sezioni Unite hanno accolto il secondo indirizzo, ritenendo che cui, nel caso in cui la condotta sia stata interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e l’evento sia intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, debba trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta.
La Corte ha recepito le spinte dottrinali che giustificano l’applicazione del criterio della condotta sulla base: 1. della funzione general – preventiva delle norme incriminatrici, in quanto è al momento in cui agisce, o omette di compiere l’azione doverosa, che l’agente si sottrae all’azione motivante e deterrente della norma incriminatrice; 2. del richiamato divieto di retroattività sfavorevole sancito dall’art. 7 della Convenzione EDU, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, secondo le conseguenze penali delle azioni illecite devono essere prevedibili.
Tuttavia, la Corte ha inteso precisare i canoni ed i limiti applicativi del “criterio della condotta”.
A tal fine, è ritenuto inutilmente posto l’incidente di costituzionalità – sollecitato nella requisitoria del Procuratore generale – della disposizione di cui all’art. 2, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui fa riferimento alla commissione del reato e non del fatto anche con riguardo ai reati di evento qualora quest’ultimo sia differito nel tempo e, dopo la realizzazione della condotta, sopravvenga una disciplina punitiva meno favorevole. Secondo la prospettazione della parte requirente, la disposizione appena indicata farebbe riferimento alla commissione del “reato” e non del “fatto” anche con riguardo ai reati di evento e, in particolare, nel caso in cui detto evento sia differito nel tempo e, dopo la realizzazione della condotta, sopravvenga una disciplina punitiva meno favorevole, così determinando, in contrasto con il principio dell’irretroattività della legge penale, l’applicazione della legge più sfavorevole in vigore al momento dell’evento.
A sostegno di tale eccezione è stato aggiunto che l’espressione “reato” adoperata dalla norma costituzionale non permetterebbe di scindere, in via interpretativa, gli elementi costitutivi del reato (condotta, nesso causale, evento). La Corte, come detto, non ha condiviso questa impostazione.
Secondo la decisione in esame, infatti, «l’interpretazione letterale della legge [...] è il canone ermeneutico prioritario per l’interprete», mentre «l’ulteriore canone dato dall’interpretazione logica e sistematica soccorre e integra il significato proprio delle parole, arricchendole della ratio della norma e del suo coordinamento nel sistema nel quale va ad inserirsi», ma tale criterio «non può servire ad andare oltre quello letterale quando la disposizione idonea a decidere la controversia è chiara e precisa» (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru).
In forza dell’interpretazione letterale della norma, nell’art. 2 cod. pen. il termine “fatto”, adoperato dal primo e dal secondo comma, evoca la fattispecie non (o non più) penalmente sanzionata, mentre quello “reato” di cui al quarto comma designa la fattispecie penalmente sanzionata (e assoggettata al regime della successione di leggi penali).
La locuzione “reato” contenuta nel comma quarto, pertanto, non va riferita al “reato” nella triade dei suoi elementi costitutivi, condotta – nesso causale – evento naturalistico.
L’individuazione del tempus commissi delicti, inoltre, non può essere effettuata in termini validi in via generale, ma va riferita ai singoli istituti e ricostruita sulla base della ratio di ciascuno di essi e dei princìpi che li governano. Non si rinviene, infatti, nel codice penale una definizione “onnicomprensiva” del tempus commissi delicti. Tale, in particolare, non può essere considerata quella offerta dall’art. 6 cod. pen., che, al fine di individuare i reati commessi nel territorio dello Stato, fa coincidere la commissione del reato con il verificarsi nel territorio stesso della condotta (anche in parte) ovvero dell’evento. Proprio l’alternatività – o, meglio, l’equivalenza – ai fini dell’art. 6 cod. pen. del criterio della condotta e del criterio dell’evento dimostra l’inidoneità di detta disciplina a fissare il tempus commissi delicti ai fini della successione di leggi.
Una disciplina specifica, inoltre, è dettata in tema di decorrenza del termine di prescrizione (art. 158 cod. pen.). Formulazioni sostanzialmente espressive del sintagma “reato commesso”, poi, si rinvengono in numerose disposizioni del codice penale relative ad istituti diversi (ad esempio, alla recidiva: art. 99; alla sospensione condizionale della pena: art. 163, secondo e terzo comma; al perdono giudiziale: art. 169; all’amnistia: art. 151), ciascuno connotato da una ratio particolare ed inserito in contesti normativi specifici.
Deve concludersi, pertanto, che il riferimento letterale alla “commissione del reato” contenuto nell’art. 2, comma quarto, cod. pen. non è di ostacolo all’individuazione della condotta dell’agente quale punto di riferimento cronologico della successione di leggi.
Esclusa la necessità di promuovere un incidente di costituzionalità, la Corte ha affermato che le ragioni per le quali, ai fini della determinazione del tempus commissi delicti, debba trovare applicazione il criterio della condotta derivano dall’interpretazione sistematica e dalla valorizzazione dei princìpi – innanzitutto costituzionali – che governano la successione di leggi penali. Tale criterio, infatti, si presenta rispettoso del principio di irretroattività della norma più sfavorevole, che attiene non solo alle norme incriminatrici, ma anche a quelle che «incidono sulla qualità e quantità della pena» (Corte cost, sentenza n. 306 del 1993). L’irretroattività della norma penale è argine, a garanzia della persona, contro i possibili arbìtri del legislatore e non è suscettivo di deroghe.
Esso risponde un’istanza di preventiva valutabilità da parte dell’individuo delle conseguenze penali della propria condotta, che è funzionale a preservare la libera autodeterminazione della persona. In tal senso solo la condotta può costituire punto di riferimento temporale essenziale a garantire la “calcolabilità” (rectius, prevedibilità) delle conseguenze penali e, con essa, l’autodeterminazione della persona (Corte cost., sent n. 394 del 2006; conf., ex plurimis, C. Cost. sent. n. 236 del 2011). Le Sezioni Unite evidenziano che è al momento della condotta che «deve essere riconnessa l’operatività del principio di irretroattività ex art. 25 Cost., posto che “spostare in avanti” detta operatività, correlandola all’evento del reato, determinerebbe, qualora alla condotta interamente posta in essere nella vigenza di una legge penale sia sopravvenuta una normativa penale più sfavorevole, la sostanziale retroattività di quest’ultima rispetto al momento in cui è effettivamente possibile per la persona “calcolare” le conseguenze penali del proprio agire; con l’inevitabile svuotamento dell’effettività della garanzia di autodeterminazione della persona.»
La necessaria valutabilità delle conseguenze penali della condotta dell’uomo e la ratio di garanzia del principio di irretroattività della norma più sfavorevole indirizzano la soluzione della questione rimessa alle Sezioni Unite verso l’adesione al “criterio della condotta”.
Le Sezioni Unite, poi, hanno desunto dai lavori preparatori dell’art. 25 Cost. una chiara indicazione a favore della necessità di correlare, dal punto di vista cronologico, il principio di irretroattività alla condotta dell’agente e non all’evento. La disposizione costituzionale, infatti, ha recepito di un emendamento proposto al fine di stabilire «in maniera precisa che la norma di legge penale deve preesistere non solo all’evento, ma anche all’azione», poiché è in quest’ultima che «si realizza il contrasto tra la volontà imputabile del delinquente e la volontà della legge». Questa prospettiva interpretativa, inoltre, è stata valorizzata anche dall’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di successione di leggi nel tempo, la norma incriminatrice più severa, ripristinata per effetto della pronuncia di incostituzionalità di una successiva norma penale di favore, non può essere applicata ai fatti commessi durante la vigenza di quest’ultima, rispetto ai quali «non può avere svolto alcuna funzione di orientamento e di limite delle scelte di comportamento dell’agente» (Sez. 3, n. 28233 del 03/03/2016, Menti, Rv. 267410; conf., Sez. 3, n. 4185 del 19/10/2016 – dep. 2017 –, Facciuto, Rv. 269068; Sez. 4, n. 44808 del 26/09/2014, Madani, Rv. 260735). Anche l’art. 7, par. 1, CEDU, infine, sancisce il divieto di applicazione retroattiva delle norme penali incriminatrici assicurando come ha chiarito la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che, nel momento in cui un imputato commette l’atto che ha dato luogo all’azione penale, esista una disposizione legale che rende tale atto punibile in modo da poter orientare il suo agire (Corte Edu, sentenza 22 giugno 2000, Coéme c. Belgio, § 145). Ai plurimi spunti interpretativi letterali si associa, poi, il dato di ordine sistematico tratto dai profili funzionali di rilievo costituzionale della pena.
La fissazione, ai fini della successione di leggi penali, del tempus commissi delicti in quello della condotta tipica trova poi una decisiva conferma di ordine sistematico sul terreno delle funzioni costituzionali della pena. La richiamata funzione di prevenzione generale della pena si rileva nella necessità che, nel momento in cui agisce ovvero omette di compiere l’azione doverosa, l’agente si ponga in contrasto con la funzione di orientamento della norma penale. La funzione rieducativa, poi, fa emergere la centralità del momento della condotta. Come sottolineato da Corte cost., sent. n. 364 del 1988, «ognuno dei consociati deve essere posto in grado di adeguarsi liberamente o meno alla legge penale, conoscendo in anticipo – sulla base dell’affidamento nell’ordinamento legale in vigore al momento del fatto – quali conseguenze afflittive potranno scaturire dalla propria decisione [...]: aspettativa che sarebbe, per contro, manifestamente frustrata qualora il legislatore potesse sottoporre a sanzione criminale un fatto che all’epoca della sua commissione non costituiva reato, o era punito meno severamente». Il momento della “commissione” si correla all’affidamento sulle conseguenze penali previste dall’ordinamento legale. La condotta tipica acquista rilievo decisivo per determinare il tempus commissi delicti ai fini della successione di leggi penali, specie nel caso in cui, come nella fattispecie concreta, sussiste un significativo iato temporale tra condotta ed evento, per lo sviluppo dell’iter criminis, e in tale spazio temporale si verifichi la sopravvenienza di una legge penale più sfavorevole per l’autore.
La dottrina (Romano, Commentario Sistematico del Codice penale (artt. 1-84), 2004, III ed., 2004, Art. 2, n. 2) ha descritto queste ipotesi con la definizione di reato “a distanza” o “ad evento differito”, riconducendole alla più generale figura del reato “a tempi plurimi”. Si osserva, in particolare, che nei reati di evento, ai fini della determinazione del tempus commissi delicti, occorre guardare al momento in cui si verifica la condotta, poiché è questa l’estrinsecazione del processo di motivazione dell’agente e l’atto di ribellione con riferimento al quale, secondo la norma allora vigente, il soggetto poteva eventualmente rappresentarsi specifiche conseguenze del suo operato. Il “criterio della condotta” appare, dunque, l’unico compatibile con la condivisa interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2, comma 4, cod. pen. ed il principio di irretroattività in malam partem sancito dall’art. 7 Convenzione EDU, così legittimando, nel caso di sopravvenienza di una norma più sfavorevole, l’accesso alla cornice sanzionatoria della lex mitior vigente al momento della condotta e non a quella introdotta dopo il suo perfezionamento e prima del verificarsi dell’evento.
Conclusivamente, le Sezioni Unite, nel disporre l’annullamento della sentenza di patteggiamento con cui era stata applicata la pena più severa introdotta dalla norma incriminatrice dell’omicidio stradale di cui all’art. 589-bis cod. pen., entrata in vigore medio tempore, prima della verificazione dell’evento lesivo, hanno enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di successione di leggi penali, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta».
6. Il tempus commissi delicti nei reati con condotta perdurante nel tempo
Per completezza, nella sentenza la Corte esamina la questione dell’individuazione del tempus commissi delicti ai fini della successione di leggi penali con riguardo ad alcune figure di reato caratterizzate dal protrarsi nel tempo della stessa condotta tipica (non già dalla “distanza” tra condotta ed evento).
La casistica viene individuata schematicamente dalla manualistica nei c.d. reati ad esecuzione frazionata, rientranti nella categoria più generale dei “reati a tempi plurimi” (ad es.: veneficio a piccole dosi giorno per giorno) e dei reati permanenti e abituali (sul tema cfr. la classificazione offerta da Mantovani, Diritto penale. Parte generale, cit., p. 96).
Una protrazione della condotta suscettibile di conoscere, nel suo svolgimento, il sopravvenire di una legge penale più sfavorevole si registra nel reato permanente, rispetto al quale la giurisprudenza di legittimità individua il tempus commissi delicti, ai fini della successione di leggi penali, nella cessazione della permanenza. Qualora la condotta antigiuridica si protragga nel vigore della nuova legge, pertanto, è quest’ultima che deve trovare applicazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 43597 del 09/09/2015, Fiorentino, Rv. 265261; Sez. 5, n. 45860 del 10/10/2012, Abbatiello, Rv. 254458).
Pur senza affrontare la questione circa la natura unitaria del reato di durata, ossia se, sopravvenuta una norma più sfavorevole, essa si applichi anche alle condotte pregresse oppure necessiti una scissione tra i due periodi di realizzazione della condotta, le Sezioni Unite individuano nel criterio della condotta la chiave risolutiva del tempus nei reati di durata. Nel caso del reato permanente, in particolare, è proprio il protrarsi della condotta sotto la vigenza della nuova e più sfavorevole legge penale ad assicurare la prevedibilità per l’agente delle conseguenze della sua azione, rispettando la ratio garantistica del principio di irretroattività. Il medesimo criterio torva applicazione anche per il reato abituale, in relazione al quale, ai fini della successione di leggi penali, il tempus commissi delicti coincide con la realizzazione dell’ultima condotta tipica integrante il fatto di reato (cfr. Sez. 5, n. 10388 del 06/11/2012 – dep. 2013 –, Rv. 255330; Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C. e altro, Rv. 260410; Sez. 5, n. 48268 del 27/05/2016, D., Rv. 268162, a proposito dell’introduzione del reato di atti persecutori e, dunque, in presenza – non già di uno ius superveniens portatore di un trattamento sanzionatorio più severo, bensì – di una nuova incriminazione, la cui applicabilità presuppone la realizzazione, dopo l’introduzione della nuova fattispecie incriminatrice, di tutti gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 612-bis cod. pen.). Ancora, con riferimento alla nuova disciplina introdotta dalla legge n. 155 del 2005, che ha trasformato da contravvenzione a delitto la violazione delle prescrizioni inerenti alla misura di prevenzione dell’obbligo di soggiorno (art. 9 della legge 27 dicembre 1956 n. 1423), l’orientamento, espresso dalla citata Sez. 1, n. 20334 del 11/05/2006, Caffo, Rv. 234284, che ritiene sufficiente, ai fini della applicazione della nuova ipotesi delittuosa, la realizzazione anche di una sola condotta dopo l’entrata in vigore della nuova norma, non solo non riguarda un reato di evento, ma in sostanza fa riferimento al “criterio della condotta”, richiedendo che il comportamento trasgressivo delle prescrizioni inerenti alla misura di prevenzione abbia a manifestarsi almeno una volta nel periodo di vigenza della legge successiva. Nelle ipotesi descritte, ove sotto la vigenza della norma sfavorevole sia stata realizzata una porzione compiuta di condotta di reato, l’intero “fatto” non può che ricadere nell’ambito di applicazione della nuova norma, in armonia con la ratio della prevedibilità (o “calcolabilità”) da parte dell’agente delle conseguenze penali (più gravi) derivanti dalla prosecuzione della condotta permanente, o di reiterazione della condotta abituale.
Indice delle sentenze citate Sentenze della Corte di cassazione Sez. 4, n. 8448, del 05/10/1972, Bartesaghi, Rv. 122686 Sez. U, n. 16 del 15/12/1992 – dep. 1993 –, Cicero, Rv. 192806 Sez. U, n. 295 del 12/10/1993 – dep. 1994 –, Scopel, Rv. 195617 Sez. 3, n. 3877 del 14/11/1995, Prati, Rv. 203205 Sez. 4, n. 39631 del 24/09/2002, Gambini, Rv. 225693 Sez. 1, n. 26042 del 28/05/2003, Cataldi, Rv. 225273 Sez. 1, n. 20334 del 11/05/2006, Caffo, Rv. 234284 Sez. 1, n. 5496 del 03/02/2010, Renna, Rv. 246125 Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv. 249670 Sez. 4, n. 43040 del 12/10/2011, Abdelkarim Sez. 5, n. 45860 del 10/10/2012, Abbatiello, Rv. 254458 Sez. 5, n. 10388 del 06/11/2012 – dep. 2013 –, Rv. 255330 Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013 – dep. 2014 –, Ercolano, Rv. 258651 Sez. 4, n. 31395 del 8/04/2013, Magazzù, Rv. 255988 Sez. 5, n. 19008 del 13/03/2014, Calamita, Rv. 260003 Sez. 4, n. 44808 del 26/09/2014, Madani, Rv. 260735 Sez. 4, n. 44811 del 03/10/2014, Salvadori, Rv. 260643 Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260696 Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C. e altro, Rv. 260410 Sez. 6, n. 46291 del 09/10/2014, Altobelli, Rv. 261523 Sez. 5, n. 1246 del 15/10/2014 – dep. 2015 –, Cabras, Rv. 261725 Sez. 1, n. 1609 del 02/12/2014 – dep. 2015 –, Sedicina, Rv. 262554 Sez. 4, n. 22379 del 17/04/2015, Sandrucci Sez. 4, n. 18081 del 24/03/2015, Ricci, Rv. 263595 Sez. 4, n. 33792 del 23/04/2015, N., Rv. 264331 Sez. 3, n. 43597 del 09/09/2015, Fiorentino, Rv. 265261 Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264859 Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205 Sez. 3, n. 28233 del 03/03/2016, Menti, Rv. 267410 Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru Sez. 4, n. 18204 del 15/03/2016, Bianchini, Rv. 266641 Sez. 5, n. 48268 del 27/05/2016, D., Rv. 268162 Sez. 3, n. 4185 del 19/10/2016 – dep. 2017 –, Facciuto, Rv. 269068 Sez. 4, n. 29721 del 01/03/2017, Venni, Rv. 270918 Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, Pittalà