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Emergono indizi a carico del testimone? Le sue dichiarazioni diventano inutilizzabili anche contro i terzi (Cass. Pen. n. 33207/25)

Emergono indizi a carico del testimone? Le sue dichiarazioni diventano inutilizzabili anche contro i terzi (Cass. Pen. n. 33207/25)

La massima

La Seconda sezione, in tema di inutilizzabilità delle dichiarazioni autoindizianti, ha affermato che quando, durante l’esame di un testimone, emergono indizi di reità a suo carico, il giudice o il pubblico ministero devono interrompere immediatamente l’escussione e avvertirlo ai sensi dell’art. 63, comma 1, c.p.p. affinché possa nominare un difensore.

Le dichiarazioni rese dopo tale momento, se l’esame non viene interrotto, sono inutilizzabili non solo contro chi le ha rese, ma anche contro i terzi, poiché l’emersione degli indizi comporta l’interversione dello statuto del dichiarante, che da testimone neutro diventa persona coinvolta nel fatto.

L’inutilizzabilità prescinde dall’iscrizione nel registro delle notizie di reato ed è fondata sulla sola emersione sostanziale degli indizi di reità.


La sentenza integrale

Cass. pen., sez. II, ud. 11 settembre 2025 (dep. 8 ottobre 2025), n. 33207


Ritenuto in fatto


1. La Corte di appello di Napoli confermava la condanna di M.F., appartenente all'Arma dei Carabinieri, per il reato di usura consumato ai danni di E.P. e dichiarava estinto per prescrizione il reato previsto dall'art. 319-quater cod. pen. (al M.F. era stato contestato di aver indotto E.P. a corrispondergli la somma di quattromila euro, prospettandogli la possibilità di controlli e sequestri sul materiale pirotecnico da questi detenuto).


2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l'Avv. Giovanni Battista Vignola che articolava otto motivi di ricorso e, segnatamente, deduceva:


2.1. violazione di legge (art. 63 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione essendo le dichiarazioni di E.P. inutilizzabili in ragione del fatto che lo stesso, sia durante l'escussione in fase investigativa che nel corso di quella dibattimentale, avvenuta il 29 maggio 2015, ammetteva di avere pagato delle somme al M.F., che lo aveva indotto alla dazione prospettandogli che, se non avesse pagato, avrebbe potuto subire dei controlli relativi al materiale pirotecnico da lui detenuto; invero, nonostante il E.P. avesse reso queste dichiarazioni autoindizianti circa la consumazione del reato previsto dall'art. 319-quater cod. pen., il verbale non veniva interrotto e il dichiarante non veniva sentito nella veste di imputato di reato connesso; le sue dichiarazioni sono state utilizzate nonostante il Tribunale, alle pagine 20 e 21 della sentenza di primo grado, avesse esplicitamente rilevato che a carico del E.P. sussistevano gravi indizi per il reato previsto dall'art. 319-quater cod. pen.;


2.2. violazione di legge (art. 191 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione in ordine all'acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni rese dal E.P. nel corso delle indagini preliminari, che sarebbero confluite in quel fascicolo senza il consenso esplicito del difensore del M.F.;


2.3. violazione di legge (art. 192, comma 3, cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle dichiarazioni di E.P.: nonostante lo stesso fosse qualificabile come "indagato di reato connesso", lo stesso era stato escusso senza il rispetto delle regole prescritte dall'art. 192, comma 3, del codice di rito;


2.4. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla valutazione della credibilità dei contenuti accusatori riversati nel processo dall'offeso, E.P.: si deduceva che non sarebbe stato valutato (a) il palese mendacio relativamente al pagamento della fornitura effettuata in favore del E.P. dai coniugi R., (b) la falsità delle sue dichiarazioni circa il suo ruolo di confidente del M.F., (c) inoltre, sarebbe stato illegittimamente valorizzato il fatto che il M.F. non avesse fornito una tesi alternativa per giustificare le ipotetiche calunnie del E.P.;


2.5. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle dichiarazioni di A. C., che, invero, sarebbero state decisive per delineare la personalità del E.P. e dimostrare il suo mendacio circa il suo ruolo di informatore; si deduceva, che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, il fatto che il C. nutrisse del rancore nei confronti del E.P. non sarebbe sufficiente a supportare la valutazione di inattendibilità delle sue dichiarazioni;


2.6. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle intercettazioni telefoniche: le dichiarazioni del E.P. non risulterebbero confermate dai contenuti delle intercettazioni; invero, le conversazioni intercettate dimostrerebbero solo che il M.F. aveva insistito per indurre il E.P. a saldare il debito che aveva nei confronti dei coniugi R., mentre nessun riferimento veniva effettuato all'adempimento del debito usuraio;


2.7. violazione di legge (art. 644 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilità: le dichiarazioni del E.P. non sarebbero confermate da alcun documento, circostanza non coerente con il fatto che il E.P. avrebbe conservato la documentazione relativa ad altri prestiti;


2.8. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata valutazione della motivazione della ordinanza del Tribunale per il riesame che aveva annullato l'ordinanza che applicava al M.F. la misura cautelare della custodia cautelare in carcere rilevando la particolare attendibilità delle sue dichiarazioni, ritenute verosimili ed ampiamente idonee ad incrinare il quadro indiziario.


3. Ricorreva nell'interesse di M.F. anche l'Avv. Giuseppe Toraldo, che articolava i seguenti motivi di ricorso:


3.1. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla valutazione della credibilità dei contenuti accusatori provenienti da E.P.: si deduceva che (a) non sarebbe stata allegata alcuna prova in ordine alla condizione di bisogno del E.P., (b) non sarebbero state valutate le dichiarazioni di A.C., invero decisive per la valutazione della personalità del presunto offeso, (c) non sarebbe stata acquisita alcuna prova documentale del patto usuraio, né alcuna prova della natura usuraia degli interessi in ipotesi pattuiti; (d) non sarebbe stato valutato che i contatti telefonici tra il M.F. ed il E.P. sarebbero stati giustificati dalla mediazione agita dal M.F. tra il E.P. ed i R.; (d) non sarebbe stato valutato che, nonostante il presunto pactum sceleris, il E.P. avrebbe continuato a subire controlli da parte delle forze dell'ordine; (e) non sarebbe stato valorizzato il mendacio del E.P. in ordine al suo ruolo di confidente, invero decisivo per valutare la sua attendibilità (tale ruolo emergerebbe con chiarezza dalla presenza in occasione di un sequestro, che sarebbe stata giustificata proprio dal fatto che egli era un informatore del M.F.);


3.2. violazione di legge (art. 644 cod. pen.) vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilità: si deduceva che (a) non sarebbe stato dimostrato lo stato di bisogno dell'offeso, (b) sarebbe stato travisato il fatto che il M.F. avrebbe svolto la funzione di mediatore tra il E.P. ed i R., (c) non sarebbero stati indicati i termini del rapporto usurario con particolare riferimento sia al calcolo del tasso di interesse usuraio sia alle modalità di restituzione in ipotesi pattuite.


Considerato in diritto


1. Il primo ed il terzo motivo proposti nell'interesse del M.F. dall'Avv. Giovanni Battista Vignola sono fondati. Gli altri motivi, compresi quelli dedotti dal codifensore Avv. Toraldo sono invece assorbiti.


1.1. Il ricorrente deduce la violazione dello statuto che definisce la formazione della prova dichiarativa di un dichiarante "tipico", ovvero l'indagato di reato connesso o collegato.


Si tratta di eccezione fondata.


In via preliminare il Collegio ribadisce che non tutte le violazioni delle regole del codice in materia di raccolta e valutazione delle prove generano l'inutilizzabilità; la massima sanzione processuale è infatti riservata solo ai casi in cui si accerti la violazione dei divieti posti a presidio del rispetto dello statuto che definisce le prove tipiche: se si raccoglie una prova "tipica", questa deve essere assunta nel rispetto delle regole che la definiscono e, se non vi sono margini per l'inquadramento della stessa come "atipica", deve essere dichiarata inutilizzabile.


La prova dichiarativa è tipizzata attraverso la identificazione di una serie di dichiaranti (quello "neutro", quello "qualificato" in quanto appartenente alla polizia giudiziaria, quello "vulnerabile", quello "coinvolto nel fatto") cui corrispondono autonomi statuti, diversificati sulla base della estensione del diritto al silenzio e dell'obbligo di verità, oltre che sulla limitazione della autosufficienza probatoria dei contenuti narrati.


Secondo la prevalente giurisprudenza della cassazione la prova dichiarativa è inutilizzabile solo quando è raccolta in violazione delle regole che ne definiscono lo statuto, mentre non sussiste quando ad essere violata è una regola non definitoria, ma accessoria.


Così, si è deciso che la violazione delle regole per l'esame dibattimentale del testimone e, in particolare, di quella secondo cui l'esame deve svolgersi mediante domande su fatti specifici (art. 499, comma 1, cod. proc. pen.), non dà luogo né alla sanzione di inutilizzabilità, poiché si tratta di prova assunta non in violazione di divieti posti dalla legge, ma con modalità diverse da quelle prescritte, né ad una ipotesi di nullità, non essendo la fattispecie riconducibile ad alcuna delle previsioni delineate dall'art. 178 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 52435 del 03/10/2017, M., Rv. 271883-01; Sez. 6, n. 6231 del 15/01/2020, P., Rv. 278343-01; nello stesso senso, anche Sez. 3, n. 5234 del 03/03/2022, dep. 2023, S., Rv. 284277-02 con riguardo alla omessa autorizzazione di documenti in aiuto alla memoria).


Diversamente, quando si violano i divieti che "definiscono" la prova dichiarativa nella sua dimensione "tipica" si incorre nella massima sanzione.


Esemplare, in materia, la decisione delle Sezioni Unite che ha riconosciuto l'inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte in violazione delle regole che definiscono lo statuto del dichiarante "coinvolto nel fatto": è stato infatti affermato che, quando le dichiarazioni del propalante provengono da imputato di reato connesso o collegato al fatto per cui si procede, le dichiarazioni in parola assunte senza la somministrazione degli avvisi e l'assistenza del difensore sono inutilizzabili (Sez. U, n. 33583 del 26/03/2015, Lo Presti, Rv. 264479-01).


La stessa ratio informa la scelta legislativa di prevedere l'inutilizzabilità della dichiarazione del vulnerabile accolta senza il ricorso alla video registrazione (artt. 357, comma 3-ter, 373, comma 2-quater, cod. proc. pen.).


In sintesi: la inutilizzabilità colpisce le informazioni probatorie assunte senza il rispetto delle regole che "definiscono" le prove tipiche, mentre è esclusa quando è in predicato solo la violazione di regole accessorie, che prescrivono modalità di assunzione che non sono decisive per la definizione dello statuto della prova dichiarativa che si raccoglie.


1.2. Con specifico riguardo allo statuto del dichiarante di reato connesso o collegato, il Collegio rileva che lo stesso trova la sua ratio nella tutela di alcuni diritti fondamentali e, segnatamente: (a) nel diritto di chi dichiara a non autoaccusarsi, (b) nel diritto delle persone accusate ad ottenere un rigoroso vaglio delle dichiarazioni provenienti dalle persone "coinvolte nel fatto", tenuto conto che il coinvolgimento nella condotta delittuosa potrebbe generare dichiarazioni con finalità "difensiva".


Per tutelare tali diritti, si è previsto (a) che i dichiaranti coinvolti nel fatto godano del diritto al silenzio, (b) che non siano utilizzabili le dichiarazioni autoaccusatorie, (c) che le dichiarazioni eteroaccusatorie non siano autosufficienti atteso che le stesse, per assumere piena capacità dimostrativa, devono essere corroborate da precisi riscontri individualizzanti, come previsto dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen.


1.3. Traendo le conseguenze da tali premesse, il Collegio rileva che:


- non vi sono dubbi sulla integrale inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da chi doveva essere sentito ab origine con le garanzie, perché già indiziato aliunde (Sez. U, n. 33583/2015, cit.); invero il principio affermato dalle Sezioni Unite, per quanto espresso con riferimento al dibattimento, è di portata generale e deve ritenersi esteso anche alla fase delle indagini, quando è in predicato l'utilizzabilità delle dichiarazioni nei procedimenti cautelari o a prova contratta;


- nel caso in cui gli indizi "sopravvengano" nel corso della testimonianza di chi viene inizialmente escusso come testimone neutro, le dichiarazioni autoaccusatorie non sono utilizzabili contro chi le ha rese, ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi, in relazione ai quali non opera la sanzione processuale di cui all'art. 63, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 30965 del 14/07/2016, Di Giacomo, Rv. 267571-01).


Tale ultima affermazione deve essere precisata: l'art. 63, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce che, se si escute una persona non sottoposta ad indagini, quando «emergono indizi di reità a suo carico, l'autorità procedente ne interrompe l'esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le "precedenti" dichiarazioni non possono essere utilizzate nei confronti della persona che le ha rese».


Dal tenore letterale della norma attraverso un'agile lettura a contrario, si evince che le dichiarazioni utilizzabili contro i terzi sono esclusivamente quelle "precedenti" all'emersione degli indizi a carico del dichiarante, ma non quelle "successive".


Si tratta di una interpretazione (a) coerente con la lettera della legge atteso che, se si prescrive che le "precedenti" dichiarazioni non possono essere utilizzate nei confronti della persona che le ha rese, le dichiarazioni che possono essere utilizzate erga alios non possono che essere quelle che precedono le dichiarazioni autoindizianti; (b) rispettosa della regola del codice che prescrive che all'emersione di indizi di reità segua l'interversione dello statuto della testimonianza atteso che il dichiarante da "neutro" assume la qualifica di persona "coinvolta nel fatto" (Sez. U, n. 33583/2015, cit.). Del resto, non sarebbe ragionevole una differenziazione della capacità degli indizi di conformare la prova dichiarativa a seconda che provengano da chi si accusa o aliunde (e questa sarebbe la conseguenza se si ritenesse che anche le dichiarazioni successive alle dichiarazioni autoindizianti possano essere utilizzate nei confronti dei terzi).


Deve essere, infine, ribadito che la capacità conformativa degli indizi sullo statuto del dichiarante prescinde dalla iscrizione formale nel registro delle notizie di reato, dal momento che deve essere valutata dal Giudice che procede sulla base di parametri sostanziali (Sez. 2, n. 8402 del 17/02/2016, Gjonaj, Rv. 267729-01; Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246584-01).


1.4. In conclusione, il Collegio ritiene che alle dichiarazioni autoindizianti rese da testimone "semplice" consegue l'interversione dello statuto della prova dichiarativa, sicché il verbale del dichiarante che si accusa deve essere interrotto; devono essere somministrati gli avvisi e, se il dichiarante intende non avvalersi del diritto al silenzio, i contenuti dichiarativi devono essere valutati nel rispetto delle regole codicistiche (inutilizzabilità delle dichiarazioni autoindizianti e capacità dimostrativa attenuata delle dichiarazioni eteroaccusatorie). Di contro, se il verbale non viene interrotto, le dichiarazioni successive sono inutilizzabili erga omnes in applicazione non solo del disposto dell'art. 63 cod. proc. pen., ma anche dell'art. 64, comma 3-bis, cod. proc. pen., che definisce lo statuto del dichiarante coinvolto nel fatto, che è operativo ogni volta che a carico di chi dichiara emergano indizi di reità, a nulla rilevando che la fonte degli indizi sia lo stesso dichiarante, ed essendo indifferente l'iscrizione nel registro delle notizie di reato, evento formale che non incide sulla qualifica "sostanziale" del dichiarante.


1.5. Nel caso in esame, tali principi di diritto non risultano rispettati in quanto, nonostante il Tribunale abbia espressamente ritenuto che a carico del E.P. fossero emersi indizi della consumazione del delitto previsto dall'art. 619-quater cod. pen. Invero, le sue dichiarazioni sono state trattate come quelle di un semplice offeso, ovvero di un testimone neutro, senza alcuna valutazione del momento di emersione degli indizi e delle conseguenze che ne discendono.


Tale mancata valutazione non riguarda solo le dichiarazioni assunte nel corso del dibattimento, ma anche quelle raccolte nel corso delle indagini preliminari e poi acquisite al fascicolo del dibattimento. Sul tema della legittimità della acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali - oggetto di contestazione con il secondo motivo di ricorso proposto dall' Avv. Vignola - si ribadisce che, in tema di formazione del fascicolo per il dibattimento, il consenso all'acquisizione di atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero può essere espresso tacitamente attraverso l'assenza di opposizione, se il complessivo comportamento processuale della parte interessata è incompatibile con una volontà contraria (Sez. 6, n. 13752 del 25/02/2021, Tagliente, Rv. 281088-01; Sez. 4, n. 4635 del 15/01/2020, Guarnieri, Rv. 278292-01; Sez. 2, n. 19679 del 06/05/2010, Paiamara, Rv. 247120-01).


2. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli che valuterà la consistenza del compendio probatorio, e la sua idoneità a confermare la responsabilità del M.F. alla luce dei principi di diritto sopra richiamati.


P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio avanti ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

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