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Lavoro di pubblica utilità sostitutivo in appello: quando va presentata l'istanza?


Motivo di ricorso

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 545-bis c.p.p..

Evidenzia di avere chiesto, tramite istanza trasmessa via p.e.c. dal proprio difensore munito di procura speciale, l'applicazione della disciplina di cui all'art. 545-bis c.p. con richiesta di sospensione del procedimento per accedere alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità e che la Corte di appello ha del tutto omesso di pronunciarsi su detta istanza, non menzionandola nella motivazione della sentenza qui impugnata.


La motivazione della Corte

L'art. 95, comma 1, del D.Lgs. 150 del 2022 (Riforma Cartabia) stabilisce che: "Le norme previste dal Capo 3^ della L. 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell'entrata in vigore del presente decreto".

Ne consegue che le norme in materia di pene sostitutive possono trovare applicazione anche nei giudizi di appello in corso al momento dell'entrata in vigore della riforma.

Deve, tuttavia, osservarsi che la applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità può essere disposta, nel sistema introdotto dalla citata riforma, solo dopo che sia stata affermata la penale responsabilità dell'imputato e sia stata già determinata l'entità della pena da sostituire.

Lo si ricava dall'art. 545-bis c.p.p., introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2022, art. 31.

L'art. 445-bis c.p.p., comma 1 stabilisce che quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stato applicato il beneficio della sospensione condizionale della pena il giudice, dopo la lettura del dispositivo, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53, ne dà avviso alle parti.

Se l'imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, acconsente alla sostituzione della pena detentiva con una pena diversa dalla pena pecuniaria ovvero se può aver luogo la sostituzione con la pena pecuniaria, il giudice, sentito il pubblico ministero, quando non è possibile decidere immediatamente, fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all'ufficio di esecuzione penale esterna competente; in tal caso il processo è sospeso.

Ai sensi dell'art. 304 c.p.p., lett. c-ter), come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2022, art. 13, comma 1, lett. f), n. 2, con ordinanza appellabile ex art. 310 c.p.p., durante il tempo intercorrente tra la lettura del dispositivo indicato all'art. 545-bis c.p.p., comma 1 e l'udienza fissata per la decisione sulla eventuale sostituzione della pena detentiva, ma, in tal caso, la sospensione dei termini previsti dall'art. 303 c.p.p. non può comunque avere durata superiore a sessanta giorni.

Il rinvio è finalizzato a consentire al giudice di acquisire, anche con la collaborazione delle parti, le informazioni occorrenti alla decisione.

Il comma 2 prevede, infatti, che al fine di decidere sull'an e sul quomodo della sostituzione, secondo quanto previsto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 58, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni relative, il giudice può acquisire dall'ufficio di esecuzione penale esterna e, se del caso, dalla polizia giudiziaria tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita, personali, familiari, sociali, economiche e patrimoniali dell'imputato.

Il giudice può richiedere, altresì, all'ufficio di esecuzione penale esterna, il programma di trattamento della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità con la relativa disponibilità dell'ente.

Agli stessi fini, il giudice può acquisire altresì, dai soggetti indicati dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94, la certificazione di disturbo da uso di sostanze o di alcol ovvero da gioco d'azzardo e il programma terapeutico, che il condannato abbia in corso o a cui intenda sottoporsi.

Le parti possono depositare documentazione all'ufficio di esecuzione penale esterna e, fino a cinque giorni prima dell'udienza, possono presentare memorie in cancelleria.

Il comma 3 prevede che, esaurita questa fase informativa, all'udienza fissata, sentite le parti presenti, il giudice potrà sostituire la pena detentiva, ed in tal caso egli provvederà ad integrare il dispositivo indicando la pena con i relativi obblighi e prescrizioni e si applicheranno la L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 57 e 61, oppure potrà non sostituire la pena detentiva e in tal caso egli confermerà il dispositivo già emesso. In entrambi casi, il giudice dovrà nuovamente dare lettura in udienza del dispositivo, sia esso stato modificato o solo confermato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 545.

Solo con questa seconda lettura del dispositivo, quindi, la sentenza si intenderà pubblicata.

Dalle disposizioni sopra citate emerge, quindi, che il consenso all'applicazione della pena sostitutiva non può essere espresso prima della lettura del dispositivo, che nella trattazione cartolare deve essere comunicato alle parti.

Non vi è spazio per una istanza anteriore, poiché solo il condannato, quando abbia avuto contezza della pena da sostituire, può acconsentire - non richiedere -, anche tramite il difensore munito di procura speciale, all'applicazione di una pena sostitutiva.

Ne consegue che non è possibile avanzare un'istanza di sostituzione della pena prima della conclusione del processo, in quanto essa sarebbe inidonea a far sorgere un obbligo del giudice di provvedere su di essa e quindi di motivare.

Nel caso di specie, essendo la possibilità di applicare la pena sostitutiva stata introdotta nel corso del giudizio di appello, l'imputato avrebbe potuto esprimere il suo assenso alla sostituzione solo dopo la lettura del dispositivo da parte della Corte territoriale.

Semmai, il ricorrente avrebbe potuto dolersi dell'omissione, da parte del giudice d'appello, dell'avviso, dopo la lettura del dispositivo, della possibilità di applicare la pena sostitutiva, ma trattasi di profilo diverso da quello dedotto dall'imputato con il motivo di ricorso e sul quale, quindi, questa Corte di cassazione non è chiamata a pronunciarsi.

In ogni caso, anche laddove si ammettesse la possibilità per l'imputato di avanzare istanza di applicazione di una pena sostitutiva, deve rilevarsi che la stessa era comunque tardiva, atteso che non era stata chiesta la trattazione orale del processo di appello e le parti possono far pervenire le loro memorie fino a quindici giorni prima dell'udienza, mentre le memorie di replica alle memorie delle altre parti possono pervenire fino a cinque giorni prima e nel caso di specie la istanza di applicazione del lavoro sostitutivo di pubblica utilità è stata avanzata con memoria pervenuta il 17 marzo 2023, quattro giorni prima dell'udienza del 21 marzo 2023. Stante la tardività della memoria, la Corte territoriale non era tenuta a provvedere o motivare sull'istanza in essa contenuta.



 

La sentenza integrale


Cassazione penale sez. fer., 10/08/2023, (ud. 10/08/2023, dep. 11/08/2023), n.34910

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza del 28 giugno 2018 del Tribunale di Genova che aveva affermato la penale responsabilità di J.W.X. per il reato di cui all'art. 81 c.p., art. 474 c.p., commi 1 e 2, e lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia, ordinando la confisca e la distruzione delle merci recanti i segni distintivi contraffatti.


All'imputato si contesta di avere in data 10 marzo 2016 introdotto nel territorio dello Stato 3.600 auricolari recanti segni distintivi contraffatti, in quanto identici al modello comunitario n. (Omissis) che tutela il modello di auricolare (Omissis) della Apple, nonché per avere, in data 26 maggio 2016, detenuto per la vendita n. 588 confezioni di auricolari recanti il suddetto segno distintivo contraffatto e per averne venduti altri a clienti italiani.


2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso J.W.X., a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento ed articolando tre motivi.


2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 545-bis c.p.p..


Evidenzia di avere chiesto, tramite istanza trasmessa via p.e.c. dal proprio difensore munito di procura speciale, l'applicazione della disciplina di cui all'art. 545-bis c.p. con richiesta di sospensione del procedimento per accedere alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità e che la Corte di appello ha del tutto omesso di pronunciarsi su detta istanza, non menzionandola nella motivazione della sentenza qui impugnata.


2.2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 517-ter c.p., sostenendo che il fatto, come accertato, andrebbe sussunto nella fattispecie di cui alla disposizione appena citata, in quanto non è stato contraffatto il marchio della Apple, ma solo il modello comunitario.


2.3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della mancanza o della contraddittorietà della motivazione sull'elemento soggettivo.


I beni erano stati bloccati presso la dogana di Genova ben prima che potesse verificarne la consistenza e l'irregolarità al fine di restituirli al mittente; egli non aveva alcuna contezza della forma degli Earpods che non aveva mai visto, essendosi fidato del fornitore cinese.


Sul punto la Corte territoriale, sostiene il ricorrente, ha omesso di motivare.


Inoltre il teste C., menzionato dalla Corte di appello, era un dipendente della società React Italy, pagata dalla Apple per effettuare perizie di parte in ordine alla contraffazione del marchio, per cui la prova della contraffazione verrebbe ricavata dalla testimonianza di un soggetto portatore degli interessi della Apple, mentre sarebbe stato necessario disporre una perizia.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il secondo motivo di ricorso è fondato.


Questa Corte di cassazione ha già affermato in passato che: "L'art. 473 c.p. appresta una tutela che riguarda la fase precedente la immissione in commercio di prodotti contraffatti; si tratta di una tutela che si colloca in una fase analoga a quella della fabbricazione prevista e punita dall'art. 517-ter c.p., comma 1, e che sanziona chi fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso, laddove la condotta punita dall'art. 474 c.p. e', invece, direttamente collegata alla messa in circolazione del prodotto falsamente contrassegnato e presuppone già apposto il contrassegno su una determinata merce; corrispondente a tale previsione vi è quella di cui all'art. 517-ter c.p., comma 2 che sanziona la detenzione finalizzata alla vendita e la messa in vendita con offerta diretta ai consumatori del prodotto falsamente contrassegnato e, del pari, presuppone già apposto il contrassegno su una determinata merce. L'oggetto materiale degli artt. 473 e 517-ter c.p., secondo la dottrina e la stessa giurisprudenza di questa Corte, ricomprende il modello, mentre quello di cui all'art. 474 c.p. è limitato ai marchi e segni distintivi, giacché tale ultima disposizione non comprende nel proprio perimetro i modelli e disegni che non siano qualificati come marchio figurativo senza possibilità, peraltro, di estendere in malam partem la tutela del marchio a quella del modello senza violare il principio di legalità.


E' consolidato inoltre il principio per cui l'art. 473 c.p. è posto a tutela del bene giuridico della fede pubblica e richiede la materiale contraffazione o alterazione dell'altrui modello che sia tale da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento; si è peraltro chiarito che l'offensività della condotta deve avere riguardo esclusivamente al successivo utilizzo del bene contraffatto, sicché "l'attitudine della falsificazione a ingenerare confusione deve essere valutata non con riferimento al momento dell'acquisto ma in relazione alla visione degli oggetti nella loro successiva utilizzazione" (cfr., in tal senso, Cass. Pen., 2, 19.2.2013 n. 22.133, Ye; Cass. Pen., 5, 9.1.2009 n. 14.876, Chen). L'oggettività giuridica del delitto di cui all'art. 517ter c.p. afferisce invece esclusivamente al patrimonio del titolare della proprietà industriale e ricorre sia nell'ipotesi di prodotti realizzati in imitazione di quelli con modello altrui, sia nell'ipotesi di fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti "originali" da parte di chi non ne sia il titolare (cfr., Cass. Pen., 3, 30.11.2016 n. 14.812, P.C. in proc. Shi che, in applicazione di tale criterio, ha ritenuto immune da vizi la sentenza impugnata che aveva escluso il reato di cui all'art. 474 c.p. non sussistendo la contraffazione del marchio, riconoscendo però l'integrazione del reato previsto dall'art. 517-ter c.p. per l'indebito sfruttamento di un segno distintivo altrui mediante la riproduzione, in modo parassitario, dei connotati essenziali)" (Sez. 2, n. 43374 del 19/09/2019, Qiu, Rv. 277771).


Sulla base dei principi sopra esposti, ai quali questo Collegio intende uniformarsi e dare continuità, le condotte dell'imputato vanno sussunte nella fattispecie di cui all'art. 517-ter c.p., comma 2, in quanto egli ha introdotto nel territorio italiano e ha detenuto per la vendita auricolari identici al modello comunitario n. (Omissis) che tutela il modello di auricolare (Omissis) della Apple.


Il modello comunitario e', secondo quanto previsto dal Regolamento C.E. n. 6/2002 del 12 dicembre 2001, un diritto esclusivo conferito per l'aspetto esteriore di un prodotto o di una sua parte quale risulta dalle caratteristiche, in particolare, delle linee, dei contorni, dei colori, delle forme, della struttura superficiale, dei materiali e/o del suo ornamento.


Ai sensi dell'art. 11 del citato Regolamento, il disegno o modello che possieda i prescritti requisiti è protetto come disegno o modello comunitario non registrato per un periodo di tre anni decorrente dalla data in cui il disegno o modello è stato divulgato al pubblico per la prima volta nella Comunità, mentre, ai sensi dell'articolo successivo, in seguito alla registrazione presso l'Ufficio indicato all'art. 2 il disegno o modello che possieda i prescritti requisiti è protetto come disegno o modello comunitario registrato per un periodo di cinque anni a decorrere dalla data di deposito della domanda di registrazione e il titolare del diritto può ottenere la proroga della durata della protezione per uno o più periodi di cinque anni fino ad un massimo di venticinque anni dalla data di deposito.


Esso non integra un marchio di forma e pertanto risulta inapplicabile l'art. 474 c.p..


Deve, comunque, osservarsi che questa Corte di cassazione ha pure più volte affermato che le due fattispecie introdotte dall'art. 517-ter c.p., pur essendo accomunate sia dall'oggetto materiale del reato, individuato nei beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione di esso, sia dal trattamento sanzionatorio, differiscono per il regime della procedibilità, in quanto solo la previsione di cui al comma 1 dispone che il reato sia procedibile a querela della persona offesa, mentre un'analoga specificazione non si rinviene nel comma 2 (vedi Sez. 3, n. 40312 del 13/07/2021, Bertolino, Rv. 282630; Sez. 2, n. 43374 del 19/09/2019, Qiu, Rv. 277771).


La diversa qualificazione giuridica del fatto non può, quindi, condurre all'improcedibilità.


2. E', invece, inammissibile il terzo motivo di ricorso.


In tema di impugnazioni è inammissibile, per carenza d'interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, che non abbia preso in considerazione un motivo di appello, che risulti ab origine inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Bercigli, Rv. 277281; Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, Liberti, Rv. 276745; Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Arcone, Rv. 265878; Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, Bianchetti, Rv. 263157).


Quanto all'elemento soggettivo, le due fattispecie di cui al primo ed all'art. 517-ter c.p., comma 2 differiscono per la necessità, ai fini dell'integrazione della previsione di cui al comma 2, del dolo specifico, integrato dal fine dell'agente di trarre un profitto, finalità che deve connotare le condotte di introduzione nello Stato, detenzione per la vendita, porre in vendita con offerta diretta ai consumatori o di messa in circolazione dei beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione di esso, mentre tale finalità non è richiesta per le condotte sanzionate dal comma 1 (ovvero fabbricare o adoperare industrialmente oggetti o altri beni).


Questa Corte di cassazione ha già affermato (Sez. 3, n. 40312 del 13/07/2021, Bertolino, Rv. 282630) che, sebbene sia necessario, ai fini della configurabilità del reato di cui al comma 2, accertare il fine di trarre un profitto rispetto alle condotte materiale descritte dalla norma incriminatrice, resta invece fermo, in ordine al parametro dell'usurpazione e della violazione del titolo di proprietà industriale dei beni, il criterio di imputazione soggettiva costituito dalla possibilità dell'agente di conoscere l'esistenza del titolo di proprietà industriale, criterio richiamato espressamente dal comma 1, ma che evidentemente vale anche rispetto al medesimo oggetto materiale delle condotte sanzionate dal comma 2. E', quindi, a tal fine sufficiente la conoscibilità dell'esistenza del titolo di proprietà industriale sui beni cui si riferisce l'introduzione nello Stato, la detenzione per la vendita, il porre in vendita con offerta diretta ai consumatori o la messa in circolazione, conoscibilità la cui prova deve essere ovviamente ancorata a elementi fattuali concreti.


Dall'applicazione del principio sopra esposto discende la manifesta infondatezza del motivo di appello con il quale si sosteneva la insussistenza del dolo sul presupposto della ignoranza da parte sua della violazione degli altrui diritti di privativa discendenti dalla registrazione del modello comunitario.


Per la insussistenza del dolo non basta la ignoranza dell'altrui diritto, ma occorre la sua non conoscibilità, mentre nel caso specie era sicuramente possibile la sua conoscenza, atteso che, secondo quanto emerge dalla ricostruzione fattuale operata dai giudici del merito, si discute di un modello comunitario registrato.


Quanto, poi, alla necessità di una perizia d'ufficio in conseguenza dell'inattendibilità del teste C., in quanto dipendente di una società pagata dalla società titolare del diritto di privativa, il ricorrente chiede a questa Corte una valutazione sulla attendibilità del testimone ed in genere sul materiale istruttorio inammissibile in sede di legittimità.


3. La riqualificazione ex art. 517-ter c.p., comma 2, dei fatti per i quali è stata pronunciata condanna non incide sul trattamento sanzionatorio, atteso che la cornice edittale è identica a quella prevista per il reato di cui all'art. 474 c.p., comma 2.


4. Deve, allora, rilevarsi la infondatezza del primo motivo di ricorso, che non risulta assorbito dall'accoglimento del motivo attinente alla qualificazione giuridica del fatto.


La applicazione della pena sostitutiva non ha costituito oggetto di un motivo di appello e, del resto, solo a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022 (c.d. riforma Cartabia) l'imputato avrebbe potuto ottenere la sostituzione della pena della reclusione con quella del lavoro di pubblica utilità.


L'art. 95, comma 1, del citato D.Lgs. stabilisce che: "Le norme previste dal Capo 3^ della L. 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell'entrata in vigore del presente decreto".


Ne consegue che le norme in materia di pene sostitutive possono trovare applicazione anche nei giudizi di appello in corso al momento dell'entrata in vigore della riforma.


Deve, tuttavia, osservarsi che la applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità può essere disposta, nel sistema introdotto dalla citata riforma, solo dopo che sia stata affermata la penale responsabilità dell'imputato e sia stata già determinata l'entità della pena da sostituire.


Lo si ricava dall'art. 545-bis c.p.p., introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2022, art. 31. L'art. 445-bis c.p.p., comma 1 stabilisce che quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stato applicato il beneficio della sospensione condizionale della pena il giudice, dopo la lettura del dispositivo, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53, ne dà avviso alle parti. Se l'imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, acconsente alla sostituzione della pena detentiva con una pena diversa dalla pena pecuniaria ovvero se può aver luogo la sostituzione con la pena pecuniaria, il giudice, sentito il pubblico ministero, quando non è possibile decidere immediatamente, fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all'ufficio di esecuzione penale esterna competente; in tal caso il processo è sospeso.


Ai sensi dell'art. 304 c.p.p., lett. c-ter), come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2022, art. 13, comma 1, lett. f), n. 2, con ordinanza appellabile ex art. 310 c.p.p., durante il tempo intercorrente tra la lettura del dispositivo indicato all'art. 545-bis c.p.p., comma 1 e l'udienza fissata per la decisione sulla eventuale sostituzione della pena detentiva, ma, in tal caso, la sospensione dei termini previsti dall'art. 303 c.p.p. non può comunque avere durata superiore a sessanta giorni.


Il rinvio è finalizzato a consentire al giudice di acquisire, anche con la collaborazione delle parti, le informazioni occorrenti alla decisione.


Il comma 2 prevede, infatti, che al fine di decidere sull'an e sul quomodo della sostituzione, secondo quanto previsto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 58, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni relative, il giudice può acquisire dall'ufficio di esecuzione penale esterna e, se del caso, dalla polizia giudiziaria tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita, personali, familiari, sociali, economiche e patrimoniali dell'imputato. Il giudice può richiedere, altresì, all'ufficio di esecuzione penale esterna, il programma di trattamento della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità con la relativa disponibilità dell'ente. Agli stessi fini, il giudice può acquisire altresì, dai soggetti indicati dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94, la certificazione di disturbo da uso di sostanze o di alcol ovvero da gioco d'azzardo e il programma terapeutico, che il condannato abbia in corso o a cui intenda sottoporsi. Le parti possono depositare documentazione all'ufficio di esecuzione penale esterna e, fino a cinque giorni prima dell'udienza, possono presentare memorie in cancelleria.


Il comma 3 prevede che, esaurita questa fase informativa, all'udienza fissata, sentite le parti presenti, il giudice potrà sostituire la pena detentiva, ed in tal caso egli provvederà ad integrare il dispositivo indicando la pena con i relativi obblighi e prescrizioni e si applicheranno la L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 57 e 61, oppure potrà non sostituire la pena detentiva e in tal caso egli confermerà il dispositivo già emesso. In entrambi casi, il giudice dovrà nuovamente dare lettura in udienza del dispositivo, sia esso stato modificato o solo confermato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 545. Solo con questa seconda lettura del dispositivo, quindi, la sentenza si intenderà pubblicata.


Dalle disposizioni sopra citate emerge, quindi, che il consenso all'applicazione della pena sostitutiva non può essere espresso prima della lettura del dispositivo, che nella trattazione cartolare deve essere comunicato alle parti.


Non vi è spazio per una istanza anteriore, poiché solo il condannato, quando abbia avuto contezza della pena da sostituire, può acconsentire - non richiedere -, anche tramite il difensore munito di procura speciale, all'applicazione di una pena sostitutiva.


Ne consegue che non è possibile avanzare un'istanza di sostituzione della pena prima della conclusione del processo, in quanto essa sarebbe inidonea a far sorgere un obbligo del giudice di provvedere su di essa e quindi di motivare.


Nel caso di specie, essendo la possibilità di applicare la pena sostitutiva stata introdotta nel corso del giudizio di appello, l'imputato avrebbe potuto esprimere il suo assenso alla sostituzione solo dopo la lettura del dispositivo da parte della Corte territoriale. Semmai, il ricorrente avrebbe potuto dolersi dell'omissione, da parte del giudice d'appello, dell'avviso, dopo la lettura del dispositivo, della possibilità di applicare la pena sostitutiva, ma trattasi di profilo diverso da quello dedotto dall'imputato con il motivo di ricorso e sul quale, quindi, questa Corte di cassazione non è chiamata a pronunciarsi.


In ogni caso, anche laddove si ammettesse la possibilità per l'imputato di avanzare istanza di applicazione di una pena sostitutiva, deve rilevarsi che la stessa era comunque tardiva, atteso che non era stata chiesta la trattazione orale del processo di appello e le parti possono far pervenire le loro memorie fino a quindici giorni prima dell'udienza, mentre le memorie di replica alle memorie delle altre parti possono pervenire fino a cinque giorni prima e nel caso di specie la istanza di applicazione del lavoro sostitutivo di pubblica utilità è stata avanzata con memoria pervenuta il 17 marzo 2023, quattro giorni prima dell'udienza del 21 marzo 2023. Stante la tardività della memoria, la Corte territoriale non era tenuta a provvedere o motivare sull'istanza in essa contenuta.


P.Q.M.

Qualificato il fatto come violazione dell'art. 81 c.p., art. 517-ter c.p., comma 2, rigetta il ricorso nel resto.


Così deciso in Roma, il 10 agosto 2023.


Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2023

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