top of page

Le aggravanti del metodo mafioso e della agevolazione mafiosa (art. 416 bis.1 del codice penale)


Le aggravanti del metodo mafioso e della agevolazione mafiosa (art. 416 bis.1 del codice penale)

Indice:

A) L’AGGRAVANTE DEL METODO MAFIOSO


B) L’AGGRAVANTE DELL’AGEVOLAZIONE MAFIOSA


A) L'AGGRAVANTE DEL METODO MAFIOSO

1. Sufficienza della veste tipicamente mafiosa della violenza o minaccia

Relativamente al diverso modo d’essere del metodo mafioso nei fenomeni individuali in confronto a quelli collettivi 1, la S.C. si attiene ormai costantemente al principio — già enunciato in tempi lontani 2, allorquando, però, come si vedrà all'inizio del prossimo paragrafo, era tutt'altro che prevalente - che l'aggravante del metodo mafioso, oggi prevista dall'art. 416-bis.1 cod. pen. e prima dall'art. 7 d.l. n. 152 del 1991, non presuppone necessariamente l’esistenza di un'associazione di tipo mafioso che faccia da sfondo alla condotta dell'agente: è infatti sufficiente - secondo formula tralatizia - «che la violenza o la minaccia [usate da quest'ultimo] assumano veste tipicamente mafiosa», per modo che il predicato della mafiosità accede direttamente alla condotta, qualificando essa sola, indipendentemente da alcun collegamento, effettivo o putativo, del medesimo con un sodalizio da cui sprigioni la forza di intimidazione.

Emblematica è la fattispecie oggetto di Sez. 2, n. 36431 del 02/07/2019, Rv. 277033-01, Bruzzese, «relativa a[d una] rapina ai danni di un furgone portavalori[,] in cui l'aggravante è stata ravvisata nel tratto paramilitare usato per la commissione del delitto, nella attenta pianificazione dello stesso, nelle modalità brutali di realizzazione, nell'impiego di uomini e mezzi, nell'uso di armi con esplosione di colpi e nel compimento dell'atto in pochi minuti, comprovanti una professionalità criminale propria di chi appartiene a gruppi organizzati o di chi da tali gruppi, operanti nel luogo di commissione del reato, sia stato autorizzato».

O la fattispecie - assurta alla ribalta delle cronache - oggetto di Sez. 5, n. 21530 del 08/02/2018, Rv. 273025-01, Spada, «relativa alle violente lesioni inferte ad un giornalista da un personaggio notoriamente malavitoso, che, nel rifiutare di essere intervistato, aggrediva il cronista con una testata sul volto, si avvaleva di un guardaspall[e], pronunciava frasi intimidatorie che evocavano l'intervento di altri soggetti al fine di danneggiare la vettura dello stesso, in contesto omertoso caratterizzato non solo dal disinteresse dei passanti, ma anche dal compiacimento per l'accaduto da parte di alcuni presenti all'aggressione».

O, ancora, la fattispecie oggetto di Sez. 1, n. 16883 del 13/04/2010, Rv. 246753-01, Stellato e altri, in un caso in cui il ridetto principio è stato evocato in rapporto ad «un gruppo criminale dedito alle estorsioni», qualificato come associazione comune, «in quanto non aveva ancora conseguito l'egemonia sul territorio».

Una prospettiva di sintesi è “anticipatamente” offerta da Sez. 6, n. 41772 del 13/06/2017, Rv. 271103-01, P.M. in proc. Vicidomini, secondo cui l'aggravante è configurabile con riferimento ai reati-fine commessi sia da partecipi nell'ambito di un'associazione criminale comune sia da soggetti estranei alla stessa, senza che ciò comporti la necessità di attribuire al sodalizio il carattere della mafiosità.


2. Intimidazioni silenti, evocazione di contiguità mafiose, estorsioni ambientali

Il discorso che precede sull’aggravante del metodo mafioso costituisce il portato di un’evoluzione rispetto al passato, allorquando si richiedeva pur sempre una presenza mafiosa sul territorio, ritenendosi che l'aggravante «qualifica l’uso del metodo mafioso, fondato sull'esistenza in una data zona di associazioni mafiose, anche in riguardo alla condotta di un soggetto non appartenente a dette associazioni». 3

L'evoluzione risulta tanto più tangibile a misura che si rifletta sul dato per cui l'affermata sufficienza della «veste tipicamente mafiosa» della violenza o della minaccia si coniuga con una caratterizzazione segnatamente della minaccia a sua volta non necessitante — a differenza del metodo mafioso nel contesto associativo — di alcuna estrinsecazione.

Anche nell'ultimo periodo, infatti, la S.C., spingendosi oltre il segno dell’«utilizzo di un messaggio intimidatorio “silente”», il quale, nell'accezione corrente, presuppone pur sempre che l'associazione esista ed anzi «abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso» 4, non solo reputa che non «occorra una concreta e verificata origine mafiosa della minaccia» «quando I[a mera] evocazione della contiguità all'associazione mafiosa sia effettivamente funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento particolare, quale conseguenza del pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune»5; ma viepiù torna a ritenere la configurabilità dell’aggravante in relazione a fattispecie di “estorsioni ambientali”, dove non si richiede né l’esplicitazione della minaccia né l’esistenza dell'associazione né la conoscenza dell’estorsore e della sua appartenenza ad un clan determinato, bastando che il «territorio» sia «notoriamente soggetto all’influsso di consorterie mafiose»6.


B) L'AGGRAVANTE DELL’AGEVOLAZIONE MAFIOSA

3. Divergenze interpretative sulla necessità o meno, ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, dell'esistenza di un'associazione di tipo mafioso

Un'evoluzione simile a quella testé descritta a proposito del metodo mafioso, ma concettualmente e sistematicamente più accentuata, afferisce altresì all'aggravante dell'agevolazione di un'associazione di tipo mafioso, atteso che l'“avanguardia” delle applicazioni giurisprudenziali sostiene, analogamente agli esiti esegetici relativi al metodo mafioso, che non è essenziale l’esistenza di un'associazione.

L'accentuazione evolutiva si coglie pensando al fatto che, mentre in rapporto al metodo mafioso, già nella formulazione letterale dell'art. 416-bis.1, comma 1, cod. pen. (e prima dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 152 del 1991), l'associazione resta sul “backstage”, in rapporto alla condotta agevolativa, invece, essa si affaccia sul palcoscenico, quantomeno come destinataria dell'aiuto. In argomento, tuttavia, si consuma una diversità di interpretazioni:

- la posizione d'avanguardia, particolarmente attenta alle concrete dinamiche mafiose, propugna la tesi che «la configurabilità dell'aggravante prevista dall'art. 7, d.l. [n. 152 del 1991] non richiede necessariamente la sussistenza di una compagine mafiosa o camorristica di riferimento[,] non solo quando è contestato l'utilizzo del metodo mafioso, ma anche quando è addebitata la finalità agevolativa, anche se, in questa seconda evenienza, occorre che lo scopo sia quello di contribuire all'attività di un'associazione operante in un contesto di matrice mafiosa, in una logica di contrapposizione tra gruppi ispirati da finalità di controllo del territorio con le modalità tipiche previste dall'art. 416-bis cod. pen7;

- all'opposto, una posizione più aderente alla “littera legis”, sostiene che l'aggravante, «postulando che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l’attività di una associazione mafiosa, implica necessariamente la prova dell'esistenza reale a non semplicemente supposta di essa», evidenziando pertanto una differenza interna agli artt. 416-bis.1 cod. pen. e, in allora, 7 d.l. n. 152 del 1991, siccome configuranti «due ipotesi di circostanze aggravanti: la prima relativa al reato commesso dal soggetto, appartenente o meno all'associazione di cui all'art. 416 bis cod. pen., che si avvale del metodo mafioso, ai fini della cui integrazione non è necessaria la prova l’esistenza della associazione criminosa, essendo sufficiente l'aver ingenerato nella vittima la consapevolezza che l'agente appartenga a tale associazione; la seconda che, invece, postulando che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l’attività di una associazione mafiosa, implica necessariamente l'esistenza reale a non semplicemente supposta di essa e richiede, ai fini della sua integrazione, la prova della oggettiva finalizzazione dell’azione a favorire l'associazione e non un singolo partecipante». 8


4. Ulteriori profili problematici

Finalizzazione della condotta ausiliatrice. L'aggravante dell’agevolazione mafiosa è problematica altresì sotto due ulteriori profili, distinti ma parzialmente correlati tra loro: quello della finalizzazione della condotta - soprattutto nei delitti di favoreggiamento personale “et similia” - a prestare aiuto al sodalizio piuttosto che al singolo sodale e quello della natura, soggettiva o od oggettiva, dell'aggravante stessa.

Quanto al primo profilo, entra in gioco una polarizzazione dell'aggravante sull’indice di partecipazione psicologica dell'agente alla condotta, potendo esso essere riguardato sia di per sé, quale segmento unisussistente, sia però anche, in una sorta di compenetrazione dell'elemento oggettivo nel soggettivo, alla luce dell'effettiva situazione di fatto entro cui la condotta non casualmente è venuta ad inserirsi.

Una propensione per la prima alternativa pare rinversi nell’enunciazione del principio per cui sussiste l'aggravante solo qualora sia provato che la condotta, nella specie di favoreggiamento personale, «sia caratterizzata dalla coscienza e volontà di favorire, unitamente ai singoli indagati, anche le rispettive cosche di appartenenza», derivandone l'annullamento della «decisione con cui era stata ritenuta la sussistenza dell'aggravante [...] nei confronti di un consulente trascrittore, autore dell'alterazione del contenuto di taluni dialoghi intercettati, considerando insufficiente l'affermazione secondo cui il favore reso ai favoreggiati si sarebbe tradotto in un aiuto all'intera organizzazione, in quanto un tale ausilio non poteva derivare “ex se” dalle mere connotazioni soggettive dei favoriti, in assenza di un effettivo contributo a vantaggio del gruppo)»9.

Più orientata per la seconda alternativa, che in definitiva valorizza il contesto di maturazione della condotta, per l'effetto rapportata alla specificità della situazione di fatto in cui l'agente ha ritenuto di inserirsi, pare altra pronuncia, che sostiene ricorrere gli estremi dell'aggravante a carico di «chi consapevolmente aiuti a sottrarsi alle ricerche dell'autorità un capo-clan operante in un ambito territoriale in cui è diffusa la sua notorietà, atteso che la [sua condotta], sotto il profilo oggettivo, si concretizza in un ausilio al sodalizio, la cui operatività sarebbe compromessa dall'arresto del vertice associativo, determinando un rafforzamento del suo potere oltre che di quello del soggetto favoreggiato, e, sotto quello soggettivo, in quanto consapevolmente prestata in favore del capo riconosciuto, risulta sorretta dall'intenzione di favorire anche l'associazione»10.

Allargando lo sguardo, la polarizzazione sull'una o sull'altra alternativa attraversa più in generale la giurisprudenza. Invero, a fianco del filone in cui si inscrive la pronuncia testé analizzata, che comunque tradisce un cambiamento, in punto di diffusione della notorietà del capo-clan, rispetto ai primi arresti (dove leggesi che «costituisce valido e sufficiente elemento indiziante fa posizione di capomafia del favorito operante in un ambito territoriale nel quale la sua notorietà “si presume” diffusa»11), ve n'è un altro che, all'opposto, opina che l'aggravante esiga «- quale che sia la posizione associativa del favorito — che la condotta valga oggettivamente ad agevolare anche l’attività dell'associazione mafiosa di riferimento e che di tale obiettiva funzionalità l'agente sia consapevole»12, con l'esplicita conseguenza che «è necessario che la condotta di agevolazione [nella specie, in tema di trasferimento fraudolento di valori] sia finalizzata a far sì che l'associazione mafiosa nel suo insieme tragga beneficio dall'attività svolta, non essendo sufficiente che serva gli interessi dei singoli associati, pur se collocati ai vertici del sodalizio criminale»13.


5. (Segue) Natura, soggettiva od oggettiva, dell’aggravante

Terreno di franco contrasto, risolto dalle Sezioni Unite, riguardava la natura dell’aggravante.

Una tesi minoritaria riteneva che questa, «essendo connotata dal dolo specifico, [abbia] natura soggettiva [e], pertanto, [sia] applicabile al concorrente nel delitto previo accertamento che questi abbia agito con lo scopo di agevolare un'associazione di tipo mafioso o, comunque, abbia conosciuto e fatta propria tale finalità» 14.

La tesi maggioritaria sosteneva al contrario che essa «ha natura oggettiva, riguardando una modalità dell’azione, e si trasmette, pertanto, a tutti i concorrenti nel reato»15.

V'era anche una tesi intermedia, evidenziante, a mo' di sintesi, come «al segnalato contrasto fra le due citate qualificazioni dell'aggravante (soggettiva od oggettiva), come pure al regime della estensibilità dell'aggravante ai concorrenti, non possa darsi una soluzione univoca, perché tale conseguenza dipende da come l'aggravante si atteggia in concreto e dal reato in relazione al quale viene contestata.

Infatti, per quanto specificamente concerne il reato associativo, la finalità di agevolare un'associazione mafiosa, più che denotare una specifica attitudine delittuosa dei singolo concorrente, risulta direttamente connessa alla concreta struttura organizzativa dell’associazione.

Se tale struttura si pone in una situazione di prossimità alla associazione mafiosa (vuoi perché la seconda le garantisce, come nelle fattispecie, spazi di operatività nei territori controllati, oppure avallo e protezione in cambio dello svolgimento a suo vantaggio di parte della propria attività, vuoi perché la prima ‘foraggia” la seconda o ne reimpiega i profitti, o contribuisce a formare una “cassa comune”, o comunque la agevola con altre modalità), ecco allora che il collegamento della associazione per la vendita degli stupefacenti con la associazione mafiosa si traduce anche in finalità agevolativa e rappresenta un dato oggettivo e strutturale, che travalica la condotta del singolo associato, perché riguarda il modo di essere della associazione e dunque le modalità di commissione del fatto di reato.

In questa prospettiva, risulta corretto attribuire natura oggettiva alla aggravante in questione, trattandosi di circostanza che facilita la commissione del reato da parte dei concorrenti; circostanza che, di conseguenza, può anche essere attribuita ai concorrenti sia in caso di dolo, sia ex art. 59, comma 2, cod. pen., purché [...] conoscibile a tutti 16.

Illustrato il contrasto nei termini essenziali che precedono, sul formale rilievo dello stesso17, le Sezioni Unite sono state investite della sua risoluzione. Secondo, dunque, Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019 (dep. 2020), Rv. 278734-01, Chioccini, «la circostanza aggravante dell'aver agito al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso ha matura soggettiva[,] inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe»18.


 

1

Cfr. supra par. l, in fine.

2

Sez. 2, n. 2204 del 31/03/1998, Rv. 211178-01, Parreca.

3

Sez. 1, n. 4898 del 26/11/2008 (dep.2009), Rv. 243346-01, Cutolo; similmente già Sez. 1, n. 1327 del 18/03/1994, Rv. 197430-01, Torcasio.

4

Sez. 3, n. 44298 del 18/06/2019, Rv. 277182-01, Di Caprio.

5

Sez, 2, n. 39424 del 09/09/2019, Rv. 277222-01, Pagnotta.

6

Sez. 2, n. 21707 del 17/04/2019, Rv. 276115-01, P.G. in proc. Barone, la quale, nella scia di Sez. 2, n. 22976 del 13/04/2017, Rv. 270175-01, Neri, fa progredire la frontiera dell’aggravante rispetto all’esigenza — originariamente affermata da Sez. 2, n. 32 del 30/11/2016 (dep. 2017), Rv. 268759-01, P.M. in proc. Gallo — di un’«implicita ma inequivoca minaccia per pretendere dalla persona offesa il pagamento di non meglio precisate somme di denaro a motivo dell’ubicazione dell’attività commerciale della medesima in un territorio sottoposto al controllo di una cosca criminale».

7

Sez, 2, n, 27548 del 17/05/2019, Rv. 276109-01, Gallelli, che riprende la formula di Sez. 1, n. 18019 del 11/10/2017 (dep. 2018), Rv. 273302-01, Calabria, e di Sez. 2, n. 17879 del 13/03/2014, Rv. 260007- 01, Pagano e altri.

8

Sez, 6, n. 1738 del 14/11/2018 (dep. 2019), Rv. 274842-01, Mancuso; conf. Sez. 2, n. 41003 del 20/09/2013, Rv. 257240-01, Bianco e altri.

103 Sez. 2, n. 49090 del 04/12/2015, Rv. 265515-01, Macciariello; conf. Sez. 1, n. 2667 del 30/01/1997, Rv. 207178-01, Barcella e altro, e Sez. 1, n. 1327 del 1994.

9

Sez. 6, n. 24883 del 15/05/2019, Rv. 275988-01, Crocitta.

10

Sez. 6, n. 32386 del 28/03/2019, Rv. 276475-01, Salvato.

11

Sez. 5, n. 41587 del 24/09/2007, Rv. 238181-01, Sorce, virgolette aggiunte.

12

Sez. 2, n. 4386 del 27/01/2015, Rv. 262380-01, Belcastro e altri.

13

Sez. 5,n. 28648 del 17/03/2016, Rv. 267300-01, Zindato.

14

Sez. 1, n. 19818 del 23/05/2017 (dep. 2019), Rv. 276188-01, Tagliavia.

15

Sez. 2, n. 52025 del 24/11/2016, Rv. 268856-01, Vernengo.

16

Sez, 2, n. 22153 del 11/12/2018 (dep. 2019), Laratta e altri, par. 4.1, p. 47.

17

Sez, 2, n. 40846 del 10/09/2019, Chioccini.

18

Dopo le SS.UU., conf. Sez. 6, n. 25809 del 09/07/2020, De Filippis Vincenzo.



Fonte: Relazione tematica "Relazione tematica sugli sviluppi della giurisprudenza di legittimità nell'ultimo biennio in ordine ai temi principali inerenti al fenomeno della criminalità organizzata", Rel. n. 83/20, CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO.


 


bottom of page