Quando un “semplice” furtarello diventa una rapina impropria: la prevedibilità che fonda la colpa (Cass. Pen. n. 38767/25)
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Quando un “semplice” furtarello diventa una rapina impropria: la prevedibilità che fonda la colpa (Cass. Pen. n. 38767/25)

I bari - Caravaggio

Tutto comincia con poco, un gruppetto di minorenni, un supermercato, merce infilata in tasca, l’idea tipica dell’adolescenza che le regole siano un gioco e che tutto sia reversibile.

Poi qualcosa si rompe, un commesso che interviene, un gesto brusco, una spinta, una minaccia.

E quel “piccolo furto” non è più un furto. Diventa una rapina impropria, un salto di specie giuridica che pesa come un macigno sulla vita di chi ha sedici, diciassette anni.

Il diritto penale lo sa benissimo, il confine tra una ragazzata e un reato grave non è solo nei fatti, ma nella prevedibilità di ciò che può accadere quando si sceglie di delinquere, soprattutto in gruppo.

La sentenza n. 38767/2025 della Seconda Sezione penale della Cassazione entra nel cuore di questo confine: quando un concorrente deve rispondere del reato più grave commesso da un altro?

E soprattutto, cosa deve essere prevedibile, e come, nella mente di un minorenne?


L'art. 116 c.p.: la responsabilità per il “passo più lungo” dell’altro

Il “concorso anomalo” — nome che sembra uscito da un trattato di psicopatologia — è, in realtà, una figura preziosa: punisce chi partecipa a un reato meno grave quando fra i complici uno va oltre.

Tre i cardini giurisprudenziali confermati dalla sentenza:

  1. Io voglio un reato meno grave (partecipazione psichica ad un progetto “soft”);

  2. Tu ne commetti uno più grave (per le modalità del fatto);

  3. Io avrei potuto prevederlo come sviluppo logico della nostra azione, prevedibilità in concreto, non un destino astratto (Cass. I, 23 febbraio 1995, Parolisi, Rv. 200699-01; Corte cost. n. 42/1965)

È una responsabilità che non nasce dalla causalità materiale, ma dalla causalità psichica: non perché ho accettato il rischio (dolo eventuale, art. 110 c.p.), ma perché avrei potuto rappresentarmelo.


La prevedibilità non è una formula matematica

La prevedibilità, insegna la Cassazione, non è un teorema astratto, è un concetto che si radica nella concretezza dei fatti.

Un furto in supermercato, in cinque, con occhi addosso e il rischio reale di essere fermati, porta con sé una possibilità tutt’altro che remota: che qualcuno, per fuggire o tenere stretta la refurtiva, ricorra a un gesto violento.

Non è un incidente imprevedibile, ma una delle traiettorie verosimili dell’azione (Cass., Sez. II, 4 novembre 2016, Bennato).

Il problema della Corte d’appello di Torino, secondo la Cassazione, è di aver tratto da questa prevedibilità la conclusione opposta; se si poteva immaginare lo sviluppo violento, allora chi partecipa risponde a pieno titolo di concorso ordinario nella rapina impropria.

È qui che la Suprema Corte interviene con un rovesciamento quasi controintuitivo.

Proprio perché l’evoluzione più grave non era voluta, ma era prevedibile, si apre la porta all’art. 116 c.p., la figura del concorso anomalo che attenua la colpa di chi non ha accettato il rischio, pur potendo rappresentarselo.

È una distinzione sottile, ma decisiva. La linea che separa un ladro in erba da un rapinatore non corre nella violenza altrui, ma nella coscienza possibile di quella violenza.


Il richiamo della Cassazione: mai confondere “dolo eventuale” e “colpa da prevedibilità”

La Corte rimette ordine:

  • se io accetto il rischio che tu picchi qualcuno → concorso pieno (art. 110)

  • se io non ci penso ma potevo pensarci → concorso anomalo (art. 116)

Il giudice di merito deve indagare la mente dell’imputato, non accontentarsi di formule generali.

Qui Torino ha eluso la domanda fondamentale: il ragazzo ha accettato la deriva violenta? Oppure non l’aveva prevista, pur potendolo fare?

Un’incertezza che si paga con l’annullamento della sentenza.


Il diritto penale minorile e la responsabilità “giusta”

La ratio profonda di questa pronuncia è tutta minorile: non ogni sbaglio giovanile è un’etichetta indelebile.

L’art. 116 serve proprio a questo, a distinguere tra chi vuole il danno e chi ne è travolto oltre l’intenzione.

Perché la funzione rieducativa — nell’universo del minore — è qualcosa di più di un principio della Costituzione. Si tratta di un dovere di civiltà.


La traiettoria del gesto conta più del gesto

In che momento si passa da “errore” a “crimine grave”?

La Cassazione risponde: quel momento non è scritto nei fatti ma nella mente di chi li compie, o meglio, nella mente come avrebbe dovuto essere.

Per questo, l’annullamento con rinvio non è un tecnicismo ma un invito ai giudici di merito a guardare i minorenni negli occhi, a chiedere di più nella motivazione e non nel castigo.

Nel diritto penale della partecipazione — soprattutto tra giovani — conta come si parte, ma conta ancora di più come ci si ritrova ad arrivare.


La sentenza integrale

Cass. pen., sez. II, ud. 28 ottobre 2025 (dep. 1 dicembre 2025), n. 38767


Ritenuto in fatto


1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Torino, Sezione per i Minorenni, in parziale riforma della sentenza resa in data 28 aprile 2022 dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale per i Minorenni di Torino nei confronti dell'odierno ricorrente, ha riqualificato il fatto ai sensi degli artt. 56,110 e 628 cod. pen., riconoscendo l'attenuante della lieve entità introdotta dalla Corte costituzionale e rideterminando conseguentemente la pena, con conferma del resto.


2. Ricorre per cassazione il suddetto imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo tre motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.


2.1. Violazione dell'art. 597 cod. proc. pen., per avere applicato, in relazione alla circostanza di cui all'art. 98 cod. pen., un aumento di pena proporzionalmente inferiore a quello computato in primo grado.


2.2. Violazione dell'art. 116 cod. pen., contestando la mancata applicazione del concorso anomalo in luogo del concorso ordinario.


2.3. Mancanza o illogicità della motivazione, in relazione alla determinazione della pena base in misura sensibilmente superiore al minimo edittale.


3. Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell'art. 611, comma 1, cod. proc. pen.


Considerato in diritto


1. Il ricorso è fondato, per quanto attiene al secondo motivo, attinente alla ribadita responsabilità concorsuale.


Il primo e il secondo motivo, in tema di trattamento sanzionatorio, restano, di conseguenza, assorbiti.


2. Per quanto attiene al cosiddetto “concorso anomalo”, l'art. 116 cod. pen. («Reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti») prevede testualmente che «Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l'evento è conseguenza della sua azione od omissione. Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave».


2.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, per la sussistenza di tale peculiare modalità di responsabilità concorsuale è necessario che ricorrano tre requisiti:


a) l'adesione psichica dell'agente a un reato concorsuale meno grave;


b) la commissione da parte di altro concorrente di un reato diverso e più grave;


c) un nesso psicologico in termini di prevedibilità tra la condotta dell'agente compartecipe e l'evento diverso e più grave in concreto verificatosi.


Quanto a tale ultimo requisito non è sufficiente un rapporto di causalità materiale tra la condotta dell'agente e l'evento più grave, ma è necessario che sussista un rapporto di causalità psichica nel senso che il reato diverso e più grave commesso dal compartecipe possa rappresentarsi alla psiche dell'agente come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto (Sez. 5, n. 14787 del 12/03/2025, N., non mass.; Sez. 6, n. 25390 del 31/01/2019, Gorbunova, non mass.; Sez. 5, n. 10995 del 25/10/2006, dep. 2007, Ciurlia, Rv. 236512-01; Sez. 1, n. 3381 del 23/02/1995, Parolisi, Rv. 200699-01. Si veda anche, Corte cost., sent. n. 42 del 1965, che, in aderenza al principio previsto dall'art. 27 Cost., ha inquadrato la responsabilità penale derivante dal concorso anomalo nell'ambito delle forme previste dagli artt. 42 e 43 cod. pen.; pertanto, essa può essere affermata solo nel caso che il compartecipe, nell'ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti nuovi, sia stato in grado di prevedere in concreto l'evento come sviluppo logico della sua condotta, sulla base delle norme di comune esperienza. Di analogo rilievo sono le sentenze n. 364 e n. 1085 del 1988, con cui la Corte costituzionale ha affermato la necessità che gli «elementi più significativi della fattispecie tipica» rientrino nell'alveo del principio di colpevolezza ricavabile dall'art. 27, primo comma, Cost., dovendo con tale locuzione intendersi gli «elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie», i quali, dunque, devono essere «soggettivamente collegati all'agente», a titolo di dolo o di colpa, ed essere altresì «allo stesso agente rimproverabili»; questi principi sono stati ribaditi dalle successive pronunce n. 2 del 1991, n. 179 del 1991, n. 61 del 1995, n. 322 del 2007).


La configurabilità del concorso di cui all'art. 116 cod. pen. è soggetta, quindi, a due limiti negativi.


Da un lato, per quanto riguarda la distinzione con il concorso “ordinario”, l'evento diverso non deve essere voluto neppure sotto il profilo del dolo indiretto (indeterminato, alternativo od eventuale). La responsabilità del compartecipe per il fatto più grave rispetto a quello concordato, materialmente commesso da un altro concorrente, integra il concorso ex art. 110 cod. pen., se il compartecipe ha previsto e voluto o accettato il rischio di commissione del delitto diverso e più grave, mentre configura il concorso ex art. 116 cod. pen., nel caso in cui l'agente, pur non avendo in concreto previsto il fatto più grave, avrebbe potuto rappresentarselo come sviluppo logicamente prevedibile dell'azione convenuta, facendo uso, in relazione a tutte le circostanze del caso concreto, della dovuta diligenza (Sez. 2, n. 29641 del 30/05/2019, Rhimi, Rv. 276734-01; Sez. 2, n. 48330 del 26/11/2015, Lia, Rv. 265479-01; Sez. 2, n. 49486 del 14/11/2014 Cancelli Rv. 261003-01; Sez. 1, n. 4330 del 15/11/2011, dep. 2012, Camko, Rv. 251849-01).


Dal lato opposto, la responsabilità del compartecipe ex art. 116 cod. pen. può essere esclusa solo quando il reato diverso e più grave si presenti come un evento atipico, dovuto a circostanze eccezionali e del tutto imprevedibili, non collegato in alcun modo al fatto criminoso su cui si è innestato, oppure quando si verifichi un rapporto di mera occasionalità idoneo a escludere il nesso di causalità (Sez. 1, n. 44579 del 11/09/2018, B., Rv. 273977-01; Sez. 2, n. 3167 del 28/10/2013, dep. 2014, Sorrenti, Rv. 258604-01).


2.2. L'esegesi ormai dominante, dunque, àncora il concorso anomalo alla “prevedibilità in concreto”, sulla base degli specifici elementi ricavabili dalla situazione di fatto in cui è avvenuta la deviazione dall'originario programma criminoso e dalle modalità esecutive effettivamente concordate dai compartecipi.


La casistica annovera numerosi precedenti in cui il delitto più grave e non voluto è quello di rapina (cfr., Sez. 2, n. 52811 del 04/11/2016, Bennato, Rv. 268788-01, secondo cui può essere ritenuto prevedibile sviluppo dell'azione inerente ad un furto l'uso eventuale di violenza o minaccia che, se realizzato, fa progredire la sottrazione della cosa mobile altrui in rapina, di cui è responsabile, ai sensi dell'art. 116 cod. pen., anche il concorrente, a meno che il diverso e più grave reato realizzato dai compartecipi costituisca un fatto anormale, eccezionale e, quindi, non prevedibile. Conforme, Sez. 2, n. 49443 del 03/10/2018, Jamarishvili, Rv. 274467-01).


Questo approdo ermeneutico deve essere confermato anche per il caso in cui il furto in concorso originariamente programmato trascenda in una rapina impropria, sia pure rimasta allo stadio del tentativo punibile. Alla luce delle considerazioni che precedono, invero, la locuzione «Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l'evento è conseguenza della sua azione od omissione» non può che intendersi nel senso che deve aversi riguardo all'«evento giuridico» (inteso quale lesione o messa in pericolo del bene tutelato dalla norma incriminatrice) e non a un «evento naturalistico» del reato, di modo che la circostanza attenuante opera anche in ipotesi di reati di pura condotta e, in ogni caso, di reati tentati (cfr., implicitamente, la citata Sez. 2, n. 52811 del 04/11/2016, Bennato, Rv. 268788-01, nonché, expressis verbis, la – risalente, ma mai smentita – Sez. 2, n. 209 del 27/01/1971, Iachetta, Rv. 119429-01). Peraltro, avuto riguardo alla plurioffensività della fattispecie di cui all'art. 628 cod. pen., può ulteriormente notarsi come la refurtiva non sia stata definitivamente avulsa dal patrimonio della persona offesa (OMISSIS) (avuto riguardo alla riqualificazione del fatto ad opera dei giudici di appello), ma l'integrità fisica dell'altra persona offesa, G. D. R., sia stata indubitabilmente incisa.


3.3. La Corte subalpina, dopo avere ricostruito la vicenda storica (azione furtiva da parte di cinque soggetti, all'interno di un supermercato), ha precisato soltanto come appaia «del tutto evidente come l'eventuale uso di violenza o minaccia da parte di uno dei concorrenti nel reato di furto, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l'impunità costituisca logico e prevedibile sviluppo della condotta finalizzata alla commissione del furto».


Il discorso giustificativo dei giudici di appello oblitera completamente l'analisi dei criteri esegetici per fondare una responsabilità concorsuale ai sensi dell'art. 110 cod. pen. (anche sub specie di dolo eventuale, in assenza di conclusioni in punto di effettiva accettazione del rischio di un'evoluzione violenta o minacciosa), citando soltanto – con improprio richiamo alla giurisprudenza di legittimità – i presupposti da porre viceversa alla base di una valutazione di sussistenza del concorso di cui all'art. 116 cod. pen. (evidenziando la mera prevedibilità degli sviluppi criminosi).


3. Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere, per la fondatezza del secondo motivo di ricorso, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino (Minorenni) per nuovo giudizio sul punto.


Le ulteriori censure, inerenti il trattamento sanzionatorio, come detto, restano assorbite dalle preliminari valutazioni in ordine all'affermazione di responsabilità, comprensiva di tutti i profili circostanziali.


P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino (Sezione Minorenni)

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