La massima
Non è configurabile l'esimente della legittima difesa allorché il soggetto non agisce nella convinzione, sia pure erronea, di dover reagire a solo scopo difensivo, ma per risentimento o ritorsione contro chi ritenga essere portatore di una qualsiasi offesa (Cassazione penale , sez. I , 14/11/2017 , n. 52617).
Fonte: Ced Cassazione Penale
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La sentenza
Cassazione penale , sez. I , 14/11/2017 , n. 52617
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 7 novembre 2016 la Corte di appello di Genova confermava la sentenza del Tribunale di Genova del 31 marzo 2016 che aveva affermato la responsabilità dell'imputato P.C. in ordine ai delitti, unificati per continuazione, di tentato omicidio in danno di R.C. e di lesioni personali aggravate in danno di Ro.Ru. e, concesse le circostanze attenuanti generiche, dichiarate prevalenti sulle contestate aggravanti, lo aveva condannato alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione.
1.1 Il verdetto di colpevolezza riguarda l'aggressione portata il giorno 2 maggio 2015 in un caseggiato dell'edilizia popolare in Sestri Levante, al cui interno la presenza abusiva del nucleo familiare di R.C. e dei tre figli aveva suscitato contrasti con gli altri condomini per gli atteggiamenti prepotenti e intimidatori da costoro tenuti soprattutto in danno dei vicini più anziani. Dalle testimonianze escusse e dalle indagini medico legali si era ritenuto che il P., da tempo in urto con la R. ed i figli, infastidito per il fumo prodotto dal barbecue allestito dalla donna nel giardino dell'edificio e per le risposte sgarbate ricevute quando se ne era lamentato, avesse lanciato un secchio d'acqua sulla carne in cottura e, sentito bussare alla porta del proprio appartamento e percepita la presenza della R. accompagnata dal figlio Ru., presentatisi a loro volta per protestare, aperta la porta d'ingresso armato di un coltello avesse, dapprima colpito la R. con due coltellate all'addome e quando il di lei figlio gli aveva sferrato un pugno al volto per impedirgli di proseguire nell'assalto, avesse attinto anche questi con un colpo al fianco ed altro al costato. Alle urla degli altri due figli della R. saliti al secondo piano ed avvedutisi del ferimento di madre e fratello, egli aveva subito fatto rientro nel proprio appartamento, mentre ai due antagonisti erano stati prestati soccorsi e la R. era stata sottoposta ad intervento chirurgico. A seguito di accertamento tecnico medico legale disposto dal p.m. erano state riscontrate nella donna due ferite nella regione addominale sinistra, delle quali una aveva trapassato il grasso addominale e le anse intestinali, aveva causato la lacerazione del tenue ed era stata prodotta da un colpo sferrato frontalmente e con forza, che aveva esposto a pericolo la vita della vittima e richiesto un delicato intervento chirurgico di ricostruzione, mentre nel Ro. erano state rilevate due ferite, una al torace non penetrante, l'altra vicino al gluteo, che non erano potenzialmente letali.
All'esito di perizia era stata accertata la presenza di lesioni anche sulla persona dell'imputato, che nell'occorso aveva riportato un violento trauma contusivo allo zigomo destro con rottura del pavimento orbitario destro e la necessità di apposizione di punti di sutura, causato da un violento meccanismo compatibile, sia con un pugno, che con l'uso del bastone sequestrato, ritrovato sul pianerottolo del piano superiore a quello ove era alloggiato il P., sul quale erano state rinvenute esigue tracce ematiche riconducibili allo stesso e portato sul luogo della lite dai figli della R..
A fronte di due versioni opposte rese, una dal P. volta ad accreditare l'uso del coltello a scopo difensivo contro chi lo aveva aggredito per primo, l'altra dalle vittime che l'hanno indicato quale loro aggressore, colpito con un pugno da Ro.Ru. per distoglierlo dal colpire ulteriormente la madre, nell'assenza di altri testimoni estranei alle parti, i giudici di entrambi i gradi di merito ritenevano di dover assegnare maggiore credibilità alla prima a ragione del fatto che altro vicino di casa, il teste G., sopraggiunto sul luogo della lite dopo l'accoltellamento, aveva riferito che ricevute spiegazioni sull'accaduto da Ro.No., figlia della R., aveva visto sopraggiungere il figlio maschio più alto di statura, Ro.Ni., il quale aveva scagliato un bastone contro il P. senza però averlo colpito. Tanto era sufficiente per escludere che l'imputato avesse agito per legittima difesa, sia per avere volontariamente aperto la porta di casa dopo aver percepito gli strepiti della R. che saliva le scale in forte stato di ebbrezza, sia per avere agito in modo palesemente sproporzionato contro soggetti presentatisi a mani nude, soprattutto la donna, che non aveva posto in atto alcuna forma di violenza in suo danno, anche perchè il bastone era stato portato sul luogo solo ad accoltellamento avvenuto.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso l'imputato a mezzo del difensore, il quale ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi:
a) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per avere la Corte di appello, dapprima richiamato la motivazione della sentenza di primo grado in quanto condivisa in ordine a ricostruzione del fatto e valutazione delle prove, per poi esporre un diverso convincimento in ordine all'attendibilità delle persone offese, che ha escluso ed al fatto che l'imputato era stato colpito col bastone di legno, tanto da avere fondato la conferma del giudizio di responsabilità su elementi diversi. Non può quindi applicarsi il principio della reciproca integrazione delle motivazioni delle sentenze di merito.
La sentenza, pur avendo affermato di volersi riferire ai referti medici, ai rilievi di polizia giudiziaria, alla testimonianza del G. ed alle consulenze tecniche espletate, in realtà non ne richiama il contenuto, sebbene lo stesso offra elementi favorevoli alla difesa; soprattutto la perizia effettuata sul bastone in sequestro smentisce il narrato delle persone offese, le quali hanno sempre negato di essersi presentate presso la sua abitazione armati, per cui sul punto la motivazione è mancante.
La Corte di appello è incorsa in grave contraddizione perchè, pur avendo riconosciuto che le deposizioni delle persone offese presentano margini di inattendibilità, ha poi illogicamente basato la decisione sulla loro ricostruzione dei fatti, frazionandone il racconto illegittimamente per poi ritenere che: a) il fatto si sia verificato sul pianerottolo dell'abitazione del ricorrente; b) si sia svolto in un contesto di sfida reciproca; c) la reazione di Ro.Ru. sia verosimile; d) è irrilevante verificare la dinamica precisa dei colpi e dei corpi; e) la lesione inferta alle vittime è stata cagionata da colpi frontali, sferrati da chi stava loro davanti e non dava le spalle.
Non ha però considerato che: a carico della R. e dei figli Ru. e Ni. pendono plurimi procedimenti penali perchè querelati dal ricorrente; essi non avrebbero potuto rendere dichiarazioni diverse se non incriminando se stessi; le persone offese si sono costituite parti civili e sono portatrici di interesse ad accusare il P.. Per tali ragioni il vaglio sulla loro attendibilità avrebbe dovuto essere particolarmente rigoroso.
b) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 52 cod. pen. e art. 530 cpv. cod. proc. pen. per avere escluso la Corte di appello la scriminante della legittima difesa in conseguenza della ritenuta inverosimiglianza delle affermazioni del ricorrente, pur parzialmente riscontrate, sul fatto di non avere avvertito il rumore delle parti lese mentre si erano avvicinate alla porta del suo appartamento, di avere aperto pensando si trattasse di moglie e figlia di rientro dal lavoro e di avere rivolto le spalle a chi stava entrando, venendo aggredito da tergo ed essendosi difeso con l'unico strumento a disposizione, ossia il coltello col quale stava affettando del cibo. La Corte di appello pare pretendere la prova piena dei presupposti di fatto che dovrebbero consentire di riconoscere la causa di non punibilità, ma trattasi di probatio diabolica non esigibile e comunque non argomentata in modo esauriente.
c) Travisamento della prova dichiarativa in relazione alle affermazioni rese da Ro.Ru., il quale ha riferito di avere raggiunto con la madre l'appartamento dell'imputato e di avere atteso che questi aprisse in silenzio, in contrasto con il ritenuto trambusto prodotto da costoro nel salire le scale, dal quale si è dedotto che il ricorrente avesse avvertito il loro avvicinamento e li avesse affrontati con l'intento di colpirli. La contraria argomentazione difensiva non è stata esaminata nonostante sia idonea a disarticolare il ragionamento probatorio della sentenza, che avrebbe dovuto esporre le ragioni per le quali le affermazioni del Ro. dovrebbero ritenersi inattendibili e superate da quanto riferito dalla teste F., ritenuta confusa e reticente, dal teste G. e dagli altri due ragazzi Ro., tutti sopraggiunti ad aggressione già avvenuta.
3. Con memoria pervenuta in data 3 novembre 2017 la difesa ha ulteriormente illustrato il primo motivi di ricorso per evidenziare il vizio di manifesta illogicità e carenza della motivazione laddove ha disatteso la ricostruzione degli eventi offerta dal ricorrente.
CONSIDERATO IN FATTO
Il ricorso è infondato e non merita dunque accoglimento.
1. L'impugnazione all'odierno esame ripropone censure, già espresse con i motivi di appello, che attengono alla ricostruzione dell'episodio criminoso all'esito del quale si era verificato il ferimento di R.C. e del figlio Ro.Ru..
1.1 La sentenza in verifica, pur avendo premesso di voler richiamare quale parte integrante della propria motivazione quanto già esposto nella pronuncia di primo grado sulla ricostruzione del fatto e sulla sua valutazione, nel considerare i motivi del ricorso, premette che le due persone offese sono indagate per reati commessi in danno del P., ragione per la quale il portato accusatorio delle loro dichiarazioni richiede particolare scrupolo nel vaglio di attendibilità. Conclude che "pur in mancanza di prova certa della menzogna... la versione delle parti civili presenta alcuni margini di inattendibilità", che ascrive anche alla concitazione del momento ed all'ubriachezza della R., ma che ritiene tali da non compromettere del tutto la possibilità di farne uso probatorio. A tal fine espone rilievi precisi e per nulla illogici, basati su elementi probatori diversi dalle dichiarazioni delle parti lese, ma in grado di avvalorare la loro narrazione dei fatti, il cui nucleo essenziale ha ritenuto essere stato confermato.
Evidenzia dunque alcune circostanze di sicura acquisizione, rilevanti per l'accertamento del fatto e della sua dinamica e non posti in discussione dalla difesa, deducibili dai referti medici, dai rilievi delle forze dell'ordine, dalla testimonianza del vicino di casa G. e dalle indagini medico legali, costituiti da:
- effettiva ascrivibilità all'esclusiva azione del P. dei quattro colpi di coltello inferti alle parti lese, circostanza mai negata nemmeno dall'interessato;
- idoneità dei fendenti sferrati contro la R. a cagionarne la morte, profilo fattuale altrettanto non contestato;
- esistenza di pregressi dissapori tra l'imputato ed il nucleo familiare composto dalla donna e dai figli per i cui comportamenti molesti egli si era lamentato ed indotto a rivelare all'assistente sociale S. l'intenzione di reagire alle provocazioni, anche mandando qualcuno all'ospedale, affermazione che aveva anticipato un intento lesivo specificamente orientato contro le vittime poi attinte;
- compimento dell'aggressione sul pianerottolo dell'abitazione dell'imputato e non al suo interno;
- litigio avvenuto pochi minuti prima.
Da tali premesse la Corte di appello con ragionamento inferenziale corretto e privo di vizi logici ha tratto conferma della corretta ricostruzione dell'azione criminosa, già operata dal Tribunale, secondo la quale il P., adirato per il barbecue in atto nel giardino sottostante la sua abitazione e per le risposte ricevute alle sue proteste, avvertito l'arrivo presso il suo appartamento della R. che rumorosamente, anche perchè molto ubriaca, aveva risalito le scale dell'edificio ed allertato dal proposito manifestato dal di lei figlio di regolare i conti -, aveva aperto la porta già armato di coltello e l'aveva colpita frontalmente per due volte all'addome e, ricevuto mediante un pugno o un bastone in legno un colpo al volto dal di lei figlio Ru., che aveva inteso difendere la madre, aveva respinto la reazione di questi, colpendolo con altri due fendenti.
1.2 Il ragionamento probatorio così riassunto ha incluso anche la specifica considerazione della possibilità di riconoscere nell'agire dell'imputato la scriminante della legittima difesa, che è stata esclusa con un corredo di argomentazioni concrete, efficaci e non contraddittorie.
1.2.1 La Corte distrettuale, infatti, ha affermato che il ferimento delle due vittime si era verificato in un contesto di reciproca sfida e non già, secondo quanto preteso dalla difesa, a fronte della necessità di respingere l'assalto portato da tergo da tre-quattro persone a mani nude e con un bastone, il cui colpo aveva attinto il P. al capo e gli aveva imposto la necessità di respingere ulteriori gesti lesivi. Al riguardo ha osservato che della comparsa di un bastone sulla scena del delitto ha riferito la teste F., secondo la quale verso l'abitazione del P. sarebbero saliti per primi i due ragazzi Ro. con due bastoni e poi la loro madre con la figlia No., ma ha ritenuto, come già affermato dal Tribunale, di non poter assegnare credito a tali informazioni, in quanto la teste, persona malata, che aveva reso una descrizione confusa e contraddittoria ed era stata inizialmente reticente, aveva descritto una circostanza smentita da Ro.No. e dal vicino G.M., persona del tutto estranea alla lite. Secondo costoro, soltanto in un secondo momento e comunque dopo l'accoltellamento, Ro.Ni. si era portato sul pianerottolo antistante l'abitazione del P. armato di un bastone da ombrellone, che aveva scagliato all'indirizzo dell'imputato, già colpito in precedenza, senza però averlo raggiunto.
1.2.2 La sentenza prospetta poi un'attenta considerazione critica delle affermazioni difensive, che ritiene, in parte del tutto inverosimili, in parte smentite da elementi oggettivi non contestabili. Rileva in primo luogo che alcun dato conoscitivo avvalora l'ipotesi che il violento alterco tra i protagonisti si sia verificato all'interno dell'abitazione del P., circostanza contraddetta dal fatto che le tracce di sangue rinvenute erano collocate sul pianerottolo esterno, mentre quelle presenti all'interno dell'alloggio erano state prodotte nel transito di quanti vi avevano fatto ingresso dopo il fatto. E' logica poi l'obiezione espressa dalla Corte di appello, secondo la quale, se le parti lese avessero effettivamente aggredito per prime il P. dentro la sua casa, non avrebbero avuto alcun motivo di trascinarlo fuori sul ballatoio per colpirlo col rischio di essere viste da altri condomini, che avrebbero potuto renderne testimonianza, mentre più agevolmente avrebbero concluso l'azione ove l'avevano iniziata. Si tratta di rilievo al quale il ricorso non oppone alcuna considerazione confutativa e mantiene la sua coerenza con il quadro valutativo espresso in sentenza.
Altro dato dissonante con la tesi difensiva, esposto dai giudici di appello, riguarda il fatto che il P. era stato colpito alla testa mentre si era trovato di fronte a chi lo aveva percosso tanto da aver riportato il trauma all'occhio refertato, il che smentisce un'aggressione portata da tergo contro la sua persona.
E' stato poi ritenuto del tutto inverosimile, oltre che non dimostrato nel caso specifico, che egli, dopo avere litigato verbalmente con i vicini impegnati nel barbecue ed avere gettato una secchiata d'acqua sul loro fornello, cosa che lasciava presagire una reazione, peraltro preannunciata da Ro.Ru., il quale, per ammissione del P. riportata nella sentenza di primo grado, gli aveva detto "adesso vengo su e ti rompo il culo", a distanza di quindici minuti da tali eventi, avendo sentito suonare il campanello non esterno, ma quello in prossimità della porta e bussare, avesse aperto senza guardare chi stesse entrando e gli avesse dato lo spalle per proseguire nelle proprie occupazioni, convinto si trattasse della moglie e della figlia. La plausibilità di siffatto comportamento, nella concorde valutazione dei giudici di merito, è stata smentita dalla prossimità temporale tra la lite verbale precedente e l'accesso dei visitatori al suo appartamento, dal compimento di un gesto provocatorio come il lancio dell'acqua e dalle grida provenienti dalla R. nel salire le scale, poichè adirata, agitata e molto ubriaca. Di tale circostanza hanno offerto testimonianza, sia la figlia No., che perciò aveva allertato i Carabinieri ed il proprio padre, sia la F., che il vicino G., il quale ha riferito di strepiti provenienti dalle scale, avvertiti prima ancora di uscire di casa e di sincerarsi di quanto accaduto.
Non giova dunque alla difesa richiamare, peraltro in modo irrituale perchè la citazione per sintesi non è accompagnata dal testo letterale e completo della deposizione, quanto riferito da Ro.Ru. sul fatto di avere atteso in silenzio che il P. aprisse la porta dopo avere suonato il campanello e bussato, poichè di per sè tale dichiarazione non nega le urla precedenti della madre ed il trambusto percepito dai testi sopra citati e quindi anche la possibilità per l'imputato di comprendere chi avrebbe incontrato una volta aperta la porta.
Infine, non è censurabile sul piano logico il rilievo della inverosimiglianza della condotta riferita dall'imputato; per quanto moglie e figlia abbiano confermato l'abitudine di questi di aprire loro la porta di casa e di allontanarsene senza controllare il loro ingresso, la valutazione compiuta dalla Corte di merito si alimenta degli eventi di poco antecedenti e del complessivo contesto fattuale come sopra ricostruito, che ha ritenuto aver consentito al P. di comprendere chi stesse suonando e le ragioni della presenza di tali soggetti, affrontati poi immediatamente con un coltello con il chiaro intento di punire nel modo più severo e definitivo colei che aveva suscitato i contrasti pregressi, ma che era del tutto inoffensiva perchè non armata, nemmeno del preteso bastone. Alla stimata inverosimiglianza del comportamento descritto dal solo imputato ha aggiunto anche ulteriore osservazione, secondo la quale, se egli avesse effettivamente perso lucidità nel corso dell'aggressione subita e non avesse potuto ricordare quanto accaduto, non avrebbe potuto nemmeno compiere le successive azioni, rivelatrici di un atteggiamento consapevole, congruo ed orientato, consistito nel ripulire la casa dal sangue portato all'interno e nel lavare gli abiti imbrattati.
1.2.3 In definitiva, ritiene il Collegio che l'esclusione della legittima difesa sia frutto di un ragionamento valutativo coerente con i dati probatori, articolatosi nel confronto tra le relative emergenze e le obiezioni difensive, approdato al loro rigetto secondo uno sviluppo argomentativo che non presenta fratture logiche, lacune, nè contraddizioni e quindi non merita censure.
2. A fronte di un percorso argomentativo che non ha tralasciato alcun dato valutabile e ha esaminato con compiutezza e coerenza le obiezioni difensive, quelle riproposte col ricorso non hanno alcun pregio in sè ed in ogni caso non contrastano efficacemente i rilievi dei giudici di appello circa l'evoluzione esecutiva dell'episodio e l'intenzionalità dei colpi reiterati con energia e determinazione. Inoltre, il giudizio espresso nella sentenza rispetta fedelmente i criteri interpretativi dettati da questa Corte, laddove si è affermato che il riconoscimento della causa di giustificazione della legittima difesa richiede requisiti che devono essere oggetto di rigorosa dimostrazione e che sono costituiti da "un'aggressione ingiusta e da una reazione legittima; mentre la prima deve concretarsi in un pericolo attuale di un'offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione del diritto, la seconda deve inerire alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo ed alla proporzione tra difesa ed offesa" (Cass. sez. 4, n. 16908 del 12/02/2004, Lopez, rv. 228045; sez. 4, n. 32282 del 4/7/2006, De Rosa ed altri, rv. 235181; sez. 5, n. 25653 del 14/5/2011, Diop ed altri, rv. 240447; sez. 1, n. 47117 del 26/11/2009, Carta, rv. 245884). Inoltre, si è affermato che "L'esimente della legittima difesa non è applicabile allorchè il soggetto non agisce nella convinzione, sia pure erronea, di dover reagire a solo scopo difensivo, ma per risentimento o ritorsione contro chi ritenga essere portatore di una qualsiasi offesa" (Cass. sez. 1, n. 3200 del 18/02/2000, Fondi, rv. 215513), orientamento che si adatta perfettamente al caso in esame e che induce a respingere la tesi difensiva riproposta col ricorso.
Per le considerazioni esposte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2017