Mandato d’arresto europeo: niente rifiuto se il reato non risulta commesso interamente in Italia (Cass. Pen. n. 31298/25)
- Avvocato Del Giudice
- 5 ott
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La massima
La Sesta Sezione, in tema di mandato d’arresto europeo, ha affermato che il rifiuto facoltativo di consegna previsto dall’art. 18-bis, comma 1, lett. a), L. n. 69/2005 presuppone che la commissione del reato in Italia risulti con certezza e non solo in via ipotetica. In mancanza di un procedimento penale pendente nello Stato richiesto per gli stessi fatti, la consegna deve essere disposta, non potendo la Corte di appello sindacare la proporzionalità o le ragioni dell’emissione del mandato da parte dello Stato membro di origine.
La sentenza integrale
Cassazione penale sez. VI, 17/09/2025, (ud. 17/09/2025, dep. 18/09/2025), n.31298
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Venezia disponeva la consegna alle autorità giudiziarie austriache di Ma.Ro. ai fini del suo perseguimento per reati di truffa.
2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'interessato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione all'art. 18-bis, comma 1, lett. a) L. n. 69 del 2005; violazione dell'art. 640 cod. pen.; principio di territorialità.
La difesa ha contestato all'udienza davanti alla Corte di appello che i fatti posti alla base del m.a.e. costituiscano reato in Italia, trattandosi al più di inadempimenti contrattuali.
La diversa conclusione a cui è pervenuta la Corte di appello è errata in quanto il ricorrente non mai celato di non disporre della merce offerta in vendita.
Nel primo episodio, il pagamento della merce è avvenuto oltre i termini perentori per evadere l'ordine (e quindi in un momento in cui la merce non era più disponibile) e il mancato rimborso è dipeso da sopravvenute difficoltà economiche; nel secondo caso, era stato solo versato un acconto, nonostante il diverso accordo intervenuto tra le parti, e la mancata consegna e restituzione sono dipesi da criticità di natura commerciali o non ad un disegno fraudolento.
In ogni caso le condotte si sono svolte integralmente in Italia.
La Corte di appello ha rigettato la tesi difensiva ritenendo il dato indimostrato, considerato che le condotte erano state commesse con sistemi informatici e che la società di cui il ricorrente era legale rappresentante aveva sede in A; ha rilevato che in ogni caso non vi era motivo per rifiutare la consegna, non risultando in Italia pendente un procedimento penale per gli stessi fatti.
Si tratta di argomenti errati, non risultando rilevante la sede legale della società, a fronte sia di contatti, pagamenti e comunicazioni che hanno coinvolto l'Italia sia della mancata presenza del ricorrente in A.
Inoltre, la facoltà di rifiuto va valutata caso per caso: nella specie doveva essere considerata la integrale consumazione dei fatti in Italia.
2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 2 L. n. 69 del 2005, 6 e 7 CEDU; abuso dello strumento del mandato di arresto europeo.
La Corte di appello ha disatteso, violando l'art. 2 L. n. 69 del 2005, la censura difensiva che denunciava le modalità di emissione del mandato di arresto europeo: dalla tempistica della procedura di emissione si evince come la richiesta di consegna sia stata una reazione impropria e punitiva alla scelta dei ricorrente di non rispondere all'interrogatorio svoltosi il 3 luglio 2025 per delega delle autorità giudiziarie austriache.
Non è infatti dirimente che, nell'emettere il m.a.e. le autorità austriache abbiano esercitato una loro prerogativa, in quanto tale potere deve comunque non essere lesivo dei diritti fondamentali dell'imputato, garantiti dall'ordinamento italiano e dalla CEDU.
2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 275, comma 2-bis cod. proc. pen. e 9, comma 5, L. n. 69 del 2005; principio di proporzionalità delle misure cautelari.
Nel procedimento del mandato di arresto europeo trovano applicazione le norme interne in materia cautelare e quindi anche il principio di proporzionalità.
Il reato di truffa è punito in A con una pena massima di tre anni di reclusione, pena che in Italia non consentirebbe l'emissione della misura cautelare.
La Corte di appello erroneamente ha ritenuto sufficiente la soglia di pena di 12 mesi di reclusione, non considerando l'art. 275, comma 2-bis cod. proc. pen. e la proporzione tra il procedimento di consegna e la limitata gravità dei fatti posti alla base del m.a.e. e l'assenza di ragioni cautelari.
2.4. Violazione di legge in relazione agli artt. 6 e 16 L. n. 69 del 2005; carenza descrittiva e motivazionale del mandato di arresto europeo.
Il mandato di arresto europeo non ha rispettato le prescrizioni imposte dall'art. 6 cit.: la descrizione dei fatti è lacunosa ed estremamente generica con riferimento ai dati spazio-temporali, agli artifici e raggiri, all'ingiusto profitto conseguito, al danno concretamente patito.
La Corte di appello avrebbe dovuto attivare il meccanismo integrativo di cui all'art. 16 della stessa legge.
2.5. Violazione di legge in relazione agli artt. 24 e 26 L. n. 69 del 2005; principio di specialità e tutela della giurisdizione nazionale.
Il ricorrente è sottoposto in Italia ad indagini preliminari per bancarotta: la sua consegna comporterebbe la sospensione del procedimento e, per il principio di specialità, la compressione della sovranità giurisdizionale italiana per un fatto di particolare gravità.
La Corte di appello avrebbe dovuto far ricorso al rinvio della consegna ex art. 24 L. n. 69 del 2005 o coordinarsi con le autorità austriache.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.
2. Va premesso che l'art. 22 della legge 22 aprile 2005, n. 69, come modificato dall'art. 18 del D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, non ammette avverso la sentenza resa dalla corte di appello sulla richiesta di consegna il ricorso per cassazione per vizi di motivazione (Sez. 6, n. 41074 del 10/11/2021, Huzu, Rv. 282260 - 01).
Pertanto, sono inammissibili tutte quelle censure avanzate nel ricorso in esame che si risolvono in vizi della motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.
3. Il primo motivo è manifestamente infondato e articola censure non consentite.
3.1. La truffa rientra tra le fattispecie di consegna obbligatoria ex art. 8 L. n. 69 del 2005 e ad essa hanno fatto riferimento le autorità di emissione nel compilare l'apposita sezione del modulo del m.a.e. (cfr. pag. 10).
È la stessa difesa tra l'altro a confermare che la pena prevista per tale reato in A rientra nella soglia che consente la deroga alla doppia incriminabilità.
In ogni caso, la tesi difensiva volta a contestare che si versi in un caso di truffa secondo la legge italiana mira ad introdurre una ricostruzione fattuale diversa da quella indicata nel m.a.e., che il ricorrente potrà far valere davanti alle autorità giudiziarie austriache.
L'interrogatorio svolto prima dell'emissione del m.a.e. era proprio finalizzato a consentire alla difesa di offrire una ricostruzione alternativa prima dell'emissione del titolo cautelare.
3.2. Quanto al rifiuto facoltativo ex art. 18-bis, comma 1, lett. a) L. n. 69 del 2005, la risposta della Corte di appello è corretta là dove esclude sulla base delle informazioni contenute nel m.a.e. che il reato sia stato commesso integralmente in Italia.
È infatti principio pacifico che il rifiuto della consegna collegato al "locus commissi delicti" esige che tale luogo risulti con certezza, non potendosi ritenere sufficiente la mera ipotesi che il reato sia stato commesso in tutto od in parte nel territorio dello Stato (Sez. 6, n. 27825 del 30/06/2015, Rv. 264055 - 01).
In ogni caso, la Corte di appello, pur a fronte di un reato commesso in parte in Italia, ha giustificato il rifiuto con la circostanza che non risultava pendente in Italia un procedimento per gli stessi fatti, così facendo corretta applicazione del costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, già formatosi con riferimento alla formulazione previgente che prevedeva una ipotesi di rifiuto obbligatorio, secondo cui va valutato non un potenziale interesse dell'ordinamento interno ad affermare la giurisdizione, ma una situazione oggettiva, dimostrata dalla presenza di indagini sul fatto oggetto del mandato di arresto, sintomatica dell'effettiva volontà della Stato di affermare la propria giurisdizione (Sez. 6, n. 27992 del 13/06/2018, Rv. 273544 – 01).
4. Il terzo motivo è generico.
La mera tempistica del procedimento austriaco non consente di ritenere la emissione del m.a.e. abusiva e in violazione dei diritti fondamentali, posto che anche l'art. 291 cod. proc. pen. prevede nel procedimento applicativo delle misure cautelari il previo interrogatorio.
5. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Il ricorrente confonde la disciplina prevista per l'emissione delle misure cautelari ai fini di consegna (art. 9 L. n. 69 del 2005) con le caratteristiche del mandato di arresto europeo, che, come ricorda l'art. 1 L. n. 69 del 2005 È una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro dell'Unione europea "al fine dell'esercizio di azioni giudiziarie in materia penale o dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale".
Nell'ambito di tale finalità, è principio pacifico che lo Stato di esecuzione non possa valutare le ragioni che hanno determinato l'emissione del mandato di arresto (Sez. 6, n. 45525 del 20/12/2010, Rv. 248970 – 01), avendo gli Stati membri affidato la valutazione della proporzionalità della scelta delle autorità emittenti a criteri "quantitativi" (la cornice edittale prevista per il reato; la pena da scontare).
6. Il quinto motivo è inammissibile sotto plurimi profili.
Va premesso che le informazioni di cui alle lettere d) ed e) del primo comma dell'art. 6 L. n. 69 del 2005 sono funzionali alle verifiche di cui agli artt. 7 e 8 della stessa legge.
Ai fini dell'art. 8 (consegna obbligatoria) sono rilevanti soltanto la qualificazione del fatto come truffa nello Stato di emissione e la relativa cornice edittale (aspetti non contestati dal ricorrente).
In ogni caso, la prospettazione difensiva è manifestamente priva di fondamento anche con riferimento al controllo della doppia incriminabilità di cui all'art. 7 cit. La Corte di appello ha infatti dato atto degli elementi descrittivi contenuti nel m.a.e. che consentivano di poter qualificare il fatto nella fattispecie della truffa secondo la legge penale italiana (sia con riferimento ai raggiri, che al profitto e al danno), non essendo più richiesta la verifica della tenuta indiziaria indiziaria della ipotesi di reato.
Risulta dalla sentenza impugnata che la difesa aveva soltanto sostenuto che la mancata consegna della merce venisse a costituire un inadempimento civile, non allegando, a sostegno, circostanze tratte dal procedimento austriaco.
Quindi la censura versata in questa sede appare anche meramente esplorativa, quanto al ricorso alla procedura prevista dall'art. 16 L. n. 69 del 2005.
7. Il sesto motivo è manifestamente infondato.
Il ricorrente evoca erroneamente il principio di specialità, che regola invece le conseguenze della consegna sui procedimenti penali nello Stato di emissione e non certo in quello di esecuzione.
Quanto al rinvio della consegna, è pacifico nella giurisprudenza di legittimità che la facoltà riconosciuta alla Corte di appello di rinviare la consegna per consentire alla persona richiesta di essere sottoposta a procedimento penale in Italia per un reato diverso da quello oggetto del predetto mandato implica una valutazione di tipo discrezionale, basata sui criteri desumibili dall'art. 20 della L. n. 69 cit., del cui mancato esercizio il consegnando non può dolersi, a meno che egli non l'abbia espressamente sollecitato, adducendo al riguardo uno specifico interesse (Sez. 6, n. 35181 del 28/09/2010, Mallucci, Rv. 248006; da ultimo tra tante, Sez. 6, n. 19696 del 23/05/2025, Takacs, Rv. 288100 - 01).
La difesa non indica un interesse del ricorrente al rinvio ed in ogni caso l'interesse di difendersi nell'ambito dei processi a suo carico in Italia non è menomato dalla decisione di consegna, in quanto il suo coattivo trasferimento all'estero costituisce causa di legittimo impedimento alla prosecuzione dei processi, e, in ogni caso, non gli impedisce di impugnare le sentenze di primo grado, eventualmente emesse, mentre il relativo giudizio di appello non verrebbe in ogni caso celebrato in sua assenza, stante il legittimo impedimento, costituito dallo stato di detenzione dell'imputato all'estero (tra le tante, Sez. 4, n. 47497 del 03/11/2011, Gasi, Rv. 251740).
6. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, L. n. 69 del 2005.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2025.
Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2025.