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È aggravata dalla finalità mafiosa la “mesata” al coniuge del detenuto se rinsalda il vincolo associativo (Cass. Pen. n. 13121/2025)

Con la sentenza n. 13121/2025, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli, che aveva confermato la misura degli arresti domiciliari nei confronti di A., indagata per ricettazione aggravata dalla finalità di agevolare un’associazione mafiosa.

La pronuncia ribadisce che l’erogazione della cosiddetta “mesata” ai familiari degli affiliati detenuti integra una condotta penalmente rilevante, in quanto rafforza la solidarietà interna al sodalizio e contribuisce al perseguimento degli scopi illeciti del clan.


Il fatto

A. era sottoposta agli arresti domiciliari con l’accusa di ricettazione aggravata ex art. 648 c.p. e art. 416-bis.1 c.p., per aver ricevuto somme di denaro (circa 2.000 euro) riconducibili a fondi del clan del marito detenuto.

Il difensore aveva impugnato l’ordinanza del Tribunale del Riesame sostenendo che:

  • la somma era modesta e insufficiente a rappresentare una condotta di sostegno al sodalizio mafioso;

  • non vi erano elementi per ritenere sussistente la finalità di agevolazione mafiosa, in quanto il denaro era destinato a esigenze personali;

  • si era finito per attribuire alla ricorrente un ruolo apicale nella gestione economica del clan, in assenza di elementi oggettivi sufficienti;

  • l’importo in questione era già oggetto di un diverso procedimento penale, per intestazione fittizia di beni.


La decisione della Corte

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, ribadendo un principio costante in giurisprudenza:

“Integra la ricettazione aggravata dalla finalità mafiosa la percezione di somme da parte dei congiunti di affiliati detenuti, quando tale condotta contribuisce a rinsaldare il vincolo associativo, garantendo la tenuta del sodalizio anche in fase repressiva” (Cass. Pen., Sez. VI, n. 19362/2020).

In particolare, la Corte ha evidenziato che:

  • A. era consapevole della provenienza del denaro e gestiva direttamente la cassa del clan, individuando soggetti di fiducia per la riscossione e determinando gli importi da destinare al sostegno dei liberi e dei detenuti;

  • la finalità agevolativa emergeva da plurimi elementi fattuali, valorizzati con motivazione congrua e logica dal Tribunale del Riesame;

  • la doglianza sulla duplicazione delle contestazioni (ricettazione e intestazione fittizia) doveva essere proposta nel merito e non può essere sollevata per la prima volta in Cassazione.

Ritenendo manifestamente infondato il ricorso, la Corte ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e a una sanzione pecuniaria di € 3.000 in favore della Cassa delle ammende.


Il principio di diritto

La percezione di somme da parte dei familiari di affiliati detenuti, quando avviene con consapevolezza della provenienza delittuosa e nell’ambito di un’organizzazione mafiosa, configura il delitto di ricettazione aggravata dalla finalità di agevolare il sodalizio, poiché contribuisce al rafforzamento del vincolo associativo e alla continuità del gruppo criminale.

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