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Ne bis in idem e bancarotta fraudolenta: la Corte chiarisce i confini della doppia punibilità (Cass. Pen. n. 7054/2025)



La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. V Penale, n. 7054 del 5 febbraio 2025, affronta il tema dell’applicazione del principio ne bis in idem in relazione alla bancarotta fraudolenta documentale e ai reati fiscali.


Il Caso: il ricorso per violazione del ne bis in idem

L’imputato, Po.St., era stato condannato dalla Corte d’Appello di Milano per bancarotta fraudolenta documentale con una riduzione della pena a tre anni di reclusione.

La difesa ha impugnato la sentenza sostenendo che la condanna violasse il divieto di bis in idem, poiché il ricorrente era già stato giudicato e condannato per il reato di occultamento e distruzione di documenti contabili ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. 74/2000 in un procedimento diverso.

Secondo la difesa, trattandosi della stessa condotta naturalistica – la sottrazione delle scritture contabili – il nuovo processo per bancarotta fraudolenta documentale avrebbe costituito una reiterazione del giudizio sul medesimo fatto, violando l’art. 649 c.p.p.


Il principio di diritto: differenza tra reati fiscali e bancarotta fraudolenta

La Cassazione ha rigettato il ricorso, chiarendo che:

  • Il principio del ne bis in idem si applica solo in presenza dello stesso fatto storico – Il criterio per valutare la violazione di tale principio è l’idem factum, ossia l’identità del fatto storico, e non la mera somiglianza tra le fattispecie astratte.

  • Diversità dei beni giuridici tutelati – Il reato di occultamento e distruzione di documenti contabili previsto dal D.Lgs. 74/2000 tutela l’interesse dell’erario alla trasparenza fiscale, mentre la bancarotta fraudolenta documentale è finalizzata alla tutela degli interessi dei creditori nell’ambito della procedura fallimentare.

  • Diversità delle condotte e degli eventi lesivi – La Cassazione ha evidenziato che l’occultamento delle scritture contabili, ai fini della frode fiscale, è un fatto distinto dalla loro sottrazione o mancata presentazione nel contesto della procedura fallimentare. Quest’ultima ha lo scopo di ostacolare la ricostruzione del patrimonio societario e compromettere i diritti dei creditori.

  • La dichiarazione di fallimento rappresenta un elemento giuridicamente rilevante – La sentenza di fallimento costituisce un fatto storico nuovo, che segna il momento in cui le scritture contabili diventano necessarie per la procedura concorsuale. Ciò rende la sottrazione documentale avvenuta in questo contesto un reato distinto rispetto alla precedente condotta fiscale.


Le implicazioni

Questa pronuncia della Cassazione offre un importante chiarimento sui limiti dell’applicabilità del principio del ne bis in idem nel diritto penale, specificando che la distinzione tra reati fiscali e fallimentari non si basa solo sulla normativa di riferimento, ma soprattutto sulla diversa collocazione temporale, sugli effetti concreti delle condotte e sugli interessi giuridici lesi.


Gli imputati e i loro difensori dovranno quindi valutare con attenzione la possibilità di eccepire una violazione del bis in idem, verificando che le condotte contestate non presentino elementi di differenziazione tali da giustificare un nuovo giudizio.


La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 20.9.2024, la Corte di Appello di Milano, all'esito di trattazione orale, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, che aveva dichiarato Po.St. colpevole del reato di bancarotta fraudolenta documentale (di cui al capo 1), ha rideterminato la pena al predetto inflitta, riducendola ad anni tre di reclusione.


2. Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione il Po.St., tramite il difensore di fiducia, deducendo, con l'unico motivo articolato, la violazione dell'art. 649 del codice di rito in ordine alla ritenuta non ricorrenza, nel caso di specie, dell'ipotesi del cd. "bis in idem", per essere stato l'imputato già giudicato in relazione al reato di cui all'art. 10 del D.Lgs. 74/2000 con sentenza emessa dal Tribunale di Bergamo n. 1074/2022. Si assume che non rileva ciò che la Corte territoriale ha valorizzato, ovvero la possibilità di concorso formale tra i reati, quanto piuttosto la possibilità che si eserciti nuova azione penale in differente procedimento per la medesima condotta naturalistica nel caso in cui, come nella specie, sia già intervenuta per tale condotta una pronuncia di condanna passata in giudicato.


3. Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato - ai sensi dell'art. 611 come modificato dal D.Lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni - senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.

2. È vero, come si afferma nella premessa del ricorso, che è il fatto storico a rilevare ai fini della valutazione di cui all'art. 649 cod. proc. pen. - come si evince chiaramente anche dal dictum della sentenza della Corte Costituzionale n. 200 del 31/5/2016 su cui si tornerà infra - e che, pertanto, il profilo del concorso formale, anche in caso di specialità reciproca - pacificamente riconosciuta, dalla giurisprudenza di questa Corte, in relazione al reato di cui all'art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000 e a quello di bancarotta fraudolenta documentale - non esaurisce il tema del 'bis in idem', dovendosi verificare, in concreto, cosa sia stato effettivamente devoluto nei giudizi in comparazione e sia quindi giunto al vaglio dei rispettivi giudici come 'fatto' da accertare.

Tuttavia, la Corte di appello nella sentenza impugnata, pur avendo in premessa fatto riferimento alla giurisprudenza di questa Corte in tema di concorso formale tra i reati in argomento (citando Sez. 3, n. 24255 del 14/02/2024, Rv. 286557 - 01, secondo cui è configurabile il concorso tra il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, legge fall. e quello di occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dall'art. 10 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che sono, tra loro, in rapporto di specialità reciproca, in ragione della diversità dell'oggetto materiale, del soggetto attivo, dell'oggetto del dolo specifico e dell'effetto lesivo delle condotte di reato), ha poi valutato il fatto giunto alla sua attenzione confrontandolo con quello già giudicato con la sentenza passata in giudicato.

Ed è sulla base di tale comparazione, in fatto, che la Corte di merito ha concluso che "(n)ella vicenda concreta, le condotte realizzate nell'ambito dei suddetti procedimenti, così come gli eventi che ad esse ne sono conseguiti, appaiono del tutto diversi dalla condotta e dall'evento contestati nell'odierno processo. È evidente, invero, che la materiale sottrazione o occultamento delle scritture contabili che integrano la bancarotta documentale non si identificano in alcun modo con le complesse operazioni fiscali oggetto dei procedimenti sopra citati, che identificano anche condotte immateriali. Allo stesso modo, non vi è identità nemmeno rispetto all'evento di danno conseguente a tali operazioni, considerato il diverso bene giuridico tutelato - in un caso l'interesse dell'erario alla percezione dei tributi, nell'altro il soddisfacimento di tutti i creditori della fallita - e il diverso soggetto concretamente leso, l'erario da un lato, i creditori dall'altro". Indi, conclude la Corte di merito che "(n)on sussiste pertanto l'idem factum secondo il significato attribuito a tale concetto dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, non configurandosi, in ultima analisi, alcun illegittimo bis in idem".

Tale impostazione della Corte di appello è corretta, mentre errata è quella della difesa che, pur avendo reclamato la necessità di fare riferimento al fatto e non al reato, ha poi del tutto omesso di confrontarsi con quanto osservato nella sentenza impugnata in ordine alla diversità dei fatti giudicati nei procedimenti in questione, invocando quanto statuito nella pronuncia 22486/22, su si tornerà infra.


3. Va, innanzitutto, chiarito che il principio del 'ne bis in idem' sostanziale ed il principio del 'ne bis in idem' processuale hanno confini ed ambiti applicativi (almeno parzialmente) diversi il 'bis in idem' sostanziale, infatti, concerne le ipotesi di qualificazione normativa multipla di un medesimo fatto e, mediante il criterio regolativo della specialità (artt. 15 e 84 cod. pen.), fonda la disciplina del concorso apparente di norme, vietando che uno stesso fatto sia accollato giuridicamente due volte alla stessa persona; il 'bis in idem' processuale, invece, concerne non già il rapporto astratto tra norme penali, bensì il rapporto - concreto - tra il fatto ed il giudizio, vietando l'esercizio di una nuova azione penale dopo la formazione del giudicato (Sez. 7, Ordinanza n. 42994 del 20/10/2021, Rv. 282187; conf. sez. 5 n. 1363 del 25/10/2021, dep. 2022).


Con la sentenza n. 200 del 21/07/2016, la Corte costituzionale - che ha dichiarato illegittimo l'art. 649 cod. proc. pen. nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale - ha ridefinito il principio del 'ne bis in idem' processuale, recependo, sul piano ermeneutico, l'opzione della Corte EDU, in ciò affermando il criterio dell'idem factum, e non dell'idem legale, ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio.


L'affrancamento dall'inquadramento giuridico (non, però, dai criteri normativi di individuazione) del fatto (Corte Cost., n. 200 del 2016, par. 4), cioè dall'idem legale, ha comportato la riaffermazione della "dimensione esclusivamente processuale" del divieto di bis in idem, che "preclude non il simultaneus processus per distinti reati commessi con il medesimo fatto, ma una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia già stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo" (per un'approfondita diamina dell'argomento cfr. Sez. 5, n. 15630 del 13/01/2022, Rv. 282992 - 01). In definitiva, secondo la Corte costituzionale l'adesione ad una concezione storico-naturalistica del fatto (l'idem factum), ai fini della perimetrazione del divieto di 'bis in idem' di cui all'art. 649 cod. proc. pen., implica l'ininfluenza della ricorrenza del concorso formale tra i reati oggetto della res iudicata e della res iudicanda (Corte Cost., n. 200 del 2016, par. 12). E ciò a rigore anche in caso di concorso formale di reati a specialità reciproca, perché teoricamente anche in tal caso il fatto naturalistico confluito nei diversi procedimenti potrebbe coincidere, essere perfettamente identico per essersi, per ipotesi, ad esempio, trascurato di contestare e far emergere gli elementi differenziali. Tale remota eventualità, serve unicamente per sottolineare che occorre fare comunque riferimento al fatto e non al reato.


Si potrebbe piuttosto porre il problema della sorte della condanna per il reato già giudicato allorquando non si versa nel caso di concorso formale per specialità reciproca ma di concorso tra reati la cui specialità dell'uno determina l'assorbimento dell'altro. Tale tema, tuttavia, esula dalla presente disamina che ha ad oggetto, come detto, reati per i quali ricorre la specialità reciproca.


4. Il Giudice delle leggi ha, altresì, osservato che deve escludersi che l'art. 4 del protocollo n. 7 CEDU - secondo cui "nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato" - abbia un contenuto più ampio di quello dell'art. 649 cod. pen., per il quale "l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto". La giurisprudenza della Corte EDU, ha precisato la Corte Costituzionale, porta solo ad affermare che - per i giudici di Strasburgo - la medesimezza del fatto va apprezzata alla luce delle circostanze fattuali concrete, indissolubilmente legate nel tempo e nello spazio, col ripudio di ogni riferimento alla qualificazione giuridica della fattispecie. Fatto, in questa prospettiva, è l'accadimento materiale, certamente affrancato dal giogo dell'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi.


La Corte costituzionale ha tuttavia precisato che non vi è alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa, secondo il giudizio della Corte EDU, all'azione o all'omissione, e non comprenda, invece, anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione, l'evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell'agente.


Anche il contesto normativo - ha proseguito la Corte Costituzionale - in cui si colloca l'art. 4 del Protocollo CEDU non depone per una lettura restrittiva dell'idem factum, da condurre attraverso l'esame della sola condotta. Anzi, ha aggiunto la Corte Costituzionale, la lettura delle varie norme della Convenzione (tra cui proprio l'art. 4 del Protocollo 7, che permette la riapertura del processo penale se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni sono in grado di mettere in discussione una sentenza già passata in giudicato) rende palese che, allo stato, il testo convenzionale impone agli Stati membri di applicare il divieto di 'bis in idem' in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest'ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell'agente.


Al contrario, ha concluso la Corte Costituzionale, sono costituzionalmente corretti gli approdi della giurisprudenza di legittimità, per la quale l'identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Cass., SU, n. 34655 del 28/6/2005, Rv. 231799); tanto a condizione che, nell'applicazione pratica, tutti gli elementi del reato siano assunti nella loro dimensione empirica, sicché anche l'evento non potrà avere mera rilevanza in termini giuridici, ma assumerà significato soltanto quale modificazione della realtà materiale conseguente all'azione o all'omissione dell'agente. In questo modo è assicurato il massimo dispiegarsi della funzione di garanzia sottesa all'art. 649 cod. proc. pen. - senza compromissione di altri principi di rilievo costituzionale - e si evita che la valutazione comparativa - cui è chiamato il giudice investito del secondo giudizio - sia influenzata dalle sempre opinabili considerazioni di tipo strettamente giuridico ancorate alla natura dell'interesse tutelato dalle norme incriminatrici, ai beni giuridici offesi, alla natura giuridica dell'evento, al ruolo che ha un medesimo elemento all'interno delle fattispecie, alle implicazioni penalistiche del fatto e a quant'altro concerne i singoli reati; considerazioni di tipo giuridico che, in quanto, appunto, astratte, investendo il profilo normativo e non quello fattuale del caso concreto, finirebbero col tradire la ratio del divieto del bis in idem che mira ad inibire che si possa essere giudicati per il medesimo fatto, e non riduttivamente per il medesimo reato, indipendentemente, cioè, dalla sua qualificazione giuridica.


Sicché, con riferimento al caso del concorso formale ha coerentemente affermato la Corte Costituzionale che "(i)n definitiva l'esistenza o no di un concorso formale tra i reati oggetto della res iudicata e della res iudicanda è un fattore ininfluente ai fini dell'applicazione dell'art. 649 cod. proc. pen., una volta che questa disposizione sia stata ricondotta a conformità costituzionale, e l'ininfluenza gioca in entrambe le direzioni, perché è permesso, ma non è prescritto al giudice di escludere la medesimezza del fatto, ove i reati siano stati eseguiti in concorso formale. Ai fini della decisione sull'applicabilità del divieto di bis in idem rileva infatti solo il giudizio sul fatto storico".


5. Nel caso in esame è proprio sulla base del giudizio sul fatto storico che la Corte di appello ha concluso per la insussistenza del 'bis in idem'.


Essa, di là della corretta affermazione dell' esistenza di un rapporto di specialità reciproca tra i due reati in argomento - che tendenzialmente si traduce in fattispecie concrete differenziabili anche sul piano fattuale - non fermandosi a tale premessa, ha proceduto, come doveva, a comparare in concreto i fatti refluiti nei diversi procedimenti, giungendo alla conclusione indicata (per l'esclusione del bis in idem con riferimento alle fattispecie in argomento, si è peraltro già pronunciata questa Corte con la risalente pronuncia Sez. 5, Sentenza n. 16360 del 01/03/2011, Rv. 250175 - 01, che si è tuttavia limitata ad esaminare la questione attraverso la comparazione delle fattispecie astratte, concludendo sulla sola base della specialità reciproca esistente tra le due fattispecie).


È solo il caso di aggiungere che oltre agli elementi, fattuali, differenziali individuati nella sentenza impugnata (condotte, rispettivi eventi, elemento soggettivo e soggetti lesi) vi è quello, parimenti pregnante ai fini che occupano, della sentenza di fallimento, che, quale elemento costitutivo del reato di bancarotta, si risolve in un 'fatto' avente rilievo giuridico.


Ed invero, la condotta di occultamento-sottrazione dei libri e delle scritture contabili posta in essere in relazione alla procedura fallimentare, diversamente da quella, antecedente, finalizzata a non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume di affari nell'ottica di evadere le imposte, che gravita nell'ambito dell'evasione fiscale e dell'offesa all'erario, si connota proprio per il dato della sentenza di fallimento, rimasto estraneo all'altro procedimento.


Il momento qualificante e rilevante dell'occultamento/sottrazione delle scritture contabili nell'ambito dell'accertamento oggetto del presente procedimento è costituito dalla dichiarazione di fallimento, intervenuta successivamente ai fatti confluiti nell'altro procedimento (come si apprende anche dallo stesso atto di appello).


A fronte di tali eloquenti elementi differenziali, l'eventuale coincidenza dell'oggetto della sottrazione, costituito dalle scritture contabili, non è quindi un dato di per sé sufficiente per potersi parlare di medesimo fatto, che nel caso di specie si contraddistingue, come già evidenziato anche dalla Corte di appello, innanzitutto per la rinnovata sottrazione/mancata consegna delle scritture contabili in relazione e funzione della procedura fallimentare, ossia per essere in definitiva ulteriore e distinta la stessa condotta di reato.


6. In definitiva, mentre l'altro procedimento ha avuto ad oggetto l'accertamento, nell'ambito di una verifica fiscale, della sottrazione delle scritture contabili e dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari nell'ottica di evadere - o far evadere - le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ai danni dell'erario, nel presente procedimento il fatto devoluto ed accertato afferisce alla diversa condotta di sottrazione dei libri e delle scritture contabili in riferimento al diverso momento della intervenuta dichiarazione di fallimento, e della conseguente apertura della procedura fallimentare, nel cui ambito i libri, le scritture e i documenti contabili avrebbero dovuto confluire in considerazione degli obbiettivi e degli interessi propri di tale procedura (idonei a ripercuotersi anche sull'elemento soggettivo del recare pregiudizio ai creditori o di trarre ingiusto profitto dall'occultamento, e sullo stesso evento costituito dalla lesione o esposizione a pericolo degli interessi dei creditori).


È evidente, in conclusione, che il fatto della sottrazione delle scritture contabili, sia pure da parte del medesimo soggetto, odierno imputato, una volta intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento nel 2015 - rimasta estranea al precedente giudizio che ha avuto ad oggetto unicamente la sottrazione delle scritture contabili rispetto alla verifica fiscale del 2014 - si è arricchito di tale ulteriore dato storico - fattuale, giuridicamente rilevante secondo la legge penale fallimentare.


7. Nè potrebbe deporre in senso contrario la pronuncia di questa Corte, Sez. 5 22486 del 6.7.2020 (indicata in ricorso, erroneamente, come Sez. 5, 22486/22) le cui conclusioni - alla luce di tutto quanto sopra osservato - non sono condivise dal Collegio.


Ed invero, tale pronuncia parte dall'errato presupposto che "la Corte Costituzionale, poi, manipolando l'art. 649 cod. proc. pen., ha statuito, con la pronuncia sopra menzionata, che "il fatto" è il medesimo anche quando sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale" (laddove, come visto, non è così). E conclude che nel caso di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74/2000 e della bancarotta fraudolenta documentale ricorre il concorso formale e, passando alla valutazione in concreto, assume che tuttavia, nel caso sottoposto alla sua attenzione, si tratta di medesimo fatto sol perché l'occultamento ha avuto ad oggetto le stesse scritture contabili, gli stessi documenti, dimenticando che vi sono ben altri elementi fattuali differenziatori (l'elemento costitutivo del reato, i soggetti, l'elemento oggettivo e quello soggettivo, l'interesse tutelato), che peraltro la stessa pronuncia indica sia pure sul piano meramente astratto del concorso formale.


8. Si può dunque affermare che non sussiste la violazione del principio del "ne bis in idem" (art. 649 cod. proc. pen.), qualora alla condanna per illecito tributario di occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dall'art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000, faccia seguito la condanna per bancarotta fraudolenta documentale, stante la diversità delle fattispecie incriminatrici, richiedendo quella penale tributaria la impossibilità di ricostruire l'ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta; diversamente, l'azione fraudolenta sottesa dall'art. 216, n. 2 L.Fall. si concreta nella lesione degli interessi creditori, rapportata all'intero corredo documentale, risultando irrilevante l'obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell'ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale.


9. Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 5 febbraio 2025.


Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2025.

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