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Omicidio stradale in condizioni meteorologiche estreme: Va riconosciuta l'attenuante del comma 7.

Sentenze

Cassazione penale , sez. IV , 27/05/2021 , n. 24910

La Suprema Corte, con la sentenza in argomento, ha affermato che, in tema di omicidio stradale, la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all' art. 589- bis, comma 7, c.p. , che fa riferimento all'ipotesi in cui l'evento non sia esclusiva conseguenza dell'azione od omissione del colpevole, ricorre nel caso in cui sia stata accertata qualunque concorrente causa esterna, anche non costituita da condotta umana, al di fuori delle ipotesi di caso fortuito o forza maggiore. (Fattispecie relativa all'investimento di un pedone da parte del conducente di un'autovettura, in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che non aveva riconosciuto l'attenuante omettendo di valutare l'incidenza, sulla visibilità dello stato dei luoghi, della forte precipitazione in corso al momento del fatto).


Fatto

1. Con sentenza resa in data 17 giugno 2019, la Corte d'appello di Torino ha parzialmente riformato (limitatamente alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente, sostituita con quella della sospensione per 4 mesi) la condanna, nel resto confermata, emessa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale torinese nei confronti di G.P.A. in relazione al delitto di omicidio colposo stradale (art. 589-bis c.p.) contestato come commesso in Buttigliera Alta in danno di T.F., che decedeva il 25 novembre 2016, giorno successivo all'incidente.


Alla G. si contesta di avere investito il T. mentre conduceva la sua autovettura lungo (OMISSIS), in direzione del Comune di Torino, attorno alle 18,20, durante una precipitazione piovosa di particolare intensità: procedendo a una velocità successivamente stimata in circa 35 kmh, la G. non si avvedeva che il T. stava attraversando le strisce pedonali da sinistra a destra e quindi non arrestava la marcia, andando così a impattare contro il pedone. Per tale condotta è stata altresì contestata all'imputata la violazione di norme sulla circolazione stradale e, segnatamente, dell'art. 191 c.p., comma 1, del codice della strada (per non avere arrestato la marcia in presenza di un pedone che transitava su un punto d'attraversamento) e dell'art. 141 C.d.S., commi 2, 3 e 4 (per non avere regolato la velocità in presenza di scarsa visibilità per la precipitazione atmosferica; per non avere conservato il controllo del veicolo in modo da compiere le manovre in condizioni di sicurezza; e per non avere ridotto la velocità, fino ad arrestarsi, in prossimità delle strisce pedonali).


Sono state disattese dalla Corte di merito le censure dell'appellante in ordine alla violazione a lei addebitata (che secondo la difesa doveva derubricarsi nell'ipotesi di cui all'art. 589 c.p., non potendosi affermare che la G. avesse violato nell'occorso norme sulla circolazione stradale, in assenza di specifici obblighi di cui le si possa addebitare la violazione); del pari è stata disattesa la prospettazione difensiva circa la configurabilità, in subordine, dell'attenuante a effetto speciale di cui all'art. 589-bis c.p., comma 7, vuoi per le precarie condizioni di visibilità del punto di attraversamento (segnato con l'uso di colori non consentiti) e dello stesso pedone; vuoi per la condotta colposa dei medici che ebbero in cura il T., idonea a inserirsi nella serie causale che condusse al decesso del pedone.


2. Avverso la prefata sentenza d'appello ricorre la G., affidandosi a due motivi di doglianza.


2.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla configurabilità sia dell'elemento oggettivo, sia dell'elemento soggettivo del reato p. e p. dall'art. 589-bis c.p.: il generico riferimento a una "velocità non appropriata", che secondo i giudici di merito sarebbe stata tenuta dalla G., non consente di stabilire quale fosse la velocità consentita, tanto più che i carabinieri intervenuti sul posto non elevarono a carico della prevenuta alcuna contestazione di violazioni al codice della strada: la regola cautelare elastica di cui all'art. 141 del predetto codice non consente al giudicante di fondare il proprio convincimento su una non meglio precisata inadeguatezza della velocità, laddove non viene chiarito a quale velocità la G. avrebbe dovuto condurre la propria autovettura. Sul punto, oltre alla violazione di legge, la ricorrente censura anche la carenza motivazionale, non potendo l'iter argomentativo della sentenza sostenere una condanna per omicidio colposo stradale unicamente sulla base di una velocità genericamente indicata come inadeguata.


2.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione con riferimento all'esclusione del concorso di cause dell'evento (che avrebbe comportato l'applicazione dell'attenuante di cui all'art. 589-bis c.p., comma 7). Richiamati i principi giurisprudenziali in materia, la deducente evidenzia i primo luogo che è pacifica l'adozione di una colorazione in rosso vietata per contornare il passaggio pedonale, nonché del verificarsi dell'evento in occasione di una forte precipitazione e in condizioni di scarsa visibilità, come del resto affermato dallo stesso consulente del P.M., ing. B., che ha rilevato la difficoltosa percezione visiva del T. all'interno della sede stradale; quanto poi alla condotta colposa dei medici che ebbero in cura il T., la Corte territoriale ha omesso di valutare la stessa come elemento causale concorrente, idoneo a fondare l'applicazione dell'invocata attenuante di cui all'art. 589-bis c.p., comma 7, escludendone l'applicazione solo perché la stessa non poteva avere portata interruttiva del nesso causale: ma è evidente che altro è valutare il comportamento dei sanitari del Pronto soccorso (che avrebbero sottostimato gli esami eseguiti sul paziente, peraltro con colpevole ritardo) come interruttivo del processo eziologico, altro è considerarlo come concausa dell'evento mortale, che non elida, ma affianchi l'apporto causale fornito dall'imputata. Oltre a ciò, conclude l'esponente, è emerso che il T. era affetto da patologie pregresse, che potevano porre la vita del medesimo in pericolo anche in seguito a lesioni di lieve entità; neppure tale elemento è stato considerato dalla Corte di merito per riconoscere l'invocata attenuante.


3. Il difensore dell'imputata ha depositato conclusioni scritte, insistendo per l'accoglimento del ricorso e ulteriormente argomentandone i motivi.


Diritto

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.


E' ben vero che, nei reati colposi, qualora si assuma violata una regola cautelare cosiddetta "elastica", che cioè necessiti, per la sua applicazione, di un legame più o meno esteso con le condizioni specifiche in cui l'agente deve operare - al contrario di quelle cosiddette "rigide", che fissano con assoluta precisione lo schema di comportamento - è necessario, ai fini dell'accertamento dell'efficienza causale della condotta antidoverosa, procedere ad una valutazione di tutte le circostanze del caso concreto (Sez. 4, Sentenza n. 40050 del 29/03/2018, Lenarduzzi, Rv. 273871).


Nondimeno, nel caso di specie, la disamina delle peculiarità del caso concreto da parte dei giudici di merito e della condotta doverosa alla guida è stata correttamente e compiutamente operata, avendo gli stessi giudici valutato che, in presenza di una perturbazione così massiva e in orario notturno (con conseguente riduzione della visibilità), la G., a norma dell'art. 141 e dell'art. 191 C.d.S. (la cui violazione è contestata in rubrica), avrebbe dovuto rallentare (dovendo "regolare la velocità nei tratti di strada a visibilità limitata", come testualmente recita l'art. 141) e - come chiarito dal primo giudice, in ciò richiamato dalla Corte d'appello - "avrebbe dovuto procedere a passo d'uomo, se del caso, arrestare la marcia", fino a fermarsi in presenza di un pedone in attraversamento (art. 141, comma 3: "il conducente deve, altresì, ridurre la velocità e, occorrendo, anche fermarsi quando riesce malagevole l'incrocio con altri veicoli, in prossimità degli attraversamenti pedonali" etc.; art. 191, comma 1: "Quando il traffico non è regolato da agenti o da semafori, i conducenti devono fermarsi quando i pedoni transitano sugli attraversamenti pedonali. Devono altresì dare la precedenza, rallentando e all'occorrenza fermandosi, ai pedoni che si accingono ad attraversare sui medesimi attraversamenti pedonali" etc.). Tanto più che - spiega la Corte di merito alle pagine da 5 a 6 della sentenza impugnata - è emerso che il campo di visibilità del pedone era, secondo quanto accertato dal consulente tecnico, pari a 85 metri, e che la G., procedendo all'andatura di circa 35 km/h e vedendo da tale distanza il pedone, aveva tutto il tempo di regolare la propria velocità in modo tale da evitare l'impatto con il medesimo rallentando ulteriormente l'andatura e, all'occorrenza, fermandosi. In ogni caso, anche in considerazione del fatto che l'attraversamento pedonale era indicato da segnaletica verticale ben visibile, nonché da dissuasori ottici posizionati a ben 14 metri dall'inizio delle strisce, gli elementi caratteristici della fattispecie, come illustrati nella sentenza impugnata, depongono per la visibilità del pedone da parte della G. da una considerevole distanza e, in conseguenza di ciò, per la sicura riconducibilità del comportamento alternativo dil