top of page
Cerca

Operaio ruba nello spogliatoio del cantiere: è furto in abitazione.

Sentenze

Indice:

La massima

La sentenza

Fatto

Diritto

PQM



La massima

Cassazione penale sez. IV, 21/09/2021, n.37795

La Suprema Corte, con la sentenza in argomento, ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora i luoghi di lavoro in cui si compiano atti della vita privata in modo riservato e precludendo l'accesso a terzi. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva ravvisato l'ipotesi prevista dall'art. 624-bis cod. pen. in relazione ad un furto commesso all'interno di una stanza adibita a spogliatoio riservato agli operai che stavano effettuando lavori di ristrutturazione di un edificio).


La sentenza

Fatto

1. Il GM del Tribunale di Como, con sentenza del 20/6/2018, all'esito di giudizio abbreviato, condannava B.S., unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata e recidiva, alla pena, già così ridotta per il rito, di anni due di reclusione ed Euro quattrocento di multa per i reati: a. di cui all'art. 624 bis c.p. perché, al fine di trarne profitto, si appropriava del portafogli di proprietà di A.R. K, contenente i seguenti documenti: - permesso di soggiorno n. (OMISSIS); - carta d'identità n. (OMISSIS); - tesserino sanitario; - bancomat n. (OMISSIS) emesso da Banca Intesa San Paolo; - carta di credito n. (OMISSIS) emessa da Banca Intesa San Paolo; - tesserino del lavoro; tutti intestati al suindicato A., sottraendolo dallo zaino che la parte offesa aveva custodito all'interno di una stanza adibita a spogliatoio riservata agli operai che stavano effettuando lavori di ristrutturazione dell'edificio sito in (OMISSIS). b. p. e p. dall'art. 81 cpv. c.p., D.Lgs. n. 23 del 2007, art. 55, perché, nelle circostanze di luogo e di tempo immediatamente successive a quelle indicate nel capo che precede, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizzava la carta di credito n. (OMISSIS) emessa da Banca Intesa San Paolo in favore di A.R. K, acquistando alle ore 11.58 presso il negozio denominato "Bijou Brigitte" una collana con pendente in metallo del valore di Euro 9,85 e acquistando infine alle ore 12.16 presso il negozio denominato "(OMISSIS)" un anello di metallo color argento del valore di Euro 28,00. Commessi a (OMISSIS) rispettivamente alle ore 11.58 e alle ore 12.16. Con la recidiva reiterata specifica infra-quinquennale ex art. 99 c.p., comma 2, nn. 1, 2 e 3 e comma 4.. Con sentenza del 24/1/2020 la Corte di Appello di Milano, pronunciando sull'appello dell'imputato, confermava la sentenza di primo grado. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il B., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Con un primo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla mancata assoluzione del B. in relazione al capo A) dell'imputazione Rileva il ricorrente che a pag. 3 dei motivi della sentenza che si impugna, la Corte territoriale afferma che la giurisprudenza recente è concorde nel ritenere che la definizione di privata dimora sia più ampia di quella di abitazione includendo, pertanto, tutti quei luoghi non aperti al pubblico, né accessibili a terzi senza il consenso del titolare. Tuttavia, si ricorda anche che questa Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 31345/2017 afferma che "ai fini della configurabilità del delitto previsto dall'art. 624 bis c.p., i luoghi di lavoro non rientrano nella nozione di privata dimora, salvo che il fatto sa avvenuto all'interno di un'area riservata alla sfera privata della persona offesa". La soluzione della questione sottoposta alle Sezioni Unite, prosegue il ricorso, comporta che venga correttamente definito il concetto di privata dimora. L'orientamento giurisprudenziale maggioritario, partendo dalla considerazione che il concetto di privata dimora sia più ampio di quello di abitazione, ne dà una interpretazione estensiva, tanto da ricomprendervi tutti i luoghi, non pubblici, nei quali le persone si intrattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata. Secondo tale indirizzo, cui si richiama anche la sentenza impugnata, gli elementi identificativi del luogo di privata dimora sarebbero uno di carattere strutturale (possibilità di inibire l'accesso al pubblico) e l'altro di carattere funzionale (attività che vi si svolge). Con la sentenza n. 31345/2017, invece, le Sezioni Unite hanno ritenuto che l'ampliamento della nozione, sostenuto dall'orientamento sopra indicato, contrasti sia con il dato letterale, sia con la ratio e l'interpretazione sistematica della norma. Il legislatore - prosegue il ricorrente- ha adoperato l'espressione "privata dimora". Espressione che, sul piano interpretativo, ha un'indubbia valenza. "Dimora", secondo i dizionari di lingua italiana è il luogo in cui una persona, che non vi risiete in modo stabile, attualmente abita e dimora. Già tale definizione basterebbe allora -secondo la tesi sostenuta in ricorso-per escludere dalla nozione di dimora tutti i casi in cui ci si trovi in un luogo in modo non del tutto occasionale e senza aver alcun rapporto con il luogo medesimo. Occorrerebbe considerare, inoltre, che i luoghi indicati dall'art. 624 bis c.p. devono essere "destinati" a privata dimora. Il riferimento della norma e', allora, ad un luogo che sia adibito in modo apprezzabile sotto il profilo cronologico, allo svolgimento di atti della vita privata, non limitati questi ultimi soltanto a quelli della vita familiare e intima (propri dell'abitazione) e che abbiano, quindi, le "caratteristiche" dell'abitazione. Per il ricorrente allora, la soluzione interpretativa estensiva non risulta condivisibile in quanto, aderendo a tale linea interpretativa, ne deriverebbe l'applicazione di un trattamento sanzionatorio più grave da elementi estranei alla fattispecie e, per di più, vaghi ed incerti. Ricorda in proposito che, già in precedenza, con la sentenza n. 26795/2006, le Sezioni Unite, dopo aver premesso che la nozione di domicilio di cui all'art. 14 Cost. è più estesa di quella ricavabile dall'art. 614 c.p., hanno sottolineato che "il concetto di domicilio non può essere esteso sino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza". Le Sezioni Unite, quindi, introducono, come elemento caratterizzante la nozione di privata dimora, il requisito della stabilità "perché è solo questa che può trasformare un luogo in un domicilio". Seppur è indiscutibile che nei luoghi di lavoro il soggetto compia atti della vita privata, ciò non è sufficiente allora per affermare che tali luoghi rientrino nella nozione di privata dimora e che, per i reati di furto in essi commessi, trovi applicazione l'art. 624 bis c.p. .I luoghi di lavoro, infatti, sono accessibili ad una pluralità di soggetti anche senza il preventivo consenso dell'avente diritto. In ragione di ciò, il difensore ricorrente ritiene che non sia sussistente la fattispecie di cui all'art. 624 bis c.p. e che le condotte poste in essere dal B. sarebbero, se del caso, riconducibili alla fattispecie di cui all'art. 624 c.p., perseguibile a querela di parte. E posto che la persona offesa si è limitata a sporgere una mera denuncia, non contenente manifestazione di volontà di punizione del colpevole, il B. avrebbe dovuto essere assolto per difetto di condizione di procedibilità. Con un secondo motivo si deducono violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente rispetto alla constata recidiva, al mancato riconoscimento dell'attenuante comune di cui all'art. 62 c.p., n. 4 e alla dosimetria della pena così come inflitta in concreto, alla luce dei criteri di cui all'art. 133 c.p.. Per quanto concerne la mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p. n. 4 il ricorrente si duole che la Corte milanese abbia affermato che "la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante". A parere del ricorrente, il danno cagionato alla persona offesa dal B. risulta essere di speciale tenuità, posto che lo stesso si attesta a poco meno di 70 Euro. Pertanto, rilevata la tenuità del danno cagionato all' A., la Corte territoriale avrebbe certamente potuto concedere la circostanza di cui all'art. 62 c.p., n. 4 anche al fine di ancorare maggiormente la pena alla reale offensività dell'azione criminosa del B.. Inoltre, non apparirebbe in dubbio che, nel caso che ci occupa, la gravità dei fatti-reato, da valutarsi avuto riguardo alla condotta concretamente posta in essere antecedentemente il controllo di PG ed immediatamente successiva a quest'ultimo (durante la perquisizione e l'identificazione) debba essere considerata minima e possa quindi giustificare la concessione delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente sulla contestata recidiva. Giova ricordare, inoltre, come il B. non si sia mai opposto ad alcun atto di PG, ammettendo l'addebito, restituendo immediatamente quanto sottratto alla p.o. e tenendo, quindi, un comportamento collaborativo con le forze dell'ordine. Considerati gli elementi sopra esposti, applicando correttamente i criteri stabiliti dall'art. 133 c.p. in ordine alla valutazione della gravità del reato agli effetti della pena, a parere del ricorrente si sarebbe potuti giungere ad una condanna inferiore a quella in concreto inflitta, attuando un minimo aumento a titolo di continuazione tra i capi di imputazione contestati al B.. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata. 3. All'udienza odierna, procedendosi a trattazione orale secondo la disciplina ordinaria, in virtù del disposto del D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7, comma 2, entrato in vigore in pari data, è comparso il solo Procuratore Generale che ha assunto le conclusioni nei termini riportati in epigrafe.

Diritto

1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile. 2. L'avere da parte dei giudici di merito ritenuto "privata dimora" la stanza, adibita a spogliatoio degli operai, all'interno di un cantiere è pienamente conforme all'ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità che va qui riaffermata. Le Sezioni Unite D'Amico, che lo stesso ricorrente richiama, hanno chiarito che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 624 bis c.p., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (Sez. Un. 31345 del 23/3/2017, D'Amico, Rv. 270076 che hanno escluso l'ipotesi prevista