Sentenze
Indice:
La massima
Cassazione penale sez. IV, 21/09/2021, n.37795
La Suprema Corte, con la sentenza in argomento, ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora i luoghi di lavoro in cui si compiano atti della vita privata in modo riservato e precludendo l'accesso a terzi. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva ravvisato l'ipotesi prevista dall'art. 624-bis cod. pen. in relazione ad un furto commesso all'interno di una stanza adibita a spogliatoio riservato agli operai che stavano effettuando lavori di ristrutturazione di un edificio).
La sentenza
Fatto
1. Il GM del Tribunale di Como, con sentenza del 20/6/2018, all'esito di giudizio abbreviato, condannava B.S., unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata e recidiva, alla pena, già così ridotta per il rito, di anni due di reclusione ed Euro quattrocento di multa per i reati: a. di cui all'art. 624 bis c.p. perché, al fine di trarne profitto, si appropriava del portafogli di proprietà di A.R. K, contenente i seguenti documenti: - permesso di soggiorno n. (OMISSIS); - carta d'identità n. (OMISSIS); - tesserino sanitario; - bancomat n. (OMISSIS) emesso da Banca Intesa San Paolo; - carta di credito n. (OMISSIS) emessa da Banca Intesa San Paolo; - tesserino del lavoro; tutti intestati al suindicato A., sottraendolo dallo zaino che la parte offesa aveva custodito all'interno di una stanza adibita a spogliatoio riservata agli operai che stavano effettuando lavori di ristrutturazione dell'edificio sito in (OMISSIS). b. p. e p. dall'art. 81 cpv. c.p., D.Lgs. n. 23 del 2007, art. 55, perché, nelle circostanze di luogo e di tempo immediatamente successive a quelle indicate nel capo che precede, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizzava la carta di credito n. (OMISSIS) emessa da Banca Intesa San Paolo in favore di A.R. K, acquistando alle ore 11.58 presso il negozio denominato "Bijou Brigitte" una collana con pendente in metallo del valore di Euro 9,85 e acquistando infine alle ore 12.16 presso il negozio denominato "(OMISSIS)" un anello di metallo color argento del valore di Euro 28,00. Commessi a (OMISSIS) rispettivamente alle ore 11.58 e alle ore 12.16. Con la recidiva reiterata specifica infra-quinquennale ex art. 99 c.p., comma 2, nn. 1, 2 e 3 e comma 4.. Con sentenza del 24/1/2020 la Corte di Appello di Milano, pronunciando sull'appello dell'imputato, confermava la sentenza di primo grado. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il B., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Con un primo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla mancata assoluzione del B. in relazione al capo A) dell'imputazione Rileva il ricorrente che a pag. 3 dei motivi della sentenza che si impugna, la Corte territoriale afferma che la giurisprudenza recente è concorde nel ritenere che la definizione di privata dimora sia più ampia di quella di abitazione includendo, pertanto, tutti quei luoghi non aperti al pubblico, né accessibili a terzi senza il consenso del titolare. Tuttavia, si ricorda anche che questa Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 31345/2017 afferma che "ai fini della configurabilità del delitto previsto dall'art. 624 bis c.p., i luoghi di lavoro non rientrano nella nozione di privata dimora, salvo che il fatto sa avvenuto all'interno di un'area riservata alla sfera privata della persona offesa". La soluzione della questione sottoposta alle Sezioni Unite, prosegue il ricorso, comporta che venga correttamente definito il concetto di privata dimora. L'orientamento giurisprudenziale maggioritario, partendo dalla considerazione che il concetto di privata dimora sia più ampio di quello di abitazione, ne dà una interpretazione estensiva, tanto da ricomprendervi tutti i luoghi, non pubblici, nei quali le persone si intrattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata. Secondo tale indirizzo, cui si richiama anche la sentenza impugnata, gli elementi identificativi del luogo di privata dimora sarebbero uno di carattere strutturale (possibilità di inibire l'accesso al pubblico) e l'altro di carattere funzionale (attività che vi si svolge). Con la sentenza n. 31345/2017, invece, le Sezioni Unite hanno ritenuto che l'ampliamento della nozione, sostenuto dall'orientamento sopra indicato, contrasti sia con il dato letterale, sia con la ratio e l'interpretazione sistematica della norma. Il legislatore - prosegue il ricorrente- ha adoperato l'espressione "privata dimora". Espressione che, sul piano interpretativo, ha un'indubbia valenza. "Dimora", secondo i dizionari di lingua italiana è il luogo in cui una persona, che non vi risiete in modo stabile, attualmente abita e dimora. Già tale definizione basterebbe allora -secondo la tesi sostenuta in ricorso-per escludere dalla nozione di dimora tutti i casi in cui ci si trovi in un luogo in modo non del tutto occasionale e senza aver alcun rapporto con il luogo medesimo. Occorrerebbe considerare, inoltre, che i luoghi indicati dall'art. 624 bis c.p. devono essere "destinati" a privata dimora. Il riferimento della norma e', allora, ad un luogo che sia adibito in modo apprezzabile sotto il profilo cronologico, allo svolgimento di atti della vita privata, non limitati questi ultimi soltanto a quelli della vita familiare e intima (propri dell'abitazione) e che abbiano, quindi, le "caratteristiche" dell'abitazione. Per il ricorrente allora, la soluzione interpretativa estensiva non risulta condivisibile in quanto, aderendo a tale linea interpretativa, ne deriverebbe l'applicazione di un trattamento sanzionatorio più grave da elementi estranei alla fattispecie e, per di più, vaghi ed incerti. Ricorda in proposito che, già in precedenza, con la sentenza n. 26795/2006, le Sezioni Unite, dopo aver premesso che la nozione di domicilio di cui all'art. 14 Cost. è più estesa di quella ricavabile dall'art. 614 c.p., hanno sottolineato che "il concetto di domicilio non può essere esteso sino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza". Le Sezioni Unite, quindi, introducono, come elemento caratterizzante la nozione di privata dimora, il requisito della stabilità "perché è solo questa che può trasformare un luogo in un domicilio". Seppur è indiscutibile che nei luoghi di lavoro il soggetto compia atti della vita privata, ciò non è sufficiente allora per affermare che tali luoghi rientrino nella nozione di privata dimora e che, per i reati di furto in essi commessi, trovi applicazione l'art. 624 bis c.p. .I luoghi di lavoro, infatti, sono accessibili ad una pluralità di soggetti anche senza il preventivo consenso dell'avente diritto. In ragione di ciò, il difensore ricorrente ritiene che non sia sussistente la fattispecie di cui all'art. 624 bis c.p. e che le condotte poste in essere dal B. sarebbero, se del caso, riconducibili alla fattispecie di cui all'art. 624 c.p., perseguibile a querela di parte. E posto che la persona offesa si è limitata a sporgere una mera denuncia, non contenente manifestazione di volontà di punizione del colpevole, il B. avrebbe dovuto essere assolto per difetto di condizione di procedibilità. Con un secondo motivo si deducono violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente rispetto alla constata recidiva, al mancato riconoscimento dell'attenuante comune di cui all'art. 62 c.p., n. 4 e alla dosimetria della pena così come inflitta in concreto, alla luce dei criteri di cui all'art. 133 c.p.. Per quanto concerne la mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p. n. 4 il ricorrente si duole che la Corte milanese abbia affermato che "la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante". A parere del ricorrente, il danno cagionato alla persona offesa dal B. risulta essere di speciale tenuità, posto che lo stesso si attesta a poco meno di 70 Euro. Pertanto, rilevata la tenuità del danno cagionato all' A., la Corte territoriale avrebbe certamente potuto concedere la circostanza di cui all'art. 62 c.p., n. 4 anche al fine di ancorare maggiormente la pena alla reale offensività dell'azione criminosa del B.. Inoltre, non apparirebbe in dubbio che, nel caso che ci occupa, la gravità dei fatti-reato, da valutarsi avuto riguardo alla condotta concretamente posta in essere antecedentemente il controllo di PG ed immediatamente successiva a quest'ultimo (durante la perquisizione e l'identificazione) debba essere considerata minima e possa quindi giustificare la concessione delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente sulla contestata recidiva. Giova ricordare, inoltre, come il B. non si sia mai opposto ad alcun atto di PG, ammettendo l'addebito, restituendo immediatamente quanto sottratto alla p.o. e tenendo, quindi, un comportamento collaborativo con le forze dell'ordine. Considerati gli elementi sopra esposti, applicando correttamente i criteri stabiliti dall'art. 133 c.p. in ordine alla valutazione della gravità del reato agli effetti della pena, a parere del ricorrente si sarebbe potuti giungere ad una condanna inferiore a quella in concreto inflitta, attuando un minimo aumento a titolo di continuazione tra i capi di imputazione contestati al B.. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata. 3. All'udienza odierna, procedendosi a trattazione orale secondo la disciplina ordinaria, in virtù del disposto del D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7, comma 2, entrato in vigore in pari data, è comparso il solo Procuratore Generale che ha assunto le conclusioni nei termini riportati in epigrafe.
Diritto
1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile. 2. L'avere da parte dei giudici di merito ritenuto "privata dimora" la stanza, adibita a spogliatoio degli operai, all'interno di un cantiere è pienamente conforme all'ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità che va qui riaffermata. Le Sezioni Unite D'Amico, che lo stesso ricorrente richiama, hanno chiarito che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 624 bis c.p., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (Sez. Un. 31345 del 23/3/2017, D'Amico, Rv. 270076 che hanno escluso l'ipotesi prevista dall'art. 624 bis c.p. in relazione ad un furto commesso all'interno di un ristorante in orario di chiusura). Nella sentenza sopra citata le Sezioni Unite di questa Corte hanno dunque confermato l'orientamento che interpreta la disciplina dettata dall'art. 624-bis c.p. come estensibile ai luoghi di lavoro soltanto se essi abbiano le caratteristiche proprie dell'abitazione (accertamento questo riservato ai giudici di merito). Potrà, quindi, essere riconosciuto il carattere di privata dimora ai luoghi di lavoro se in essi, o in parte di essi, il soggetto compia atti della vita privata in modo riservato e precludendo l'accesso a terzi (ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi, area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento). Le SS.UU D'Amico hanno preso le mosse dai principi delineati, da un lato, dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. le sentenze n. 135/2002 e n. 149/2008) per circoscrivere la nozione di "domicilio" ai fini della copertura costituzionale dell'art. 14 Cost. (inviolabilità del domicilio) e dall'altro, dall'orientamento già espresso dalla giurisprudenza di legittimità (il riferimento in sentenza è a Sez. U. n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234269), secondo cui la nozione di domicilio di cui all'art. 14 Cost. è più estesa di quella ricavabile dall'art. 614 c.p. e, quale che sia il rapporto tra le due disposizioni, "il concetto di domicilio non può essere esteso fino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza". Non c'e' dubbio, prosegue la Corte nella sentenza richiamata, che "il concetto di domicilio individui un rapporto tra la persona ed un luogo, generalmente chiuso, in cui si svolge la vita privata, in modo anche da sottrarre chi lo occupa alle ingerenze esterne e da garantirgli quindi la riservatezza. Ma il rapporto tra la persona ed il luogo deve essere tale da giustificare la tutela di questo anche quando la persona è assente". Sulla scorta di tali principi, le Sezioni Unite D'Amico hanno, dunque, delineato alcuni elementi, ritenuti indefettibili per individuare la nozione di privata dimora: 1. utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; 2. durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità. 3. Nel caso specifico preso in esame (come detto, un ristorante in ora di chiusura), applicando le linee così tracciate ai luoghi di lavoro, le SS.UU D'Amico hanno precisato essere indubbio che in tali luoghi l'individuo svolgesse atti della vita privata, ma che ciò non era sufficiente per affermare che si trattasse di un luogo di privata dimora, con conseguente tutela rafforzata in termini di trattamento sanzionatorio previsto per il delitto di furto in abitazione, ciò essendo possibile solo ove essi abbiano le caratteristiche proprie dell'abitazione, cioè se in essi, o in parte di essi, il soggetto compia atti della vita privata in modo riservato e precludendo l'accesso a terzi (ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi, area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento). La conferma che i luoghi di lavoro, di per sé, non costituiscano privata dimora si ricava, per le Sezioni Unite, dall'art. 52 c.p., comma 3 (aggiunto dalla L. 13 febbraio 2006, n. 59, art. 1), nel quale si afferma che la disposizione di cui al comma 2 si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Nel richiamato comma 2 si fa riferimento, ai fini della presunzione di proporzionalità tra offesa e difesa, ai luoghi previsti dall'art. 614 c.p. (vale a dire a quelli di privata dimora). Se, dunque, la nozione di privata dimora comprendesse, indistintamente, tutti i luoghi in cui il soggetto svolge atti della vita privata, non vi sarebbe stata alcuna necessità di aggiungere il comma 3 nell'art. 52 per estendere l'applicazione della norma anche ai luoghi di svolgimento di attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Evidentemente tale precisazione - rilevano le SS.UU D'Amico - è stata ritenuta necessaria perché, secondo il legislatore, la nozione di privata dimora non e', in generale, comprensiva dei luoghi di lavoro. 4. Il perimetro di riconoscibilità del concetto di privata dimora è stato ulteriormente tracciato, in materia di furto aggravato, nelle sentenze: - Sez. 5, n. 51113 del 19/10/2017, Capizzano, Rv. 271629 secondo cui non è configurabile il reato previsto dall'art. 624 bis c.p. qualora il furto sia commesso nel corridoio di un istituto scolastico, trattandosi di luogo non riconducibile alla nozione di privata dimora, nell'ambito della quale rientrano esclusivamente i luoghi non aperti al pubblico, né accessibili a terzi senza il consenso del titolare e nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata. - Sez. 5, n. 35764 del 27/3/2018, C. Rv. 273597, secondo cui integra il reato previsto dall'art. 624-bis c.p. la condotta di chi si impossessa di un ciclomotore introducendosi nel locale adibito al suo deposito, in quanto detto luogo, benché disabitato, costituisce pertinenza di una privata dimora. - Sez. 4, n. 24377 del 26/4/2018, Mancuso, non mass. che ha escluso la sussistenza del reato di cui all'art. 624 bis c.p. nel caso di un furto perpetrato in orario notturno in una tabaccheria; - Sez. 5, n. 35788 del 4/5/2018, Seferovic, Rv. 273894 secondo cui integra il delitto di cui all'art. 624-bis c.p. il furto commesso all'interno di un locale adibito a spogliatoio di uno ‘stand' fieristico. - Sez. 4, n. 32245 del 20/06/2018, D'Antonio, Rv. 273458 (caso in cui l'azione criminosa si era svolta all'interno di un circolo sportivo e in orario notturno e in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva ritenuto la privata dimora, rilevando come il giudice del merito non avesse verificato se, all'interno del circolo, il furto fosse stato operato in luoghi aperti al pubblico o in luoghi in cui il soggetto compiva atti della vita privata in modo riservato e precludendo l'accesso a terzi, quali ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi). - Sez. 5, n. 34475 del 21/6/2018, Tako, Rv. 273633 che ha ritenuto corretta la qualificazione ex art. 624-bis c.p. del furto commesso di notte all'interno di uno studio legale, ricorrendo i presupposti dello "ius excludendi alios", dell'accesso non indiscriminato al pubblico e della presenza costante di persone, anche eventualmente in orario notturno, essendo il titolare libero di accedervi in qualunque momento della giornata. - Sez. 5 n. 53200 del 11/10/2018, Mignone, Rv. 274592, secondo cui non costituisce luogo di privata dimora la stanza di degenza di un ospedale, con la conseguenza che il furto di un oggetto in danno di un paziente ivi ricoverato integra la fattispecie di cui all'art. 624 c.p. e non quella di cui all'art. 624-bis c.p.. - Sez. 5 n. 1278 del 31/10/2018 dep. 2019, Sini, Rv. 274389 che ha ritenuto integrare il reato previsto dall'art. 624 bis c.p.la condotta di chi si impossessa di una bicicletta introducendosi nell'androne di un edificio destinato ad abitazioni, in quanto detto luogo costituisce pertinenza di privata dimora - Sez. 4, n. 1782 del 18/12/2018, dep. 2019, Meloni, Rv. 275073 secondo cui, ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 624-bis c.p., integra la nozione di privata dimora l'immobile che, seppure non abitato ed in cattivo stato di manutenzione, non sia abbandonato. - Sez. 4, n. 18793 del 28/3/2019, non mass. Macaluso, che ha ritenuto la sussistenza dell'aggravante, applicando il principio di diritto di cui alle SS.UU. D'Amico al caso del furto, all'interno di un ambulatorio medico, di un mazzo di chiavi inserito nella toppa della porta di un ambulatorio di un'infermiera, di un mazzo di chiavi inserito nella toppa della porta dell'antibagno dell'ambulatorio dalla caposala, di un borsello in pelle blu del medico detenuto all'interno dell'armadietto a lei assegnato nello spogliatoio medici. Ciò sul rilievo che si tratta, di luoghi tutti che hanno quelle caratteristiche (luoghi di lavoro in cui il soggetto compia atti della vita privata in modo riservato e precludendo l'accesso a terzi) che, secondo i sopra ricordati dicta delle SS.UU D'Amico e della giurisprudenza successiva, hanno la valenza di dimora privata. - Sez. 5, n. 37875 del 4/7/2019, Bondì, Rv. 277637 secondo cui sussiste la nozione di privata dimora dell'immobile adibito a casa di vacanza abitato soltanto in determinati periodi dell'anno (in motivazione, la Corte ha chiarito che non è necessaria ad integrare la nozione in parola la permanenza continuativa nell'immobile dell'avente diritto, essendo sufficiente un suo utilizzo "stabilmente ricorrente" per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata al riparo da intrusioni esterne). - Sez. 5, n. 1555 del 15/10/2019 dep. 2020, Gaglioti, Rv. 278135, secondo cui integra la nozione di privata dimora la stanza di degenza di una casa di riposo per anziani in quanto si tratta di luogo utilizzato per lo svolgimento di manifestazioni di vita privata, destinato ad uno stabile utilizzo da parte dei degenti e al quale è interdetto l'accesso di terzi. - Sez. 4, n. 48767 del 24/10/2019, Topcic, Rv. 277875, che ha ribadito che, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 624-bis c.p., la nozione di privata dimora è più ampia di quella di abitazione, riferendosi al luogo in cui la persona compia, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata, e che può essere costituito anche da un bene mobile, quale la cabina di un camion, adibita a camera da letto. - Sez. 4, n. 13492 del 21/01/2020 Anselmo Rv. 279002 (conf. Sez. 4, n. 40245 del 30/9/2008, Aljmi, Rv. 241331) secondo cui la sagrestia, in quanto funzionale allo svolgimento di attività complementari a quelle di culto, servente non solo l'edificio sacro ma altresì la casa canonica, deve ritenersi luogo destinato in tutto o in parte a "privata dimora", essendone l'ingresso di terze persone selezionato ad iniziativa di chi ne abbia la disponibilità. - Sez. 5, n. 14878 del 03/02/2021, Deeb Hazem, Rv. 280817, secondo cui non costituisce luogo di privata dimora open space" o stanza collettiva, in quanto luogo di lavoro accessibile ad un numero indeterminato di persone anche senza il preventivo consenso dell'avente diritto (in motivazione la Corte ha precisato che non rappresenta estensione di un domicilio privato la sala riunioni fruibile da diverse società aventi gli uffici nel medesimo stabile). - Sez. 5, n. 19366 del 6/4/2021, Paulovic, Rv. 281107 secondo cui la sala d'attesa di uno studio medico non costituisce luogo "di privata dimora", perché ordinariamente destinata ad accogliere una pluralità indeterminata di persone e non allo svolgimento, in maniera non occasionale, di attività della vita privata. 5. Coerentemente, anche in relazione ad altri reati in cui veniva in rilievo il concetto di privata dimora, sono stati applicati i medesimi principi. Così, in tema di rapina, è stata ritenuta sussistente la circostanza aggravante di cui all'art. 628 c.p., comma 3, n. 3 bis, nel caso di consumazione del fatto all'interno dei locali della guardia medica, trattandosi di luogo che comprende spazi destinati a residenza temporanea del sanitario (Sez. 2, n. 29386 del 31/5/2018, Signorelli ed altro, Rv. 272971). E, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 615 bis c.p. è stato ritenuto privata l'ambulatorio di un ospedale, essendo il suo uso riservato al personale e ai singoli pazienti che vi sono ammessi ed essendo irrilevante la circostanza che ad usare il locale sia anche l'autore dell'indebita interferenza così Sez. 3 n. 47123 del 24/05/2018, C. Rv. 274419 che ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva ritenuto integrato il reato di cui all'art. 615 bis c.p. nel caso di videoriprese effettuate da un dipendente ospedaliero ai danni dei pazienti o di colleghi di lavoro all'interno di una stanza adibita momentaneamente a spogliatoio per ragioni di servizio). 6. Dunque, la motivazione del provvedimento impugnato non solo è corretta in punto di diritto, ma si presenta anche priva delle denunciate aporie logiche laddove ha ritenuto sussistente nel caso che ci occupa la sussistenza del reato di cui all'art. 624 bis c.p. e la procedibilità d'ufficio. Conferente è il richiamo che i giudici del gravame del merito operano al precedente di questa Corte costituito da Sez. 5, n. 32093 del 25/6/2010, Truzzi ed altro, Rv. 248356 che, nel giudicare un caso molto simile a quello che ci occupa, aveva ritenuto che integra il reato previsto dall'art. 624-bis c.p. la condotta di colui che, per commettere un furto, si introduca in una baracca adibita a spogliatoio di un cantiere edile, poiché il concetto di privata dimora è più ampio di quello di abitazione, ricomprendendo ogni luogo non pubblico che serva all'esplicazione di attività culturali, professionali e politiche. In altra pronuncia questa Corte di legittimità aveva anche ritenuto condivisibilmente che integra il delitto di furto in abitazione previsto dall'art. 624 bis c.p. il fatto commesso nello spogliatoio di un circolo sportivo (Sez. 5, n. 12180 del 10/11/2014 dep.2015, Dello Buono, Rv. 262815, in relazione ad una fattispecie in cui l'imputato, dopo aver sottratto le chiavi di un'autovettura dalla tasca del giubbotto del proprietario, si era impossessato dell'auto di questi). 7. Manifestamente infondati sono i motivi - peraltro del tutto generici ed aspecifici- attinenti al mancato giudizio di prevalenza delle pur concesse circostanze attenuanti generiche, avendo i giudici del merito operato un giudizio di equivalenza rispetto alla contestata recidiva specifica ed infraquinquennale. Il giudice del gravame del merito, ai fini di tale giudizio e, più in generale, della dosimetria della pena ha evidenziato come "gli innumerevoli precedenti penali (...) non consentono una valutazione positiva della personalità dell'imputato che dal 1989 fino al 2017 è stato condannato nella maggior parte dei casi per reati contro il patrimonio (...) circostanza indice di una sicura propensione e determinazione del B. alla commissione di questa tipologia di reati" (così pag. 4 della sentenza impugnata). Hanno altresì dato atto che il corretto comportamento tenuto dal B. è stato già preso in considerazione dal primo giudice nella concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva contestata. La sentenza impugnata si colloca pertanto nell'alveo del consolidato e condivisibile dictum di questa Corte di legittimità secondo cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. Un., n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931; conf. Sez. 2 n. 31543 dell'8/6/2017; Pennelli, Rv. 270450; Sez. 4, n. 25532 del 23/5/2007, Montanino Rv. 236992; Sez. 3, n. 26908 del 22/4/2004, Ronzoni, Rv. 229298). E nel giudizio ex art. 69 c.p., così come nella determinazione, in misura inferiore a quella massima consentita dalla legge, della riduzione di pena dovuta al giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può valorizzare anche i precedenti penali relativi a reati depenalizzati o estinti, trattandosi di fattispecie che rimangono significative di una predisposizione dell'imputato a violare la legge penale (cfr. Sez. 5, n. 45423 del 6/10/2004, Mignogna ed altri, Rv. 230579). 8. Quanto al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4 va rilevato che -come si evince dall'atto di appello del 10/8/2018 a firma dell'Avv. Mariarosa Stefania Marelli, il riferimento alla stessa compare nella richiesta finale rivolta ai giudici di appello (evidentemente dovendosi interpretare in tal senso la richiesta di ridurre la pena "per l'attenuante di cui all'art. 61 c.p., n. 4, così testualmente). ma non è stato in alcun modo sviluppato nell'atto di gravame. Ciò nonostante i giudici del gravame del merito hanno ampiamente motivato il loro diniego con un dictum in linea con il costante dictum di questa Corte di legittimità secondo cui la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della "res", senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato. (così Sez. 4, n. 6635 del 19/1/2017, Sicu, Rv. 269241; conf. Sez. Un. 35535 del 12/7/2007, Ruggiero, Rv. 236914). Correttamente i giudici del gravame del merito hanno richiamato, in primis, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità -che va qui riaffermata- secondo cui "in caso di furto di un portafogli contenente bancomat e documenti di identità non è applicabile la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, in considerazione del valore non determinabile, o comunque di non speciale tenuità, del documento, che non si esaurisce nello stampato, nonché degli ulteriori effetti pregiudizievoli subiti, dalla persona offesa, quali le pratiche relative alla duplicazione dei documenti sottratti" (Sez. 4, n. 16218 del 2/4/2019, Belfiore, Rv. 275582; conf. Sez. 2, n. 14895 del 18/12/2019 dep. 2020, Mahmoud, Rv. 279194). Inoltre, la Corte territoriale, ha giustamente evidenziato che la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante. Ai fini dell'accertamento della tenuità del danno e', dunque, necessario considerare, oltre al valore in sé della cosa sottratta, anche il valore complessivo del pregiudizio arrecato con l'azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della "res". E come, nel caso di specie, l' A. ha certamente subito gli ulteriori pregiudizi derivanti dalle pratiche relative alla duplicazione dei documenti, del bancomat e della carta di credito, a cui deve pure aggiungersi il valore del portafogli. Tenuto conto di tutte le conseguenze negative scaturenti dal furto del portafogli, la Corte territoriale ha, dunque, motivatamente ritenuto di rigettare, perché infondata, la richiesta di concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità ex art. 62 c.p., n. 4. In ultimo, manifestamente infondato è anche il dedotto vizio riguardante e circa la dosimetria della pena, per cui la Corte territoriale, come detto, ha dato conto di avere tenuto in considerazione i numerosi precedenti specifici da cui è gravato l'imputato. 9. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 21 settembre 2021. Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2021