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Operaio si infortuna sul lavoro: Datore condannato per non aver aggiornato dispositivi di sicurezza.

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La massima

La sentenza

Fatto

Diritto

PQM



La massima

Cassazione penale sez. IV, 09/11/2017, (ud. 09/11/2017, dep. 17/11/2017), n.52536

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, nelle strutture aziendali complesse, è configurabile la responsabilità del datore di lavoro – quale titolare della relativa posizione di garanzia, in quanto soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio– in caso di incidente conseguente al mancato aggiornamento dei dispositivi di sicurezza delle attrezzature, per inottemperanza degli obblighi previsti dall'art. 18, comma 1, lett. z), e 71, comma 4, lett. a), n. 3), del d.lg. 9 aprile 2008, n. 81.


La sentenza Fatto

1. La Corte di Appello di Venezia con la sentenza in epigrafe ha parzialmente riformato, previo riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6 e riduzione della pena, la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Venezia nei confronti di C.E. in relazione al reato di cui all'art. 40 c.p., comma 2 e art. 590 c.p., commi 1 e 3, perchè, in qualità di amministratore unico della Key Frost s.r.l. di (OMISSIS), e dunque quale datore di lavoro, aveva causato lesioni personali per colpa alla dipendente M.A. in (OMISSIS). 2. Il fatto era stato così ricostruito nei giudizi di merito: la dipendente M. aveva il compito di posizionare sotto la pressa della macchina fastonatrice modello K.M.I. il cavo elettrico e di far scendere il pistone, al fine di chiudere il terminale sul cavo premendo con il piede il pedale; la macchina era sprovvista dei requisiti minimi di sicurezza, posto che poteva essere messa in funzione anche con la protezione delle parti in movimento alzata; mentre la lavoratrice, terminato l'inserimento di un terminale, stava estraendo il cavo lavorato dalla matrice, la macchina si era azionata autonomamente, verosimilmente per un inavvertito urto del pedale, ed aveva fatto scendere il pistone schiacciando il dito della mano destra della lavoratrice. All'imputato si addebitava l'omesso adempimento degli obblighi di formazione e addestramento dei dipendenti, l'omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi aggiornato e l'aver messo a disposizione dei dipendenti una macchina sprovvista dei requisiti minimi di sicurezza. 3. C.E. ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata con unico motivo per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della posizione di garanzia in capo all'imputato. Secondo il ricorrente, il principio della personalità della responsabilità penale ed il principio di effettività avrebbero imposto di fare riferimento alle mansioni concretamente svolte e non alla qualificazione astratta del rapporto per l'individuazione del titolare della posizione di garanzia, laddove impropriamente nella sentenza si è richiamato l'istituto della delega ed i suoi presupposti formali anzichè tenere conto della prova fornita dalla difesa a sostegno della sussistenza di un soggetto delegato in materia di sicurezza e di prevenzione degli infortuni.

Diritto

1. Il ricorso è infondato. 2. La vigente tutela penale dell'integrità psicofisica dei lavoratori risente della scelta di fondo del legislatore di attribuire rilievo dirimente al concetto di prevenzione dei rischi connessi all'attività lavorativa e di ritenere che la prevenzione si debba basare sulla programmazione del sistema di sicurezza aziendale nonchè su un modello "collaborativo" di gestione del rischio da attività lavorativa. Sono stati, così, delineati i compiti di una serie di soggetti - anche dotati di specifiche professionalità -, nonchè degli stessi lavoratori, funzionali ad individuare ed attuare le misure più adeguate a prevenire i rischi connessi all'esercizio dell'attività d'impresa. Le forme di protezione antinfortunistica, dopo l'entrata in vigore dei decreti d'ispirazione comunitaria, tendono, in altre parole, principalmente a minimizzare i rischi bilanciando gli interessi connessi alla sicurezza del lavoro con quelli che vi possano entrare in potenziale contrasto. Ne deriva una diversa prospettiva dalla quale il giudice del merito è tenuto ad accertare la sussistenza delle posizioni di garanzia e le, conseguenti, responsabilità penali per omissione di dovute cautele; se il nuovo sistema di sicurezza aziendale si configura come procedimento di programmazione della prevenzione globale dei rischi, si tratta, in sostanza, di ampliare il campo di osservazione dell'evento infortunistico, ricomprendendo nell'ambito delle omissioni penalmente rilevanti tutti quei comportamenti dai quali sia derivata una carente programmazione dei rischi. E' evidente, da questa diversa prospettiva, il rilievo che assumono, innanzitutto, i compiti non delegabili di predisposizione del documento di valutazione dei rischi e di nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione da parte del datore di lavoro. Nel caso concreto, spicca la violazione dell'obbligo di elaborare il documento di valutazione dei rischi contestata all'imputato e non specificamente negata dalla difesa. 3. Quanto alle norme tecniche della cui violazione si discute, i giudici di merito hanno individuato quella di cui alla rubrica e, segnatamente, il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 71, comma 4, lett. a) punto 3), nella parte in cui prescrive che il datore di lavoro deve curare che le macchine messe a disposizione dei lavoratori siano assoggettate alle misure di aggiornamento dei requisiti minimi di sicurezza stabilite con specifico provvedimento regolamentare adottato in relazione alle prescrizioni di cui all'art. 18, comma 1, lett. z), essendo emerso dall'istruttoria che il macchinario poteva essere azionato anche se il sistema di protezione delle parti in movimento fosse stato disattivato. 3.1. E' stato anche chiarito che l'obbligo di aggiornamento previsto a carico del datore di lavoro dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, comma 1, lett. z), va valutato in relazione al generale obbligo incombente sul datore di adottare le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori; quest'ultimo è, infatti, un obbligo assoluto che non consente, anche in considerazione del rigoroso sistema prevenzionistico introdotto dal citato decreto legislativo, la permanenza di macchinari pericolosi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (Sez.3, n.47234 del 4/11/2005, Carosella, Rv. 23319101). 3.2. Giova qui ricordare anche che, a norma del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3, comma 1, le misure generali che il datore di lavoro deve adottare per la protezione della salute e per la sicurezza dei lavoratori sono, tra le altre, la valutazione dei rischi, l'eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, la riduzione dei rischi alla fonte, la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è o è meno pericoloso, l'uso di segnali di avvertimento o di sicurezza, la regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, macchine ed impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti. Correttamente, dunque, i giudici di merito hanno ritenuto di sussumere la fattispecie concreta nella norma incriminatrice per avere il datore di lavoro messo a disposizione della lavoratrice un macchinario con sistema antinfortunistico non aggiornato. 3.3. Con riguardo a tale profilo di responsabilità, va ribadito il principio per cui, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai fini dell'individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del datore di lavoro l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, Minguzzi, in motivazione; Sez. 4, n. 24136 del 06/05/2016, Di Maggio, Rv. 26685301). E l'impiego di un macchinario con caratteristiche di pericolosità rientra proprio nella sfera gestionale riconducibile al vertice societario. 4. Quanto all'individuazione delle diverse posizioni di garanzia nell'ambito dell'amministrazione di un Ente, giova richiamare testualmente le chiare indicazioni delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, in motivazione). La prima e fondamentale figura è quella del datore di lavoro. Si tratta del soggetto che ha la responsabilità dell'organizzazione dell'azienda o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Il dirigente costituisce il livello di responsabilità intermedio: è colui che attua le direttive del datore di lavoro, organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa, in virtù di competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli. Il dirigente, dunque, nell'ambito del suo elevato ruolo nell'organizzazione delle attività, è tenuto a cooperare con il datore di lavoro nell'assicurare l'osservanza della disciplina legale nel suo complesso; e, quindi, nell'attuazione degli adempimenti che l'ordinamento demanda al datore di lavoro. Tale ruolo, naturalmente, è conformato ai poteri gestionali di cui dispone concretamente. Ciò che rileva, quindi, non è solo e non tanto la qualifica astratta, ma anche e soprattutto la funzione assegnata e svolta. Infine, il preposto è colui che sovraintende alle attività, attua le direttive ricevute controllandone l'esecuzione, sulla base e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico. Per ambedue le ultime figure occorre tener conto, da un lato, dei poteri gerarchici e funzionali che costituiscono base e limite della responsabilità; dall'altro, del ruolo di vigilanza e controllo. Si può dire, in breve, che si tratta di soggetti la cui sfera di responsabilità è conformata sui poteri di gestione e controllo di cui concretamente dispongono. Dette definizioni di carattere generale subiscono specificazioni in relazione a diversi fattori, quali il settore di attività, la conformazione giuridica dell'azienda, la sua concreta organizzazione, le sue dimensioni. Ed è ben possibile che in un'organizzazione di qualche complessità vi siano diverse persone, con diverse competenze, chiamate a ricoprire i ruoli in questione. Nell'ambito dello stesso organismo può, dunque, riscontrarsi la presenza di molteplici figure di garanti. Tale complessità fa sì che l'individuazione della responsabilità penale passi,