Operazioni soggettivamente inesistenti: cosa sono, come si provano e quali conseguenze fiscali comportano (Comm. trib. prov. Lecco n. 120/21)
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Operazioni soggettivamente inesistenti: cosa sono, come si provano e quali conseguenze fiscali comportano (Comm. trib. prov. Lecco n. 120/21)

Operazioni soggettivamente inesistenti: cosa sono, come si provano e quali conseguenze fiscali comportano

Introduzione

Le operazioni soggettivamente inesistenti sono uno dei temi più delicati del diritto tributario e penale-tributario.

Pur trattandosi di operazioni realmente avvenute, il problema nasce dal fatto che la fattura è emessa da un soggetto diverso da quello che ha effettivamente fornito il bene o la prestazione.

Questo scollamento tra realtà e rappresentazione documentale può rendere indetraibile l’IVA e far emergere profili di responsabilità penale.

La sentenza in commento offre un chiarimento esemplare su come si accerta la fittizietà soggettiva e quale ruolo abbia la buona fede del contribuente.


Cosa significa “operazione soggettivamente inesistente”

Secondo l’art. 1, lett. a), del D.lgs. 74/2000, rientrano tra le fatture per operazioni inesistenti anche quelle che “riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”.

In pratica, la prestazione o la cessione avviene realmente, ma il soggetto che emette la fattura non è il vero fornitore.

Il documento contabile non rappresenta dunque la realtà soggettiva dell’operazione.

Esempi tipici:

  • una società cessata o priva di partita IVA continua a emettere fatture;

  • un soggetto presta servizi in nome di un’altra impresa formalmente esistente ma inattiva;

  • vengono utilizzate società di comodo per schermare il reale esecutore dell’attività.

In tutti questi casi, il problema non è l’inesistenza materiale della prestazione, ma l’inesistenza giuridico-soggettiva del contraente.


Il caso deciso dalla CTP di Lecco

L’Agenzia delle Entrate contestava ad una società a responsabilità limitata di aver detratto l’IVA su fatture emesse da una società formalmente cessata dal 1981, quindi fiscalmente inesistente.

Le prestazioni erano state realmente eseguite, ma da un ex socio che continuava a operare utilizzando indebitamente l’intestazione e la partita IVA della società ormai cancellata.

La contribuente sosteneva la propria buona fede, affermando di non essere a conoscenza della cessazione della ditta e di aver sempre ricevuto regolari prestazioni.

Tuttavia, il Collegio ha rigettato il ricorso, confermando l’accertamento dell’Agenzia e il recupero dell’IVA.


Come si prova l’inesistenza soggettiva

Uno dei punti centrali della decisione riguarda la prova logica della fittizietà.L’Agenzia delle Entrate non deve dimostrare con prove dirette la consapevolezza del contribuente: può ricorrere a presunzioni gravi, precise e concordanti.

Tra gli elementi che possono fondare l’accertamento:

  • la chiusura della partita IVA del fornitore;

  • l’assenza di dichiarazioni fiscali o di versamenti d’imposta;

  • la cancellazione d’ufficio dal Registro imprese per inattività;

  • la prosecuzione dei rapporti commerciali per anni con un soggetto ormai inesistente;

  • l’assenza di strutture, clientela o mezzi propri da parte del fornitore apparente.

Se da questi elementi emerge che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere dell’irregolarità, la detrazione IVA deve essere negata.Non basta, quindi, dimostrare che la merce sia stata consegnata o che il servizio sia stato svolto: ciò prova l’esistenza materiale, ma non sana la falsità soggettiva.


Il ruolo della buona fede

Il punto più discusso in giurisprudenza è la possibilità per il cessionario di invocare la buona fede.

La CTP Lecco è chiara: la buona fede non può coincidere con l’ignoranza colpevole.

Nel caso concreto, i rapporti commerciali duravano da oltre vent’anni, in un contesto provinciale ristretto; era dunque inverosimile che l’imprenditore ignorasse la chiusura della partita IVA del fornitore.

Il Collegio parla di una “sostanziale negligenza” e di una mancanza di cautela nella verifica dell’identità commerciale e fiscale del contraente.

In altre parole, non si pretende un’indagine investigativa, ma un minimo controllo di diligenza imprenditoriale, come:

  • verificare la validità della partita IVA;

  • controllare l’iscrizione al Registro Imprese;

  • accertare la presenza di una sede o di strutture operative.

La mancata verifica esclude la buona fede e legittima il recupero dell’IVA indebitamente detratta.


Il principio di diritto affermato

Si configura un’operazione soggettivamente inesistente quando la prestazione, pur effettivamente eseguita, è documentata da fattura emessa da un soggetto diverso dal reale prestatore.

La detrazione dell’IVA è legittimamente negata se il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza imprenditoriale, della fittizietà del fornitore.

Questo principio si allinea alla giurisprudenza di Cassazione (nn. 1950/2007, 9138/2010, 5173/2017), che sottolinea l’importanza della prova presuntiva e del ruolo attivo del contribuente nella verifica dei propri partner commerciali.


La sentenza integrale

Comm. trib. prov.le Lecco sez. II, 20/09/2021, (ud. 19/07/2021, dep. 20/09/2021), n.120

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con ricorso telematico datato 05.02.2021, la Società A.A.G. S. srl socio unico (di seguito anche "Società"), con sede legale in Olginate (LC), via I., in persona del legale rappresentante, Presidente del Consiglio di Amministrazione, ing. S. A., rappresentata e difesa giusta procura in calce all'atto introduttivo del giudizio, impugnava l'avviso di accertamento nr. ../2020, emesso dall'Agenzia delle Entrate D.P di Lecco (di seguito anche " Ufficio"), per l'anno di imposta 2015, per il recupero dell'IVA, illegittimamente, detratta e relativa ad operazioni commerciali soggettivamente inesistenti con irrogazione delle relative sanzioni.


Ciò sulla scorta di P.V. di constatazione, redatto da funzionari dell'Agenzia con il quale, in relazione alla attività di controllo della posizione fiscale della Società, venivano segnalate fatture relative ad operazioni "soggettivamente inesistenti" tra la Società ricorrente e la Società F.ll.i M. G. e L. SDF nei confronti della quale emergeva che:


a)la partita IVA era cessata (posizione IVA chiusa il 31.12.1981);


b)non erano presenti dichiarazioni ai fini II.DD, IVA e IRAP o versamenti di imposta di alcun tipo (evasore totale);


c)era stata cancellata d'ufficio nel 2008 dal registro imprese per inattività.


In particolare, per l'anno di imposta di cui trattasi risultava che la contribuente avava annotato nr. 12 fatture di acquisto emesse dalla Società F.lli. M. così come indicato a pag. 3 dell'avviso gravato.


Ne conseguiva l'indebita detrazione dell'IVA per complessivi euro 22.815,99 L'instaurato procedimento di reclamo/mediazione non si perfezionava per cui si incardinava il presente contenzioso.


Si doleva la contribuente dell'operato dell' ufficio per i seguenti motivi:


1) Infondatezza dell'avviso di accertamento. Nella fattispecie non si può configurare alcuna fittizietà in quanto da un punto di vista oggettivo le fatture sono regolari e le prestazioni eseguite attraverso la personale esecuzione del socio G. M. e, quindi, dalla società F.lli. M. emittente la fattura. Solo in data 04.10.2017 la Società veniva a conoscenza della cessazione della partita IVA indicata nelle fatture emesse dalla Società F.lli. M. per cui cessava il relativo rapporto. Non sussiste, nel caso di specie, la fattispecie di fatture soggettivamente fittizie.


2)Buona fede e diligenza della Società A.A.G S..


La contribuente, in tutte le comunicazioni con l'Agenzia ha, sempre, indicato tra i propri fornitori la Società F.lli. M. con l'indicazione della partita IVA indicata in fattura; fino all'anno 2017 l'Ufficio "non si è mai avveduto dell'anomalia della partita IVA" e non appena che la S. è venuta a conoscenza che la partita IVA della Soc. F.lli M. era cessata ha interrotto ogni rapporto, assumendo, poi, come dipendente il socio M. G.. Vedasi, anche, verbale di interrogatorio reso dal M. G., nell'ambito del processo penale radicato nei suoi confronti, ove dichiarava come la contribuente fosse all'oscuro che il precitato utilizzasse una partita IVA cessata.


Concludeva chiedendo annullarsi l'avviso di accertamento gravato perchè illegittimo, infondato ed erroneo.


Si costituiva l'Agenzia delle Entrate D.P di Lecco controdeducendo in merito, punto su punto, e chiedendo rigettarsi il ricorso con vittoria delle spese di giudizio maggiorate del 50% ex art. 15, comma 2-septies, del D.lgs nr. 546/1992.


Con istanza, datata 18.06.2021, la ricorrente chiedeva che l'udienza fissata per il 19.07.2021 avvenisse con collegamento "da remoto". Poi, con memoria difensiva, datata 07.07.2021, ribadiva le argomentazioni esplicitate in ricorso.


All'udienza del 19 luglio 2021, il Collegio adito e le parti in causa si collegavano, tra loro, con la modalità "da remoto", udienza che si svolgeva regolarmente consentendo alle parti di esporre le proprie tesi. Quindi, la causa passava in decisione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE


Osserva il Collegio come il ricorso non sia fondato e non possa trovare accoglimento.


I rapporti della ricorrente con la società F.lli M. risalgono a prima degli anni '80. La M. prestava dei servizi, nei confronti della contribuente, di programmazione e manutenzione su impianti e macchinari di produzione e sui c.d. PLC (Controlli logici programmabili) e nella fornitura dei componenti per le relative manutenzioni agli impianti (elettrovalvole, pinze, ecc). Sostiene ora ed a discarico, la A.A.G. S. srl, che le prestazioni sono state eseguite dalla Società F.lli M. attraverso la personale esecuzione del socio M. G. e, quindi, dalla Società emittente la fattura.


Tale argomentazione non ha pregio.


L'art. 1, lett. a) del D.lgs nr. 74/2000 recante "Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 26 giugno 1999 nr. 205" prevede che: "per fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emesse a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi".


Assume l' Ufficio che, nel caso in esame, le operazioni sono state, effettivamente, svolte ma le fatture sono state emesse da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata e della quale il committente è stato l'effettivo destinatario.


Con la nozione di operazioni soggettivamente inesistenti si fa riferimento ai casi in cui la transazione commerciale (cessione di beni o erogazione di servizi) è, effettivamente, avvenuta ma il fornitore reale risulta essere differente da quello che appare e che ha emesso la fattura. In sostanza, alla prova documentale che attesti che la prestazione è stata svolta dal soggetto che ha emesso la fattura, si sovrappone la realtà, ovvero il fatto che la prestazione è stata, realmente, effettuata ma da altro diverso soggetto con conseguente divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale.


Da quanto sopra si rileva come, nella fattispecie, si sia in presenza di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti in quanto la prestazione non può essere stata eseguita dalla Società F.LLI M. G. e L. SDF emittente le fatture poichè la precitata aveva la partita IVA chiusa il 31.12.1981, è stata cancellata d'ufficio nel 2008 dal registro imprese per inattività e non ha, mai, presentato dichiarazioni ai fini II.DD, IVA e IRAP o versamenti d'imposta di alcun tipo.


Le prestazioni sono state fornite da un soggetto diverso, M. G. che ha, indebitamente, utilizzato fatture con l'intestazione della estinta Società F.LLI M. G. e L. SDF con ciò incorrendo, anche, in violazioni al vaglio del Giudice penale.


Anche il secondo motivo di ricorso inerente la sussistenza della buona fede della Società cessionaria AAG S. srl in quanto ignorava il meccanismo fraudolento posto in essere dal M. G. al fine di evadere l'IVA non appare fondato.


Occorre al riguardo verificare se il diritto alla detrazione invocato dalla ricorrente sussista e se la stessa sapeva o avrebbe dovuto sapere ovvero fosse consapevole che le operazioni intercorse si inscrivevano in una evasione commessa dal fornitore (nella fattispecie M. G.).


Sul punto è l'A.F a dover provare la connivenza da parte del cessionario anche mediante l'uso di presunzioni.


La Società F.lli M. G. e L. SDF svolse, a suo tempo, attività di programmazione, manutenzione e di riparazione in favore della contribuente presentandosi attraverso le prestazioni lavorative fornite dall'ex socio M. G.. Come detto, nei confronti della precitata è emerso la cessazione della partita IVA il 31.12.1981, cancellazione d'ufficio nel 2008 dal registro delle imprese per inattività e mancanza di dichiarazioni, ai fini, II.DD, IVA e IRAP o versamenti di imposta di alcun tipo (evasore totale). Tuttavia, il sig. M. G. ha continuato a fornire le prestazioni professionali, nel corso degli anni, fatturando, illegalmente, a nome della estinta Società ed omettendo il versamento dell'IVA.


Nell'occorso, la contribuente, stante i rapporti commerciali intrattenuti da decenni con la controparte ed il M. G. e la verosimile conoscenza delle vicende, sempre di natura commerciale, che in un contesto provinciale vengono diffuse e di cui, prima o poi si viene a sapere, aveva sentore o avrebbe dovuto averlo, con l'uso della ordinaria diligenza, della sostanziale inesistenza del contraente (Società F.lli M.) e della posizione irregolare del M. G. esecutore delle prestazioni fatturate a nome di società inesistente.


Nella fattispecie, seppure non vi sono riscontri circa una consapevole partecipazione alla frode, tuttavia è presente una sostanziale negligenza e mancanza di cautela nella valutazione dei fatti nell'ambito dei quali si è svolto il rapporto. Ne consegue che l'addebito della indetraibilità con recupero dell'IVA, illegittimamente detratta è legittimo atteso che non si versa in una ipotesi di ignoranza che non dipenda da colpa che non si può ritenere sussistere dopo un periodo di così lunga collaborazione e di stretti legami. La durata e la conoscenza diretta dei soggetti coinvolti induce a ritenere come la ricorrente non possa non aver saputo della situazione commerciale inerente la estinta Società F.lli M. che porta ad escludere una ignoranza incolpevole in merito alle posizioni dei soggetti coinvolti e alle fatturazioni portanti quali emittente una società cessata dal 1981 e cancellata d'ufficio dal registro delle imprese nel 2008.


E' ovvio che non si pretende che sul cessionario/committente incomba il dovere di accurate indagini ma si richiede che un imprenditore che opera da anni sul mercato (come nel caso in esame) e mediamente accorto debba adottare un minimo di cautela e prudenza nonchè porre attenzione su determinati requisiti minimi e circostanze come l'assenza di strutture, l'assenza di una clientela qualificata, la mancanza di indici di capacità commerciale, pubblicità, giro di affari, ecc mancando i quali si deve rendere conto che ha a che fare con un soggetto inesistente o comunque con una realtà che presenta evidenti anomalie ed incongruità degne della massima attenzione. Con ciò sapendo che, in caso contrario, potrebbe incorrere in accertamenti tendenti al recupero dell'IVA, illegittimamente, detratta relativa ad operazioni, soggettivamente, inesistenti proprio per la mancanza dell'adozione di cautele circa la conoscenza della posizione commerciale e fiscale del soggetto cedente.


Al riguardo la contribuente non ha fornito, a discarico, sufficienti elementi e/o riscontri oggettivi tali da fondare un ragionevole convincimento circa l'insussistenza delle violazioni ascritte.


Il non sapere o non poter sapere deve avvenire mediante riscontri precisi e puntuali non bastando l'avvenuta consegna della merce, nei pagamenti effettuati nonchè dell'IVA riportata sulla fattura emessa dal terzo atteso che si tratta di circostanze non decisive in rapporto alla peculiarità del meccanismo IVA e dei relativi possibili abusi (Cass. nr. 1950/2007, nr.9138/2010 e nr. 5173/2017).


Quanto all'eccezione della contribuente in ordine al fatto che in tutte le comunicazioni di legge fatte all'Agenzia ha, sempre, indicato tra i propri fornitori la società F.lli M. con l'indicazione della stessa partita IVA riportata nelle fatture e come la predetta Agenzia fino all'ottobre 2017 non si fosse mai avveduta dell'anomalia inerente la partita IVA, la stessa non ha pregio.


I dati comunicati, onere degli interessati, vengono immessi nel sistema dell'A.F ma ciò non comporta una immediata verifica sostanziale per cui non vi è alcun obbligo di segnalazione per quanto dichiarato.


Come riferito dall'Ufficio, la segnalazione dell'anomalia è emersa con l'invio dei dati per l'anno 2017. Infatti, solo con il "nuovo Spesometro", riformulato dall' art. 4, comma 1, del D.L nr. 193/2016 che ha trovato applicazione a partire dall'invio dei dati delle fatture del secondo semestre 2017, i soggetti obbligati a tale adempimento hanno potuto servirsi, per la trasmissione telematica delle fatture emesse o ricevute, di una nuova piattaforma telematica la quale è in grado di evidenziare, tempestivamente, le incongruenze concernenti le fatture commerciali con la conseguenza di una immediata intercettazione delle fatture emesse da soggetti che, in precedenza, hanno presentato dichiarazione di cessazione dell'attività con relativa chiusura della partita IVA.


Come riportato a pag. 3 dell'avviso di accertamento, la contribuente, seppure avesse contezza delle anomalie nel mese di aprile 2017, stante le difficoltà tecniche di inserimento nel sistema di una partita IVA inattiva ha, tuttavia, continuato la fatturazione fino ad agosto 2017. A seguito di ciò, poi, la Società, interrotte le fatturazioni con la società F.lli M. G. e L. SDF, provvedeva a regolarizzare la posizione del sig. M. G. assumendolo alle proprie dipendenze.


Infine, quanto all'eccezione svolta dalla ricorrente circa il fatto che il M. G., nell'ambito del processo penale instaurato nei suoi confronti (nr. 54/2020) ha dichiarato, così come da verbale di interrogatorio, che la Società AAG S. era rimasta, completamente, all' oscuro del fatto che il medesimo utilizzasse una partita IVA cessata, la stessa non ha rilevanza nel contesto in esame.


Si è in presenza di una dichiarazione proveniente da persona indagata e priva di un minimo di riscontro e/ o elementi a sostegno per cui la si deve ritenere sterile e carente di valenza atteso anche che, stante i rapporti intercorsi tra il M. e la contribuente, il precitato non ha alcun interesse a chiamare in causa la Società.


Per quanto sopra il ricorso non può trovare accoglimento.


Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.


P.Q.M.


La Commissione rigetta il ricorso e condanna parte soccombente alla rifusione delle spese di lite che liquida in euro 2.000,00 (duemilaeuro) per compensi oltre il 15% per spese forfettarie.


Così deciso in Lecco nella Camera di consiglio del 19 luglio 2021.

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