1. La massima
In tema di bancarotta fraudolenta, nel caso di scioglimento e liquidazione di una società di capitali, la nomina dei liquidatori produce effetti dal momento in cui è stata iscritta nel registro delle imprese, sicché gli amministratori della società, fatta salva l'ipotesi in cui abbiano presentato le dimissioni in precedenza, rispondono penalmente delle condotte poste in essere fino a tale momento.
2. La sentenza integrale
Cassazione penale sez. V, 26/10/2023, (ud. 26/10/2023, dep. 04/12/2023), n.48114
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza del 19 settembre 2022, la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza emessa, in data 28 febbraio 2017, dal G.U.P. presso il Tribunale della medesima città - che aveva condannato, in sede di abbreviato, D.G.S., per il reato di bancarotta fraudolenta documentale e distrattiva, quale amministratore unico della società (Omissis) s.r.l., dichiarata fallita dal Tribunale di Lecce il 19 giugno 2013, alla pena di anni tre di reclusione - quantificato l'importo della sottrazione in Euro 293.715,80, riduceva la pena ad anni due e mesi dieci di reclusione.
2. Avverso l'indicata sentenza, ricorre per cassazione l'imputato, a mezzo dei propri difensori di fiducia, avv. Francesco Fasano e avv. Carmine Di Zenzo, articolando cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denunzia violazione dell'art. 216 L. Fall. e vizio di motivazione in ordine alla bancarotta fraudolenta documentale per travisamento della prova per essere stata omessa la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia, costituita dalle risultanze della C.T.U. disposta in appello, nella parte in cui ha escluso che le irregolarità contestate avessero reso impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio del fallito.
Inoltre, la sentenza impugnata si rivela viziata per non avere la Corte territoriale effettuato alcuna indagine sul dolo che, sia pure richiesto nella forma generica, comportava l'accertamento della consapevolezza che l'irregolare tenuta della documentazione contabile è in grado di arrecare pregiudizio al ceto creditorio, rendendo impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali.
2.2. Col secondo motivo si deduce violazione dell'art. 2487-bis c.c. e dell'art. 40 c.p., nonché vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, relativamente alle operazioni contabili effettuate prima della iscrizione nel registro delle imprese della delibera recante la nomina del liquidatore subentrato all'imputato.
Lamenta il ricorrente come entrambi i giudici di merito hanno condiviso la soluzione suggerita dal consulente contabile del pubblico ministero, il quale ha fatto decorrere dalla data di iscrizione nel registro delle imprese della nomina del liquidatore (20 gennaio 2013), gli effetti non soltanto nei confronti dei terzi ma anche ai fini penali, con la conseguenza che l'imputato, pur essendo intervenuto lo scioglimento della società con la relativa nomina del liquidatore, di cui alla Delib. del 12.1.2013, si è visto addossare le conseguenze penali di atti non da lui posti in essere, bensì dal liquidatore sia pure prima della iscrizione della Delib. societaria nel registro delle imprese; iscrizione che però ha solo natura dichiarativa e non costitutiva.
Contrariamente a quanto sostenuto, già in data 12 gennaio 2012 il ricorrente aveva dismesso il mandato di amministratore, passando i relativi poteri al liquidatore ed abbandonando l'effettiva gestione della società che invece il giudice presume che sia continuata in capo al ricorrente nonostante nella specie non vi sia stato un formale passaggio di consegne indicativo del preciso momento del passaggio gestionale. Pertanto, in assenza di ogni specifico accertamento in ordine al soggetto che ha compiuto gli atti successivi alla delibera, non può di certo presumersi la responsabilità penale dell'imputato, che doveva quindi essere prosciolto dai fatti posti in essere dopo la data del 12 gennaio 2012 (segnatamente l'operazione Cogetech s.p.a. che ha comportato la contestata distrazione di Euro 45.666,01, la distrazione di Euro 25.847,86, e quella di Euro 40.890,73 come rettificata dal liquidatore in data 13.12.2012).
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di responsabilità relativa alle condotte di occultamento e distrazione: in particolare, la Corte di appello non ha dimostrato che i fatti contestati fossero distrattivi e non invece il frutto di un errore nell'appostamento contabile. Infatti, nella parte in cui si è occupata della contabilità omessa o irregolare, la Corte non ha motivato in ordine alla sussistenza del doio specifico richiesto consistente nella volontà di realizzare un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori; ché altrimenti trattandosi di mera superficialità si ricade nell'ipotesi della bancarotta semplice.
In mancanza della documentazione bancaria non reperibile essendo trascorsi più di dieci anni dalle operazioni, non è stato possibile procedere all'identificazione dei movimenti contabilizzati nell'anno 2010 al quale sono state ricondotte le operazioni che hanno generato i saldi. In casi simili si sarebbe dovuto comunque ricostruire il deficit fallimentare per poi procedere all'identificazione dell'eventuale decremento dell'attivo societario che non avesse giustificazione. Solo così si sarebbe potuto raggiungere la certezza della sussistenza del reato.
Peraltro, si evidenzia come per la pretesa distrazione della somma di Euro 198.758,80. collegata alle operazioni con Servizi in rete s.r.l. e Technoit s.p.a., il consulente del p.m. affermava che si trattava di un'operazione neutra.
In ogni caso la prova della distrazione non può essere ricavata dal solo accertamento di un artificio contabile costituito dalla rettifica del valore iscritto a bilancio non accompagnata dal benché minimo riscontro fattuale circa la mancanza fisica del bene.
2.4, Con il quarto motivo si contesta violazione di legge in relazione al riconoscimento della circostanza aggravante di cui all'art. 219 comma 1 L. Fall., nonché vizio di motivazione con riferimento all'individuazione dei profili posti a fondamento del giudizio di gravità valutato globalmente.
La Corte territoriale si è limitata ad assumere la gravità del danno, omettendo completamente di confrontarsi con il profilo di rilevanza del medesimo, tale da integrare l'aggravante in commento.
Infatti, la sentenza impugnata è viziata laddove l'asserita gravità delle condotte imputate viene proposta in termini generici, omettendo di valutare i singoli profili rubricati in rapporto al reato di bancarotta distrattiva. In sostanza, dal provvedimento impugnato non è riscontrabile né l'asserito depauperamento del patrimonio sociale in conseguenza delle anomalie contabili, non identificabile nel passivo, né quanto maggiore sarebbe stata la proficuità dell'operato del curatore in condizioni differenti da quelle date.
2.5.Con il quinto ed ultimo motivo, sì lamenta la violazione degli artt. 63 e 133 c.p., nonché vizio di motivazione in punto di determinazione della pena e di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Lamenta il ricorrente l'eccessività della pena inflitta all'imputato, per non avere, il primo giudice di merito, fatto corretta applicazione dell'art. 63 c.p.: il G.U.P., infatti, ha determinato la pena base in misura superiore rispetto al minimo edittale, comprendendo già in essa l'aggravante di cui all'art. 219 comma 2 L. Fall. laddove essa ex art. 63 c.p. andava individua al netto dell'aggravante - e ha poi operato un aumento definito "ex art. 216 L. Fall.", volendosi evidentemente invece riferire all'aggravante di cui al comma 1 dell'art. 219 L. Fall. (oggetto di contestazione al punto che precede).
Si evidenzia come la Corte territoriale abbia eseguito il medesimo calcolo errato, limitandosi ad applicare una riduzione di due mesi di reclusione, in tal modo finendo con l'infliggere una pena eccessiva.
La presenza delle aggravanti contestate rende peraltro particolarmente rilevante la mancata concessione delle attenuanti generiche non supportata da idonea e congrua motivazione, avendo la corte di appello argomentato al riguardo annotando il comportamento non ammissivo e la mancanza di una condotta riparatoria da parte dell'imputato iaddove avrebbe dovuto piuttosto considerare la scarsa intensità del dolo e e che il comportamento processuale valutabile non deve essere necessariamente confessorio.
3. E' pervenuta in atti memoria difensiva con cui si insiste nell'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato,
1.Il primo motivo è manifestamente infondato.
Il reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, L. Fall. prevede due fattispecie alternative: a) quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili (cui è parificata l'omessa tenuta, anche parziale), che richiede il dolo specifico consistente nello scopo di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori; b) quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio del fallito, che presuppone (diversamente dalla prima ipotesi) un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari (cfr. Sez, 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838 -- 01 che ha affermato che in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l'occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa - in seno all'art. 216, comma 1, lett. b), L. Fall. - rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest'ultima integra un'ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi).
Nel caso in esame, a fronte di una contestazione sostanzialmente alternativa (avere "sottratto, distrutto o falsificato i libri e le scritture contabili" allo scopo di procurarsi profitto e di recare pregiudizio ai creditori o comunque avere tenuto i libri e le altre scritture contabili in maniera confusa e approssimativa in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione e il patrimonio degli affari), si evince dalla sentenza impugnata che il primo giudice ha escluso l'ipotesi di sottrazione e distruzione delle scritture contabili e che l'imputato è stato condannato "per irregolarità nella tenuta, tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari",
Ed è a tale fattispecie che la Corte territoriale si è riferita nel confermare la condanna dell'imputato (pag. 7 sent. impugnata), come anche il giudice di primo grado che ha operato la selezione.
Tanto premesso, è il caso di rammentare che la bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale, a loro volta, si distinguono in relazione al diverso atteggiarsi dell'elemento soggettivo, che, ai fini dell'integrazione della bancarotta semplice ex art. 217, comma 2, L. Fall. può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l'agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale, ex art. 216, comma 1, n. 2), L. Fall., l'elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell'irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell'imprenditore.
Nella specie, posto che il 12.1.2012 veniva deliberata la messa in liquidazione della società e nominato liquidatore, dapprima, R.S. e, in data 20.1.2012, S.R., con contestuale cessazione dalla carica di amministratore dell'odierno imputato solo in tale data, non risultando la designazione del primo liquidatore iscritta nel registro delle imprese, la Corte d'appello ha inferito la sussistenza del dolo richiesto ai fini della bancarottàfraudolenta cd. generica, in particolare, dalla omessa chiusura dei conti del 2011 che "consentiva la successiva possibilità di procedere ad anomali aggiustamenti contabili" e ha concluso che "ciò prova che era stata scelta proprio a tale scopo".
A differenza di quanto prospetta genericamente il ricorso, la Corte di appello non si e', però, limitata ad evidenziare tale aspetto ma lo ha inserito nell'ambito di una ben più ampia valutazione della tenuta delle scritture contabili, evidenziando come essa fosse carente sotto diversi profili sia formali che materiali; non mancavano solo le scritture di chiusura dell'esercizio 2011, ma molte delle poste indicate in bilancio erano risultate fittizie considerate le modalità con le quali venivano registrate in contabilità le operazioni di incasso e di pagamento - buona parte a fine anno e spesso attraverso giroconti senza adeguata descrizione contabile tanto che anche in fase di liquidazione si procedeva a diverse rettifiche; ed inoltre a rendere oggettivamente difficile la ricostruzione del volume di affari e del patrimonio sociale vi erano le numerose irregolarità formali riscontrate - i fogli del libro giornale degli anni 2010, 2011 e 2012 non erano numerati mentre le annotazioni relative alle operazioni dell'anno 2010 non iniziavano dal rigo 1 e ciò rendeva difficile la lettura incrociata con i mastrini di sottoconto.
Secondo quanto si riporta nello stesso ricorso, il perito, a differenza di quanto assume il ricorrente, non ebbe affatto ad escludere le difficoltà di ricostruzione del patrimonio della società.
Afferma invero il primo motivo di ricorso che il perito avrebbe dichiarato che: "..le scritture contabili obbligatorie tenute dalla società presentano delle irregolarità formali ma tali irregolarità non hanno impedito una ricostruzione del patrimonio e del volume di affari della società. In alcuni casi si è trattato di irregolarità formali di lieve entità (come, ad esempio" la mancata numerazione delle pagine dei libri giornali in formato PDF per gli anni dal 2010 al 2013 in parte poi sanata per i soli anni 2010 e 2011 sui libri giornali stampati e rinvenuti in formato cartaceo presso la sede sociale in data 21 maggio 2021). In altri casi invece le irregolarità riscontrate di natura sostanziale hanno riguardato le false rappresentazioni dell'attivo e del passivo con gli artifici contabili di cui si è già ampiamente trattato che come innanzi sono state seguite ai fine di dare una falsa rappresentazione dei valori di bilancio ai soggetti terzi. La ricostruzione del patrimonio tuttavia è stata resa possibile non senza difficoltà anche per "gli addetti ai lavori" specie per individuare le ipotesi distrattive di cui si è ampiamente trattato, mentre non sono stati rilevati elementi per poter affermare che non fosse possibile eseguire una ricostruzione del volume di affari, visto anche la corretta tenuta dei registri iva tenuti dalla società" (così testualmente nella perizia effettuata in appello alle pagine 145 e 146, secondo quanto si riporta nel ricorso in scrutinio).
Appare evidente leggendo il passo suindicato che da esso non si evince affatto quanto assume il ricorso a sostegno della tesi propugnata, avendo, anzi, il perito attraverso la descrizione riportata confermato la non agevole ricostruzione patrimoniale della società proprio a causa di quelle false rappresentazioni contabili che hanno poi reso falsa la rappresentazione dei valori di bilancio, evidenziando come essa fosse stata possibile non senza difficoltà per gli stessi tecnici che avevano esaminato le scritture contabili; come essa, in altri termini, fosse stata in buona sostanza possibile solo grazie all'impegno profuso nei superare le difficoltà determinate soprattutto dalla presenza dei riscontrati artifici contabili, e ciò in particolare proprio con riguardo all'individuazione delle distrazioni (che erano quindi ciò nonostante ricostruite ma non senza difficoltà per gli stessi "addetti ai lavori").
Ne' potrebbe assumere una qualche rilevanza il rilievo che il ricorso ha inteso dare alla premessa svolta dalla Corte di appello riguardo all'elaborato dei perito, premessa che ha inteso semplicemente evidenziare che l'accertamento dal medesimo svolto si fosse rivelato pieno, lineare, logico e scevro da contraddizioni (aggettivazione che ne avvalora piuttosto la attendibilità e non consente in alcun modo di accreditare la tesi della ricostruibilità sostenuta in ricorso, che, come detto, non tiene conto dell'effettivo significato delle affermazioni del perito). Risulta quindi evidente che la ricostruzione dei giudici di merito riguardo alla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale ravvisata nel caso di specie contenuta nelle conformi pronunce di primo e secondo grado - corrisponda perfettamente a quella di cui alla seconda parte dell'art. 216, n. 2 L. fail., come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte, dal momento che le falsità contabili riscontrate - confermate anche dai perito - integrano quelle falsità ideologica contestuali alla tenuta della contabilità, in quanto realizzate mediante l'annotazione originaria di dati oggettivamente falsi o l'omessa annotazione di dati veri, che secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte contraddistinguono la bancarotta fraudolenta documentale di cui alla seconda parte dell'art. 216, comma 1 n. 2, L. Fall. (cfr. Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020, Montanari, Rv. 278321 che ha affermato che in tema di bancarotta documentale, la condotta di falsificazione delle scritture contabili prevista dalla prima parte dell'art. 216, comma 1 n. 2, L. Fall. può avere natura tanto materiale che ideologica, consistendo comunque nella manipolazione di una realtà contabile già definitivamente formata; diversamente, la bancarotta documentale "generica" prevista dalla seconda parte della norma si realizza sempre con una falsità ideologica contestuale alla tenuta della contabilità, e cioè mediante l'annotazione originaria di dati oggettivamente falsi o l'omessa annotazione di dati veri, realizzata con le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice; in applicazione del principio, la Corte ha qualificato come bancarotta documentale "generica" una condotta consistita nell'annotazione in contabilità di importi inferiori rispetto a quelli fatturati ed incassati, con conseguente occultamento dell'effettivo volume di affari).
E tale fattispecie, si ribadisce, richiede il dolo generico ("Il reato di bancarotta fraudolenta documentale, di cui alla seconda ipotesi dell'art. 216, comma 1 n. 2, L. Fall., richiede il dolo generico, ossia la mera consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità può rendere impossibile la ricostruzione delle vicende dei patrimonio, cfr. tra tante, Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838; Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020, Rv. 278321 - 01; cfr. altresì la recente pronuncia Sez. 5, Sentenza n. 15743 del 18/01/2023, Rv. 284677 - 02 che ha ribadito che la parziale omissione del dovere annotativo, integrante la fattispecie di cui alla seconda ipotesi dell'art. 216, comma 1, n. 2, L. Fall., è punita a titolo di dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda difficoltosa o impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell'impresa. In motivazione la Corte ha solo chiarito che l'impedimento nella ricostruzione del volume degli affari o del patrimonio del fallito non rappresenta l'evento del reato, ma costituisce una peculiare modalità della condotta, che interagisce sull'elemento psicologico nella sua connotazione di dolo intenzionale; laddove nel caso di specie alla stregua della ricostruzione dei tecnici tale connotazione è da ritenere "in re ipsa", insita in essa).
1.2. Il secondo motivo implica qualche precisazione in ordine alle disposizioni di cui all'art. 2487-bis c.c. che disciplinano la pubblicità della nomina dei liquidatori e relativi effetti (in tali termini è la stessa rubrica dell'articolo) ed è per questo che esso è stato nel suo complesso ritenuto infondato e non manifestamente infondato. Ebbene, tale articolo così espressamente prevede: "La nomina dei liquidatori e la determinazione dei loro poteri, comunque avvenuta, nonché le loro modificazioni, devono essere iscritte, a loro cura, nel registro delle imprese. Alla denominazione sociale deve essere aggiunta l'indicazione trattarsi di società in liquidazione. Avvenuta l'iscrizione di cui al comma 1 gli amministratori cessano dalla carica e consegnano ai liquidatori i libri sociali, una situazione dei conti alla data di effetto dello scioglimento ed un rendiconto sulla loro gestione relativo al periodo successivo all'ultimo bilancio approvato. Di tale consegna viene redatto apposito verbale. Quando nei confronti della società è stata aperta la procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata, il rendiconto sulla gestione è consegnato anche, rispettivamente, ai curatore o ai liquidatore della liquidazione controllata".
Alla stregua dei chiarissimo tenore letterale di tali disposizioni - che si applicano alle società di capitale in genere e quindi anche alla società a responsabilità limitata quale è quella di cui trattasi - si evince che - a differenza di quanto si assume in ricorso, ed argomenta anche i Procuratore generale nella memoria in atti - la decisione di nomina dei primi liquidatori è efficace dal momento in cui è stata iscritta nel registro delle imprese (art. 2487-bis c.c., comma 3).
La decisione di sostituzione dei liquidatori, pendente lo stato di liquidazione, è invece efficace dal momento dell'accettazione dell'incarico da parte dei nuovi nominati, anche se tale accettazione avviene prima dell'iscrizione nel registro imprese della delibera suo presupposto.
E' altresì il caso di rammentare che la società si trova in stato di liquidazione ai sensi dell'art. 2484 c.c., comma 3, solamente dalla data dell'iscrizione nel registro delle imprese della dichiarazione degli amministratori che accertano la causa di scioglimento ex numeri 1, 2, 3, 4 e 5 ovvero della deliberazione dell'assemblea dei soci nel caso di cui al n. 6 del comma 1 del suddetto art. 2484 c.c. (sino a quando tale pubblicità non è stata attuata, ferma restando la responsabilità degli amministratori ed eventualmente dei sindaci ex art. 2485 c.c., la causa di scioglimento della società non produce effetto).
E' dunque l'iscrizione della nomina del liquidatore nel registro delle imprese a segnare il momento esatto della successione tra amministratori e liquidatori.
L'iscrizione della deliberazione o della decisione di nomina dei liquidatori determina la cessazione dalla carica degli amministratori e l'obbligo in capo a questi ultimi di provvedere al "passaggio di conseone" in favore dei liquidatori.
Nello specifico, gli amministratori devono consegnare ai liquidatori i libri sociali, una situazione dei conti al momento dello scioglimento e un rendiconto della gestione riferito al periodo successivo all'approvazione dell'ultimo bilancio di esercizio.
Essi rimangono quindi in carica fino a quando non interviene tale iscrizione cui fa seguito il relativo passaggio delle consegne, che si rammenta nel caso di specie è intervenuta solo in data 20.1.2013, ossia in epoca successiva a quelle operazioni ritenute inizialmente sospette e poi definitivamente distrattive in virtù degli artifici posti in essere proprio in tale periodo (operazioni che il motivo in scrutinio ha inteso ricondurre al solo liquidatore - qualificandole tra l'altro come operazioni tipicamente liquidatorie a fronte dell'accertata loro natura distrattiva - sull'erroneo presupposto che la carica dell'amministratore fosse cessata già a partire dal 12.1.13, data in cui è invece intervenuta la sola delibera di nomina del primo liquidatore, e sulla base di quanto affermato dall'imputato che assume di avere cessato di gestire la società a partire da quella data).
D'altra parte, è il caso di aggiungere, l'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese grava sui liquidatori, ma legittimati all'iscrizione sono anche gli amministratori e l'sindaci.
Anche gli amministratori possono procedere all'iscrizione - e ciò evidentemente proprio perché essi rimangono in carica fino a quando tale iscrizione non interviene; sicché essi, in caso di inerzia del liquidatore, possono procedervi - ed è anzi ragionevole aspettarsi che vi procedano - perché altrimenti continuano a rimanere in carica nonostante la nomina del liquidatore, con tutte le conseguenze del caso anche in termini di responsabilità penale dai momento che il passaggio di consegne è ex lege fissato all'atto dell'iscrizione della nomina dei liquidatore nel registro delle imprese avendo il legislatore voluto in tal modo individuare con certezza tale momento; ed è in tale "zona grigia" che si sono portate a termine alcune delle distrazioni ascritte all'imputato che trovano nella maggior parte dei casi il loro antecedente fattuale e logico nella fase anteriore alla designazione del liquidatore, ossia nella fase dell'amministrazione "piena" del D.G.; sicché deve ritenersi superata ogni perplessità in ordine alla riconducibilità di quelle operazioni - quanto meno anche - al D.G. nella rivestita qualità, mantenuta anche dopo la nomina del liquidatore.
Non si condivide, quindi, l'impostazione del Procuratore Generale - a cui in buona sostanza si aggancia anche il ricorso nella parte in cui esclude che quanto accaduto possa, in ogni caso, avere risvolti sul piano della responsabilità penale dell'imputato - che a sostegno della non necessità, ai fini della sua efficacia, dell'iscrizione della nomina del liquidatore nel registro delle imprese richiama la pronuncia di questa Corte, Cass. Civ., Sez. 1, Ordinanza n. 13221 del 17/05/2021 (Rv. 661452 - 01) che ha affermato che " In tema di azione di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c. promossa dal curatore fallimentare, la cessazione dalla carica dell'amministratore, che abbia ritualmente presentato le proprie dimissioni, è opponibile al fallimento, anche se non è iscritta nel registro delle imprese, poiché non può operarsi un'estensione della responsabilità - che e', comunque, per fatto proprio (anche se di natura omissiva) - a comportamenti messi in atto da terzi in epoca successiva alle dimissioni, solo perché il collegio sindacale ha omesso di adempiere agli obblighi di pubblicità, alla cui inerzia l'amministratore dimissionario non può supplire, essendo ormai estraneo all'organizzazione societaria".
Trattasi, invero, di fattispecie diversa da quella in scrutinio inerendo alla ben differente ipotesi delle dimesioni dell'amministratore la cui iscrizione nel registro delle imprese non è stata peraltro ritenuta di competenza dell'amministratore che con le dimissioni ha ormai dismesso la carica; laddove nel caso di specie si verte nel caso della nomina dei liquidatore non ancora iscritta nel registro delle imprese che in quanto tale, come sopra detto, non fa venir meno la carica di amministratore, circostanza che comporta che può procedere anch'egli all'iscrizione (l'amministratore ai sensi dell'art. 2486 c.c., a verificarsi di una causa di scioglimento e fino ai momento della consegna di cui all'art. 2487-bis c.c., conserva il potere di gestire la società sia pure ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale ed è personalmente responsabile dei danni arrecati; e, ove vengano poste in essere operazioni addirittura depauperative del patrimonio e venga poi dichiarato il fallimento della società, la sua responsabilità non potrà che assumere anche rilievo penale ai sensi dell'art. 216 L. Fall.).
Ne discende che tutte le censure che muovono da presupposto errato di una immediata cessazione della carica dell'amministratore in data 12.1.13 per essere quei giorno stata adottata la delibera di nomina del primo liquidatore - circostanza a cui il ricorso in buona sostanza aggancia - per ciò solo - la riconducibìlità delle condotte intervenute a decorrere da tale data al solo liquidatore - sono infondate, essendo appunto infondata - a fronte del chiaro portato normativo sopra analizzato - l'interpretazione offerta in ricorso dell'art. 2487-bis c.c..
3. Ii terzo motivo è aspecifico, oltre che manifestamente infondato alla stregua di tutto quanto osservato con riferimento ai motivi precedenti, avendo tra l'altro esso ancorato la contestazione delle ipotesi distrattive all'errato assunto secondo cui per la bancarotta fraudolenta documentale per irregolare tenuta necessiti il dolo specifico (che come sopra ricordato non trova conforto nella consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di bancarotta fraudolenta documentale cd. generica, ravvisata nel caso di specie).
Quanto poi alla ricostruzione delle ipotesi distrattive è il caso di evidenziare che, una volta venuta meno la distinzione tra operazioni intervenute prima e dopo il 12.1.13 - data di nomina del liquidatore seguita dall'iscrizione nei registro delle imprese solo i 20.1.2013 -, il collegamento riscontrato tra quanto effettuato in un primo momento, come premessa, e quanto poi coerentemente sviluppato successivamente in termini di perfezionamento dell'artificio contabile rende pienamente conto della sussistenza delle distrazioni come ricostruite nelle conformi pronunce di primo e secondo grado e della loro riconducibilità all'imputato (le due pronunce di merito, in buona sostanza, divergono nella determinazione del quantum distratto rideterminato dalla Corte di appello nella minore somma di Euro 293.715,89).
In particolare, si evidenzia nelle pronunce di merito che, ad esempio, con riferimento ai fornitori Servizi in Rete 2001 s.r.l. e Technoit s.p.a. si era acclarato che essi venivano pagati con addebito in conto corrente per fatture che invece erano state pagate per cassa contanti e successivamente ristornate con riapertura dell'esposizione debitoria reale. Da ciò si è evinto che il debito era reale, che al 31/12/2010 il pagamento per cassa era fittizio e che la società fallita, (Omissis), avesse in cassa contabile una somma pari all'importo del pagamento per cassa che tuttavia effettivamente non era più nella disponibilità della società poiché oggetto di distrazione da parte dell'amministratore nel corso delle passate gestioni. Si è più in generale rilevata la presenza di numerosi pagamenti altamente sospetti, tra l'altro perché operati per contanti per diverse decine di migliaia di Euro per lo più negli ultimi giorni dell'anno, privi di riferimenti a specifiche fatture, poi annullati nei primissimi giorni dell'anno successivo con reviviscenza della posta di debito originaria portata a nuovo bilancio sebbene fosse ancora possibile, e doveroso, procedere alla chiusura dei conti dell'anno precedente, atteso che il relativo bilancio non era ancora formato (trattasi di "stranezze contabili", così definite dai giudici di merito, verificatesi per più anni ed incredibilmente per importi talora riportati eguali di anno in anno, tradottisi, alla fine, in prossimità della delibera di liquidazione nel pratico azzeramento del conto cassa; con movimentazione di cui diverse per decine e decine di migliaia di Euro in contanti, ciascuna; si era trattato non già di mere correzioni ma di veri e propri annullamenti di operazioni di pagamento già contabilizzate, con riporto della relativa somma a debito). Al riguardo la sentenza di primo grado, richiamata da quella di appello, ben evidenzia come la tesi difensiva secondo cui si sarebbe trattato di annotazioni cumulative poi rettificate - di meri errori dunque - fosse di difficile tenuta anche sotto il profilo logico dal momento che il suo accoglimento dovrebbe postulare che non solo si fossero annotate cumulativamente una serie numerosissima di pagamenti avvenuti nel corso degli anni, ma anche che successivamente ci si fosse accorti che in realtà tali pagamenti non erano stati eseguiti,
E' infine il caso di precisare che nel caso di specie la ricostruzione delle distrazioni sulla base degli artifici contabili riscontrati non si fonda solo su di essi, avendo poi i debiti solo fittiziamente riportati come estinti - per camuffare le uscite di cassa prive di giustificazione - trovato pieno riconoscimento in sede di ammissione al passivo. Ed invero, il debito veniva riconosciuto da (Omissis) e il credito corrispondente dei fornitori si insinuava al passivo. L'intera operazione dei 2 gennaio 2012 - concludono i giudici di merito - era quindi totalmente priva di pezze giustificative e l'unica certezza era l'uscita di cassa nello stesso giorno per l'estinzione del debito di (Omissis) verso i due fornitori suindicati.
Sicché nel caso di specie non è invocabile il principio secondo cui le intervenute rettifiche contabili, anche se effettuate per manipolare le scritture contabili, rendere più difficile l'attività ricostruttiva degli organi fallimentari e nascondere le attività distruttive poste in essere, non possono integrare di per sé una condotta di bancarotta per distrazione, se ad esse non segue un effettivo depauperamento delle garanzie patrimoniali per i creditori (Sez. 5, Sentenza n. 42568 del
19/06/2018, Rv. 273925 02'e risultando accertata nel caso di specie la fuoriuscita ingiustificata per cassa di denaro della società a cui faceva peraltro seguito la ammissione al passivo dei debitori apparentemente soddisfatti.
4. Il quarto motivo che lamenta l'erronea applicazione dell'aggravante di cui all'art. 219, comma 1, L. hall. è non solo inedito, e già per ciò soie inammissibile, ma anche manifestamente infondato, non risultando tale aggravante ravvisata dal giudice di primo grado che ha piuttosto fatto riferimento alla sola aggravante di cui all'art. 219, comma 2 n. 1 dei più fatti di bancarotta (ed è verosimilmente per tale motivo che nessuna doglianza risulta svolta al riguardo in appello).
S. Il quinto motivo che lamenta in buona sostanza l'eccessività della pena inflitta, anche sotto il profilo del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. è inammissibile nella presente sede di legittimità.
In ordine al diniego delle attenuanti generiche, la Corte di appello nel rigettare la richiesta per le ragioni indicate in ricorso, ha in buona sostanza escluso, in conformità ai consolidato orientamento di questa Corte al riguardo, che tale riconoscimento costituisca un diritto per l'imputato, dovendo piuttosto emergere elementi positivi di valutazione (quali potevano essere una condotta riparatoria o un comportamento ammissivo indicati appunto a mero esempio nella sentenza impugnata); a fronte di tale argomento nulla di specifico viene contro-dedotto nel ricorso che si limita a fare riferimento ad aspetti smentiti nella ricostruzione die giudici di merito - quale quello della scarsa intensità del dolo - ovvero già considerati dal giudice di merito quale appunto quello della entità delle distrazioni in considerazione del quale la Corte di appello ha rideterminato la pena riducendola.
Le circostanze attenuanti generiche hanno, invero, lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità dei reato e della capacità a delinquere del reo, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 2, Sentenza n, 9299 del 07/11/2018 Ud. (dep. 04/03/2019) Rv. 275640 - 01), elementi di segno positivo che devono peraltro essere diversi dall'incensuratezza, non più sufficiente, dopo la modifica dell'art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, ai fini della concessione dell'attenuante in parola; elementi positivi evidentemente assenti ovvero non riscontrati nel caso di specie.
Parimenti sufficientemente motivata è la determinazione della pena, che la Corte di appello ha già ritenuto di rideterminare nella misura finale inflitta di anni due e mesi dieci di reclusione - in considerazione del ridimensionamento della entità complessiva delle somme distratte - sottolineando la sua adeguatezza rispetto alla fattispecie concreta, contraddistinta dalla pluralità e gravità dei fatti criminosi e da lesione economica evidentemente ritenuta comunque non modesta (con individuazione peraltro della pena base in anni tre e mesi nove di reclusione ossia in misura non distante dal minimo edittale di anni tre e comunque inferiore alla media edittale),
La determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 c.p. Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta - come nel caso di specie - in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale (Sez. 4, Sentenza n. 41702 del 20/09/2004, Rv. 230278 - 01).
5. Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento,
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2023