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Riesame: In caso di appello del PM, la riforma sfavorevole non impone una motivazione rafforzata.

In sede di appello del pubblico ministero avverso il rigetto della richiesta di misura cautelare, la riforma sfavorevole all'indagato del provvedimento del giudice per le indagini preliminari non impone una motivazione rafforzata, in quanto è sufficiente che il giudice d'appello cautelare compia una valutazione totale, autonoma e completa degli elementi addotti dalle parti nel contraddittorio pieno, confrontandosi con gli argomenti che fondano la decisione impugnata, in quanto, diversamente da quanto richiesto nel giudizio di merito, non è necessaria la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, della insostenibilità della soluzione adottata dal primo giudice (da ultimo vds. Sez. 5, Sentenza n. 28580 del 22/09/2020, M., Rv. 279593).

Cassazione penale sez. IV, 16/03/2022, (ud. 16/03/2022, dep. 22/03/2022), n.9727


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza resa il 13 dicembre 2021, il Tribunale del Riesame di Bari, in accoglimento dell'appello proposto dal Pubblico ministero in sede, ha disposto applicarsi, nei confronti di D.S.G., la misura della custodia cautelare in carcere - in sostituzione della misura degli arresti domiciliari precedentemente applicatagli - in relazione a reati p. e p. dal D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74. Il D.S., ritenuto soggetto di vertice di un sodalizio dedito al traffico di stupefacenti operante nella zona di Terlizzi, era stato sottoposto inizialmente alla misura della custodia in carcere giusta ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Bari emessa il 30 dicembre 2019; la misura inframuraria era stata poi sostituita con quella degli arresti domiciliari il 14 ottobre 2020 presso una comunità di recupero, in relazione al suo stato di tossicodipendenza, non essendosi ravvisate esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Avverso quest'ultimo provvedimento proponeva appello il P.M., muovendo dalla considerazione che D.P.R. n. 309 del 1990, art. 89, comma 4, di cui è stata confermata la legittimità costituzionale, mantiene fermo il criterio della presunzione di adeguatezza della custodia in carcere per chi risponde dei reati di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 4-bis, come quello associativo contestato al D.S.; e ciò in deroga alle previsioni di cui al citato art. 89, commi 1 e 2 che richiedono, ai fini del mantenimento della misura inframuraria, la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.


Richiamando ampi stralci dell'appello del P.M., il Tribunale evidenzia che, con riferimento al D.S., le esigenze cautelari legittimanti l'estrema misura custodiale sono comunque pienamente configurabili, per la sua posizione apicale nel sodalizio, per la sua biografia penale e per il rinvenimento, presso la sua abitazione - mentre era sottoposto agli arresti domiciliari su disposizione di altra autorità giudiziaria -, di materiale di interesse investigativo. Evidenzia poi il Collegio adito l'analogia con la posizione di D.R.R., coindagato del D.S.; e conclude che, valendo nella specie la presunzione di adeguatezza della misura inframuraria, tale presunzione non risulta superata ed anzi - alla luce degli elementi addotti dal P.M. nell'atto di appello la misura degli arresti domiciliari si appalesa inidonea, stante la posizione di vertice in un'associazione criminosa a contatto con il clan mafioso Capriati ed in relazione all'accertata disponibilità - in occasione del suo arresto, mentre il D.S. si trovava già agli arresti domiciliari - di numerosi strumenti di comunicazione, alcuni dei quali utilizzati per contattare i suoi sodali pur essendo sottoposto a misura custodiale.


2. Avverso la prefata ordinanza ricorre il D.S., in primo luogo con atto sottoscritto dall'avv. Ada Rosito, preceduto da una premessa narrativa ed articolato in sei motivi di doglianza (raggruppati in tre gruppi).


2.1. Con i primi due motivi il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al fatto che, pur a fronte del disposto del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 89, comma 4, anche per i reati in relazione ai quali opera la doppia presunzione di pericolosità relativa valgono i requisiti di attualità e di concretezza delle esigenze cautelari: requisiti che, nel caso di specie, non risultano valutati e che invece il G.i.p., nell'ordinanza che aveva costituito la misura inframuraria con quella domiciliare, aveva riconosciuto come affievoliti, per effetto della disarticolazione del sodalizio di riferimento conseguente all'esecuzione dell'ordinanza genetica. Orbene, l'assenza di fatti nuovi pregiudizievoli doveva condurre al rigetto dell'appello; inoltre dovevano essere valutati anche gli elementi addotti dalla difesa ai fini dell'idoneità a superare le presunzioni di cui all'art. 275 c.p.p., comma 3, con particolare riguardo all'assenza di violazioni alle prescrizioni e al lasso temporale tutt'altro che breve decorso dalla commissione del reato. Contesta infine il ricorrente l'analogia fra la posizione del D.S. e quella del D.R., riguardo al quale gli elementi addotti per superare la presunzione non erano stati neppure esplicitati con la dovuta precisione.


2.2. Con il secondo gruppo di motivi (terzo e quarto), il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al mancato rispetto del minimo sacrificio della libertà personale, a causa del quale il deducente è costretto a sostenere un onere eccessivo come quello dell'interruzione del programma terapeutico finalizzato al recupero della salute e al reinserimento sociale.


2.3. Con gli ultimi due motivi il ricorrente denuncia violazione di norme processuali e vizio di motivazione con riguardo alla nullità dell'ordinanza per omessa motivazione in relazione alla ritenuta inidoneità degli arresti domiciliari.


3. L'avv. Dario Vannetiello, codifensore del ricorrente, ha successivamente fatto pervenire motivi nuovi, tesi a evidenziare la disarticolazione del sodalizio come fattore incidente sulle esigenze cautelari, riguardo alle quali ribadisce che l'ordinanza impugnata non considera che il ricorrente da molto tempo si astiene dal delitto ed è sottoposto a misura fiduciaria senza dare adito a rilievi.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo gruppo di motivi è infondato; e risultano parimenti infondati i motivi nuovi che ad esso sostanzialmente si richiamano nei contenuti.


1.1. E' infatti ormai maggioritario, ed è qui condiviso, l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità in base al quale la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all'art. 275 c.p.p., comma 3, è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall'art. 274 c.p.p.; ne consegue che se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall'art. 275 c.p.p., comma 3, detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, non desumibile dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo (da ultimo Sez. 1, Sentenza n. 21900 del 07/05/2021, Poggiali, Rv. 282004; in motivazione la Corte ha aggiunto che, nella materia cautelare, il decorso del tempo, in quanto tale, possiede una valenza neutra ove non accompagnato da altri elementi circostanziali idonei a determinare un'attenuazione del giudizio di pericolosità. In senso conforme vds. tra le altre Sez. 5, Sentenza n. 4321 del 18/12/2020, dep. 2021, Morabito, Rv. 280452; Sez. 5, Sentenza n. 91 del 01/12/2020, dep. 2021, Panese, Rv. 280248). Ma non si perverrebbe a conclusioni diverse anche aderendo all'indirizzo minoritario, parzialmente divergente, secondo il quale, per i reati di cui all'art. 275 c.p.p., comma 3, pur operando una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati deve essere espressamente considerato dal giudice ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell'indagato sintomatiche di perdurante pericolosità (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 13044 del 16/12/2020, dep. 2021, P., Rv. 280983): nella specie, infatti, deve considerarsi che si versa nell'ambito di una contestazione associativa in relazione alla quale il D.S., almeno fino al 7 gennaio 2020, ha dimostrato di permanere in contatto con altri soggetti affiliati, anche in posizione apicale (il D.R., il T., il Q., il P.), utilizzando i numerosi telefoni cellulari trovati nella sua disponibilità all'atto dell'esecuzione della misura inframuraria originariamente disposta (in tale occasione il D.S. risultava detenere anche numerose schede telefoniche variamente intestate, oltre a una pistola ad aria compressa con caricatore, a 4 ricetrasmittenti e a un ricercatore di frequenze); e, se a ciò si aggiungono il periodo di restrizione inframuraria dal gennaio all'ottobre 2020 (non suscettibile di valutazione circa la non recidivanza del prevenuto) e soprttutto gli ulteriori elementi posti a base dell'ordinanza impugnata (i numerosi e gravi precedenti penali del D.S., il collegamento fra il sodalizio criminoso di sua appartenenza e lo storico clan C. di Bari, l'operatività del detto sodalizio fin dal 2012) può dirsi che la valutazione a fini cautelari contenuta nell'ordinanza impugnata resiste alle censure formulate dal ricorrente. Si ricorda tra l'altro che, come recentemente chiarito dalla giurisprudenza della Corte regolatrice in tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all'operatività della stessa o alla data ultima dei reati-fine, ma ha ad oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l'associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell'ambito della quale il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti, sicché la mera rescissione del vincolo non è di per sé idonea a far ritenere superata la presunzione relativa di attualità delle esigenze cautelari di cui all'art. 275 c.p.p., comma 3, (Sez. 3, Sentenza n. 16357 del 12/01/2021, Amato, Rv. 281293).


1.2. E', infine, appena il caso di ricordare - a fronte delle obiezioni del ricorrente in ordine al percorso argomentativo dell'ordinanza impugnata - che, secondo il prevalente e qui condiviso indirizzo della giurisprudenza di legittimità, in sede di appello del pubblico ministero avverso il rigetto della richiesta di misura cautelare, la riforma sfavorevole all'indagato del provvedimento del giudice per le indagini preliminari non impone una motivazione rafforzata, in quanto è sufficiente che il giudice d'appello cautelare compia una valutazione totale, autonoma e completa degli elementi addotti dalle parti nel contraddittorio pieno, confrontandosi con gli argomenti che fondano la decisione impugnata, in quanto, diversamente da quanto richiesto nel giudizio di merito, non è necessaria la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, della insostenibilità della soluzione adottata dal primo giudice (da ultimo vds. Sez. 5, Sentenza n. 28580 del 22/09/2020, M., Rv. 279593).


2. Sono manifestamente infondati gli ulteriori motivi di ricorso.


2.1. Ciò vale, in primo luogo, per quanto riguarda l'asserto (di cui al terzo e al quarto motivo) secondo il quale non sarebbe stato rispettato il principio del minimo sacrificio della libertà personale, con danno per la salute e per le possibilità di reinserimento sociale dell'indagato: è chiaro che una simile valutazione va ricondotta al quadro ordinamentale, in base al quale l'inquadramento della custodia in carcere come extrema ratio deve cedere il passo alle necessità sottese alla difesa sociale e alla special prevenzione laddove si configurino, come nella specie, esigenze cautelari particolarmente stringenti, che ne giustifichino l'applicazione; quanto al sacrificio dell'opportunità di recupero psicofisico e sociale dell'indagato, esso è a sua volta riconosciuto dall'ordinamento allorché, come nella specie, si proceda per reati in relazione ai quali lo stesso codice di rito prevede una presunzione iuris tantum di insostituibilità della custodia in carcere e tale presunzione non venga superata.


2.2. In secondo luogo - venendo agli ultimi due motivi di lagnanza - sono manifestamente infondate le censure mosse all'ordinanza impugnata a proposito della motivazione circa l'inidoneità degli arresti domiciliari: motivazione che, in realtà, si diffonde ampiamente sul punto, sia in relazione alla constatazione del mancato superamento della presunzione di cui all'art. 275 c.p.p., comma 3, sia - nello specifico - in relazione alla posizione apicale del D.S. all'interno di una compagine criminosa di indubbia pericolosità e con contiguità mafiose, nonché alla sua dimostrata proclività a mantenere i contatti con i suoi sodali anche in regime di sottoposizione agli arresti domiciliari, a nulla rilevando, in tale quadro, il formale rispetto delle prescrizioni a lui impartite.


3. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


In relazione alla conferma delle statuizioni cautelari adottate in sede d'appello a carico del ricorrente, la Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all'art. 28 del Regolamento di esecuzione del c.p.p..


PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 Reg. Esec. c.p.p..


Così deciso in Roma, il 16 marzo 2022.


Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2022

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