RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14 luglio 2022 il Tribunale di Padova ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di S.C., per il reato di appropriazione indebita aggravata a lui ascritto per insussistenza del fatto, disponendo la trasmissione degli atti all'ufficio della Procura dell'art. 521 c.p.p., comma 2, perché si procedesse per l'ipotesi di cui all'art. 624 c.p..
2. Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore presso il tribunale di Padova con due motivi qui riassunti ex art. 173 bis disp. att. c.p.p..
2.1 Con il primo motivo si lamenta l'erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), le risultanze dibattimentali confermano la qualificazione giuridica del fatto dell'imputazione, smentendo la diversa interpretazione dei fatti operata dal giudice.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta la abnormità dell'atto. La assoluzione congiunta alla trasmissione degli atti si configurano come atti abnormi perché contradittori e destinati a produrre, con il passaggio in giudicato della sentenza, la preclusione processuale del ne bis in idem.
2.4 II Procuratore Generale, con memoria di data (Omissis) ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata uniformandosi al ricorso formulato dal Procuratore della Repubblica di Padova e condividendone i motivi.
Con memoria datata (Omissis) la difesa dell'imputato, rappresentata dall'Avv. D., ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato in relazione al secondo motivo.
Con il primo motivo infatti, lungi dal delineare un effettivo vizio di legittimità, la doglianza articolata finisce per contestare il risultato probatorio cui è approdato il giudice di merito che all'esito della valutazione delle emergenze istruttorie ha ritenuto di qualificare il fatto come furto anziché appropriazione indebita. Ed in effetti, è utile ribadire che, ai fini della corretta deduzione del vizio di violazione di legge di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) il motivo di ricorso deve strutturarsi sulla contestazione della riconducibilità del fatto come ricostruito dal giudice di merito - nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, e', come accade sovente ed anche nel caso di specie, sostenere che le emergenze istruttorie acquisite (in particolare, nel caso concreto, la deposizione testimoniale della persona offesa C.M.) siano idonee o meno a consentire la ricostruzione della condotta di cui si discute in termini tali da ricondurla al paradigma legale. Nel primo caso, infatti, viene effettivamente in rilievo un profilo di violazione di legge laddove si deduce l'erroneità dell'opera di "sussunzione" del fatto (non suscettibile di essere rimessa in discussione in sede di legittimità) rispetto alla fattispecie astratta; nel secondo caso, invece, la censura si risolve nella contestazione della possibilità di enucleare, dalle prove acquisite, la specifica fattispecie individuata in via alternativa dal giudice che e', invece, operazione prettamente riservata al giudice di merito (ex multis, Sez. 2, n. 11283/23 del 03/02/2023, imp. Gallone).
2. Come detto in premessa, il secondo motivo è fondato.
La decisione del giudice di Padova è errata poiché, pur nell'ambito di una attività di riqualificazione della fattispecie concretaì che rientra certamente tra le prerogative del giudice di merito, ha mandato assolto l'imputato per la fattispecie ritenuta insussistente ed ha contemporaneamente disposto la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per l'eventuale nuovo esercizio dell'azione penale.
Ritenendo di dover dare al fatto una diversa qualificazione, il giudice avrebbe dovuto procedervi direttamente senza ‘rimandare indietrò il processo e senza provocare la stasi denunciata dal Pubblico Ministero di Padova. Ciò è consentito e previsto dall'art. 521 c.p.p., comma 1, pur citato in sentenza dal giudice. A tale soluzione non sono ostativi né il diverso titolo di reato (che, se mai, ne è la premessa) né la diversità degli elementi costitutivi, giacché il nucleo del fatto (tanto del furto quanto della appropriazione indebita) erano entrambi racchiusi nella descrizione dell'imputazione che ricomprendeva anche la aggravante dell'abuso di prestazione d'opera. Ed è proprio la contestazione dell'imputazione il parametro che deve essere considerato dal giudice ai fini della applicazione dell'art. 521 c.p.p. poiché, al di là di indicatori formalistici, il profilo di maggior rilievo cui la norma è finalizzata è la tutela del diritto di difesa dell'imputato, che non può essere compressa da una operazione di riqualificazione che ignorasse la diversità strutturale del fatto in contestazione.
L'intero complesso normativo attinente alle modifiche alle imputazioni, che abbraccia la manciata di norme collocate nel Capo VI del Titolo II del settimo libro del Codice di procedura, ha la funzione di garantire il contraddittorio sull'accusa nella prospettiva della difesa dell'imputato e del soddisfacimento delle esigenze del giusto processo. Pertanto, la violazione di tali disposizioni di garanzia può verificàrsi laddove vi sia un perturbamento della loro specifica finalità, con pregiudizio del diritto di difesa dell'imputato e non per una modificazione meramente formale o non sostanziale dell'accusa (Sez. 4, n. 6374 del 2/7/1997, rv. 208224; Sez. 6, n. 9574 del 13.4.1999, rv. 214538; S.U. n. 36551/2010, rv. 248051; Sez. 2, n. 18868 del 10/2/2012, rv. 252822; Sez. 2 n. 34969 del 10/5/2013, rv. 257782). Quindi sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali, così da provocare una situazione di incertezza e di cambiamento sostanziale della fisionomia dell'ipotesi accusatoria capace di impedire o menomare il diritto di difesa dell'imputato (Sez. 6, n. 6346 del 9/11/2012, rv. 254888).
Nel caso concreto ciò è da escludersi sia avvenuto poiché la descrizione del fatto era integralmente presente, tanto rispetto alla originaria contestazione, che in relazione a quella attribuitagli dal giudice all'esito del dibattimento, senza che l'imputato potesse ritenersi pregiudicato dalla riqualificazione, che anzi aveva sollecitato.
La decisione del giudice di assolvere l'imputato ed al tempo stesso di disporre la regressione del processo alla fase delle indagini costituisce pertanto atto abnorme poiché `spezza il processo in due', facendone regredire una parte ad una fase anteriore ed inducendo così il pubblico ministero alla adozione di un provvedimento (la nuova imputazione) destinato a confliggere, in virtù del divieto di doppio processo, con la sentenza di assoluzione, una volta passata in giudicato.
3. Per le predette ragioni l'impugnata sentenza va annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al Tribunale di Padova per l'ulteriore corso.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispor e trasmettersi gli atti al tribunale di Padova.
motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2023