RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 25 ottobre 2023, la Corte d'appello di Brescia ha confermato la sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale di Brescia, all'esito di giudizio abbreviato, con cui Ga.Ma., in qualità di amministratore unico della società GAMAR SAFETY Spa e della società ANTINFORTUNISTICA DUEGI Spa è stato ritenuto responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per aver distratto nei confronti della prima società la somma di Euro 4.614.938,12 e nei confronti della seconda la somma dì Euro 8.670.195,24.
Ritenuta la continuazione tra tali reati e la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 219 legge fall., Ga. veniva condannato alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione, nonché alla pena accessoria di cui all'art. 216 legge fall., per la durata corrispondente alla pena principale e al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili.
Le condotte in relazione alle quali vi è stata condanna possono sintetizzarsi nella distrazione delle somme corrispondenti al prezzo pagato dalle società fallite per l'acquisto di ingenti quantità di guanti antinfortunistici (complessivamente 600.000), al prezzo di Euro 16,35 al paio, dalla società neozelandese offshore ASHC PARTNERSHIP LP per rivenderli alla società degli Emirati Arabi uniti, EUROCM FZE al prezzo di Euro 18,45 al paio. Il denaro a tal fine necessario era stato ottenuto presentando alle banche per lo sconto le fatture di vendita emesse dalle fallite nei confronti dell'acquirente, il quale tuttavia rifiutava la merce contestandone la qualità non corrispondente a quella pattuita. Pertanto, le fatture emesse venivano integralmente stornate con la conseguente revoca degli affidamenti da parte delle banche, la crisi di liquidità delle società e la successiva dichiarazione di fallimento.
2. Avverso tale sentenza, Ga.Ma. ha presentato ricorso per cassazione proponendo quattro motivi di censura.
2.1. Con il primo articolato motivo deduce il vizio di violazione di legge in relazione all'art. 192 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei fatti di reato. Il ricorrente contesta, innanzitutto, la quantificazione operata dal giudice d'appello dell'ammontare della somma distratta in oltre 13 milioni di Euro, pari al controvalore complessivo della merce acquistata da entrambe le società, laddove, invece, la contestazione faceva riferimento alle somme di denaro ottenute dalle banche, sicché esse ammonterebbero complessivamente a Euro 6.667.800. Sotto un secondo profilo, il ricorrente contesta le valutazioni operate dalla sentenza impugnata con riguardo al valore asseritamente vile dei guanti, in quanto privi delle qualità necessarie per una vantaggiosa commercializzazione e che, secondo la sentenza impugnata, dimostrerebbe l'esistenza di un disegno fraudolento. Tale valutazione divergerebbe dagli elementi di prova emersi. La Corte d'appello avrebbe erroneamente valutato la corrispondenza intrattenuta dal Ga. con referente cinese del fornitore, tale sig. Wo., in ordine alle caratteristiche dei guanti, i quali avrebbero dovuto essere realizzati in fibra aramidica soltanto sul palmo e sulle dita. Inoltre, a differenza di quanto affermato in sentenza, dalla relazione del perito emergerebbe che non era stato possibile effettuare alcun accertamento in proposito nella parte del guanto corrispondente al palmo e alle dita.
Quanto poi alta condotta tenuta dai Ga. si rileva come erroneamente la Corte avrebbe affermato che l'imputato non riconosceva alcun vizio nei guanti, posto che egli stesso - come documentato - già nel 2010 aveva chiesto al Centro tessile cotoniero di effettuare delle prove tecniche, le quali effettivamente avevano attestato il basso grado di antiabrasività del prodotto.
La Corte territoriale avrebbe, inoltre, affermato che il ricorrente non aveva promosso alcuna azione legale né verso l'acquirente della merce, né verso il fornitore, senza considerare che egli si era recato in Cina presso il magazzino dove si trovavano i guanti, prelevandone un campione per poi farlo analizzare in Italia.
Non avrebbe neppure considerato che l'imputato, dopo che le banche avevano revocato i fidi e richiesto la restituzione delle somme alla società, aveva proposto la costituzione dì un trust liquidatorio in favore esclusivo dei creditori. Inoltre, il tentativo operato dal Ga. di apportare correzioni ai guanti era dovuto alla assenza di fondi per valutare altre soluzioni. A differenza di quanto affermato dalla sentenza impugnata il Ga. avrebbe tenuto una condotta collaborativa con gli organi della procedura.
Quanto alla valorizzazione operata dalla sentenza impugnata delle perplessità manifestate dal collegio sindacale di entrambe le società fallite in ordine all'operazione commerciale in questione, il ricorrente sostiene che la Corte territoriale non avrebbe tenuto in alcun conto le copie dei verbali dei collegi sindacali prodotte dalla difesa (essendo gli originali andati smarriti), dalle quali non emergerebbe alcuna riserva o perplessità dei sindaci in ordine a detta operazione commerciale.
Il ricorrente contesta, altresì, la illegittimità e la contraddittorietà della motivazione con riguardo alla valutazione operata dalla Corte d'appello in relazione alle modalità con cui sarebbe avvenuta la contrattazione con il fornitore e il cliente, in quanto, pur riconoscendo la legittimità e validità della stipulazione verbale dei contratti, l'ha in concreto stigmatizzata in ragione della rilevanza dell'importo dell'operazione e senza considerare che i pregressi rapporti commerciali con ì medesimi soggetti andati a buon fine si erano svolti sempre con le stesse modalità.
Con motivazione illogica e contraddittoria la sentenza impugnata avrebbe stigmatizzato il comportamento del ricorrente con riguardo alla integrale corresponsione del prezzo al fornitore senza effettuare la verifica della merce. I giudici di appello non avrebbero tenuto conto del fatto che i rapporti con il medesimo fornitore e il medesimo acquirente duravano da anni, che le modalità di pagamento erano sempre le stesse (cioè venivano effettuate mediante anticipazioni bancarie sulle fatture di vendita), e che lo stoccaggio della merce avveniva in Cina. Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe considerato che a seguito delle contestazioni, il Ga. si era recato in Cina, aveva prelevato un campione della merce e le analisi eseguite ne avevano confermato la qualità inferiore rispetto a quella pattuita.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge in relazione all'art. 192 cod. proc. pen. e all'art. 217 legge fall., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al rigetto della richiesta subordinata di riqualificare i reati contestati nel delitto di bancarotta semplice. In modo del tutto illogico la sentenza impugnata avrebbe dedotto il dolo dalla forma contrattuale utilizzata, del tutto lecita e corrispondente alla prassi dei rapporti tra le parti, nonché dall'aver intrattenuto rapporti commerciali con una società offshore, condotta priva del carattere dell'illiceità. Per contro, non avrebbe considerato che nel 2010 erano andati a buon fine dei contratti milionari con i medesimi soggetti; non avrebbe tenuto conto dell'entità del capitale sociale versato, né dei tentativi effettuati dal ricorrente in favore dei creditori.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche. La Corte avrebbe fondato la propria valutazione sui medesimi elementi sopra indicati, avverso i quali il ricorrente richiama le medesime argomentazioni già svolte.
2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di rideterminare le somme liquidate a titolo di risarcimento del danno.
3. Le costituite parti civili GAMAR SAFETY Spa e ANTINFORTUNISTICA DUEGI Spa hanno depositato una memoria con la quale hanno dedotto l'inammissibilità del ricorso, atteso il carattere sostanzialmente rivalutativo delle censure svolte.
4. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.
2. Le censure svolte con il primo e il secondo motivo di ricorso devono essere accolte, con assorbimento degli ulteriori motivi.
3. Conviene innanzitutto muovere dagli approdi della giurisprudenza di legittimità con riguardo al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale sotto il profilo oggettivo e sotto quello del relativo elemento psicologico.
3.1. Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che non è necessaria l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l'agente abbia cagionato il depauperamento dell'impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività, sicché, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, i fatti di distrazione assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l'impresa non versava in condizioni di insolvenza (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804).
Si è inoltre precisato che il reato in esame ha natura di reato di pericolo concreto, di tal che rileva ogni condotta idonea concretamente a pregiudicare la garanzia dei creditori (Sez. 5, n. 38325 del 03/10/2013, Ferro, Rv. 260378, in motivazione; Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, Zazzini, Rv. 271437 - 01; Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, Rv. 269562).
In quanto reato di pericolo concreto, è necessario che il fatto di bancarotta abbia determinato un depauperamento dell'impresa e un effettivo pericolo per la conservazione dell'integrità del patrimonio dell'impresa da valutare nella prospettiva dell'esito concorsuale e sulla base dell'idoneità del fatto distrattivo ad incidere sulla garanzia dei creditori alla luce delle specifiche condizioni dell'impresa e altresì che tale effettivo pericolo non sia stato neutralizzato da una successiva attività "riparatorìa" di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763 - 01, in motivazione).
3.2. Con riguardo all'elemento psicologico della bancarotta fraudolenta per distrazione, questa Corte ha chiarito che esso è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ma è sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte e che cagionino, o possano cagionare un danno ai creditori. Si è, inoltre, precisato che nelle operazioni distrattive che integrano il delitto di bancarotta fraudolenta di cui all'art. 216 legge fall. - a differenza di quanto accade nelle operazioni realizzate con imprudenza, costitutive della fattispecie incriminatrice della bancarotta semplice - l'agente agisce dolosamente, perseguendo un interesse proprio o di terzi estranei all'impresa e, quindi, con la coscienza e volontà di porre in essere atti incompatibili con la salvaguardia del patrimonio aziendale ed in contrasto con l'interesse dei creditori alla conservazione delle garanzie patrimoniali (Sez. 5, n. 7417 del 01/02/2023, Vecchio, Rv. 284230 - 02; Sez. 5, n. 15850 del 26/06/1990, Bordoni, Rv. 185886).
3.3 Occorre, altresì, osservare che la giurisprudenza di legittimità ha individuato il discrimen tra il reato di bancarotta semplice e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione nella "direzione" dell'interesse dell'agente, nel senso che quando l'agente pone in essere operazioni imprudenti idonee a configurare la bancarotta semplice di cui al n. 2 dell'art. 217 legge fall., egli agisce con imprudenza, ma pur sempre nell'interesse dell'impresa, laddove nelle operazioni distrattive che integrano il delitto di bancarotta fraudolenta di cui all'art. 216 legge fall., invece, l'agente agisce dolosamente perseguendo un interesse proprio o di terzi estranei all'impresa e, quindi, con la coscienza e volontà di porre in essere atti incompatibili con la salvaguardia del patrimonio aziendale ed in contrasto con l'interesse dei creditori alla conservazione delle garanzie patrimoniali (Sez. 5, n. 7417 del 01/02/2023, Vecchio, Rv. 284230 - 02; Sez. 5, n. 15850 del 26/06/1990, Bordoni, Rv. 185886).
3.4. L'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve essere compiuto valorizzando la ricerca di "indici di fraudolenza", i quali possono essere rinvenuti, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa. Di tali indici, il giudice penale deve dare conto con motivazione che renda ragione della puntuale analisi della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, cit.).
4. Dalle considerazioni che precedono emerge la fondatezza dei primi due motivi di ricorso.
È innanzitutto necessario rilevare che i fatti distrattivi contestati nell'imputazione attengono agli importi di denaro costituenti il prezzo pagato dalle due società fallite - dì cui Ga.Ma. era amministratore unico - per l'acquisto di ingenti quantità di guanti antinfortunistici da parte della società offshore neozelandese ASHC PARTNERSHIP LP; pagamento effettuato con il denaro ottenuto presentando alle banche le fatture di vendita emesse nei confronti della società acquirente EUROCOM FZE (Emirati Arabi Uniti), la quale rifiutava la merce per difetto della qualità pattuita.
I giudici d'appello, nel quantificare l'ammontare complessivo della somma distratta in Euro 13.285.133,36, hanno omesso di confrontarsi con le censure svolte nell'atto di impugnazione, con cui si evidenziava che il suddetto importo corrispondeva al volume di affare comprendente anche vendite diverse da quella oggetto del giudizio, laddove invece la contestazione contenuta nell'editto accusatori individuava le somme sottratte "nel prezzo pagato per l'acquisto di ingenti quantità di guanti".
5. Con riguardo agli ulteriori profili di censura dedotti con i motivi in esame, sussistono i vizi di motivazione denunciati dal ricorrente.
La Corte territoriale ha ravvisato la fraudolenza delle operazioni contestate nel valore vile dei guanti oggetto dell'operazione, in quanto privi delle caratteristiche necessarie per la loro commercializzazione, nella laconicità delle trattative intercorse tra le società fallite e la società la neozelandese ASHC fornitrice degli stessi, nell'avvenuto versamento a questa dell'intero prezzo pattuito senza verificare in alcun modo l'esistenza e la qualità della merce, nell'illogicità dell'intera operazione consistente in una fornitura di elevatissimo importo affidata ad un unico fornitore e nella sua vendita ad un unico cliente.
Nel valutare tali elementi, tuttavia, i giudici d'appello non hanno adeguatamente tenuto in considerazione le circostanze puntualmente dedotte e documentate dalla difesa con l'atto di impugnazione, né motivato in ordine alla sussistenza degli "indici di fraudolenza".
Innanzitutto, laddove afferma la "natura totalmente fittizia dell'operazione", la Corte territoriale non si confronta con i dati emersi nel corso del giudizio e peraltro dalla stessa contraddittoriamente ritenuti esistenti. Invero, l'operazione posta in essere dalle due società fallite, e in relazione alla quale esse hanno pagato le somme indicate come oggetto di distrazione, è risultata reale ed effettivamente sussistente. Oltre ad essere comprovata dalle trattative intercorse tra le parti, documentate dallo scambio di mail e dalla emissione delle fatture, tale operazione è stata accertata attraverso il riscontro della reale produzione dei guanti da parte della società neozelandese per il tramite del fornitore cinese, essendosi il curatore fallimentare recato in Cina ove ha effettivamente rinvenuto i guanti oggetto della fornitura, prelevandone un campione. D'altra parte, la stessa sentenza impugnata ne ammette l'esistenza, laddove si dilunga a disquisire delle caratteristiche e della qualità della merce prodotta dal fornitore cinese.
I giudici del merito, inoltre, hanno omesso di considerare quanto documentato dal ricorrente in ordine alla sussistenza di pregressi e collaudati rapporti commerciali tra le società di cui era amministratore il ricorrente e le due società straniere, nell'ambito dei quali si inserivano le operazioni in questione, nonché in ordine alle modalità con cui tali rapporti erano intrattenuti, analoghe a quelle che vengono in rilievo nel presente giudizio. La Corte d'appello neppure si confronta, anche al solo fine di escluderne la rilevanza, con la circostanza - anch'essa dedotta e documentata dall'appellante - che precedenti analoghi rapporti con il medesimo cliente EUROCOM, aventi ad oggetto la fornitura di guanti diversi da quelli incriminati, per importi consistenti e avevano avuto esito positivo.
Contraddittoria ed illogica risulta la motivazione della sentenza d'appello anche laddove desume la fraudolenza dell'operazione dalle modalità con cui si sono svolti i rapporti contrattuali tra le parti. Pur riconoscendo che la natura dell'operazione commerciale non richiedeva la forma scritta ad substantiam, la Corte territoriale ha al contempo ritenuto indice di fraudolenza la mancanza di pattuizioni scritte in ragione dell'entità dell'operazione commerciale, liquidando la tesi difensiva dell'esistenza di analoga prassi pregressa con l'asserita diversità di valore delle operazioni economiche in questione rispetto alle precedenti. Così facendo, irragionevolmente e contraddittoriamente, i giudici del merito non hanno preso in considerazione il documentato scambio di mail intercorso tra le parti, né, soprattutto, l'esistenza di pratiche analoghe tra le società, attestata da precedenti rapporti commerciali, pure concernenti operazioni di rilevante importo e conclusisi positivamente.
Del pari, l'argomento fondato sulle valutazioni operate dal collegio sindacale delle due società fallite, che manifestava "seria preoccupazione perii pesante squilibrio finanziario" che le operazioni contestate avrebbero cagionato, omette del tutto di considerare la circostanza che dai verbali delle riunioni del collegio tenutesi in epoca coeva alle trattative delle operazioni commerciali non veniva rilevata alcuna criticità.
Certamente irragionevole ed incongrua risulta, altresì, la motivazione della sentenza impugnata laddove ha individuato quale ulteriore indice di fraudolenza il prezzo vile cui i guanti sarebbe stati venduti, trascurando sia la circostanza che le contestazioni dell'acquirente avevano ad oggetto il grado di anti abrasione dei guanti e non già l'assenza di fibra aramidica, sia di valutare nella loro interezza le risultanze della perizia disposta dal GUP, ed in particolare le affermazioni del perito in ordine alla sostanziale impossibilità di accertare la presenza o meno della suddetta fibra nella composizione dei guanti.
Neppure hanno trovato adeguata considerazione le circostanze, specificamente dedotte dalla difesa, in ordine alla condotta tenuta dal Ga., il quale, a fronte delle contestazioni svolte dalla società acquirente relativamente alla qualità dei guanti, si era recato in Cina a prelevare un campione, facendolo poi analizzare in Italia e documentando la reale non corrispondenza della merce alle qualità richieste in ragione del minore grado di antiabrasività, risultante dalla marcatura dei guanti.
La Corte territoriale ha, inoltre, incongruamente preso a riferimento per determinare il valore della merce il prezzo cui essa è stata venduta all'incanto dal curatore fallimentare, trascurando del tutto che si trattava di modalità e circostanze di vendita del tutto peculiari che, per loro natura, non vengono fatte al reale valore del bene, e che comunque si trattava di guanti originariamente destinati ad un mercato extraeuropeo.
Analoghe carenze motivazionali sussistono con riguardo all'elemento psicologico del reato, mancando ogni rilievo in ordine alla sussistenza, in capo all'imputato, dì una consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa e compiere atti idonei a cagionare un danno ai creditori.
6. Per le ragioni indicate, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia, che, nel quadro dei principi di diritto richiamati, conserva nel merito piena autonomia di giudizio nella ricostruzione dei dati di fatto e nella valutazione di essi, potendo procedere ad un nuovo esame del compendio probatorio con il solo limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato (Sez. 3, n. 7882 del 10/01/2012, dep. 29/02/2012, Montali, Rv. 252333).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Brescia.
Così deciso il 4 giugno 2024.
Depositata in Cancelleria il 4 settembre 2024.