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Bancarotta riparata: non è necessaria la restituzione dei singoli beni sottratti

Bancarotta riparata

Cassazione penale sez. V, 28/02/2023, n.14932

Ai fini della configurabilità della bancarotta “riparata”, non è necessaria la restituzione dei singoli beni sottratti, ma occorre che i versamenti nelle casse sociali, compiuti prima del fallimento onde reintegrare il patrimonio precedentemente pregiudicato, corrispondano esattamente agli atti distrattivi in precedenza perpetrati. (Fattispecie in cui la Corte ha censurato la decisione di condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva, con la quale, senza valutare la fondatezza delle “pretese” dell'imputato, oggetto di accordo transattivo – segnatamente, l'entità delle spettanze vantate a titolo di indennità di buona uscita e di altre voci stipendiali, la “posizione” di esse rispetto ai crediti ammessi alla procedura fallimentare e, dunque, le somme risparmiate dalla società e dalla procedura fallimentare – si era ritenuta insufficiente la restituzione di una somma superiore al valore dei beni oggetto di distrazione, ma inferiore all'entità delle perdite).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 24 settembre 2018, il Tribunale di Macerata condannava M.E., concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla circostanza aggravante di cui alla L.Fall., art. 219, comma 2, n. 1, alla pena di giustizia, per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva di cui al capo A) e per il reato di bancarotta fraudolenta preferenziale di cui al capo B), oltre pene accessorie. A seguito di impugnazione, la Corte di appello di Ancona riformava la sentenza di primo grado, dichiarando non doversi procedere per il reato di cui al capo B) perché estinto per intervenuta prescrizione e rideterminando la pena per il reato di cui al capo A), confermando nel resto. La condotta contestata al capo A) è consistita nell'avere il ricorrente, nella sua qualità di amministratore unico e socio unico della (Omissis) s.r.l. unipersonale, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Macerata in data 20 gennaio 2011, distratto, negli anni 2007/2008, dal patrimonio societario circa 15.000 paia di calzature per un valore calcolato in base al prezzo medio di vendita praticato, di Euro 1.000.000,00, quali beni evidentemente ceduti a terzi senza fatturazione. 2. Avverso la decisione della Corte di Appello ha proposto ricorso l'imputato, attraverso il difensore di fiducia, articolando i seguenti motivi di censura enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Con il primo motivo, è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai criteri di determinazione del valore della merce sottratta e alla insussistenza della bancarotta distrattiva in ragione della configurabilità della bancarotta riparata. 2.1.1. I giudici di primo e secondo grado non hanno mai posto in dubbio il versamento da parte del M. nelle casse sociali di una ingente somma pari ad Euro 1.748.000,00, eccedente il valore delle calzature sottratte. Tuttavia, da siffatta circostanza non hanno tratto le dovute conseguenze sul piano giuridico con l'applicazione dei principi in tema di bancarotta riparata, ma hanno, al contrario, ritenuto che siffatti versamenti non abbiano escluso la materialità della condotta distrattiva. Il curatore fallimentare aveva chiarito che nel corso degli anni 2007/2009 il M. aveva versato in conto capitale la somma suindicata, entrata a far parte del patrimonio societario per poi essere versata in parte alle banche e in parte in cassa con destinazione ai pagamenti vari. La Corte territoriale e ancor prima il giudice del primo grado, a fronte di siffatta nuova immissione di risorse nella società, ha con motivazione illogica mancato di chiarire il motivo in base al quale siffatta operazione realizzata dal ricorrente non fosse idonea ad escludere la condotta distrattiva. La sentenza impugnata ha giudicato insufficienti i versamenti effettuati dal ricorrente per coprire integralmente le passività della impresa, limitandosi a comparare l'importo dei versamenti effettuati con l'intero ammontare delle passività della fallita, non considerando le indicazioni di questa Corte sul punto. Ed invero, sottolinea la difesa, per la configurabilità della bancarotta riparata, l'entità del patrimonio da reintegrare non può che riferirsi soltanto alle passività ragguagliate a quella parte dei beni che sono risultati oggetto di distrazione ad opera dell'imputato (Sez.5, n. 34290/2020). 2.1.2. Alle argomentazioni esposte, la difesa aggiunge un ulteriore vizio motivazionale che potrebbe rilevare qualora si dubitasse della congruità dei versamenti effettuati dall'imputato in relazione al valore delle somme distratte. La sentenza impugnata avrebbe omesso di rispondere sul tema, oggetto di specifico motivo di appello, relativo alla errata quantificazione del valore della merce sottratta che va determinato in relazione al costo della stessa e non al possibile realizzo al prezzo medio di vendita applicato dalla società in bonis. Il valore meramente indiziario della presunzione del valore del bene sottratto ha comportato la violazione dell'art. 192 c.p.p., nella parte in cui la Corte territoriale non ha spiegato, rispetto al prezzo medio di vendita praticato, la omogeneità delle condizioni del prodotto e la medesimezza delle condizioni di mercato. 2.2. Con il secondo e il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, avuto riguardo alle disposizioni di cui agli artt. 163 e 164 c.p.. Lamenta il ricorrente che ha errato la Corte territoriale nel considerare quali ostativi alla concessione della sospensione condizionale della pena gli ulteriori procedimenti gravanti a carico dell'imputato. La valutazione che avrebbe dovuto operare era relativa agli elementi indicati dall'art. 133 c.p., comma 2, nn. 1 e 3. Inoltre, la sentenza impugnata non ha indicato la natura, la data di commissione dei procedimenti pendenti e le ragioni per le quali gli stessi sarebbero espressivi di una tendenza a delinquere incompatibile con la concessione del beneficio richiesto. La sentenza si rivela contraddittoria laddove, nel concedere al ricorrente incensurato le circostanze attenuanti generiche, ha poi negato il beneficio della pena sospesa. 2.3. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione alla determinazione delle pene accessorie. Confermando le ulteriori statuizioni della sentenza di primo grado, la sentenza impugnata non ha considerato la pronunzia di incostituzionalità n. 222/2018 e la pronunzia delle Sezioni unite n. 28910/2019 in base alle quali le pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all'art. 133 c.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è fondato per le ragioni e nei termini di cui in seguito. 1. Il primo motivo di ricorso è fondato. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, la bancarotta "riparata" si configura, determinando l'insussistenza dell'elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un'attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori o anche solo la potenzialità di un danno (Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, Lelli, Rv. 261347), sicché l'attività di segno contrario che annulli la sottrazione deve reintegrare il patrimonio dell'impresa prima della dichiarazione di fallimento, evitando che il pericolo per la garanzia dei creditori acquisisca effettiva concretezza (Sez.5, n. Sez. 5, n. 50289 del 07/07/2015, Mollica, Rv. 265903). Invero, come si è detto, ai fini della configurabilità della bancarotta "riparata" non è necessario la restituzione del singolo bene sottratto, ma un'attività di integrale reintegrazione del patrimonio anteriore alla declaratoria di fallimento (Sez.5, n. 34290 del 02/10/2020, Cappelletti, non mass.). E' onere dell'amministratore, che si è reso responsabile di atti di distrazione e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l'esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati (Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017, Liparoti, Rv. 271922). Presupposto necessario per l'applicabilità di tale istituto è quindi che le somme versate dall'amministratore nelle casse sociali abbiano effettivamente avuto quella funzione di reintegrazione del patrimonio della società precedentemente pregiudicato dagli indebiti prelievi, con un'attività di segno contrario, non rilevando certo i versamenti fatti dall'amministratore ad altro titolo. 1.1. Nel caso di specie le sentenze di merito danno atto che, a fronte di una distrazione, derivante da una probabile vendita in nero di 15.000 paia di scarpe, per circa un milione di Euro, l'amministratore versò nelle casse sociali la somma di 1.748.000 Euro, che non è stata ritenuta sufficiente, ai fini della cd. riparazione, non perché se ne è esclusa la funzione restitutoria, ma perché inferiore alle perdite di 2.318.000 Euro. Su questo specifico punto la sentenza va annullata con rinvio affinché il giudice del rinvio rivaluti, alla luce dei principi giurisprudenziali richiamati in tema di bancarotta cd. riparata, la condotta posta in essere dal ricorrente e consistita nell'incontestato versamento nelle casse sociali di una somma pari ad Euro 1.748.000,00, superiore all'indicato ammontare del valore dei beni oggetto di distrazione. 2. L'accoglimento del primo motivo comporta l'assorbimento delle ulteriori censure proposte e l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata ad altra Sezione della Corte di appello per nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia. Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2023. Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2023
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