RITENUTO IN FATTO
1. Il Pubblico Ministero del Tribunale di Bari ha tratto a giudizio P.N., per rispondere del reato di calunnia, in quanto, con denuncia-querela presentata in data (Omissis) dinanzi ai Carabinieri della Stazione di (Omissis), avrebbe incolpato, consapevole della loro innocenza, P.A., T.M., V.R. e R.P. di essersi appropriati, non consegnandole le chiavi, dell'abitazione a lei assegnata in sede di sentenza di separazione consensuale.
2. Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Bari, con sentenza emessa in data 12 novembre 2019 all'esito del giudizio abbreviato, ha dichiarato l'imputata colpevole del reato ascrittole e, riconosciute le attenuanti generiche e applicata la diminuente per il rito, l'ha condanna alla pena di dieci mesi eventi giorni di reclusione, oltra al risarcimento del danno cagionato alla parte civile e alla refusione delle spese processuali.
3. La Corte di appello di Bari, in riforma della sentenza di primo grado, appellata dall'imputata, ha sospeso la pena irrogata per cinque anni, confermando nel resto la sentenza impugnata.
4. L'avvocato L., nell'interesse della P., ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l'annullamento, proponendo un unico motivo di ricorso.
Il difensore censura, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma I, lett. b), l'inosservanza dell'art. 368 c.p., in quanto l'accusa non avrebbe avuto ad oggetto una condotta idonea ad integrare, neppure in astratto, un fatto di reato, ma al più, un'ipotesi di inadempimento, rilevante esclusivamente sotto il profilo civilistico.
Deduce, inoltre, il difensore che il reato era, comunque, insussistente, in quanto la P., assegnataria dell'immobile in sede di separazione consensuale, non era riuscita a rientrare in possesso delle chiavi dell'immobile dai conduttori (che avevano consegnato le chiavi all'avvocato dell'ex coniuge della ricorrente) e tale circostanza era, peraltro, vera.
5. Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, secondo la disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 28 ottobre 2020, art. 23, comma 8, convertito in L. n. 176 del 18 dicembre 2020, prorogato per effetto del D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 15 del 25 febbraio 2022, e per le impugnazioni proposte sino al (Omissis) dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 art. 94, comma 2.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 16 maggio 2023, il Procuratore generale ha chiesto di annullare senza rinvio la sentenza impugnata, per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.
Con le conclusioni depositate in data (Omissis) l'avvocato L., ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata nell'interesse della ricorrente.
Con le conclusioni depositate in data (Omissis) l'avvocato B., nell'interesse della parte civile P., ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso e di condannare la ricorrente alla rifusione dei diritti e degli onorari di costituzione.
In data (Omissis) l'avvocato L., ha depositato una memoria di replica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere accolto, in quanto è fondato.
2. La sentenza impugnata e la sentenza di primo grado hanno accertato che la ricorrente, risultata assegnataria dell'immobile in sede di separazione legale, ha denunciato i conduttori e il legale del coniuge per non averle consegnato tempestivamente le chiavi dell'immobile.
3. La sentenza di primo grado ha rilevato che "la P. alterava la realtà in modo suscettibile di determinare un'indebita incolpazione di appropriazione indebita a carico delle persone indicate come coinvolte a vario titolo nella vicenda relativa alla riconsegna delle chiavi" del proprio appartamento.
4. La Corte di appello, nella sentenza impugnata, ha, inoltre, precisato che i coniugi asseritamente calunniati furono costretti a rilasciare le chiavi dell'immobile a seguito della prolungata inerzia dell'imputata sulle modalità della consegna e che l'imputata era "verosimilmente consapevole della assoluta estraneità delle odierne parti civili alla denunciata appropriazione".
5. Le sentenze di merito, tuttavia, non si sono confrontate con il tema dell'impossibilità di configurare l'appropriazione indebita di un bene immobile nella sintassi del codice penale.
Nella interpretazione della vicenda fornita da entrambe le sentenze di merito, infatti, l'appropriazione delle chiavi di ingresso dell'abitazione integra appropriazione dell'immobile stesso.
Il delitto di calunnia accertato dalla sentenza impugnata e', dunque, insussistente.
La condotta oggetto di denuncia, de resto, non è neppure astrattamente sussumibile nella fattispecie di reato di invasione di edifici di cui all'art. 633 c.p..
La denuncia presentata dalla ricorrente era, dunque, sin da principio, assolutamente inidonea a determinare la semplice possibilità dell'inizio di un procedimento penale o di indagini di polizia giudiziaria, in quanto l'incolpazione aveva ad ogoetto un fatto non previsto dalla legge come reato.
Non integra, infatti, il delitto di, calunnia la denuncia di un fatto realmente accaduto, ma non riconducibile ad alcuna norma incriminatrice, nonostante l'eventuale qualificazione prospettata dal denunciante in relazione a specifiche fattispecie di reato (Sez. 6, n. 34825 del 01/07/2009, Rocchetta, Rv. 244767 01).
Secondo la giurisprudenza di legittimità , del resto, l'elemento materiale del delitto di calunnia consiste nell'incolpare falsamente taluno di un reato, di un fatto cioè che alla stregua della prospettazione fattane dall'agente corrisponda in ogni suo estremo ad una ben determinata fattispecie legale di delitto o di contravvenzione, di guisa che non si può ravvisare il delitto di calunnia nel fatto di colui che, denunziandola all'autorità giudiziaria o ad altra che a questa abbia obbligo di riferire, attribuisca ad una persona una condotta non corrispondente ad alcuna fattispecie legale di reato e tanto finanche quando il denunziante abbia dato un preciso nomen iuris al fatto addebitato all'incolpato e si sia proposto di provocare l'apertura di un procedimento penale nei suoi confronti (Sez. 6, n. 10125 del 20/10/1997, Dell'Olmo, Rv. 208818 - 01).
Non e', dunque, configurabile il reato di calunnia nell'ipotesi in cui vengono portate a conoscenza dell'autorità giudiziaria circostanze di fatto che, per come rappresentate e documentate, non sono idonee a indicare taluno come colpevole di fatti costituenti reato, anche se l'agente, sulla base dei dati esposti, manifesta l'erronea convinzione di denunciare, sia pure in forma dubitativa, un illecito penale (Sez. 6, n. 26542 del 16/06/2015, Carignano, Rv. 263918 - 01; e Sez. 6, n. 9543 del 30/06/1983, dep. 12/11/1983, Rv. 161153).
La calunnia, infatti, è incolpazione di reati effettivi, e non di reati putativi, con la conseguenza che, se il fatto attribuito, così come descritto, non costituisce reato ed integra, tutt'al più, un illecito deontologico o disciplinare, la configurabilità della calunnia resta di per sé solo esclusa; né ha rilievo che il denunziante abbia o meno indicato un preciso nomen iuris e si sia apertamente proposto di provocare l'apertura di un procedimento penale in pregiudizio dell'incolpato, avendo ravvisato, in forza di distorte ma convinte opinioni giuridiche, nell'altrui operato azioni od omissioni costitutive di reato (Sez. 6, n. 4375 del 08/03/1972, dep. 22/06/1972, Corigliano, Rv. 121403).
6. Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2023