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Contestazioni a catena e retrodatazione: onere della prova e condizioni per il riesame

contestazioni a catena

Cassazione penale sez. IV, 26/06/2024, (ud. 26/06/2024, dep. 09/07/2024), n.26959

Costituisce onere della parte che, nel procedimento di riesame, invochi l'applicazione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare, in presenza di contestazioni a catena, fornire la prova dell'esistenza delle condizioni di applicazione di tale retrodatazione riferite al termine interamente scaduto al momento del secondo provvedimento cautelare e alla desumibilità dall'ordinanza applicativa della misura di tutti gli elementi idonei a giustificare l'ordinanza successiva.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Ancona, in funzione di giudice del riesame dei provvedimenti in materia di misure cautelari personali, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha confermato il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ancona aveva applicato il giorno 1 marzo 2024, nei confronti di Du.Da., la misura della custodia cautelare in carcere in relazione ai delitti di partecipazione ad associazione per delinquere (Capo A), commesso dal settembre 2022 all'attualità e finalizzata ad una serie di furti in abitazione (ventiquattro contestazioni di cui tre tentativi) pluriaggravati commessi nel periodo compreso tra il 13 ottobre 2022 ed il 10 febbraio 2023 (capi da B ad Y). Con la medesima ordinanza la stessa misura è stata applicata ad altri coindagati per i medesimi capi di imputazione provvisoria ed altri. 2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione il difensore di Du.Da. deducendo, con unico motivo, violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione agli artt. 303,306 e 297, comma 3, cod. proc. pen. La difesa si duole del mancato riconoscimento dell'esistenza di una "contestazione a catena", che comporta ai sensi dell'art. 297, comma 3, cod. proc. pen. la retrodatazione dei termini di durata della misura cautelare, contestando l'assunto del giudice del riesame secondo il quale, al momento dell'emissione del primo titolo cautelare (9 febbraio 2023) emesso dal GIP del Tribunale di Macerata e relativo al reato di furto aggravato in abitazione, commesso in San Severino Marche il 15 gennaio 2023, dagli atti non fossero desumibili elementi indiziari utili alla contestuale contestazione del reato di cui all'art. 416 cod. pen. Tale doglianza si fonda sul fatto che il Tribunale del riesame, pur mostrando di condividere la ricostruzione del collegamento tra le ipotesi di reato in termini di connessione qualificata tra i fatti di cui alle due distinte ordinanze, ha negato la applicabilità automatica della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare, neppure risultando che, in relazione all'episodio delittuoso che ha portato all'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Macerata in data 9 febbraio 2023, vi sia stato rinvio a giudizio alla data di emissione della seconda ordinanza custodiale. In ogni caso, per potersi negare che il reato associativo sia stato preesistente a quello di cui alla prima ordinanza, il Tribunale non poteva limitarsi a dar conto che l'associazione criminosa fosse rimasta in piedi dopo l'arresto del Du.Da., ma doveva fornire elementi da cui desumere la persistente adesione al sodalizio, non essendo sufficiente l'assenza di indici positivi di dissociazione. Inoltre, rileva il ricorrente, non si può confondere la nozione di anteriore desumibilità delle fonti indiziarie poste a fondamento dell'ordinanza cautelare successiva, dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare, con quella di semplice conoscenza o conoscibilità di determinate evenienze fattuali. Occorre infatti la conoscenza, da un determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato fatto-reato che abbiano una specifica significanza processuale ed in tal senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità. In definitiva, potendo il GIP prima ed il Tribunale del riesame poi, ritenere ed apprezzare la sussistenza della continuazione tra i reati ex art. 81 cod. pen. tra le ipotesi di reato associativo e tutti i singoli reati scopo commessi in data antecedente al 9 febbraio 2023, risultando la sola posteriorità dell'episodio sub capo y della successiva ordinanza del GIP di Ancona, si sarebbe dovuta riconoscere la sostanziale unitarietà delle condotte di cui alla seconda ordinanza cautelare con la consequenziale applicazione della regola sancita dall'art. 297, comma 3, primo periodo cod. proc. pen. 3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta ribadita in udienza, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso. 4. Il difensore della ricorrente ha depositato memoria di replica, insistendo per l'annullamento. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Occorre ricordare che, quando nei confronti di un imputato siano emesse, in procedimenti diversi, più ordinanze di custodia cautelare per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall'art. 297, comma 3, cod. proc. pen. opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza, con la precisazione che per "desumibilità dagli atti" si intende la sussistenza dì una situazione di gravità indiziaria idonea a giustificare l'adozione di una misura cautelare. In altre parole, la nozione di anteriore desumibilità, dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare, delle fonti indiziarie poste a fondamento dell'ordinanza cautelare successiva non va confusa con quella di semplice conoscenza o conoscibilità di determinate evenienze fattuali ma esige una condizione di conoscenza che abbia una "specifica significanza processuale", (cfr. Sez. 1, n. 27658 del 12/4/2013, Pelle, Rv. 254005; conf. Sez. 6, n. 50128 del 21/11/2013; PM in proc. Pepa ed altri, Rv. 258500). 3. La difesa non si confronta con la motivazione fornita alle pagg. 3 e 4 dell'ordinanza impugnata, nelle quali si è chiarito il convincimento della perdurante operatività dell'associazione per delinquere contestata anche successivamente all'epoca del primo titolo cautelare, essendo stata contestata una partecipazione associativa dal settembre 2022 in poi fino all'attualità, e soprattutto la commissione di ulteriori fatti di furti in abitazione pluriaggravati successivamente all'epoca del primo titolo e sino al momento dell'esecuzione dello stesso (capi X ed Y). Si tratta, per l'ordinanza impugnata, di elemento fattuale, sia direttamente incidente, in quanto successivo ed autonomo, come tale fondante il secondo titolo cautelare, sia indirettamente, in quanto attestante la perdurante operatività dell'associazione per delinquere. Peraltro, il momento rilevante non è, come preteso dalla difesa, quello del 13 febbraio 2023, data di applicazione della misura, ma al più quello del 9 febbraio 2023, quando la prima ordinanza di applicazione della misura è stata depositata. 4. Da tali dati i giudici del riesame hanno tratto la non desumibilità dagli atti, al momento della adozione della ordinanza del 29 gennaio 2024. 5. Il provvedimento impugnato ha, dunque, correttamente applicato il principio più volte enunciato dalla Corte di legittimità secondo il quale la mera esistenza in rerum natura, al momento dell'emissione del primo titolo cautelare, delle risultanze investigative acquisite in altro procedimento sia circostanza del tutto insufficiente a integrare il requisito della cosiddetta "desumibilità dagli atti" laddove non vi sia la prova che quelle stesse risultanze fossero già confluite nel compendio delle indagini del primo procedimento. La c.d. retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare in ipotesi di "contestazioni a catena" è finalizzato ad evitare che la rigorosa predeterminazione dei termini di durata massima delle misure cautelari possa essere elusa tramite la diluizione nel tempo di due o più provvedimenti restrittivi nei confronti della stessa persona. In particolare, come sottolineato dal giudice delle leggi, il nucleo di disvalore del fenomeno risiede nell'impedimento, ad esso conseguente, al contemporaneo decorso dei termini relativi a plurimi titoli custodiali nei confronti del medesimo soggetto, essendo a tal fine insufficiente la sola previsione di cui all'art. 303 c.p.p., in difetto di adeguati correttivi che impediscano l'effetto di espandere la restrizione complessiva della libertà personale dell'imputato, tramite il "cumulo materiale" dei periodi custodiali afferenti a ciascun reato (in motivazione, Corte Cost. n. 293 del 2013). I giudici della Consulta hanno ritenuto la illegittimità costituzionale dell'art. 309, c.p.p., alla stregua del parametro di cui all'art. 3 Cost., ove interpretato nel senso che la deducibilità, nel procedimento del riesame, della retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure cautelari, prevista dall'art. 297, comma 3, del medesimo codice, sia subordinata - oltre che alla condizione che, per effetto della retrodatazione, il termine sia già scaduto al momento dell'emissione dell'ordinanza cautelare impugnata - anche a quella che tutti gli elementi per la retrodatazione risultino da detta ordinanza (c.d. desumibilità). Come ricordato dal giudice delle leggi, l'interpretazione della norma è il precipitato di un intervento delle Sezioni unite della Corte di cassazione compositivo di un contrasto tra un indirizzo tradizionale che negava la cognizione del giudice del riesame circa la verifica delle condizioni per la retrodatazione e uno di diverso segno, secondo il quale la retrodatazione sarebbe deducibile in sede di riesame, quantomeno allorché, per effetto di essa, i termini massimi risultino già spirati alla data di adozione della ordinanza impugnata e sempre che tutti gli elementi per la retrodatazione risultino dall'ordinanza cautelare (Sez. U, n. 45246 del 19/7/2012, Polcino, Rv. 253549; conf. Sez. U, n. 45247 del 2012, Asllani, n. m.). 6. La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che, ai fini della operatività della regula iuris in commento, è necessaria la sussistenza di indizi univoci e idonei a fondare una compiuta affermazione di responsabilità cautelare, (sez. 2, n. 13834 del 16/12/2016, dep. 2017, Valerioti, Rv. 269680) 7. Quanto, alla nozione di anteriore "desumibilità" dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare delle fonti indiziarie poste a fondamento di quella successiva, essa non coincide con la mera conoscibilità storica di determinate evenienze fattuali, ma con una condizione di conoscenza derivata da un determinato compendio documentale o dichiarativo che consenta al pubblico ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità degli indizi, suscettibile di dare luogo, in presenza di concrete esigenze cautelari, alla richiesta e alla adozione di una nuova misura cautelare (sez. 3, n. 48034 del 25/10/2019, Di Biase, cit., Rv. 277351-02). 8. Corollario dei principi sopra richiamati È, dunque, l'affermazione secondo cui costituisce onere della parte che, nel procedimento di riesame, invochi l'applicazione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare, in presenza di contestazioni a catena, fornire la prova dell'esistenza delle condizioni di applicazione di tale retrodatazione riferite al termine interamente scaduto al momento del secondo provvedimento cautelare e alla desumibilità dall'ordinanza applicativa della misura di tutti gli elementi idonei a giustificare l'ordinanza successiva (sez. 5, n. 49793 del 5/6/2013, Spagnolo, Rv. 257827; sez. 3, n. 18671 del 15/1/2015, Mantello, Rv. 263511; sez. 2, n. 6374 del 28/1/2015, Schillaci, Rv. 262577, in cui, in motivazione, la Corte ha precisato che la parte, ai fini della desumibilità del fatto di cui alla seconda ordinanza, deve provare il deposito, all'interno del procedimento nel quale è stata emessa la prima ordinanza e al momento di emissione della stessa, dell'informativa finale della polizia giudiziaria, contenente il compendio dei risultati investigativi, ovvero di note di P.G., rispetto alle quali la successiva informativa finale non presenti elementi di novità). 9. Di tutto ciò non vi è traccia nelle istanze difensive, con le quali si è reiterato il tema della sovrapponibilità delle due contestazioni, senza però considerarne la diversa estensione temporale e la natura del reato contestato nei due procedimenti. Sul punto, si è già chiarito che, ai fini della retrodatazione dei termini ai sensi dell'art. 297 c.p.p., comma 3, non ricorre il presupposto dell'anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza, rispetto all'emissione della prima, allorché il provvedimento successivo riguardi un reato associativo e la condotta di partecipazione al sodalizio si sia protratta anche dopo l'emissione della prima (sez. 6, n. 52015 del 17/10/2018, Bencivenga, Rv. 274511-01; sez. 2, n. 34576 del 8/5/2009, Zizzo, Rv. 245256-01). 10. Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; segue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero (cfr. C. Cost. 186/2000), in ordine alla causa di inammissibilità. 11. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall'art. 94 c. 1 ter disp. att. cod. proc. pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1 ter, disp. att. c.p. Così deciso in Roma il 26 giugno 2024. Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2024.
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