RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza dell'8 giugno 2020 il Tribunale del riesame di Messina ha confermato l'ordinanza con cui il 14 maggio 2020 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti ha applicato a L.P. la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di associazione a delinquere, finalizzata al riciclaggio (B), esercizio abusivo dell'attività di mediatore creditizio (capo C) e autoriciclaggio (capo D).
Avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame L.P. tramite difensore - ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi:
1) violazione di legge e vizi della motivazione, nella parte in cui l'ordinanza impugnata, in contrasto con l'art. 172 c.p.p., comma 4, art. 405 c.p.p., art. 406 c.p.p., comma 1 e art. 407 c.p.p., comma 3, ha disatteso l'eccezione di inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti in epoca successiva al 29 febbraio 2016. Secondo il ricorrente, atteso che la prima iscrizione per truffa del procedimento portante n. 2221/2015 r.g.n.r. - cui poi sono stati riuniti i successivi procedimenti, in relazione alla pluralità di soggetti denunzianti condotte analoghe, patite ad opera del L. nell'esercizio dell'attività di promotore finanziario - è avvenuta il 29 agosto 2015, la scadenza del termine di sei mesi sarebbe avvenuta il 29 febbraio 2016 e non il 15 marzo 2016, come indicato dal Pubblico ministero nella richiesta di proroga del termine per le indagini, tardivamente autorizzata solo il 19 marzo 2016;
2) motivazione illogica e violazione di legge, nella parte in cui l'ordinanza impugnata ha disatteso l'eccezione difensiva relativa alla nullità della consulenza tecnica di ufficio, stante l'omessa notifica al difensore dell'indagato dell'avviso per gli accertamenti tecnici non ripetibili, disposti dal Pubblico ministero di Patti il 6 febbraio 2017 ex art. 360 c.p.p.;
3) violazione di legge e vizi della motivazione nella parte in cui il Tribunale del riesame ha disatteso l'eccezione difensiva concernente la perdita di efficacia della misura cautelare ai sensi dell'art. 309 c.p.p., comma 5, essendo stata omessa la trasmissione di taluni atti di indagine, specificamente indicati all'udienza del 4 giugno 2020.
All'odierna udienza camerale, celebrata ex art. 127 c.p.p., si è proceduto al controllo della regolarità degli avvisi di rito; all'esito, questa Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è integralmente inammissibile.
1.1 Il primo motivo difetta di specificità.
Questa Corte (Sez. 6, n. 12104 del 5/3/2020, Rv. 278726) ha già avuto modo di affermare che, al fine della verifica dell'inutilizzabilità prevista per gli atti compiuti dopo la scadenza del termine di durata per le indagini preliminari, deve farsi riferimento alla data in cui i singoli atti di indagine sono compiuti e non a quella del deposito dell'informativa, che li riassume.
Si è altresì precisato che è onere della parte interessata, che deduce nel giudizio di cassazione una questione di inutilizzabilità, rappresentarne adeguatamente la causa, non solo con l'individuazione dell'atto affetto dal vizio processuale, ma anche, nel caso quest'ultimo non sia rinvenibile nel fascicolo processuale, con la formale produzione delle risultanze documentali addotte a fondamento del vizio stesso (Sez. U, n. 39061 del 16/7/2009, De Brio, Rv. 244329).
Alla luce di siffatte coordinate ermeneutiche deve rilevarsi che, nel caso in esame, la questione dell'inutilizzabilità degli atti, in quanto compiuti in presenza di inefficaci decreti di proroga dei termini delle indagini, è stata sollevata in modo generico.
Il ricorrente, infatti, pur avendo allegato al ricorso atti, non ha indicato, come era suo onere, quelli che sarebbero stati compiuti dopo la scadenza del termine per le indagini, avendo di contro erroneamente dedotto che l'individuazione dei menzionati atti, sarebbe stato compito del decidente, che avrebbe "dovuto farsi carico di individuare, segnatamente indicandoli, non prima di averli esaminati e valutati ai fini della verifica cautelare richiestagli, quali degli atti di indagine, compendiati nelle informative, depositate fuori termine, erano stati compiuti in pendenza di un valido termine".
Il medesimo ricorrente, inoltre, non ha assolto nemmeno all'onere di specificare l'incidenza degli atti; asseritamente inutiliziabili, rispetto all'iter lOgico seguito dal Collegio del riesame, essendosi limitato genericamente ad affermare che gli atti in questione erano stati "utilizzati a sostegno del giudizio di gravità indiziaria".
Ciò in contrasto con l'insegnamento di questa Corte (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, Rv. 269218) secondo cui, nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova, acquisiti illegittimamente, diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento.
Si è precisato (Sez. 4, n. 18232 del 12/4/2016, Rv. 266644), con riguardo alle misure cautelari, che è inammissibile per genericità il motivo di ricorso in cui non sia indicata l'incidenza della prova ritenuta inutilizzabile sul convincimento del giudice del merito.
Nel caso in esame, invece, il ricorrente non ha assolto all'onere di indicare se gli atti illegittimamente utilizzati abbiano avuto una efficacia determinante nella formazione del convincimento del giudice del merito, nel senso che la scelta della soluzione adottata, nella struttura argomentativa della motivazione, non sarebbe stata la stessa senza l'utilizzazione di quella fonte di prova.
1.2 Manifestamente infondata è la doglianza veicolata nel secondo motivo, concernente la nullità della consulenza tecnica di ufficio.
Il Tribunale del riesame ha sottolineato che "il tipo di attività che doveva essere eseguita (clonazione ed estrazione dati informatici), pur qualificata dal Pubblico ministero come accertamento tecnico irreperibile, pacificamente non riveste queste caratteristiche".
Difatti, come già affermato da questa Corte (Sez. 1, 14511 del 5/3/2009, Rv. 243150; Sez. 2, n. 24998 del 4/6/2015, Rv. 264286), non rientra nel novero degli atti irripetibili l'attività di estrazione di copia di "file" da un computer oggetto di sequestro, dal momento che essa non comporta alcuna attività di carattere valutativo su base tecnico-scientifica, nè determina alcuna alterazione dello stato delle cose, tale da recare pregiudizio alla genuinità del contributo conoscitivo nella prospettiva dibattimentale, essendo sempre comunque assicurata la riproducibilità d'informazioni identiche a quelle contenute nell'originale.
Da ciò il Tribunale del riesame ha tratto la corretta conseguenza che nessun avviso era dovuto. al difensore.
1.3 Riguardo al terzo motivo deve ricordarsi che costituisce ius receptum (v. tra le altre, Sez. 3, n. 376 del 25/1/2000, Rv. 216967) quello secondo cui, in materia di misure cautelari personali, la disposizione dell'art. 309 c.p.p., commi 5 e 10, la quale prescrive che in seguito alla presentazione dell'istanza di riesame siano trasmessi al Tribunale competente, a pena di inefficacia della misura cautelare applicata, gli atti presentati a norma dell'art. 291 c.p.p., comma 1, non va intesa formalisticamente, nel senso che la mancata trasmissione di uno qualsiasi degli atti, presentati dal Pubblico ministero al Giudice per le indagini preliminari in occasione della richiesta della misura, determini automaticamente l'inefficacia di quest'ultima, dovendosi escludere tale effetto quando siano stati trasmessi al giudice del riesame gli atti posti a base del provvedimento impugnato, ovvero il contenuto di essi sia integralmente ricostruibile sulla base degli atti trasmessi.
Si è, in particolare, affermato (Sez. 3, n. 25632 del 29/1/2018, Rv. 273348) che l'omessa trasmissione al Tribunale del riesame di parte degli atti, acquisiti al procedimento cautelare, determina la caducazione del provvedimento impugnato soltanto qualora gli atti non trasmessi siano stati ritenuti determinanti ai fini dell'applicazione della misura, spettando all'indagato l'onere di indicare le ragioni per le quali gli atti, di cui lamenta la mancata trasmissione, abbiano rivestito tale carattere.
A siffatti principi si è conformato il Tribunale del riesame, che ha rimarcato che gli atti, indicati dal ricorrente, erano riportati nelle informative trasmessegli, rispetto alle quali il ricorrente non aveva addotto, neanche in forma dubitativa, una qualche difformità con gli atti evocati.
Così argomentando, il Tribunale ha dunque affermato che il contenuto degli atti non trasmessi era integralmente ricostruibile, così che tali atti non potevano ritenersi sottratti al controllo del decidente.
2. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè - apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte Cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto dell'entità di detta colpa - della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella Udienza camerale, il 27 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2021