RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 12 aprile 2022, la Corte di assise di appello di Messina ha parzialmente riformato, limitatamente alla durata della pena, la pronuncia emessa dalla Corte di assise della medesima città nei confronti di I.R. e I.M. - che li aveva condannati rispettivamente alla pena di anni 11 di reclusione ed auro 24.000 di multa (reati di cui ai capi a), c) e g), esclusa l'aggravante D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 12, comma 3-ter, lett. b)) e alla pena di anni 9 di reclusione ed Euro 18.000 di multa (reato di cui al capo c) esclusa l'aggravante D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 12, comma 3-ter, lett. b)), rideterminando la pena, per I., in anni nove di reclusione ed Euro 22.000,00 di multa e, per I., in anni cinque e mesi sei di reclusione ed Euro 15.500,00 di multa. Ha confermato nel resto.
In particolare, l'imputata è stata dichiarata colpevole dei reati di cui all'art. 416 c.p. in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, L. 20 febbraio 1958, n. 75, art. 3,artt. 600-bis, 600 e 602 c.p. (capo A), di cui all'art. 110 c.p., D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, comma 3, lett. b) e d), comma 3-bis, (capo C), di cui all'art. 81 c.p., L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 8) (capo G); mentre l'imputato è stato dichiarato colpevole del solo reato di cui al capo C.
2. Avverso l'indicata sentenza, ricorrono per cassazione entrambi gli imputati, tramite il ministero dell'avvocato Del Campo Ludovico, mediante due atti separati.
3. Nell'interesse di I.M. il ricorso si articola in tre motivi.
3.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. d).
In particolare, si contesta la mancanza di una adeguata motivazione in riferimento alla richiesta della difesa dell'imputato in ordine all'acquisizione della situazione integrale anagrafica dell'imputata e del giovane F.L.O., al fine di verificare lo stato di parentela - di zia e nipote - che intercorreva tra i due soggetti e di conseguenza giustificare l'intervento, seppur minimo e senza alcun profitto (com'e' stato riconosciuto in sentenza), di aiuto da parte della imputata nei confronti del nipote per proteggerlo e fargli lasciare al più presto la Libia, dove lui si trovava ferito da arma da fuoco.
3.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge in riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3, lett. b) e d), comma 3-bis, comma 3-ter, lett. b), e mancanza della motivazione relativamente alla valutazione ed alla carenza della prova in relazione all'art. 192 c.p.p. nonché la mancata applicazione dell'art. 530 c.p.p..
In particolare, si ritiene che la Corte d'appello non abbia dato conto delle doglianze specifiche proposte dall'imputato avverso la decisione di primo grado, facendo proprio integralmente l'impianto motivazionale del primo giudice, confermato dalla conversazione registrata alle ore 8.38 del 23 gennaio 2017 nel corso della quale l'imputata, parlando con la madre dei giovane, le riferiva di avere già operato il versamento. La conversazione è stata ritenuta decisiva in ordine al coinvolgimento dell'imputato I.M. solo perché la madre di F. aveva chiesto di parlare con il primo per ringraziarlo per aver aiutato il figlio.
Si rileva che la Corte d'appello avrebbe potuto prospettare una lettura alternativa rispetto all'accusa, per la quale anche l'imputato aveva contribuito a sostenere insieme alla moglie le spese necessarie per garantire al giovane di poter lasciare il paese e fare ingresso illegale in Italia. Difatti, il ringraziamento poteva essere inteso nel quadro più ampio dei rapporti personali intercorrenti tra connazionali, che aveva portato la madre del ragazzo a voler ringraziare anche il coniuge dell'imputata.
In riferimento al contributo alle spese necessarie si evidenzia come manchi qualsiasi prova, elemento o indizio che possa supportare l'assunto accusatorio, considerato il fatto che l'imputato non ha mai organizzato e pianificato il viaggio del giovane ed è apparso del tutto estraneo a questa vicenda. Entrambi gli addebiti mossi a carico dell'imputato sono del tutto infondati ed irrilevanti. Si evidenziano invece forti sentimenti di solidarietà, riscontrabili sovente tra connazionali allorché costoro si trovano all'estero.
3.3. Con il terzo motivo si contesta violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 1, comma 3, lett. b) e d), comma 3-bis nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'art. 530 c.p.p., comma 2.
Si evidenzia che la Corte d'appello ha fatti proprie le argomentazioni contenute nella sentenza di condanna di primo grado, non accogliendo la richiesta di riqualificazione dell'imputazione di cui al capo c) nell'ipotesi non aggravata di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 1, rilevando che gli imputati fossero consci del pericolo per la vita e l'incolumità a cui il giovane F. sarebbe andato incontro. Si ritiene non ci sia alcuna prova certa al riguardo, inoltre la circostanza affermata risulta in palese contraddizione con l'esclusione del profitto.
4. Il ricorso proposto nell'interesse di I.R. si articola in cinque motivi.
4.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte territoriale adeguatamente motivato in ordine alla richiesta avanzata dalla difesa in riferimento all'acquisizione della situazione integrale anagrafica dell'imputata e del giovane F., al fine di verificare lo stato di parentela - di zia e nipote - che intercorreva tra i due soggetti e di conseguenza giustificare l'intervento, seppur minimo e senza alcun profitto (com'e' stato riconosciuto in sentenza), di aiuto da parte della imputata nei confronti del nipote per proteggerlo e fargli lasciare al più presto la Libia, dove lui si trovava ferito da arma da fuoco.
4.2. Con il secondo motivo si contesta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3, lett. b) e d), comma 3-bis, anche in relazione agli artt. 192 e 533 c.p.p., per non avere la Corte di assise di appello tenuto conto, nell'affermazione del giudizio di responsabilità della ricorrente, che le risultanze dell'attività intercettativa altro non dimostravano se non l'interesse e la preoccupazione di una zia - ovvero la ricorrente - nei confronti del nipote affinché lo stesso, ferito da arma da fuoco in Libia, potesse lasciare il Paese.
Allo stesso modo non vi è dubbio relativamente alla circostanza per cui la ricorrente non avesse contezza dell'arrivo del giovane in Italia: invero, da nessun atto processuale si evince chi e quanti connazionali abbiano fatto partire il giovane, fornendo denaro e aiuto logistico. La sentenza impugnata, invero, non tiene conto della circostanza per cui è stato il medesimo giovane a comunicare all'imputata il suo arrivo ed omette poi di motivare adeguatamente in ordine alla mancata valutazione della prova acquisita in ordine ai tanti connazionali libici che lo hanno aiutato, alla dichiarata e riscontrata carenza di profitto da parte della ricorrente ed all'attività di finanziamento dichiarata, ritenuta e punita che mal si conciliano. In particolare, vi è contraddizione per essersi da un lato affermato il finanziamento e dall'altro escluso il profitto.
4.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge, vizio di motivazione nonché la mancata assunzione di una prova decisiva in relazione ai reato di cui al capo G) dell'imputazione (favoreggiamento della prostituzione).
La sentenza impugnata non ha adeguatamente motivato in ordine al motivo d'appello ove si evidenziava che dalle intercettazioni telefoniche era emerso che il B. avesse una relazione con l'imputata e che questa fosse gelosa dei rapporti consumati con la giovane nigeriana O.M. e, soprattutto, che il reato non poteva essere configurato sulla base del solo assunto che la ricorrente avesse presentato la predetta, già svolgente attività di meretrice, al B..
La Corte territoriale non ha dunque tenuto conto che l'imputata è stata assolta dall'accusa di sfruttamento della prostituzione della predetta e rimane in ogni caso il fatto della stabile relazione esistente con il B. tale da provocare una vera e propria gelosia nei confronti della giovane ragazza, che mai si concilia con la prospettata interposizione agevolativa della prostituzione.
In ordine poi alla circostanza della presunta dazione di denaro da parte della giovane all'imputata, questa è rimasta di difficile interpretazione posto che è stata negata dalla stessa ricorrente, la quale, al riguardo, ha sempre parlato di un corrispettivo per l'acquisto di vestiario. Inoltre, non sono state valutate in maniera rigorosa, secondo i limiti di utilizzabilità di cui all'art. 193 c.p.p., comma 3, le dichiarazioni della O. che dovevano essere valutate alla luce del compendio indiziario, peraltro inesistente, a parere della difesa.
4.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 1, comma 3, lett. b) e d), comma 3-bis e art. 530 c.p.p., comma 2.
La sentenza impugnata è stata carente nel motivare il rigetto del motivo di appello concernente la riqualificazione dell'imputazione del capo C) nell'ipotesi non aggravata di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 1, rilevando come il giovane F. sia stato esposto a pericolo per a propria vita ed incolumità per procurarne l'ingresso nel territorio italiano. La Corte territoriale si è limitata ad un mero richiamo di luoghi comuni e presunzioni, in palese contrasto con l'esclusione del profitto.
4.5. Con il quinto ed ultimo motivo si censura violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all'art. 416 c.p., in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, artt. 600 bis e 602 c.p..
La sentenza impugnata ha errato nel ritenere infondato il motivo di appello concernente l'insussistenza del reato associativo di cui al capo A) della rubrica, sostenendo che l'attività svolta dall'imputata in favore del giovane non potesse considerarsi occasionale ma, di contro, inserita in un ampio e determinato programma criminoso perseguito dall'associazione della quale la stessa ne era partecipe, non tenendo conto della contraddittorietà di quanto affermato rispetto al contenuto informativo degli atti processuali che avrebbero dovuto condurre quanto meno ad una formula assolutoria di cui all'art. 530 c.p.p., comma 2.
Si precisa che tutte le condotte illecite ascritte all'imputata - ingresso e permanenza clandestina di minori nigeriani nel territorio italiano costringendo i medesimi a prostituirsi e di sfruttarne la prostituzione, trattenendo questi in schiavitù - non trovano alcun riscontro nelle risultanze dell'attività intercettativa e che le prove di accusa nei suoi confronti sono costituite soltanto dalle conversazioni telefoniche intercettate, dalle quale si rileva come l'imputata non abbia mai conversato con altri presunti associati al fine della pianificazione e preparazione dell'attività delittuosa, ma solo con suoi connazionali che nulla hanno a che vedere con sodali di un'associazione a delinquere. In sostanza non vi è alcun valido elemento probatorio volto a far propendere per la responsabilità dell'imputata in ordine al reato associativo contestatole: essa in ogni caso non ha mai svolto alcun ruolo apicale, giacché mancano del tutto direttive, ordine e disposizioni rivolte agli altri associati.
Allo stesso modo si deduce come l'imputata non abbia mai ricevuto denaro, proventi ed utilità da parte di altri solidali: al contrario, dalle conversazioni intercettate si evincono l'ansia e la preoccupazione dell'imputata delle condizioni di salute del giovane e le ricerche spasmodiche di qualcuno che potesse aiutarlo a raggiungere l'Italia; e si evince per altro verso che essa fu truffata dai connection men libici.
5. Il ricorso è stato trattato, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, che continua ad applicarsi in virtù del D.Lgs. n. 150 del 2022, art. 94, comma 2 per tutti i ricorsi proposti fino al 30 giugno 2023, senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi;
difensore degli imputati ha insistito nell'accoglimento dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi devono essere rigettati.
Essi verranno trattati congiuntamente, sollevando temi sovrapponibili, salvo ad operarsi le dovute differenziazioni in relazione a ciascuna posizione.
1.1. Quanto ai primi motivi di entrambi i ricorsi, afferenti la fattispecie di ingresso illegale di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, e succ. mod., (capo C), essi sono proprio indeducibili nella presente sede.
Sotto diversi profili, in entrambi i ricorsi, si continua a focalizzare l'attenzione sulla prova dei rapporti di parentela tra i ricorrenti e F., laddove i giudici di merito, nelle conformi pronunce di primo e secondo grado, avevano già ampiamente spiegato che, a prescindere dalle risultanze di segno contrario che depongono comunque per la insussistenza del rapporto di parentela tra l'imputata e il giovane aiutato a fare ingresso illegale in Italia, dovesse ritenersi sussistente il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, dal momento che tale norma incrimina la condotta di ingresso illegale senza conferire alcun rilievo alla finalità dell'agire né quindi all'eventuale esigenza di aiutare un congiunto né a ragioni legate al senso di umanità per le condizioni in cui potessero trovarsi i migranti nel paese di origine. D'altronde, seppure vi fosse stata nel caso di specie una finalità umanitaria - e l'attività fosse stata prestata gratuitamente - essa sarebbe sbiadita a fronte della contrapposta, ben più pregnante ed assorbente, circostanza oggettiva sussistente nel caso di specie come si dirà nel prosieguo - della esposizione a pericolo della vita della persona aiutata; con la conseguenza che una siffatta finalità alcun rilievo potrebbe assumere ai fini di una diversa valutazione della vicenda in esame (rispetto alla quale peraltro - è il caso di puntualizzare sin d'ora - è stata esclusa l'aggravante del profitto per non essere stata raggiunta la prova della sua sussistenza e non perché fosse emersa positivamente la prova della sua insussistenza).
Ne', più in generale, potrebbe assumere di per sé rilievo la finalità "umanitaria" ai fini della esclusione della rilevanza penale della condotta tesa a procurare l'ingresso illegale dello straniero in Italia, rispetto alla quale il fine ovvero il motivo che spinge ad agire è del tutto irrilevante; laddove, peraltro, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 2 si riferisce unicamente a quelle attività di soccorso ed assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato, il cui ingresso illegale può ritenersi già perfezionato.
1.2. Occorre solo precisare quanto al primo motivo nell'interesse di I., che una volta esclusa la rilevanza del rapporto di parentela, alcuna doglianza residua circa la mancata acquisizione della situazione anagrafica integrale dell'imputata, che è stata ritenuta coerentemente superflua (e ciò di là della indicazione intervenuta in sentenza della esistenza di concordanti, plurimi elementi che escludono tale rapporto di parentela).
1.3. Quanto poi al secondo motivo del ricorso nell'interesse di I. occorre evidenziare che il ringraziamento operato al telefono dalla madre del giovane è stato giustamente ritenuto pienamente dimostrativo della partecipazione dell'imputato alla vicenda criminosa in argomento, sottintendendo esso il suo pieno coinvolgimento; ché altrimenti del tutto ingiustificato sarebbe stato il comportamento della donna che con tanta premura chiedeva alla sua interlocutrice di passarle al telefono il marito per poterlo appunto ringraziare direttamente. D'altronde, la prova può essere anche di tipo logico e nel caso di specie essa è stata tratta da tale comportamento che non si risolve in un atto isolato fine a se stesso ma in un atto che valutato, come giustamente fatto dal giudice di merito, nel contesto in cui si inserisce, è stato ritenuto pienamente indicativo del coinvolgimento dell'imputato.
1.4. Quanto al secondo motivo nell'interesse di I., è solo il caso di evidenziare che è fuori di dubbio che sia poi giunto a destinazione il denaro necessario per finanziare il viaggio inviato dall'imputata e che il giovane F. sia partito solo a seguito di tale ricezione (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata in cui vengono dettagliatamente indicati tutti i passaggi che descrivono il percorso del denaro inviato dall'imputata al giovane - ricostruiti attraverso le conversazioni intercettate intervenute non solo tra l'imputata e il giovane ma anche con la madre di questi e col contatto nigeriano M.U., passaggi - non oggetto peraltro di contestazione specifica - che si concludono con la conferma da parte dello stesso giovane della ricezione della somma sul conto corrente a lui riconducibile e con la comunicazione all'imputata, da parte del referente libico della stessa, O., dell'imbarco del giovano su un mezzo di fortuna, e, da parte del medesimo giovane, del suo arrivo sulle coste italiane - arrivo riscontrato dai verbalizzanti). E' evidente che a fronte di tali circostanze - che sono certamente sintomatiche del tipo di condotta attribuibile all'imputata che non si esaurì evidentemente, a differenza di quanto si assume in ricorso, in mero interesse e preoccupazione da parte della donna per la sorte del giovane - a nulla potrebbe rilevare, da un lato, il fatto che intervennero anche altre persone nella organizzazione del viaggio del giovane e, dall'altro, che non si sia raggiunta la prova del tornaconto economico della organizzatrice italiana I.. Sicché alcuna incompatibilità tra l'esclusione dell'aggravante del profitto e la ricostruzione in argomento è ravvisabile.
Solo per completezza si rammenta che comunque il delitto di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, secondo il costante orientamento di questa Corte, per la sua natura di reato di pericolo, si perfeziona per il solo fatto che l'agente pone in essere, con la sua condotta, una condizione, anche non necessaria, teleologicamente connessa al potenziale ingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato, ed indipendentemente dal verificarsi dell'evento (cfr. tra tante, Sez. 1, n. 28819 del 22/05/2014, Rv. 259915 - 01).
1.5. Quanto alla censura sull'aggravante dell'esposizione della persona trasportata a pericolo per la sua vita o la sua incolumità (di cui ai motivi nn. 3 e 4 rispettivamente dei ricorsi di I. e di I.), essa è infondata.
Dalle pronunce di primo e secondo grado - che in quanto conformi costituiscono un unicum ricostruttivo-motivazionale - emergono le plurime circostanze alla stregua delle quali i giudici di merito hanno affermato che ne caso di specie vi è stata la esposizione a pericolo della vita dello straniero trasportato. Sono state in particolare ritenute significativamente indicative della condizione pericolosa in cui si è venuta a trovare la persona trasportata per fare ingresso in Italia il fatto che il viaggio prevedesse l'utilizzo di una di quelle imbarcazioni solitamente impiegate in viaggi del genere, circostanza avvalorata da: il rinvio del viaggio a causa delle condizioni climatiche - da febbraio si è arrivati ad aprile per l'imbarco; in occasione del precedente tentativo di viaggio del 31 marzo 2017, non andato a buon fine, il barcone era stato recuperato dalla guardia costiera libica in quanto il motore era andato in poco tempo in avaria; la circostanza che - come volevasi dimostrare - i migranti del barcone su cui viaggiava anche F., nella successiva occasione andata a buon fine oggetto di incriminazione, furono messi in salvo da un'imbarcazione umanitaria maltese e solo grazie ad essa essi raggiunsero il porto di Pozzallo in Sicilia.
Osserva in particolare la corte territoriale di primo grado che utilizzare un natante munito di motore malfunzionante che, in assenza dei soccorsi, avrebbe potuto costringere i migranti a rimanere in mezzo al mare, esponendoli, per di più, se del caso, alle intemperie, e comunque alla possibilità di capovolgimenti o di deriva, costituisce una condotta certamente idonea ad esporre le persone trasportate a serio pericolo di vita, a nulla potendo rilevare - si aggiunge - la circostanza che in diversi casi le forze giunte in soccorso riescano a scongiurare la sorte avversa per molte di loro, risultando parimenti pacifico e tristemente assodato alla luce della cronaca che molte invece sono le vittime in simili frangenti.
Esposizione a pericolo per la vita o l'incolumità che, a ben vedere, secondo questo Collegio, sussiste in considerazione della stessa tipologia dell'imbarcazione impiegata per consentire l'ingresso illegale, consistente in un semplice barcone già di per sé inaffidabile per dimensioni e struttura rispetto al tipo di traversata che deve affrontare; sicché la situazione di pericolo è in realtà ravvisabile anche a prescindere dal cattivo funzionamento del motore che si risolve, piuttosto, in ulteriore motivo di aggravio della stessa.
E nel caso di specie tale esposizione a pericolo - come si sottolinea nella sentenza di primo grado - è stata desunta, relativamente al viaggio che poi portò il giovane in Italia, dal fatto che il barcone si sia rivelato - come era prevedibile anche da parte della stessa imputata alla luce delle circostanze dei caso concreto sopra descritte - del tutto inidoneo alla traversata che doveva affrontare, tant'e' che il giovane riusciva a raggiungere la costa dello Stato italiano solo grazie al soccorso prestato dalla nave di un'organizzazione umanitaria che ebbe a prelevarlo, unitamente agli altri stranieri che su di esso viaggiavano, in mare aperto.
Nel caso di specie quindi, l'esposizione della persona trasportata a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità è stata tratta non già da mere supposizioni legate alla tipologia delle imbarcazioni che solitamente vengono impiegate in attraversamenti via mare del genere, che in quanto mere presunzioni non avrebbero potuto supportare la sussistenza dell'aggravante in parola che necessita di essere dimostrata in concreto in relazione al caso che di volta in volta si presenta all'interprete, bensì ricostruita sulla base di elementi, appunto, tratti dalla vicenda fattuale, in particolare dalle specifiche modalità che ebbero a connotare il viaggio e quindi l'ingresso clandestino, le quali, dando adeguatamente conto della condizione in cui si è venuta a trovare la persona trasportata, sono state giustamente ritenute significative della sussistenza dell'aggravante in parola. Incidentalmente, in tema di aggravanti relative al reato di favoreggiamento della immigrazione clandestina, si è soffermata la sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2022 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della stessa norma censurata nella parte in cui prevede l'aggravamento della pena per chi abbia utilizzato servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti. In particolare, la Corte ha rilevato come le ipotesi aggravate di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, "si ricollegano chiaramente, nella prospettiva del legislatore, alla dimensione plurioffensiva delle ipotesi ivi contemplate, il cui orizzonte di tutela trascende di gran lunga quello dell'ordinata gestione dei flussi migratori" e che ha ad oggetto anche le stesse persone trasportate che versano in stato di bisogno.
In definitiva, si deve affermare che le concrete modalità del viaggio, e quindi dell'ingresso illegale nel territorio dello Stato, costituiscono sicuro sintomo della esposizione della persona trasportata a pericolo per la sua vita o la sua incolumità e che in particolare l'utilizzo dei cd. barconi, ovvero di imbarcazioni che si presentano di per sé, per caratteristiche strutturali e funzionali, inidonee alla traversata che devono affrontare, espone certamente a pericolo per la vita o l'incolumità coloro che affrontano il viaggio a bordo di essi; esposizione a pericolo che può ritenersi ulteriormente convalidata dal fatto che poi coloro che occupano il barcone sono salvati da navi o altre imbarcazioni giunte in soccorso per far fronte alle situazioni di emergenza di volta in volta createsi proprio a causa del tipo di mezzo di trasporto adoperato.
1.6. Quanto alla condotta di favoreggiamento della prostituzione attribuita all'imputata (terzo motivo) si evidenzia che essa è stata sì ricostruita intorno alla presentazione da parte dell'imputata della giovane donna nigeriana, O.M., a B.G., ma ben più corpose sono poi le implicazioni di tale presentazione che hanno deposto per la configurazione della fattispecie criminosa in argomento. Evidenziano in particolare i giudici nelle conformi pronunce di merito come dalle conversazioni intercettate - in particolare quelle intervenute tra B. e I. - emergesse che la giovane nigeriana fosse dedita ad un'attività di meretricio e avesse avuto rapporti a pagamento anche col predetto uomo e come la locuzione adoperata da quest'ultimo per cercare di superare e ritrosie della donna in occasione di un incontro - "a te ti ha portato R." alludendo all'imputata - non lasciasse dubbi sul ruolo dell'imputata non prestandosi ad alcuna interpretazione alternativa.
Certo è poi il fatto - si sottolinea nella pronuncia di primo grado - che l'imputata sapesse quale fosse il motivo per cui l'uomo e la giovane nigeriana si incontravano. L'invito che l'imputata, in una delle conversazioni intercettate, ha rivolto all'uomo di essere più "munifico" in esito allo svolgimento dei convegni amorosi costituisce, ancora una volta, un'espressione connotata da tale chiarezza da non sollecitare alcun ulteriore sforzo interpretativo.
A corroborare tale ricostruzione vi sono poi le dichiarazioni rese dai coimputati B. e dalla O. che hanno entrambi ammesso di essere stati messi in contatto dall'imputata e, rispettivamente, di avere intrattenuto rapporti sessuali a pagamento e di avere svolto l'attività di meretricio - trattasi pertanto di dichiarazioni che si riscontrano a vicenda e che trovano riscontro anche nelle conversazioni intercettate sicché alcun problema di valutazione ai sensi dell'art. 192 c.p.p., comma 3 si pone.
A fronte di siffatto quadro l'eventuale sentimento di gelosia - sostenuto dalla difesa a riprova della insussistenza del favoreggiamento - che l'imputata, a sua volta coinvolta in rapporti con l'uomo, avrebbe nutrito nei confronti della giovane nigeriana nulla potrebbe aggiungere dal momento che esso non è di per sé in alcun modo idoneo a cancellare le circostanze di fatto sopra indicate convergenti nel deporre per un interessamento invece dell'imputata per il modo con cui l'uomo trattava la giovane che veniva anzi spronato a remunerare in maniera più consistente la ragazza, né a consentirne una diversa valutazione, considerati i riscontri precisi rinvenibili negli esiti intercettativi; e tenuto anche conto che non risulta neppure definito tale sentimento di gelosia che sembra piuttosto da ricondurre ad una questione di preferenza numerica attribuita a una delle due donne che l'uomo tenta di mascherare con l'imputata lasciando intendere che l'ultimo rapporto con la giovane nigeriana fosse molto più risalente nel tempo di quanto era realmente.
1.7. Il quinto motivo del ricorso proposto nell'interesse dell'imputata afferente la condotta associativa di cui al capo A), è affetto da assoluta genericità intrinseca con particolare riferimento alla contestazione sul ruolo apicale attribuito all'imputata anche estrinseca nel resto.
Il motivo invero si sofferma solo su alcune circostanze estrapolandole dal contesto complessivo, laddove lo spettro valutativo delle pronunce di merito, in particolare di quella di primo grado che si profonde in un'articolata disamina delle risultanze processuali, è molto più ampio. I giudici di merito nell'esaminare il ruolo associativo dell'imputata non trascurano di collegarlo con quello assunto da B. e dalla O. evidenziando come la prima si muovesse in maniera sistematica nell'ambito di un contesto ben definito, avvalendosi, sul territorio italiano, da un lato, di B. - che era il Presidente della locale sede dell'Associazione Europa Vigili del Fuoco in pensione Volontari della Protezione Civile - per reperire notizie in merito all'arrivo presso il porto di Messina delle navi umanitarie che provvedevano a soccorrere e raccogliere nel canale di Sicilia i migranti - mostrando un particolare interesse in un'occasione a conoscere la ripartizione dei migranti in base al sesso - informazioni che talora l'imputata veicolava a sua volta a vantaggio del suo referente nigeriano, dall'altro, della suindicata giovane donna nigeriana - altro importantissimo elemento su cui la donna ha potuto fare affidamento all'interno dei centri di accoglienza messinesi che ha sicuramente svolto non solo attività di meretricio per essere stata a ciò instradata dall'imputata ma anche di proselitismo tra le giovani e più avvenenti connazionali appena giunte in Italia per garantire loro la fuga e l'avviamento alla prostituzione (con collegamenti anche internazionali); avvalendosi, altresì, l'imputata, per la organizzazione dei viaggi di referenti presenti sia sul territorio libanese - il cd. connection man trafficante di uomini - che su quello nigeriano (il tutto come ricostruito sulla base degli esiti delle intercettazioni oltre che di appunti ed annotazioni in cifre inerenti ai nomi dei soggetti suindicati costituenti una vera e propria contabilità dell'agire criminoso). La circostanza che la base operativa in Libia si fosse dimostrata più fluida in un'occasione rispetto a quella avuta in Nigeria, paese di origine dell'imputata, in realtà, a differenza di quanto si assume in ricorso per evidenziare l'insussistenza di un rapporto stabile, non costituisce elemento di per sé idoneo a porre in crisi la complessiva ricostruzione della vicenda associativa che si fonda su molteplici aspetti coi quali il ricorso non opera un effettivo dialogo valutativo.
Più in generale, si osserva che a fronte del suindicato quadro probatorio qui riportato in estrema sintesi - la doglianza che mira a sminuirne l'inferenza ai fini associativi, annotando aspetti specifici inerenti alla vicenda dell'ingresso illegale di F. che vide momenti di frizione con il cd. connection man, si appalesa del tutto aspecifica non considerando appunto essa tutti gli altri aspetti evidenziati dai giudici territoriali quanto a stabilità dei rapporti e a sistematicità della condotta, implicanti anche lo stesso ruolo di direzione attribuito all'imputata e non oggetto, come in premessa preannunciato, di specifica doglianza.
Da altro punto di vista, le doglianze espresse dalla difesa dell'imputata sottendono la prospettazione di una lettura alternativa del compendio probatorio e sollecitano una rivalutazione dello stesso che è inammissibile nella presente sede, a fronte di una sentenza c.d. doppia conforme, la cui motivazione si salda con quella della sentenza di primo grado, con i conseguenti limiti alle censure proponibili in merito alla stessa.
D'altro canto, la sentenza ha fondato la propria valutazione su un vaglio rigoroso del compendio probatorio, mostrando una grande attenzione al principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, offrendo una coerente base motivazionale alla interpretazione del dato intercettivo e allo scenario di relazioni reticolari, consolidate e perfettamente coerenti con le acclarate modalità organizzative dei flussi migratori clandestini via mare in transito dal territorio libico e dei successivi impieghi in attività di prostituzione.
2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto dei ricorsi, cui consegue, per legge, ex art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di procedimento.
In caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2023