RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza di cui in epigrafe, la Corte di appello di L'Aquila confermava la sentenza del 3 ottobre 2022 del tribunale di Pescara, con cui Fl.Vi. era stato condannato in relazione al reato ex art. 44 lett. c) del D.P.R. 380/01.
2. Avverso la predetta ordinanza Fl.Vi., tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi di impugnazione.
3. Con il primo, deduce vizi di violazione di legge e di motivazione, osservando come, da una parte, la Corte avrebbe negato che la natura precaria dell'opera derivi dalla tipologia dei materiali utilizzati e dall'altra avrebbe affermato il contrario, sostenendo che l'opera sarebbe "consistente" e quindi non precaria. Si aggiunge che l'opera in concreto realizzata non rientrerebbe tra gli interventi edilizi di cui all'art. 3 del D.P.R. 380/01, trattandosi di opera temporanea e non fissata al suolo, rimovibile, come confermato anche da testimonianze riportate per stralcio in ricorso. Inoltre, non potrebbero utilizzarsi a carico del ricorrente, come invece sostenuto dai giudici, risultanze di altro procedimento penale inerente una violazione edilizia, per opera diversa da quella qui in esame, per la quale sarebbe intervenuta decisione di proscioglimento per intervenuta prescrizione.
4. Con il secondo motivo, si deduce il vizio di violazione di legge in relazione all'art. 131 bis c.p. Sarebbe erronea l'affermazione per cui l'imputato sarebbe gravato da precedente specifico del 2015, per quanto prima evidenziato al riguardo, e comunque tale dato non sarebbe ostativo. L'opera inoltre, sarebbe stata temporanea e non dannosa per l'ambiente, e oggetto di intervenuta rimozione e tale ultima e successiva condotta dell'imputato avrebbe dovuto essere considerata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile, atteso che la corte ha rilevato il carattere non precario dell'opera siccome consistita in una piattaforma di circa 64 mq. e alta circa un metro, avente pavimentazione interna costituita da blocchi di cemento, con sovrastante gazebo bullonato al terreno su area di circa 24 mq., il tutto con destinazione commerciale e in area sottoposta a vincolo paesaggistico. Sulla base di tale quadro fattuale, appare legittima la tesi della natura non temporanea della struttura in ragione della notevole consistenza dell'opera, tanto da essere stata rimossa con una gru, e della funzione commerciale assolta. Si tratta di decisione in linea con plurimi indirizzi di legittimità, secondo cui in tema di reati edilizi, per definirsi precario un immobile, tanto da non richiedere il rilascio di un titolo abilitativo, è necessario ravvisare l'obiettiva ed intrinseca destinazione ad un uso temporaneo per specifiche esigenze contingenti, non rilevando che esso sia realizzato con materiali non abitualmente utilizzati per costruzioni stabili (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la natura precaria di una platea in conglomerato cementizio avente una superficie di circa 100 metri quadrati, con tramezzature perimetrali in laterizio di metri 25 di lunghezza in quanto denotante una futura stabile destinazione) (Sez. 3 - n. 5821 del 15/01/2019 Rv. 275697 - 01.). Inoltre, in materia edilizia, al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto, l'asserita precarietà dello stesso non può essere desunta dal suo carattere stagionale, ma deve ricollegarsi - a mente di quanto previsto dall'art. 6, comma secondo, lett. b), D.P.R. n. 380 del 2001, come emendato dall'art. 5, comma primo, D.L. 25 marzo 2010, n. 40 (convertito, con modificazioni, nella L. n. 73 del 2010) - alla circostanza che l'opera sia intrinsecamente destinata a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, e ad essere immediatamente rimossa al venir meno di tale funzione (Sez. 3, n. 36107 del 30/06/2016 Rv. 267759 - 01). In tale quadro, alla luce anche delle doglianze di cui al ricorso, va altresì ribadito che in materia edilizia, al fine di ritenere sottratta un'opera al preventivo rilascio del permesso di costruire non è sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo (Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014 Ud. (dep. 13/01/2015) Rv. 261636 - 01).
2. Quanto al secondo motivo, giudici hanno valorizzato la circostanza della precedente commissione di altro fatto analogo, realizzato attraverso una struttura simile a quella qui giudicata, nonché di altra simile fattispecie consumata subito dopo l'accertamento del fatto per cui si procede. Si tratta di decisione che, pur nella piena cognizione, emergente dalla decisione impugnata, della avvenuta rimozione dell'opera per cui è qui intervenuta condanna, valorizza la commissione di plurime condotte analoghe, in linea con l'indirizzo per cui, ove un reato sia stato commesso per realizzarne un altro o, comunque, nel caso in cui esso si inserisca in una serie causale il cui sbocco sia il determinarsi di altri fatti illeciti - come nel caso di specie, in cui emerge la costante finalizzazione, nella stessa area, di analoghi manufatti aventi medesima destinazione di uso -, nella valutazione della sua gravità non può trascurarsi di considerarsi la correlazione con vicende analoghe. Tale valutazione, avente un contenuto non normativo ma chiaramente storico-naturalistico, non è influenzata dal fatto che, stante il decorso del tempo rispetto al momento del loro verificarsi, gli eventuali altri reati siano stati oggetto di dichiarazione di prescrizione. Infatti, l'istituto della prescrizione, sebbene comporti la estinzione del reato agli effetti penali, non esclude che di esso possa tenersi conto quale fatto storicamente rilevante (è, ad esempio, sicuro indice di tale perdurante apprezzabile rilevanza la circostanza che è risarcibile, ai sensi dell'art. 185 cod. pen., il danno civile non patrimoniale derivante da reato, anche nel caso in cui quest'ultimo sia stato oggetto di una pronunzia di intervenuta prescrizione, cfr.: Corte di cassazione, sezione III civile, 2 febbraio 1991, n. 1003), anche ai fini della espressione del giudizio in ordine alla tenuità o meno degli effetti dell'eventuale reato presupposto (cfr. Sez. 3, n. 57108 del 17/05/2017 Rv. 271993 - 01).
La decisione in esame è peraltro in linea con l'indirizzo che va qui ribadito (cfr. Sez. 3 - n. 32857 del 12/07/2022 Rv. 283486 - 01 in ordine al caso, analogo, di altre condotte dichiarate estinte per prescrizione nel medesimo processo) secondo il quale, poiché la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione non elide le conseguenze penali della condanna - a differenza, ad esempio, dell'estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova (Sez. 2, n. 46064 del 30/11/2021, dep. 16/12/2021, Ndyaie, Rv. 282270) ovvero dichiarata ai sensi dell'art. 460, comma 5, cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 11732 del 17/03/2021, dep. 29/03/2021, Moiola, Rv. 280705) - il giudice può e deve tener conto, per verificare la sussistenza del necessario requisito della non abitualità del comportamento, di analoghe condotte, integranti il reato in relazione al quale viene chiesta l'applicazione della causa di non punibilità in esame, che siano state dichiarate prescritte, come, appunto, è avvenuto nel caso di specie.
In altri termini, posto che, ai fini dell'accertamento dell'abitualità, ostativa all'applicazione della causa di non punibilità in esame, il comma 3 del'art. 131bis cod. pen. dà rilevanza alla commissione di "più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità", non vi è alcuna ragione, logica o giuridica, per escludere, da tale valutazione, i reati della medesima indole che siano stati dichiarati prescritti ancorché in altro procedimento penale, proprio perché, non incidendo la prescrizione sulle conseguenze penali della condanna, tali reati sono, appunto, chiaramente indicativi di un "comportamento abituale", a prescindere dalla loro concreta punibilità. Né, peraltro, ai predetti fini può ritenersi preclusa la considerazione di altre successive condotte analoghe sulla medesima area di interesse attraverso una valutazione di tipo incidentale del giudice. Ed invero, su tale ultima tematica della verifica incidentale, questa Corte ha avuto modo di precisare che in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il presupposto ostativo del comportamento abituale ricorre quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno altri due reati della stessa indole, incidentalmente accertabili da parte del giudice procedente (Sez. 6 - n. 6551 del 09/01/2020 Rv. 278347 - 01).
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 10 aprile 2024.
Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2024.