FATTI DI CAUSA
1. Il Giudice di pace di Pistoia ha condannato Pa.Sa. per il reato di lesioni colpose ai danni di Fa.Si., in allora minorenne, aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale (per avere cagionato un incidente, omettendo di dare la precedenza al mezzo condotto dalla persona offesa, preferito), comminando la sola pecuniaria, senza adottare statuizioni civili, non risultando costituzione di parte civile nel giudizio penale.
2. Il Tribunale di Pistoia, investito del gravame di merito, l'ha ritenuto inammissibile, rilevando l'inappellabilità della sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria e la non convertibilità dell'impugnazione proposta in ricorso, ritenendo, alla stregua delle censure formulate, che l'impugnante avesse voluto e denominato il mezzo di impugnazione non consentito dalla legge, cioè l'appello. Nella specie, dette doglianze si risolvevano in critiche al ragionamento del giudice di prime cure circa la ricostruzione del sinistro e, dunque, nella richiesta di una rivalutazione del merito, in tale prospettiva essendo impossibile una riqualificazione come ricorso mancandone le ragioni.
3. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso la difesa, deducendo violazione di legge e inosservanza o erronea applicazione della legge processuale quanto alla omessa conversione del gravame in ricorso, rilevando che il Tribunale avrebbe fatto applicazione di un diritto vivente superato e ritenendo l'appello convertibile, con esso essendo state dedotte questioni in diritto inerenti alla omessa motivazione o erronea applicazione della legge penale circa la ritenuta causalità della colpa tra la violazione e l'evento e alla imprevedibilità/inevitabilità dello stesso, avuto riguardo all'efficacia della condotta alternativa lecita ad impedire la collisione.
In particolare, il deducente rileva che, con il primo motivo d'appello, si era rilevata l'erronea valutazione delle risultanze processuali, per essere stato il sinistro conseguenza della condotta di guida della persona offesa, negligente e imprevedibile, evocando il concetto di correlazione tra la violazione contestata e il rischio che la stessa è intesa a prevenire, affermando che la doglianza si era risolta in una censura alla motivazione con riguardo alla erronea applicazione della legge penale o in un difetto di essa sul punto inerente alla causalità.
Inoltre, si era censurata la sentenza di primo grado anche con riferimento alla imprevedibilità ed inevitabilità dell'altrui condotta irregolare, evocandosi il principio dell'affidamento.
4. Il Procuratore generale, in persona col sostituto Francesca COSTANTINI, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza, con riqualificazione dell'impugnazione in ricorso e declaratoria di inammissibilità dello stesso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L'ordinanza deve essere annullata senza rinvio per le ragioni che si vanno ad esporre, con conseguente qualificazione dell'impugnazione quale ricorso che, tuttavia, è inammissibile.
2. La doglianza relativa alla qualificazione dell'impugnazione è fondata, sebbene dall'accoglimento del ricorso sul punto non possa discendere il risultato che parte ricorrente vorrebbe conseguire.
Deve, intanto, premettersi che l'art. 37 ai commi 1 e 2, d. lgs. 28 agosto 2000, n. 274 disciplina l'impugnazione della sentenza del giudice di pace da parte dell'imputato, prevedendo che costui "... può proporre appello contro le sentenze di condanna... e... che applicano una pena diversa da quella pecuniaria...", oppure "... può proporre appello anche contro le sentenze che applicano la pena pecuniaria se impugna il capo relativo alla condanna, anche generica, al risarcimento del danno" (comma 1); mentre "... può proporre ricorso per cassazione contro le sentenza di condanna... e... che applicano la sola pena pecuniaria e contro le sentenze di proscioglimento" (comma 2).
Nella specie, correttamente e, peraltro, in maniera non contestata dal ricorrente, il Tribunale ha ritenuto la sentenza inappellabile.
Tuttavia, il giudice è incorso nell'errore denunciato, avendo valutato, ai fini dell'operatività dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., la voluntas impugnationis, in termini non più sostenibili, alla stregua del diritto vivente che, con riferimento a tale regola, ha ritenuto, superando l'indirizzo in precedenza esitato nel componimento di un preesistente contrasto (Sezioni Unite Nehxi del 1998), di rimeditare la reale portata innovativa del precetto di cui all'art. 568, comma 5, cit., nell'ipotesi di consapevole proposizione di una impugnazione di tipo diverso da quello legislativamente prescritto, superando espressamente il dictum della sentenza "Nexhi", con il quale era stata ritenuta la "riserva negativa" alla "conversione" automatica del gravame in relazione alla volontà dell'impugnante (in motivazione, Sez. U, n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221-01).
Secondo il giudice di legittimità, in base al contenuto della norma in commento, che la dottrina, come ricorda il supremo collegio, aveva definito "clausola didattica", "... l'operazione di qualificazione giuridica postula soltanto un'impugnazione, anche se il relativo atto sia privo di alcuno dei requisiti necessari per l'ammissibilità di essa, mentre l'acce11:amento dell'esistenza dei requisiti di validità dell'atto, condizionanti l'ammissibilità della impugnazione, è riservato esclusivamente al giudice competente a conoscere - come è previsto nel sistema del progetto sia dell'ammissibilità che delle fondatezza dell'impugnazione...... non v'è più spazio per soluzioni ermeneutiche impostate in termini di "interno volere" (la cui prova, peraltro, sarebbe diabolica se non impossibile); deve aversi riguardo solo alla volontà del soggetto di sottoporre a sindacato la decisione impugnata, ritenuta ingiusta (c.d. volontà oggettiva), senza attribuire alcun rilievo all'errore che potrebbe verificarsi nel momento della manifestazione di volontà o anche alla deliberata scelta - in verità assai poco realistica - di proporre proprio un mezzo di gravame diverso da quello prescritto; consegue che la mera constatazione di una impugnazione comunque proposta impone espressamente come doverosa per l'adito giudice incompetente la trasmissione tout court degli atti a quello competente ...e... Unico limite all'operatività dell'art. 568/5°, c.p.p. è rappresentato dalla oggettiva impugnabilità del provvedimento, nel senso che, difettando quest'ultima, la possibilità di "convertire" il mezzo non consentito proposto in quello legalmente previsto verrebbe, per ciò stesso, meno" (in motivazione, SUP Bonaventura del 2001 cit.).
Alla stregua del ragionamento svolto in tale arresto, si sono affermati i seguenti principi:
1) se un provvedimento giurisdizionale è impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso dal tipo (unico) legislativamente prescritto e/o proposto dinanzi a giudice incompetente, il giudice adito - prescindendo da qualunque analisi valutativa in ordine alla indicazione di parte, se frutto cioè di errore - ostativo o di scelta deliberata - deve limitarsi semplicemente, a norma della regula iuris dettata dall'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a prendere atto della voluntas impugnationis (elemento minimo che dà esistenza giuridica all'atto proposto e lascia impregiudicata la sua validità) e a trasmettere gli atti al giudice competente, fenomeno dogmaticamente inquadrabile nella categoria dell'esatta qualificazione giuridica dell'atto;
2) il potere di procedere a tale qualificazione e di accertare l'esistenza dei requisiti di validità dell'atto è riservato in via esclusiva al giudice competente a conoscere, secondo la previsione del sistema delineato dal codice, sia dell'ammissibilità che della fondatezza dell'impugnazione;
3) la trasmissione degli atti al giudice competente non richiede necessariamente un provvedimento giurisdizionale, ma può avvenire anche con un atto di natura meramente amministrativa;
4) unico limite all'operatività dell'art. 568, comma cit. è costituito dalla non impugnabilità del provvedimento, la quale concettualmente esclude qualunque possibilità di diversa qualificazione del gravame eventualmente proposto.
Pertanto, come ammonisce il Supremo collegio, devono tenersi distinti la qualificazione dell'impugnazione dalla sua "conversione" in senso tecnico, istituto al quale fanno riferimento, per le ipotesi in essi specificamente disciplinate, gli art. 569, commi 2 e 3 e 580, cod. proc. pen.
4. Nella specie, il Tribunale ha operato una valutazione che non competeva al giudice erroneamente adito, con la conseguenza che l'appello deve essere trattato da questa Corte come ricorso, senza i limiti, tuttavia, previsti per il caso di conversione ai sensi dell'art. 569, comma 3, cod. proc. pen.
5. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi dedotti con l'impugnazione.
Il deducente ha allegato la violazione dell'art. 530 c.p.p. e dell'art. 192 cod. proc. pen., rilevando che l'imputato non dal codice della strada, causalmente collegata all'evento, essendo stato il sinistro conseguenza della condotta negligente e imprevedibile del conducente della minicar. Ha, poi, dedotto violazione dell'art. 530, commi 1 e 2, cod. proc. pen., in relazione all'elemento soggettivo della colpa, nella specie l'evento essendo stato non preventivabile, né evitabile, neppure con l'osservanza scrupolosa delle regole cautelari pertinenti e, quindi, con l'adozione di quello che viene denominato "comportamento alternativo lecito". Nella sentenza impugnata sarebbe stato omesso ogni riferimento alla sussistenza della colpa, rinviando la difesa al principio dell'affidamento, da bilanciarsi, nella materia della circolazione stradale, con quello che impone la valutazione in concreto della prevedibilità ed evitabilità della condotta colposa altrui da parte dell'agente. Secondo il deducente, anche ipotizzando che il Pa.Sa. non avesse osservato la regola cautelare che gli imponeva di prestare attenzione agli altri veicoli nella immissione nel flusso della circolazione, egli non avrebbe potuto né prevedere né evitare l'evento perché la persona offesa aveva eseguito una manovra ragionevolmente imprevedibile.
Su entrambi i punti, va rilevato che le censure che attaccano il ragionamento giustificativo non sono precedute da un effettivo confronto con la decisione impugnata: la difesa ha ritenuto, quanto alla regola violata, che il giudice avrebbe dovuto "prediligere" la versione del consulente della difesa, piuttosto che quella del consulente dell'accusa; ha ritenuto le conclusioni dell'esperto non condivisibili e affermato l'assenza di ogni valutazione sull'elemento soggettivo della colpa.
5.1. Orbene, va intanto precisato, alla stregua di un orientamento ormai consolidato di questa Corte di legittimità, che é inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541/2020, Filardo, Rv. 280027-04); e neppure può essere dedotta quale violazione di legge ai sensi dell'art. 606, lett. b) o lett. c), cod. proc. pen. la violazione dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., non essendo prevista a pena di nullità, 1inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza; cosicché essa potrà esser fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della stessa norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (sez. 6, n. 4119 del 3/4/2019, dep. 2020, Romeo, Rv. 278196-02).
In ogni caso, tenuto conto del contenuto e del tenore delle censure, va pure riaffermata l'estraneità, al vaglio di legittimità, degli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito e non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Sono, cioè, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (sez. 6 n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; 47204 del 7/10/2015, Rv.
265482; n. 25255 del 14/2/2012, Rv. 253099); e sono, dunque, inammissibili le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, Caradonna, Rv. 280747).
Tale principio costituisce il diretto precipitato di quello, altrettanto consolidato, per il quale sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099).
5.2. Nella specie, il Giudice di pace aveva ritenuto raggiunta la prova della penale responsabilità del Pa.Sa. sulla scorta del riferito della persona offesa e dello stesso imputato, delle conclusioni del consulente nominato dal pubblico ministero e delle dichiarazioni rese da altri testimoni, tenuto anche conto delle conclusioni rassegnate dal consulente della difesa. In base al complessivo quadro istruttorio, aveva affermato che, nell'occorso, il Pa.Sa. stava ripartendo da posizione di quiete, provenendo dal cancello di un'abitazione per immettersi sulla corsia opposta rispetto a quella del luogo della sosta; che, nell'effettuare detta manovra, aveva omesso di dare la precedenza al veicolo preferito, condotto dalla persona offesa, la quale aveva tentato una manovra per scongiurare l'impatto sterzando a destra; a causa della sua disattenzione, il Pa.Sa. non si era avveduto della presenza del veicolo transitante, avendo continuato inarrestabile la manovra di immissione, l'altro veicolo essendosi spostato sempre più sulla destra sino a finire sulla banchina laterale destra. Gli stessi testi a difesa, peraltro, non avevano reso dichiarazioni in contrasto con tale ricostruzione, essendosi limitati ad affermare di aver visto la minicar "sbucare" all'improvviso da destra, ma senza saper riferire se essa fosse in sosta o in marcia. Quel giudice, in altri termini, ha ritenuto che la velocità della minicar, nel frangente, era stata più elevata di quella dell'auto a bordo della quale viaggiava l'imputato, proprio perché la prima era in movimento, la seconda stava ripartendo per effettuare la manovra di immissione.
Il primo giudice, tuttavia, ha riconosciuto un concorso di colpa della persona offesa nella misura del 20%, per non avere il Fa.Si. arrestato il proprio mezzo, neppure dopo la constatazione dell'inutilità della sterzata verso destra, ma ha anche ritenuto non accoglibile la prospettazione difensiva, secondo la quale la situazione sarebbe stata invertita, essendo stato il mezzo più piccolo in posizione statica prima dell'impatto, causato dunque dalla sua repentina e imprevedibile ripartenza. L'ausiliario della parte pubblica, infatti, aveva ritenuto che, al momento dell'impatto, la velocità del mezzo più piccolo era stata superiore, ciò ricavando dalla localizzazione dei danni e dal punto d'urto, oltre che dalla posizione di quiete assunta dai mezzi dopo l'impatto, elementi incompatibili con la spiegazione allegata a difesa, anche a mezzo di consulenza.
In ogni caso e risolutivamente, deve considerarsi, quanto al principio dell'affidamento, il suo particolare atteggiarsi nella materia della circolazione stradale. Infatti, con riferimento alla imprevedibilità del comportamento della vittima, deve ricordarsi, ancora una volta rinviando ai principi più volte enunciati da questa Corte cli legittimità, che esso trova opportuno temperamento nell'opposto principio secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché rientri nel limite della prevedibilità (sez. 4, n. 12260 del 9/1/2015, Moccia, Rv. 263010-01, in cui la S.C. ha annullato la sentenza con la quale era esclusa la responsabilità del guidatore per omicidio colposo di un pedone, il quale, sceso dalla portiera anteriore dell'autobus in sosta lungo il lato destro della carreggiata, era passato davanti all'automezzo ed era stato investito dall'imputato, che aveva rispettato il limite di velocità ma non aveva provveduto a moderarla in ragione delle condizioni spazio - temporali di guida e, segnatamente, della presenza in sosta del pullman; sez. 4, n. 7664 del 6/12/2017, dep. 2018, Bonfrisco, Rv. 272223). Allo stesso modo, è stato ribadito che grava sul conducente, anche in condizioni di visibilità precaria o limitata, un obbligo di particolare cautela nell'immettersi in una strada principale con diritto di precedenza per i veicoli che la percorrono (sez. 4, n. 36461 del 2/12/2020, Mazzuferi, Rv. 280377), avendo il conducente del veicolo che esegue una svolta (nel caso in quella sede esaminato, a sinistra) l'obbligo di assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, non soltanto prima di compiere la manovra, ma anche durante la sua esecuzione (sez. 4, n. 48266 del 15/6/2017, Di Maria, Rv. 271291, in fattispecie relativa alla collisione tra un veicolo, che aveva già iniziato manovra di svolta a sinistra per inserirsi in un parcheggio, e un ciclomotore che, percorrendo lo stesso senso di marcia, ne stava effettuando il sorpasso).
6. Non si ritiene di condannare il ricorrente alle spese processuali e al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, stante la violazione di legge nella quale è incorso il giudice nel provvedimento impugnato. Deve disporsi l'oscuramento dei dati personali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e decidendo sul ricorso, così qualificata l'impugnazione, lo dichiara inammissibile. Nulla per le spese. Oscuramento dati personali.
Deciso il 13 dicembre 2023
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2024.