RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 17 settembre 2018, la Corte di Appello di Lecce - Sezione Distaccata di Taranto ha - per quanto qui di interesse- parzialmente riformato la pronunzia di primo grado con la quale (all'esito del giudizio abbreviato) era stata affermata la penale responsabilità di C.P. per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, nonchè del delitto di cui all'art. 220 L. Fall., per inosservanza dell'obbligo di deposito dei bilanci e delle scritture contabili entro tre giorni dalla notifica della sentenza di fallimento.
La Corte territoriale ha assolto il C. dall'imputazione di bancarotta fraudolenta limitatamente alla distrazione della benna spazzatrice, dei crediti di Euro 10.640,00, delle immobilizzazioni materiali e dei crediti per Euro 802.863,39 e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 219, comma 1, L. Fall., ha ridotto la pena inflitta in due anni di reclusione, concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena.
E' stata confermata nel resto l'impugnata sentenza, compreso la condanna alle pene accessorie di cui all'art. 216, u.c., L. Fall. nella misura di anni dieci.
I reati sono stati ascritti al C. nella sua qualità di amministratore unico della società "(OMISSIS)" srl, dichiarata fallita con sentenza del 16 gennaio 2013.
2. Avverso la citata pronunzia propone ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato C., denunziando violazione di legge e vizi motivazionali.
2.1. Con il primo motivo si censura la sentenza in relazione alla conferma della affermazione di responsabilità per la distrazione dell'escavatore cingolato Fiat Hitachi modello FH 2002.
Sostiene il ricorrente che il suddetto escavatore, acquistato dalla società fallita in data 5 febbraio 2010, era stato restituito alla BSM s.p.a., che godeva della riserva di diritto di proprietà sul bene. La Corte territoriale avrebbe ignorato la prova documentale sulla cessione dell'escavatore e, in particolare, la fattura n. 11 del 1 agosto 2012, mentre l'unica argomentazione utilizzata sarebbe stata quella relativa alla circostanza che dalle scritture contabili non risultava la vendita alla BSM s.p.a..
Deduce ancora il ricorrente che la cessione del predetto mezzo alla BSM spa era stata comunicata immediatamente dal C. agli organi fallimentari, per cui non sussisterebbe la condotta tipica della bancarotta fraudolenta, nè l'elemento soggettivo, in relazione al quale non v'è alcuna motivazione nella sentenza impugnata.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la motivazione della sentenza in relazione alla bancarotta documentale, contestata per aver tenuto le scritture contabili in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (ultima parte del capo A dell'imputazione).
Il difensore del C. sostiene che, alla stregua delle risultanze processuali, sia il consulente del Pubblico Ministero che quello della difesa erano stati concordi nel ritenere di aver ricostruito la situazione contabile della società fallita.
2.3. Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente sostiene che la Corte territoriale abbia errato nel confermare la condanna per il reato di cui all'art. 220 L. Fall., ignorando quanto affermato in una sentenza di questa Sezione che ha ritenuto assorbita la suddetta fattispecie in quella di bancarotta per sottrazione delle scritture contabili (Sez. 5, n. 54516 del 16/10/2018, Cimnaghi Enrico Claudio, Rv. 27523101).
3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, nella persona della Dott. Picardi Antonietta, ha concluso chiedendo di voler annullare senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'art. 220 L. Fall., con rideterminazione della pena.
Nella requisitoria si legge quanto segue: "....Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta il travisamento della prova in quanto la fattura prodotta prova che l'escavatore era stato restituito alla ditta 8SM come da fattura. Sul punto la Corte risponde in via del tutto puntuale e non sembra che le doglianze difensive possano trovare accoglimento. Dal libro giornale emerge in maniera evidente che quella fattura si riferisse all'altro mezzo (indicato espressamente nel capo di imputazione e in sentenza) e non a quello contestato per la distrazione. Reitera, di fatto, i motivi avanzati nel giudizio di merito.
3. Con il secondo motivo di ricorso la difesa assume che erroneamente sono state considerate le scritture contabili non complete e non regolarmente depositate. Anche su questo punto motivazione adeguata e le doglianze difensive afferiscono a valutazioni di merito non ammissibili in questa sede.
4. Con il terzo motivo di ricorso si assume che erroneamente il C. sia stato condannato in continuazione anche per il capo b) dell'imputazione originaria (art. 220 L. Fall.) in quanto la Corte avrebbe ignorato la giurisprudenza del giudice di legittimità che tale condotta assorbita nella bancarotta fraudolenta documentale. Invero richiama una sentenza di codesta sezione (Sez. 5, Sentenza n. 54516 del 16/10/2018 Ud. (dep. 05/12/2018) Rv. 275231 - 01) che assume che in tema di reati fallimentari, l'art. 220, comma 1, ultima parte, L. Fall., sanzionando la violazione degli obblighi imposti dalla L. Fall., art. 16, n. 3 e art. 49, prevede due autonomi reati, dei quali solo il primo, integrato dall'omesso deposito delle scritture contabili, è assorbito dal reato di bancarotta fraudolenta documentale, mentre l'ulteriore reato di inosservanza dell'obbligo di comparizione personale del fallito davanti agli organi della procedura concorre con il reato di bancarotta fraudolenta documentale, trattandosi di condotte distinte e lesive di interessi diversi, in quanto l'art. 49 L. Fall., tutela l'interesse all'acquisizione di conoscenze di carattere generale e non meramente documentale. Al ricorrente sono contestate entrambe le bancarotte (per distrazione e documentale) ed entrambe sono state riconosciute come sussistenti dalla Corte di appello. Pertanto, il principio di diritto stabilito dalla V sezione e richiamato dalla difesa sembra essere ineccepibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile ma va rilevata d'ufficio l'illegalità delle pene accessorie per le ragioni che qui di seguito si indicheranno.
Va premesso, in relazione al reato di cui all'art. 220 L. Fall., che non è ancora decorso il termine prescrizionale, giacchè al termine "prorogato" del 16 luglio 2020 vanno aggiunti 89 giorni di sospensione, verificatasi nel giudizio di merito (rinvio dell'udienza 29 gennaio 2016 all'udienza del 28 aprile 2016 per astensione della difesa), e ulteriori 64 giorni di sospensione, verificatasi nel giudizio di Cassazione ex D.L. n. 18 del 2020, art. 83, convertito nella L. n. 27 del 2020 (udienza fissata in data 19 marzo 2020 e rinvio d'ufficio all'udienza del 16 novembre 2020).
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perchè finalizzato a una diversa ricostruzione dei fatti e alla rivalutazione delle prove, non consentite in sede di legittimità.
Peraltro, le censure proposte sono pedissequamente reiterative di quelle avanzate con l'atto di appello e in relazione ad esse nella sentenza impugnata si rinviene congrua, corretta e logica motivazione (si vedano pagg. 4 e 5 della sentenza di appello).
Come si è detto, il ricorrente sostiene che non v'è stata la distrazione dell'escavatore cingolato Fiat Hitachi modello FH 200.2, in quanto tale mezzo, acquistato dalla società fallita in data 5 febbraio 2010, era stato restituito alla BSM s.p.a., che godeva della riserva di diritto di proprietà sul bene. La Corte territoriale avrebbe ignorato la prova documentale sulla cessione dell'escavatore e, in particolare, la fattura n. 11 del 1 agosto 2012, mentre l'unica argomentazione utilizzata sarebbe stata quella relativa alla circostanza che dalle scritture contabili non risultava la vendita alla BSM s.p.a..
Tali assunti non sono veritieri, giacchè la Corte territoriale ha precisato che la società fallita disponeva di due escavatori: il suindicato Fiat Hitachi modello FH200.2 e un cingolato Fiat Hitaci modello FH330.3; la fattura n. 11 del 1 agosto 2012 era stata emessa per la cessione alla BSM s.p.a. del solo escavatore Fiat Hitaci modello FH330.3 e, quindi, di un mezzo diverso da quello oggetto della imputazione.
A fronte di tale ricostruzione dei fatti, ancora più chiara nella descrizione delle risultanze processuali fatta dal giudice di primo grado (pag. 3 di tale sentenza), perdono di consistenza le doglianze difensive.
E, in proposito, si deve sottolineare che nella specie non ricorre un caso di travisamento delle prove, giacchè la disposizione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), fa riferimento alla contraddittorietà della motivazione che risulti non dal testo del provvedimento impugnato, ma "da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame".
Quest'ultima condizione, direttamente prescrittiva dell'onere di specifica indicazione degli atti dei quali si deduce il travisamento, non si riduce tuttavia a tale aspetto procedurale, ma presuppone altresì che la contraddittorietà intercorra fra le conclusioni del provvedimento e gli atti indicati. Ne segue logicamente che l'errore deducibile in questa prospettiva, in quanto apprezzabile attraverso l'indicazione di atti singoli e determinati, deve cadere sul dato significante, costituito dalla circostanza di fatto riportata quale contenuto dell'elemento di prova, per la cui rilevabilità in questa sede è necessaria la specifica indicazione dell'atto da cui l'elemento risulta, e non sul significato attribuibile allo stesso (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168).
L'errore deducibile ricorre quindi solo nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su un determinato elemento che si riveli insussistente o, per come esposto nel provvedimento impugnato, incontestabilmente diverso da quello reale, ovvero abbia trascurato un elemento esistente e decisivo, in modo da sollecitare un intervento del giudice di legittimità nel senso non di una reinterpretazione degli elementi valutati dal giudice di merito, ma della verifica sulla sussistenza e sul contenuto di detti elementi (Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
Pertanto, ove le censure consistano -come nel caso in esame- solo nell'esposizione di valutazioni sul significato probatorio degli elementi di prova considerati, la situazione denunciata non può essere ricondotta nel vizio di travisamento (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S, Rv. 27775801; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, Maggio, Rv. 255087; Sez. 3, n. 46451 del 07/10/2009, Carella, Rv. 245611).
3. Inammissibile per manifesta infondatezza è il secondo motivo di ricorso, con il quale è stata censurata la motivazione della sentenza in relazione alla bancarotta documentale, contestata (e ritenuta) per aver tenuto le scritture contabili in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
Il difensore del C. sostiene che sia il consulente del Pubblico Ministero che quello della difesa erano stati concordi nel ritenere di aver ricostruito la situazione contabile della società fallita.
Tale argomentazione risulta smentita da quanto rilevato in maniera chiara e logica nella sentenza impugnata: "il consulente del pubblico ministero ha affermato di avere svolto ogni accertamento attingendo a informazioni che non risultavano dalle scritture contabili, poichè in esse non si rinvenivano, ad esempio, i titolari o i clienti corrispondenti alle fatture che avrebbero dovuto essere emesse e i beni eventualmente realizzati in esecuzione del relativo rapporto contrattuale" (pag. 6 della sentenza).
E' stato ulteriormente evidenziato che lo stesso consulente era riuscito a ricostruire "le vicende aziendali entro i limiti consentiti da quelle scritture", chiarendo comunque che "l'impianto contabile non è stato tenuto in modo corretto" (pag. 7 della sentenza in esame).
D'altronde, è opportuno ribadire in materia che, nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale, l'interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile, sicchè il delitto sussiste, non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (si vedano Sez. 5, Sentenza n. 1925 del 26/09/2018, Rv. 274455; Sez. 5, Sentenza n. 2809 del 12/11/2014, Rv. 262588; Sez. 5, Sentenza n. 21588 del 19/04/2010, Rv. 247965).
Giova infine ricordare cheJa bancarotta fraudolenta documentale di cui all'art. 216, comma 1, n. 2 prevede due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico, e quella - contestata nel caso di specie- di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che richiede il dolo generico (Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 27161101). E sulla sussistenza in capo al C. di tale dolo generico non sussistono dubbi sulla base delle risultanze processuali, come delineate sia nella sentenza di appello che in quella di primo grado (si veda in proposito pag. 5 della sentenza del Giudice per l'udienza preliminare).
4. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Come si è già detto sopra nel paragrafo sub n. 3, è incontroverso che nella specie sia stata contestata e ritenuta sussistente non la condotta fraudolenta di sottrazione o occultamento delle scritture contabili bensì quella della tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita.
Orbene, la giurisprudenza cui fa riferimento il ricorrente ha correttamente ritenuto sussistente l'assorbimento solo tra la fattispecie di omesso deposito nei tre giorni delle scritture contabili e la condotta di sottrazione delle stesse scritture contabili.
Invero, la violazione dell'obbligo di deposito di tali scritture contabili costituisce fatto lesivo della disponibilità, in capo al fallimento, degli strumenti documentali necessari per la ricostruzione delle vicende della fallita; e in tal senso, tale condotta presenta indubbia omogeneità strutturale e funzionale con la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale commessa mediante sottrazione della contabilità, nella quale è pertanto assorbita (Sez. 5, n. 2809 del 12/11/2014, Ronchese, Rv. 262589; si vedano anche Sez. 5, n. 14846 del 28/02/2017, Ilacqua, Rv. 27002201; Sez. 5, n. 4550 del 02/12/2010, Fermezza, Rv. 24926101).
Si è anche già precisato in alcune pronunzie di questa Corte che il reato previsto dalla L. Fall., art. 16, n. 3 e art. 220, relativo all'inosservanza dell'obbligo di deposito delle scritture contabili, nonchè il delitto di bancarotta documentale semplice, devono ritenersi assorbiti dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta delle scritture contabili, solo qualora i fatti addebitati abbiano ad oggetto le medesime scritture contabili, in quanto, a fronte dell'omogeneità della struttura e dell'interesse sotteso alle predette figure di reato, prevale la fattispecie più grave connotata dall'elemento specializzante del dolo specifico (Sez. 5, n. 16744 del 13/02/2018, Di Candido, Rv. 27268401).
Va invece ribadito che il reato di inosservanza dell'obbligo di deposito delle scritture contabili, previsto dalla L. Fall., art. 220 e art. 16, n. 3, concorre con quelli di bancarotta fraudolenta documentale, di cui alla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2), e di bancarotta semplice documentale, di cui alla L. Fall., art. 217, comma 2, nei casi in cui - come nella specie - la condotta di bancarotta non consista nella sottrazione, distruzione ovvero nella mancata tenuta delle scritture contabili, ma nella tenuta irregolare o incompleta delle stesse ovvero in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (Sez. 5, n. 49789 del 25/06/2013, Cinquepalmi e altro, Rv. 25782901; precedenti conformi: n. 3313 del 1998 Rv. 209948; n. 5504 del 2006 Rv. 233756; n. 4550 del 2011 Rv. 249261).
5. Deve essere rilevata l'illegalità delle pene accessorie ex art. 216, u.c., L. Fall. applicate ex lege come effetto penale della pronuncia di condanna impugnata (art. 20 c.p.).
Con sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 216, u.c., L. Fall. "nella parte in cui dispone: "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa", anzichè: "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni"" (così testualmente il dispositivo della menzionata sentenza).
La "sostituzione" della cornice edittale, operata dalla sentenza n. 222 del 2018, determina l'illegalità delle pene accessorie irrogate in base al criterio dichiarato illegittimo, indipendentemente dal fatto che quelle concretamente applicate rientrino comunque nel "nuovo" parametro, posto che il procedimento di commisurazione si è basato su una norma dichiarata incostituzionale (Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, azouli; Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon; Sez. U. n. 6240 del 27/11/2014, in motivazione).
L'illegalità sopravvenuta delle pene accessorie in rassegna impone quindi l'annullamento sul punto della sentenza impugnata, con rinvio al giudice di merito che provvederà alla determinazione della durata delle stesse in base ai criteri di cui all'art. 133 c.p..
Invero le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che "la durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all'art. 133 c.p. e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37 c.p. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva irrogato agli imputati le pene accessorie conseguenti al reato di bancarotta fraudolenta per il periodo fisso di dieci anni richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018)" (Sez. U, n. 28910 del 28/02/2019, Suraci Domenico, Rv. 27628601).
La sentenza impugnata va dunque annullata limitatamente alle pene accessorie di cui all'art. 216, u.c., L. Fall, con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Lecce, non avendo la Sezione Distaccata di Taranto due sezioni penali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla durata delle pene accessorie di cui alla L. Fall., art. 216, u.c., con rinvio alla corte di appello di Lecce per nuovo esame sul punto dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2021