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Cosa succede se il destinatario di una misura cautelare è un cittadino straniero che non conosce l'Italiano?

Atti

Cassazione penale, Sezioni Unite, 11 aprile 2024, n. 15069

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 9 aprile 2024 il Tribunale del Riesame di Firenze ha confermato l'ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città ha applicato a Gi.Kh. la misura cautelare della custodia in carcere per la ritenuta sussistenza di gravi indizi del reato di cui all'art. 624 bis cod. pen. e delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 lett. c) cod. proc. pen. 2. Per miglior comprensione della vicenda occorre riferire che Gi.Kh. fu tratto in arresto intorno alle quattro del mattino del 24 marzo 2024 nella ritenuta flagranza del reato di cui all'art. 624 bis cod. pen. Il 25 marzo 2024, alle 14:47, il Pubblico ministero chiese al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze la convalida dell'arresto e l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere. L'udienza di convalida si tenne il 27 marzo 2024, presso la Casa circondariale di Firenze, alla presenza dell'arrestato e del difensore nominato dalla sua convivente. Non fu possibile procedere all'interrogatorio di Gi.Kh. perché questi comprende soltanto la lingua georgiana e l'Ufficio G.i.p. non riuscì a reperire un interprete di questa lingua in tempo utile per rispettare i termini di cui all'art. 390 cod. proc. pen. Il Giudice ritenne integrata una situazione di forza maggiore ostativa allo svolgimento dell'interrogatorio e, sentito il difensore, con ordinanza depositata alle ore 13:00 del 27 marzo 2024 convalidò l'arresto. Con la medesima ordinanza, Gi.Kh. fu sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere. Il giorno stesso fu fissato, per le ore 9:30 del 28 marzo 2024, l'interrogatorio dell'indagato alla presenza di un interprete di lingua georgiana. In quella sede l'indagato confermò la nomina del difensore di fiducia indicato dalla convivente e, interrogato sui fatti, si avvalse della facoltà di non rispondere. Al termine dell'udienza, il Giudice conferì all'interprete il compito di tradurre l'ordinanza del 27 marzo 2024 con la quale era stato convalidato l'arresto e applicata la misura cautelare della custodia in carcere. Contro questa ordinanza il difensore dell'indagato ha proposto richiesta di riesame ai sensi dell'art. 309 cod. proc. pen. Di fronte al Tribunale, la difesa ha eccepito la nullità dell'ordinanza applicativa della misura cautelare rilevando che, a più di dieci giorni dalla pronuncia, quella ordinanza non era stata tradotta in lingua nota all'indagato. L'eccezione è stata respinta. Citando conforme giurisprudenza di legittimità, il Tribunale ha sostenuto che la mancata traduzione dell'ordinanza cautelare in lingua nota all'indagato alloglotta non determina una nullità dell'ordinanza, ma comporta soltanto che i termini per l'eventuale impugnazione decorrano dal momento in cui questi abbia avuto effettiva conoscenza del contenuto del provvedimento. Ha osservato poi che la traduzione dell'ordinanza è stata disposta, ma il ricorso è stato "volontariamente presentato" prima che l'interprete l'avesse eseguita e questo dimostra che l'indagato "ha pienamente compreso" il contenuto dell'ordinanza (pag. 2 della motivazione). Nel merito, il Tribunale ha argomentato in ordine alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari di cui all'art. 274, lett. c), cod. proc. pen. e ha confermato l'ordinanza applicativa della misura cautelare. 3. Contro l'ordinanza del Tribunale per il riesame il difensore di fiducia di Gi.Kh. ha proposto tempestivo ricorso formulando un unico motivo col quale ha dedotto violazione degli artt. 143, comma 2, e 292 cod. proc. pen. dolendosi della mancata traduzione dell'ordinanza cautelare. Il difensore sottolinea che, quando ha emesso l'ordinanza cautelare, il Giudice per le indagini preliminari era consapevole del fatto che l'arrestato non comprendeva la lingua italiana. Non avendo reperito un interprete, infatti, non aveva potuto procedere all'interrogatorio ai fini della convalida. Muovendo da queste premesse - non controverse - la difesa si duole che l'ordinanza cautelare non sia stata tradotta. Riferisce che la traduzione, pur disposta dal G.i.p., non era ancora avvenuta quando si è tenuta l'udienza di riesame e proprio per questo, in quella sede, è stata eccepita la nullità conseguente. Secondo la difesa, la motivazione adottata dal Tribunale sarebbe in contrasto con i principi convenzionali e costituzionali ed anche con la giurisprudenza di legittimità più recente. Il ricorrente ricorda che l'art. 6 della CEDU, al terzo paragrafo, riconosce ad ogni persona accusata di un reato il diritto di essere informata, "nel più breve tempo, in una lingua che comprende e in maniera dettagliata del contenuto dell'accusa". Richiama poi l'art. Ili Cost., in base al quale ogni persona accusata di un reato deve essere, "nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa a suo carico", deve disporre "del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa" e deve essere "assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo". Richiama anche il contenuto della Direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010, recepita nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 4 marzo 2014 n. 32 che ha riformulato l'art. 143 cod. proc. pen. Sottolinea, infine, che l'orientamento giurisprudenziale invocato dal Tribunale di Firenze è stato superato dalla sentenza n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, Niecko, Rv. 286356 con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato il seguente principio di diritto: "In materia di misure cautelari personali, l'ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di un imputato o indagato alloglotta, ove sia già emerso che questi non conosca la lingua italiana, è affetta, in caso di mancata traduzione, da nullità ai sensi del combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen. Ove, invece, non sia già emerso che l'indagato o imputato alloglotta non conosca la lingua italiana, l'ordinanza di custodia cautelare non tradotta emessa nei suoi confronti è valida fino al momento in cui risulti la mancata conoscenza di detta lingua, che comporta l'obbligo di traduzione del provvedimento in un congruo termine, la cui violazione determina la nullità dell'intera sequenza di atti processuali compiuti sino a quel momento, in essa compresa l'ordinanza di custodia cautelare". 4. Il Procuratore Generale, ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso non merita accoglimento. 2. L'ordinanza cautelare è stata emessa il 27 marzo 2024 all'esito di una udienza di convalida nella quale non era stato possibile procedere all'interrogatorio dell'arrestato perché, nel breve periodo di tempo intercorso tra la presentazione della richiesta di convalida e lo svolgimento della medesima, non era stato reperito un interprete di lingua georgiana. Non v'è dubbio, pertanto, che, quando emise la misura, il Giudice per le indagini preliminari fosse consapevole del fatto che Gi.Kh. non conosceva la lingua italiana. La traduzione dell'ordinanza cautelare fu disposta il 28 aprile 2024, al termine dell'interrogatorio dell'indagato (eseguito ai sensi dell'art. 294 cod. proc. pen.), nel corso del quale Gi.Kh. era assistito da un interprete. Non risulta che, nel conferire a quel medesimo interprete l'incarico di tradurre l'ordinanza, il Giudice abbia fissato un termine entro il quale tale adempimento doveva essere eseguito. Il difensore sostiene che la traduzione non era ancora stata eseguita il 9 aprile 2024, quando si tenne l'udienza di fronte al Tribunale del riesame, e non lo era neppure quando è stato presentato il ricorso per Cassazione. L'ordinanza impugnata non fornisce argomenti di segno contrario, afferma infatti (pag. 2) che "il G.i.p. ha disposto la traduzione"; osserva, poi, che la richiesta di riesame è stata presentata quando ancora l'atto non era stato tradotto e desume dalla presentazione dell'impugnazione la comprensione da parte dell'indagato del contenuto dell'atto. Secondo la difesa, la nullità dell'ordinanza cautelare sarebbe evidente alla luce del principio di diritto secondo il quale "l'ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di un imputato o indagato alloglotta, ove sia già emerso che questi non conosca la lingua italiana, è affetta, in caso di mancata traduzione, da nullità ai sensi del combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen." (Sez. U., n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, Niecko, Rv. 286356). Nel caso di specie, infatti, quando l'ordinanza fu emessa, il Giudice era consapevole che l'indagato non comprendeva la lingua italiana. In tesi difensiva, nel caso di specie, la nullità non sarebbe sanata dal fatto che la traduzione è stata disposta. Secondo le Sezioni Unite, infatti, l'accertamento della mancata conoscenza della lingua italiana "comporta l'obbligo di traduzione del provvedimento in un congruo termine, la cui violazione determina la nullità dell'intera sequenza di atti processuali compiuti sino a quel momento, in essa compresa l'ordinanza di custodia cautelare" e, nel caso di specie, la traduzione, è stata disposta, ma non è stata eseguita in un termine congruo. 3. Nell'applicare al caso in esame i principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 15069 del 26/10/2023 occorre tenere conto delle peculiarità del caso concreto. L'ordinanza cautelare della cui mancata traduzione il ricorrente si duole, infatti, è stata pronunciata al termine di un'udienza di convalida dell'arresto nella quale non era stato possibile procedere ad interrogatorio dell'arrestato perché non era stato reperito un interprete. Le medesime ragioni che avevano impedito lo svolgimento dell'interrogatorio, dunque, impedivano al Giudice di tradurre l'ordinanza contestualmente alla sua emissione. Si deve subito precisare che nessuna doglianza è stata sollevata dalla difesa con riferimento alla convalida dell'arresto avvenuta in assenza di interrogatorio. Ciò è accaduto, infatti, sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale che ravvisa nell'irreperibilità di un interprete "un caso di forza maggiore che non impedisce di procedere alla convalida dell'arresto, di cui il giudice è tenuto a valutare la legittimità formale" (Sez. 1, n. 20297 del 08/05/2008, Pasor, Rv. 239997; Sez. 1, n. 41934 del 14/10/2009, Elessi, Rv. 245063; Sez. 6, n. 38791 del 09/05/2014, Fofana, Rv. 260930). Ed invero, l'assenza di un interprete impedisce di procedere all'interrogatorio, ma non può precludere la valutazione giurisdizionale della legittimità dell'operato della polizia giudiziaria che deve comunque essere compiuta. Ai sensi dell'art. 294, comma 1, cod. proc. pen. "se non vi ha proceduto nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto o del fermo" il giudice che ha deciso in ordine all'applicazione della misura deve procedere all'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere "immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia, salvo il caso in cui essa sia assolutamente impedita". Nel caso di specie, la circostanza che un interprete non fosse stato rintracciato nei termini previsti per la convalida non faceva sì che la persona sottoposta a custodia cautelare fosse "assolutamente impedita" a rendere interrogatorio. Questo adempimento - che non aveva potuto essere eseguito ai fini della convalida - era pertanto doveroso. Il Giudice doveva interrogare l'indagato, con la necessaria presenza dell'interprete, "immediatamente e, comunque, non oltre cinque giorni" e scelse di farlo nel giorno immediatamente successivo a quello dell'emissione dell'ordinanza. Per effetto di questa scelta (in sé non censurabile e, comunque, non censurata dal ricorrente), quando si tenne l'interrogatorio, l'ordinanza cautelare non era stata tradotta. Non per questo però vi fu in concreto una lesione del diritto di difesa. Ed invero, dalla lettura del verbale dell'interrogatorio - necessaria e possibile in ragione del vizio dedotto (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092) - risulta che furono illustrati all'indagato i fatti che avevano "portato all'applicazione della misura cautelare, così come esposti in atti". Al termine dell'udienza, il Giudice incaricò l'interprete di procedere alla traduzione dell'ordinanza custodiale, ma non risulta avergli assegnato un termine per lo svolgimento dell'incarico e la traduzione non era ancora avvenuta il 9 aprile 2024, quando si tenne l'udienza di fronte al Tribunale per il riesame. La difesa sostiene, dunque, che l'obbligo di traduzione del provvedimento in un congruo termine non sarebbe stato adempiuto e che, alla stregua dei principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 15069 del 26/10/2023, ciò comporterebbe la nullità dell'intera sequenza di atti processuali compiuti, in essa compresa l'ordinanza cautelare. 4. Le argomentazioni difensive non colgono nel segno. Con la sentenza n. 15069 del 26/10/2023 le Sezioni Unite hanno affermato che la traduzione dell'ordinanza cautelare è essenziale all'esercizio delle prerogative difensive del soggetto alloglotta che non conosce la lingua italiana. La comprensione dei motivi per i quali è intervenuta la privazione della libertà personale costituisce, infatti, una condizione preliminare all'esercizio di queste prerogative e tale comprensione "presuppone la conoscenza linguistica, diretta o mediata da un interprete, delle accuse" (pag. 16 della motivazione). Secondo il supremo Collegio - che richiama sul punto la sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 1993 - solo in questo modo è possibile assicurare "una garanzia essenziale al godimento di un diritto fondamentale di difesa". Come la sentenza in esame opportunamente sottolinea, il testo dell'art. 292, comma 2, cod. proc. pen. fa ritenere imprescindibile la comprensione linguistica delle accuse rivolte all'arrestato. Questa norma prescrive infatti: nella lettera b), che l'ordinanza applicativa di una misura cautelare debba contenere "la descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di Legge che si assumono violate"; nella lettera c), che l'ordinanza debba contenere "l'esposizione e l'autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato". Secondo le Sezioni Unite, l'art. 292, comma 2, cod. proc. pen. "mira ad assicurare le condizioni necessarie per l'esercizio del diritto di difesa da parte del soggetto sottoposto a una misura cautelare, che possono essere garantite anche con un'esposizione sintetica delle accuse, purché queste presentino "un minimo di specificità quanto alle concrete modalità di realizzazione della condotta rispetto alla norma violata e al suo tempo di commissione, così da porre l'interessato in condizione di difendersi" (Sez. 3, n. 23978 del 15/05/2014, Alleva, Rv. 25967101)". Poiché il rispetto delle prescrizioni contenute nell'art. 292 cod. proc. pen. è "indispensabile per assicurare al soggetto privato della libertà personale l'esercizio delle prerogative difensive", l'esercizio di tali prerogative presuppone la comprensione delle accuse elevate in una lingua conosciuta dalla persona accusata. Per queste ragioni - conclude la sentenza in esame (pag. 17 della motivazione) - "nel caso in cui il destinatario della misura restrittiva sia un cittadino straniero che non conosce la lingua italiana, l'art. 292 cod. proc. pen. deve essere letto in correlazione sistematica con l'art. 143 cod. proc. pen., che disciplina le modalità con cui deve essere eseguita la traduzione degli atti fondamentali. Dal combinato disposto delle due norme deriva un obbligo di traduzione del provvedimento restrittivo della libertà personale emesso nei confronti dei soggetti che ignorano la lingua italiana, la cui violazione determina una nullità a regime intermedio". 5. Nel qualificare la nullità di cui si tratta quale nullità a regime intermedio le Sezioni Unite si sono uniformate ad un orientamento giurisprudenziale consolidato. Hanno ritenuto, infatti, in linea con una opzione ermeneutica risalente, che tale inquadramento sia "corroborato dal fatto che il citato art. 143 non prevede alcuna sanzione processuale per le ipotesi in esame (tra le altre, Sez. 4, n. 27347 del 13/06/2001, Sharp, Rv. 220040 - 01; Sez. 3, n. 882 del 12/12/1998, Daraij, Rv. 213068 - 01; Sez. 1, n. 2228 del 10/04/1995, Polisi, Rv. 201461 - 01; Sez. 1, n. 4179 del 02/10/1994, Kourami, Rv. 199465 - 01)" e hanno sottolineato che si era già espressa in questi termini la sentenza Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 2004, Zalagaitis, Rv. 226717 nella quale, "pur richiamandosi la previsione dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. e non quella dell'art. 292 cod. proc. pen., si evidenziava che la patologia processuale in esame doveva annoverarsi tra le nullità a regime intermedio, in "difetto di una specifica previsione della norma dell'art. 143 cod. proc. pen. (...)"" (così, testualmente, pag. 17 della motivazione). Con la sentenza n. 15069 del 26/10/2023, dunque, le Sezioni Unite hanno ritenuto che, quando la mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell'indagato o dell'imputato alloglotta emerga prima dell'emissione del provvedimento cautelare, la mancata traduzione di questo provvedimento debba essere ricondotta "alla categoria processuale delle nullità a regime intermedio, derivante, nel caso di specie, dal combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen." (pag. 17 della motivazione). Ciò comporta che trovi applicazione l'art. 182 cod. proc. pen. e la nullità possa essere eccepita solo in presenza di un interesse all'osservanza della disposizione violata sicché si deve valutare se nel caso di specie tale interesse sussista. La sentenza n. 15069 del 26/10/2023 ha approfondito la questione dell'interesse alla traduzione fornendo spunti utili alla soluzione del caso in esame. Vi si Legge infatti: "il soggetto alloglotta che lamenta la violazione delle sue prerogative difensive, per effetto della mancata traduzione del provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti, non può semplicemente limitarsi a dolersi dell'omissione, ma, in coerenza con la natura generale a regime intermedio delle nullità, che, nella specie, vengono in rilievo, ha l'onere di indicare l'esistenza di un interesse a ricorrere, concreto, attuale e verificabile, non rilevando, in tal senso, la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale (tra le altre, Sez. 2, n. 33455 del 20/04/2023, Mortellaro, Rv. 285186 - 01; Sez. 4, n. 4789 del 19/02/1992, Sità, Rv. 189947 - 01). L'interesse a dedurre una tale patologia processuale sussiste soltanto se ed in quanto il soggetto alloglotta abbia allegato di avere subito, in conseguenza dell'ordinanza non tradotta, un pregiudizio illegittimo. Sul punto, è opportuno richiamare Sez. 1, n. 13291 del 19/11/1998, Senneca, Rv. 211870 - 01, secondo cui non si può prefigurare alcuna nullità dell'atto, laddove "sia solo l'imputato a dolersene, senza indicare un suo concreto e attuale interesse al riguardo, non avendo alcun valore la semplice allegazione di un pregiudizio del tutto astratto"" (così, testualmente, pag. 20 e ss. della motivazione). 6. Muovendo da queste premesse, si deve osservare che, nel corso dell'interrogatorio di garanzia, che si è svolto al mattino del giorno immediatamente successivo alla pronuncia dell'ordinanza cautelare, Gi.Kh. è stato informato delle ragioni per le quali era stato sottoposto alla custodia in carcere. In quell'interrogatorio l'indagato ha potuto usufruire dell'assistenza di un interprete e, come risulta dal verbale, il Giudice gli ha illustrato "i fatti che hanno portato all'applicazione della misura cautelare, così come esposti in atti". Ne consegue che, quando la richiesta di riesame è stata proposta, Gi.Kh. era informato delle ragioni per le quali era stato privato della libertà personale e perciò era in grado, fatte salve specifiche circostanze concrete che non sono state allegate, di esercitare il proprio diritto di difesa, sia contestando la gravità del quadro indiziario che la sussistenza delle esigenze cautelari. Nel caso di specie, dunque, la circostanza che il provvedimento cautelare non fosse stato ancora tradotto quando si è tenuta l'udienza di fronte al Tribunale per il riesame non è sufficiente da sola a far ritenere esistente una concreta ed effettiva lesione del diritto di difesa. 7. Le considerazioni svolte rendono evidente che - a differenza di quanto sostenuto dalla difesa - nel presente ricorso non rileva se la traduzione sia stata eseguita entro un termine congruo e, pertanto, non rileva che, nel conferire l'incarico per la traduzione, il Giudice non abbia fissato un termine entro il quale la stessa sarebbe dovuta avvenire. Nel caso in esame, infatti, non si tratta di valutare se la traduzione dovesse essere avvenuta quando si tenne l'udienza di fronte al Tribunale del riesame, ma se il pregiudizio che l'indagato assume di aver subito in conseguenza di tale mancata traduzione sia astratto e solo potenziale o invece concreto ed attuale. Si deve ricordare allora che, nel caso di specie, né l'indagato né il suo difensore hanno indicato quale interesse, concreto, attuale e verificabile sarebbe stato leso dalla mancata tempestiva traduzione dell'ordinanza. Una tale indicazione non compare nei motivi di ricorso e nessuna precisazione sul punto è stata fornita in sede di riesame. L'indagato, infatti, non ha chiesto di presenziare all'udienza di fronte al Tribunale e, come emerge dalla lettura del relativo verbale, il difensore si è limitato a sostenere che la mancata traduzione dell'ordinanza aveva impedito all'indagato di "comprendere ciò che gli veniva contestato", senza specificare perché la sintesi degli elementi indiziari compiuta dal Giudice nel corso dell'interrogatorio di garanzia sarebbe stata insufficiente a tal fine. 7.1. Sotto diverso profilo si deve osservare che l'indagato e il suo difensore non hanno chiesto il differimento dell'interrogatorio di garanzia al fine di ottenere la traduzione scritta dell'ordinanza prima di decidere se rispondere o avvalersi della facoltà di non farlo. Dalla lettura del verbale dell'interrogatorio, inoltre, non risulta che la traduzione scritta dell'ordinanza sia stata chiesta dalla difesa o, personalmente, dall'indagato. Se è vero, quindi, che la traduzione è stata disposta, è pur vero che si è trattato di una autonoma iniziativa del Giudice e ciò fa ritenere che, ai fini dell'esercizio delle prerogative difensive, sia stata valutata sufficiente l'illustrazione dei fatti che hanno portato all'applicazione della misura cautelare cui il Giudice ha proceduto prima di dare gli avvisi di cui all'art. 64 cod. proc. pen. Ed invero, se la mancata traduzione di una ordinanza cautelare integra una nullità a regime intermedio, a maggior ragione integra una nullità a regime intermedio la circostanza che la traduzione di un'ordinanza sia effettuata in forma orale anziché scritta e - come è stato osservato - una tale nullità può "ritenersi sanata nel caso in cui al compimento dell'atto abbiano assistito la parte ed il suo difensore senza nulla eccepire. (Nella fattispecie l'ordinanza di custodia cautelare in carcere era stata tradotta oralmente nel corso dell'interrogatorio di garanzia, in cui l'indagato non aveva eccepito la nullità e si era difeso nel merito)" (Sez. F, n. 47739 del 27/08/2015, Vafancevif, Rv. 265217; sull'argomento v. anche: Sez. 1, n. 38715 del 23/01/2013, Panayotis, Rv. 256759; Sez. 5, n. 11068 del 13/11/2017, dep. 2018, Gvidiani, Rv. 272659). 8. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso il 16 luglio 2024. Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2024.
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