top of page
Nel giudizio di legittimità, le memorie sottoscritte dall'indagato personalmente non possono essere esaminate
Cassazione penale sez. fer., 06/08/2024, (ud. 06/08/2024, dep. 14/08/2024), n.32670
Nel giudizio di legittimità le memorie difensive non possono essere sottoscritte dalla parte personalmente, atteso che, a seguito della riforma dell'art. 613, comma 1, cod. proc. pen., come interpolato dall'art. 1, comma 63, della legge 23 giugno 2017, n. 103, tali atti vanno redatti, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione.
Norme di riferimento
La sentenza integrale
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale del medesimo capoluogo in data 10 febbraio 2023 - che aveva affermato la responsabilità dell'imputato per i reati di truffa aggravata (anche dalla recidiva qualificata) e per quello di abusivo esercizio della professione di avvocato -, dichiarava non doversi procedere per i reati di cui all'art. 348 cod. pen. commessi fino al 15 marzo 2012, perché estinti per prescrizione, assolveva l'imputato dalle residue condotte omogenee, perché i fatti non sussistono, rideterminava la pena inflitta in primo grado in un anno e mesi quattro di reclusione, Euro 400,00 di multa; confermava le statuizioni civili disposte con la sentenza di primo grado, condannando l'imputato alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili nel grado di appello.
1.1. Nella conformità verticale del giudizio di merito, i fatti di truffa aggravata consumati in data 9 luglio 2014 hanno ricevuto, ad avviso della Corte territoriale, avallo dimostrativo dibattimentale. È stata riconosciuta la fattispecie di truffa a "consumazione prolungata", che si perfeziona con il primo segmento di profitto conseguito per effetto del raggiro iniziale e si consuma con l'ultima frazione di profitto o con la più recente perdita patrimoniale del soggetto raggirato (Sez. 2, n. 57287 del 30/11/2017, Rv. 272250 - 01). Per tal via, la Corte territoriale individuava il dies a quo del termine (decennale, in ragione della recidiva qualificata, contestata e riconosciuta) di prescrizione alla data del 9 luglio 2014; con decorso del termine, sospeso per giorni 64 (art. 83, comma 2, D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27) ed interrotto più volte, in ragione degli eventi processuali susseguitisi dal decreto di citazione a giudizio di primo grado (22/12/2016) alla data di emissione della sentenza di primo grado (10/02/2023), cui seguiva, dopo poco più di 13 mesi, quella di appello. La Corte indicava pertanto il termine ultimo di prescrizione (tenuto conto delle interruzioni e delle sospensioni) nell'11 settembre 2014.
1.2. Quanto al trattamento sanzionatorio, la pena base per il reato di truffa è stata misurata in nove mesi di reclusione ed Euro 180,00 di multa, aumentata per la recidiva ad un anno e tre mesi di reclusione ed Euro 300,00 di multa; ulteriormente aumentata di un mese di reclusione e 100,00 Euro di multa per l'aggravante comune contestata.
L'imputato è stato infine condannato alla rifusione delle spese legali sostenute nel grado dalle parti civili.
2. Avverso tale sentenza ricorre l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia in allora officiato, che si è ritualmente avvalso di un sostituto processuale abilitato alla proposizione dell'impugnazione (Sez. U, n. 40517 del 28/04/2016, Taisyr, Rv. 267627 - 01), deducendo i motivi in appresso sintetizzati, secondo quanto dispone l'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
2.1. Violazione e falsa applicazione della legge penale sostanziale, inosservanza della legge processuale, vizio esiziale di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b, c ed e, in riferimento agli artt. 420-ter e quater cod. proc. pen.), per aver la Corte territoriale rigettato l'istanza di differimento dell'udienza del 21 marzo 2014, disponendo procedersi in assenza dell'imputato appellante, che, detenuto in regime domiciliare per altra causa e istante per la personale presenza in giudizio, non era stato tradotto per l'udienza di trattazione dell'appello, né aveva ricevuto formale notificazione del provvedimento (datato 29 febbraio 2024) adottato dal Magistrato di sorveglianza, che lo autorizzava ad allontanarsi dal domicilio di detenzione - libero nella persona e senza scorta - per partecipare all'udienza.
In particolare, l'imputato appellante, ritualmente citato (decreto del 5 dicembre 2023) a comparire nel giudizio di appello (ud. del 15 febbraio 2024), ancorché detenuto in regime domiciliare per altra causa, non era stato tradotto per detta udienza, né era stata allo stesso notificata l'autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio di detenzione, per recarsi con mezzi propri in udienza; la Corte, sollecitata dalla difesa, differiva la prima udienza al 21 marzo 2024, disponendo nuova traduzione dell'imputato detenuto in regime domiciliare. All'udienza così differita si ripeteva l'impasse, giacché l'imputato non era stato tradotto, né aveva ricevuto formale comunicazione (tramite la polizia giudiziaria a tanto delegata dal Magistrato di sorveglianza) del provvedimento autorizzatorio adottato dal Magistrato di sorveglianza in data 29 febbraio 2024; lo stesso imputato, con nota del 14 marzo 2024, aveva comunicato al Magistrato di sorveglianza di non aver ricevuto comunicazione del provvedimento di autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio di detenzione per recarsi in Corte di appello a Milano; dichiarava, tuttavia, di aver ricevuto completa lettura della detta autorizzazione dal difensore nominato per un diverso processo. Il provvedimento sarà poi formalmente notificato all'imputato solo in data 28 marzo 2024.
La Corte territoriale, quindi, all'esito dei disposti accertamenti, preso atto che l'imputato aveva avuto puntuale (ancorché non formale) e tempestiva conoscenza del provvedimento che lo autorizzava a presenziare all'udienza del 21 marzo 2024, dichiarava l'assenza dell'imputato e disponeva procedersi oltre. Consegue, ad avviso della difesa, la nullità del giudizio di appello e della sentenza emessa all'esito, avendo la Corte inosservato il disposto dell'art. 420-quater cod. proc. pen., dichiarando l'assenza dell'imputato, impossibilitato a presenziare in udienza, invece di disporne il differimento, previa nuova traduzione o nuova autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio di detenzione, per raggiungere l'aula di udienza.
2.2. Violazione e falsa applicazione della disciplina normativa della prescrizione c.d. intermedia (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 157 e 160 cod. pen.); la Corte non avrebbe rilevato che tra la data del decreto di citazione a giudizio (22 dicembre 2016) e la data del successivo atto interruttivo del 20 febbraio 2023 (dispositivo della sentenza di primo grado letto in udienza, la cui motivazione era depositata il successivo 11 maggio), erano già interamente decorsi i termini ordinari di prescrizione (anni sei in ragione della sanzione edittale massima prevista per i reati contestati), in assenza di atti interruttivi intermedi. Versava dunque in errore la Corte, che non aveva provveduto ai sensi e per gli effetti di quanto dispone l'art. 129 cod. proc. pen.
2.3. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.) che sostiene la decisione della Corte territoriale di misurare l'aumento della pena pecuniaria (100,00 euro), per l'aggravante di cui all'art. 61, comma primo, n. 7 cod. pen., in un terzo della pena precedentemente aumentata per la recidiva (300,00 euro), laddove l'aumento per la pena detentiva era stato calcolato in misura di gran lunga inferiore (un quindicesimo).
2.4. Con memoria trasmessa a mezzo p.e.c. in data 22 luglio 2024, accompagnata da due allegati, l'imputato personalmente spiegava motivi aggiunti, con i quali ripercorreva e specificava gli argomenti già spesi con i motivi principali. In pari data perveniva memoria, con allegata documentazione posta a fondamento del solo primo motivo di ricorso, a firma del difensore da ultimo nominato, con revoca di ogni precedente nomina.
3. All'udienza del 6 agosto 2024 - fissata in periodo feriale la discussione del ricorso in pubblica udienza, in ragione della data prossima (13 settembre 2024) di ipotizzato decorso del termine di prescrizione per il delitto di truffa consumatosi il 9 luglio 2014, secondo la valutazione operata dai giudici di merito, condivisa in sede di esame preliminare del ricorso- il P.G. e la difesa concludevano, come in intestazione, argomentando espressamente le rispettive domande di giustizia.
Sulle conclusioni così rassegnate, la Corte riservava la decisione in camera di consiglio, dando lettura del dispositivo in pubblica udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La memoria in data 22 luglio 2024, sottoscritta dall'indagato personalmente, non può essere esaminata.
1.1. Come già chiarito da questa Corte (Sez. 6, n. 31560 del 03/04/2019, Scelsi, Rv. 276782; Sez. 5, n. 24376 del 23/02/2024, n.m.), nel giudizio di legittimità le memorie difensive non possono essere sottoscritte dalla parte personalmente, atteso che, a seguito della riforma dell'art. 613, comma 1, cod. proc. pen., come interpolato dall'art. 1, comma 63, della legge 23 giugno 2017, n. 103, tali atti vanno redatti, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione.
1.2. Neppure è consentito all'imputato, che rivesta la qualità di avvocato, di esercitare l'autodifesa, difettando un'espressa previsione di legge che la legittimi (Sez. 2. n. 34381 del 01/06/2022, n.m.).
2. Il primo motivo di ricorso, di natura processuale, è infondato.
2.1. Come risulta dagli atti, il cui esame è imposto dalla natura processuale della questione in scrutinio (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092), all'udienza del 21 marzo 2024 la Corte di appello di Milano non ebbe a disporre il differimento richiesto dal difensore, per legittimo impedimento dell'imputato (come invece disposto all'udienza del precedente 15 febbraio), ancorché fosse noto al Collegio e documentato dagli atti acquisiti a seguito della richiesta di informazioni, che l'imputato si trovava ancora in stato di detenzione domiciliare (in esecuzione pena) per altra ragione. La traduzione disposta alla precedente udienza (15 febbraio 2024) non era stata eseguita, né era stata "notificata" all'imputato l'autorizzazione a presenziare in udienza (istituto che trova la sua disciplina, spoglia di formalità, nell'art. 22 delle norme di attuazione al cod. proc. pen.) già rilasciata il 29 febbraio 2024 dal Magistrato di sorveglianza.
La Corte argomentava la decisione processuale di dichiarare l'imputato assente e di disporre procedersi oltre, sulla base della verificata compiuta conoscenza, già in data 14 marzo 2024, dell'autorizzazione rilasciata dal Magistrato di sorveglianza il precedente 29 febbraio. Tale sicura conoscenza, comunicata al Magistrato di sorveglianza dallo stesso imputato, che aveva affermato di aver ricevuto lettura e copia informale di quel provvedimento dal proprio difensore, lo facultava ad allontanarsi dal domicilio di detenzione e recarsi all'udienza fissata per discutere l'appello, senza necessità di altra (formale) comunicazione del provvedimento autorizzatorio ad opera della polizia giudiziaria delegata all'uopo dal Magistrato di sorveglianza. L'assenza doveva, pertanto, ritenersi consapevole, informata e volontaria, senza che alcun vincolo impedisse all'imputato di recarsi in udienza libero nella persona.
2.2. Ritiene il Collegio che la decisione in rito adottata dalla Corte territoriale non si mostri inosservante delle disposizioni processuali, che disciplinano la materia, indicate dal ricorrente.
Nella situazione di fatto data (obbligo di non allontanamento dal domicilio di detenzione, la cui inosservanza comporta la contestazione del reato di evasione) l'imputato era certamente a conoscenza (per sua esplicita ammissione) dell'autorizzazione prevista dall'art. 22 delle norme di attuazione al cod. proc. pen., adottata dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria in data 29 febbraio 2024. Né il testo della disposizione normativa che disciplina l'istituto prevede che la detta autorizzazione debba esser notificata all'interessato: "Quando una persona in stato di arresto o detenzione domiciliare deve comparire per ragioni di giustizia davanti all'autorità giudiziaria, il giudice competente a norma dell'articolo 279 del codice ovvero il magistrato di sorveglianza del luogo dove si svolge la detenzione, se non ritiene di dover disporre l'accompagnamento o la traduzione per salvaguardare comprovate esigenze processuali o di sicurezza, autorizza l'allontanamento dal luogo di arresto o di detenzione per il tempo strettamente necessario. In tal caso detta le opportune prescrizioni e dà comunicazione del provvedimento all'ufficio di polizia giudiziaria territorialmente competente".
Sul punto dedotto, la giurisprudenza di legittimità -dopo una iniziale ed isolata pronuncia (Sez. 3, n. 5738 del 19/11/2014, dep. 2015, Rv. 262414) che volge nel senso della nullità (art. 178, comma 1, lett. c, e 180, cod. proc. pen.) dell'udienza celebrata in assenza (non volontaria) dell'imputato- è tutta costantemente orientata (Sez. 4, n. 28620 del 23/06/2015, Rv. 264044; Sez. 2, n. 35117 del 08/05/2019, n.m.; Sez. 6, n. 34075 del 29/09/2020, Rv. 279948; Sez. 5, n. 1773 del 12/10/2021, dep. 2022, n.m.; Sez. 2, n. 43548 del 14/09/2022, Rv. 283854; Sez. 2, n. 34771 del 13/03/2023, n.m.) a valorizzare la decisiva informalità del percorso comunicativo, che parte dall'organo che autorizza l'allontanamento e termina con la comunicazione (informale) del provvedimento all'ufficio di polizia giudiziaria territorialmente competente, evidentemente deputato a portare a conoscenza dell'interessato il contenuto del provvedimento, senza necessariamente notificarlo. Il testo normativo, infatti, nulla prescrive quanto alle forme della partecipazione del contenuto del provvedimento alla parte, prevedendo soltanto la comunicazione del provvedimento all'ufficio di polizia giudiziaria. Tale opzione normativa favorisce una progressione processuale informale, non prevedendo alcuna nullità per vizi formali di notificazione; consegue la rituale costituzione delle parti nell'udienza del 21 marzo 2024.
Il fatto che non vi sia prova dell'avvenuta tempestiva comunicazione all'interessato dell'autorizzazione rilasciata non modifica tale valutazione, dato che nella fattispecie l'imputato aveva avuto certa (ancorché informale) conoscenza del contenuto della autorizzazione, già rilasciata dal Magistrato di sorveglianza.
3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato nei presupposti di fatto della dedotta prescrizione c.d. "intermedia". Il giudizio di primo grado (durato dal 22 dicembre 2016 al 10 febbraio 2023, data di lettura del dispositivo in udienza) è rimasto sospeso ex lege (art. 83, comma 2, D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27) per 64 giorni, dunque, il termine di prescrizione di sei anni si sarebbe compiuto il 24 febbraio 2023, allorquando il dispositivo della sentenza era già stato emesso il precedente 10 febbraio. Né ha pregio, in diritto, la tesi sostenuta in nota n. 3 (pag. 6), con il secondo motivo di ricorso, che vorrebbe chiusa la fase del giudizio di primo grado con il deposito della motivazione della sentenza (nella fattispecie in data 11 maggio 2023), atteso che l'effetto interruttivo della prescrizione, dato dal decreto di citazione diretta a giudizio (nella fattispecie, in data 22 dicembre 2016), apre la fase del giudizio di primo grado, che si compie (entro i sei anni, tenuto conto della sospensione) con la pronunzia della sentenza (nella fattispecie il 10/02/2023), che chiude la fase e non già con il deposito della motivazione (sul tema si richiamano Sez. 5, n. 46231 del 4/11/2003, Rv. 227575; Sez. 3, n. 18046 del 9/2/2011, Rv. 250328; Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Rv. 277593; da ultimo, Sez. 3, n. 2779 del 12/10/2023, dep. 2024, n.m., in motiv., sub 6, pag. 23).
4. Del pari infondato è il terzo motivo di ricorso, speso in tema di denunziata disarmonia tra l'incremento sanzionatorio calcolato (per effetto della riconosciuta aggravante comune) per la pena pecuniaria (un terzo) e quello computato per la pena detentiva (un quindicesimo).
4.1. Sul punto il Collegio intende uniformarsi alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2, n. 9361 del 27/05/1975, Rv. 130927; Sez. 3, n. 1576 del 5/10/2017, dep. 2018, n.m.; Sez. 3, n. 27779 del 28/01/2016, Rv. 267051; Sez. 3, n. 26789 del 15/02/2023, Rv. 284728; Sez. 4, n. 15824 del 29/03/2023, n.m.), che ha più volte ribadito come i parametri indicati agli articoli 132 e seguenti del codice penale non impongono alcuna simmetria di calcolo nel calibrare proporzionalmente (entro i limiti imposti dal legislatore) gli aumenti della pena pecuniaria e di quella detentiva disposti dal giudice del merito per le riconosciute aggravanti, giacché se la pena detentiva esprime isometrica omogeneità afflittiva, quella pecuniaria rivela un'efficacia sanzionatoria parametrata alla capacità economica del destinatario. Non sussiste pertanto il vizio denunziato dal ricorrente con il terzo motivo di impugnazione.
5. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi di quanto dispone l'art. 616 del codice di rito, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 agosto 2024.
Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2024.
bottom of page