RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 5 marzo 2019, il Tribunale di Brescia ha applicato, su accordo delle parti, a V.D., la pena sospesa di anni uno e mesi sei di reclusione, in relazione ai reati di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 5 e 10 quater, perchè quale legale rappresentante della Dvbuilding srl, ometteva, essendovi obbligato, la presentazione della dichiarazione annuale ai fini Iva per l'anno 2012, e, al fine di evadere le imposte, non versava somme dovute, per effetto di indebite compensazioni per gli anni 2012 e 2013.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione il Procuratore generale della Corte d'appello di Brescia e ne ha chiesto l'annullamento per violazione di cui all'art. 448 bis c.p.p., in relazione all'applicazione di una pena illegale.
Il Tribunale non avrebbe potuto emettere sentenza su accordo delle parti, non ricorrendo il presupposto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 bis, comma 2, stante la mancata verifica dell'integrale pagamento del debito tributario. Tale situazione si risolverebbe nell'applicazione di una pena illegale. Chiede l'annullamento della sentenza.
3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso del Procuratore è inammissibile.
5. L'art. 448 c.p.p., comma 2 bis, introdotto dalla L. n. 203 del 2017, consente il ricorso per cassazione, avverso la sentenza di patteggiamento, per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra accusa e sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto e all'illegalità della pena e della misura di sicurezza.
Nella giurisprudenza della Corte di legittimità, formatasi prima della modifica legislativa, era stato affermato, con orientamento consolidato, che, in tema di patteggiamento, l'accordo delle parti sulla pena non poteva essere oggetto di recesso ed era, pertanto, inammissibile l'impugnazione del Procuratore generale fondata su censure che si risolvevano in un recesso dall'accordo, non potendosi riconoscere ad altro ufficio del pubblico ministero, nonostante la sovraordinazione gerarchica e la titolarità di un autonomo potere di impugnazione, un potere che non spetta alle parti (Sez. 1, n. 10067 del 12/02/2014, P.G. in proc. Taga, Rv. 259473; Sez. 3, n. 41137 del 23/05/2013 P.G. in proc. Bacci, Rv. 256692; Sez. 6, n. 28427 del 12/03/2013, P.G. in proc. Ennaciri, Rv. 256455; Sez. 2, n. 3622 del 10/01/2006, P.G. in proc. Laaziz Rv. 233369).
Nondimeno, già prima della recente modifica legislativa, il principio subiva una deroga nel caso di applicazione di pena illegale (Sez. F, n. 38566 del 26/08/2014, Youssef, Rv. 261468; Sez. 6, n. 44909 del 30/10/2013, P.G. in proc. Elmezleni, Rv. 257152; Sez. 3, n. 10286 del 13/02/2013, Matteliano, Rv. 254980).
Ora, il legislatore ha espressamente previsto, quale motivo di ricorso per cassazione, l'applicazione di una pena illegale.
Si tratta, ora di vedere, se la pena applicata al V. sia da considerarsi pena illegale.
La nozione di "pena illegale", così come efficacemente sintetizzato dalle Sezioni Unite (in particolare, Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, Pittalà, Rv. 273934/01-273934/02, e Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205/01-264207/01), attiene a quella pena che, per specie ovvero per quantità, non corrisponde a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice in questione, così collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale, o che, comunque, è stata determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato su una cornice edittale inapplicabile, come è quella dichiarata costituzionalmente illegittima o perchè individuata in violazione del principio di irretroattività della legge pena più sfavorevole.
Per pena illegale comunque deve intendersi quella che si risolve in una pena diversa, per specie, da quella stabilita dalla legge, ovvero quantificata in misura inferiore o superiore ai relativi limiti edittali.
6.- Tale non è la pena patteggiata, nel caso in esame, dall'imputato V., con il consenso del Pubblico Ministero, per essere stata applicata una pena per i delitti di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 5 e 10 quater.
Ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 bis, comma 2 (in continuità normativa con il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, comma 2 bis, introdotto dalla L. n. 148 del 2011, art. 36 vicies semel - in vigore per i fatti successivi al 17/09/2011), "per i delitti di cui al presente decreto l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonchè il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all'art. 13, commi 1 e 2.
A propria volta, il comma 1, richiamato espressamente dal suddetto comma 2, prevede che, sempre per i delitti dello stesso decreto, "fuori dai casi di non punibilità", le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell'art. 12 se, "prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie".
La norma fa, infine, salva l'applicazione delle ipotesi di cui all'art. 13 commi 1 e 2 del medesimo decreto che, così prevede: "1. I reati di cui agli artt. 10 bis e 10 ter e art. 10 quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonchè del ravvedimento operoso.
2. I reati di cui agli artt. 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, semprechè il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali".
Ciò comporta, come chiarito dalla pronuncia di Questa Terza Sezione n. 38684 del 2018 (in relazione all'omesso versamento iva, ma il discorso vale per tutte le ipotesi di reati di cui all'art. 13, commi 1 e 2 cit.), rappresentando il pagamento del debito tributario, da effettuarsi entro la dichiarazione di apertura del dibattimento (ovvero entro lo stesso termine ultimo previsto per richiedere il rito speciale), in via radicale e pregiudiziale, causa di non punibilità dei reati ex artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, ed anche dei reati ex art. 4 e 5 stesso decreto, lo stesso non può logicamente, allo stesso tempo, per queste stesse ipotesi, fungere anche da presupposto di legittimità di applicazione della pena che, fisiologicamente, non potrebbe certo riguardare reati non punibili.
Sicchè, in altri termini, o l'imputato provvede, entro l'apertura del dibattimento, al pagamento del debito a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, semprechè il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, in tal modo ottenendo la declaratoria di assoluzione per non punibilità di uno dei reati di cui agli artt. 4, 5, 10 bis, 10 ter e 10 quater, ovvero non provvede ad alcun pagamento, restando in tal modo logicamente del tutto impregiudicata la possibilità di richiedere ed ottenere l'applicazione della pena per i medesimi reati (Sez. 3, n. 38684 del 12/04/2018, P.G. in proc. Incerti, Rv. 273607 - 01; Sez. 3, n. 39328 del 17/05/2019, P.G. in proc. Trassinelli, non mass.; Sez. 3, n. 10800, del 23/11/2018, P.G. in proc. Bianconi, non mass.).
Ne consegue come nessuna illegalità della pena, presupposto per la stessa ammissibilità del ricorso, sia ravvisabile nella specie.
Il ricorso del Procuratore generale presente un ulteriore profilo di inammissibilità nella misura in cui lamenta la mancata motivazione in ordine all'integrale pagamento del debito tributario, vizio della motivazione non annoverabile tra i vizi denunciabili ex art. 448 bis c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019