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Reati contro la persona

Odio razziale o etnico: non è integrato semplicemente da un sentimento di generica antipatia

Odio razziale

Cassazione penale sez. V, 17/01/2024, (ud. 17/11/2023, dep. 17/01/2024), n.2121

La "propaganda di idee" consiste nella divulgazione di opinioni finalizzata ad influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico e a raccogliere adesioni; l'"odio razziale o etnico" è integrato da un sentimento idoneo a determinare il concreto pericolo di comportamenti discriminatori e non da qualsiasi sentimento di generica antipatia, insofferenza o rifiuto riconducibile a motivazioni attinenti alla razza, alla nazionalità o alla religione; la "discriminazione per motivi razziali" è quella fondata sulla qualità personale del soggetto e non - invece - sui suoi comportamenti.

Odio razziale o etnico: non è integrato semplicemente da un sentimento di generica antipatia

La sentenza integrale

FATTI DI CAUSA l. Con sentenza del 4 aprile 2023 la Corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia del 9 febbraio 2022 del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale cittadino con la quale gli imputati Si.Le. e Ge.To. erano stati condannati, a seguito di giudizio abbreviato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e riconosciuto il vincolo della continuazione, alla pena di giustizia per: - il reato di cui agli artt. 416,604 ter cod. pen., per essersi associati con altre persone da identificare e con i coimputati Gh. e Ti.Ko. (per i quali si è proceduto separatamente) in qualità di capi, promotori e organizzatori dell'associazione denominata "Avanguardia Rivoluzionaria" connotata da idee fondate sulla superiorità della razza bianca e sull'odio razziale con lo scopo di commettere plurimi delitti, quali quelli contro la persona comportanti lesioni gravissime per le vittime, di diversa nazionalità, etnia, razza rispetto agli associati e per tali motivi individuate come destinatarie degli atti di aggressione; acquisto di armi da sparo e importazione e commercio di armi comuni da sparo anche per finanziare tale associazione. Con l'aggravante di essersi associati al fine di commettere reati contro la persona per finalità di discriminazione e di odio etnico, nazionale e razziale (capo A); - il reato di cui agli artt. 81 cpv, 110 cod. pen., 4 I. 110/75 perché portavano fuori dalle proprie abitazioni e senza giustificato motivo uno sfollagente e un coltello multiuso (rinvenuto sulla persona di Ge.To.) e un manganello detenuto da Si.Le. (capo B). 2. Avverso la decisione della Corte di appello hanno proposto ricorso gli imputati con due distinti atti sottoscritti dai rispettivi difensori di fiducia e contenenti i seguenti motivi. 2.1. Con riferimento all'imputato Si.Le., con il primo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione alla sussistenza della fattispecie di cui all'art. 416 cod. pen. La difesa evidenzia che è emerso dall'istruttoria che durante il periodo emergenziale (2020/giugno 2021) quattro giovani ventenni milanesi, due dei quali (gli attuali ricorrenti) residenti in Trieste per motivi di studio, avevano creato una chat privata criptata e inaccessibile all'esterno con idee eversive, dando un nome al loro gruppo quale quello di "Avanguardia Rivoluzionaria", attribuendosi dei soprannomi e scambiandosi regole comportamentali e possibili obiettivi da perseguire. Sostiene la difesa che le conversazioni erano "farneticanti" come risulta chiaramente da una conversazione del 3 marzo 2021, peraltro non riportata in sentenza, nel corso della quale Si.Le. riferisce di dovere attendere "(...)15 anni in ambito spirituale il caos conseguente allo scoppio della bolla del sistema in Europa e in Usa oggi forte e sano(...)". Tuttavia, a siffatti propositi non è seguito alcun atto concreto e nessun delitto. Le uniche condotte indicate in sentenza sono costituite dall'acquisto presso una fiera di una pistola a salve, spontaneamente consegnata dal ricorrente alla Polizia per gli opportuni accertamenti, nonché da un programmato pestaggio in data 16 giugno 2021 in danno di un ragazzo, dal quale hanno desistito senza che si potesse configurare nei confronti dei ricorrenti neanche un tentativo; infine, da una eventuale attività di danneggiamento di un cancello di un centro sociale come riferito da Ge.To. A ciò si aggiunga che siffatte conversazioni non sono mai state divulgate all'esterno, non potendosi configurare la pur disciplinata ipotesi di cui all'art. 604 bis cod. pen., non contestata ma presente originariamente nella richiesta di misura cautelare avanzata dal Pubblico ministero ed esclusa dal Giudice per le indagini preliminari con l'emissione dell'ordinanza nella quale aveva ritenuto sussistente solo l'ipotesi di cui all'art. 416 cod . pen. In sede di esercizio dell'azione penale la fattispecie associativa di cui all'art. 416 cod. pen. è stata contestata unitamente all'aggravante di cui all'art. 604 ter cod. pen. Tuttavia, contrariamente a quanto indicato nella sentenza impugnata che ravvisa i requisiti della associazione, la difesa osserva che: non sussisteva la struttura neppur minimale di chiara ispirazione militaresca, dal momento che quella a cui hanno dato vita i ricorrenti non può considerarsi struttura nel senso penalistico del termine, non essendo l'attività descritta in grado di costituire un effettivo pericolo per la comunità; mancavano agli imputati le risorse in termini di danaro, armi o basi logistiche con la conseguente assenza del requisito dell'offensività. Con riferimento alle armi le perquisizioni hanno consentito unicamente di rinvenire un manganello, un passamontagna, un coltellino, un paio di guanti con le nocche rinforzate; mancavano propositi di espansione e di coinvolgimento di soggetti atteso che al di là dei quattro fondatori, non risulta che l'associazione abbia incluso altri soggetti; mancava la prova dell'ulteriore requisito delle altre persone partecipi all'associazione. Inoltre, secondo la Corte territoriale la unica condotta accertata e da cui i ricorrenti hanno desistito - il programmato pestaggio - avrebbe giustificato da un lato il suo inserimento in un programma di plurimi delitti di lesioni gravissime aggravati dalle finalità di discriminazione e odio razziale e dall'altro la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 604 ter cod. pen. In realtà il programmato pestaggio è legato ad un regolamento di conti per un torto subito da un amico di Ge.To. Conseguentemente, a differenza di quanto indicato in sentenza, la corretta identificazione della vittima non appare irrilevante essendo il movente di natura privata e personale. Sarebbe stato fondamentale identificare la vittima "Ha." che secondo la difesa non è il cittadino musulmano Ch.Ha. individuato dalla Digos, quanto piuttosto il noto rapper Ha.Di. Sul punto la difesa aveva richiesto un'integrazione istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen ai fini di una corretta identificazione, integrazione respinta. Le frasi utilizzate dai ricorrenti rivelano un movente di natura classista, ma non razziale. 2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge quanto alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 604 ter cod. pen. Non si rintracciano precedenti giurisprudenziali quanto alla contestazione della circostanza aggravante di cui all'art. 604 ter cod. pen. unitamente alla ipotesi associativa di cui all'art. 416 cod. pen. L'aggravante in parola può essere contestata in relazione ai singoli reati fine, ma non alla fattispecie associativa di cui all'art. 416 cod. pen. Se l'associazione è promossa per finalità di odio razziale si applica l'art. 604 bis cod. pen.; altrimenti l'associazione resta non aggravata e, se del caso, qualora sussistano i presupposti, la circostanza aggravante di cui all'art. 604 ter cod. pen. è contestata in relazione al singolo reato fine nei confronti del soggetto che non è associato. Qualora, comunque, si ammettesse la possibilità di una simile contestazione, non sono nel caso di specie ravvisabili modalità di condotta idonee ad esprimere disprezzo razziale; non sussiste esteriorizzazione di un sentimento di tale specie in quanto le conversazioni sono rimaste uno scambio di idee tra i coimputati. 2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio. La pronunzia impugnata nella parte motiva evidenzia l'erronea conferma della sentenza di primo grado come riportata in dispositivo anche con riferimento al capo B), dal momento che il manganello è stato rinvenuto all'interno dell'abitazione del Si.Le. e non è stato portato all'esterno. La sentenza deve essere annullata senza rinvio con riferimento al capo B) con conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio. La difesa ha censurato anche il diverso e più favorevole aumento di pena operato rispetto al coimputato Ge.To. in relazione alla circostanza aggravante di cui al capo A), aumento contraddittorio rispetto all'affermazione secondo la quale i due imputati hanno parità di posizioni nel gruppo. Ciò comporterebbe una ulteriore riduzione di pena anche con riferimento al capo A). 3. Con il primo motivo dedotto nell'interesse dell'imputato Ge.To. sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della fattispecie di cui all'art. 416 cod. pen. Il motivo è sostanzialmente sovrapponibile alle censure contenute nel primo motivo del ricorrente Si.Le. 3.1. Con il secondo motivo sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 604 ter cod. pen. Il motivo è sostanzialmente sovrapponibile alle censure contenute nel secondo motivo del ricorrente Si.Le. 3.2. Con il terzo motivo sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del reato di cui al capo B). A fronte di uno specifico motivo di appello, la sentenza impugnata si è limitata a ritenere insoddisfacente la giustificazione fornita da Ge.To. quanto alla presenza del coltellino nello zaino e cioè quella di averlo dimenticato all'interno dello stesso zaino, come risulta peraltro da una intercettazione. 3.3. Con il quarto motivo sono state dedotte violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio. Già la sentenza di primo grado aveva ritenuto il ruolo di partecipe a Ge.To. con la conseguenza che allo stesso non poteva applicarsi la medesima pena base del capo promotore Si.Le. RAGIONI DELLA DECISIONE I ricorsi sono fondati per le ragioni e nei limiti di seguito esposti. 1. Il primo motivo di ricorso di Si.Le., sovrapponibile al primo motivo di ricorso di Ge.To. e come tale trattato congiuntamente, è infondato. La sentenza impugnata con motivazione non manifestamente illogica, né contraddittoria ha ravvisato nell'attività realizzata dai ricorrenti, unitamente agli altri imputati per i quali si è proceduto separatamente, gli elementi costitutivi della struttura associativa richiesta dall'art. 416 cod. pen. La Corte territoriale, nell'effettuare un preliminare inquadramento sistematico della fattispecie in esame, ne ha ricordato la natura di reato di pericolo richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il reato si perfeziona non appena si è creato il vincolo associativo e si è concordato il piano organizzativo per l'attuazione del programma delinquenziale, del tutto indipendentemente dalla concreta esecuzione dei singoli delitti, onde gli atti diretti alla formazione di tale associazione o sono meramente preparatori e non interessano la sfera giuridico - penale, ovvero hanno il carattere della idoneità ed inequivocità e determinano la consumazione del delitto (di recente Sez. 3, n. 27989 del 15/04/2021, Rv. 282327-02). Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la sentenza impugnata ha individuato in concreto una serie di elementi, risultati provati, dotati di idoneità ed univocità al fine della costituzione dell'associazione oggetto del capo di imputazione ascritto (p. 11 e ss.). 1.1. In primo luogo, la Corte territoriale ha valorizzato gli elementi relativi alla nascita dell'associazione, originata dal distacco da "CasaPound", di cui i ricorrenti erano militanti e che aveva permesso loro di conoscersi; i metodi e le attività di CasaPound erano considerate dagli imputati troppo blandi ("un po' troppo lassista"): da qui la necessità di creazione di un nuovo organismo capace di realizzare azioni violente. 1.2. Quindi la sentenza ha individuato tutti gli elementi relativi alla struttura dell'associazione in esame: - la necessità di un "giuramento" nei confronti della "organizzazione" per l'affiliazione; - la previsione di un "Dispaccio di benvenuto per gli associati", che ne chiarisce le finalità illecite ("(...)l'organizzazione è segreta (...) promuove la lotta (...) l'organizzazione è eversiva dell'ordine democratico(...)"; - la esistenza di un documento rinvenuto all'interno del telefono cellulare del coimputato Gh., nel quale è definita la gerarchia dell'organizzazione con una suddivisione di ruoli, l'utilizzo di soprannomi per i membri, le rispettive zone di competenza, la suddivisione territoriale, il protocollo di sicurezza informatica e quello per il reclutamento; - la ripartizione dei ruoli, il reperimento dei fondi necessari per la vita dell'organizzazione, la individuazione di luoghi operativi, come emergono dalle conversazioni intercettate e dalle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio da Gh., Si.Le. e Ge.To.; - il rinvenimento nella disponibilità degli associati di armi (non solo la pistola, ma anche un coltello, un manganello e uno sfollagente); 1.3. La sentenza fornisce una motivazione immune da vizi logici (p.13) anche quanto alla individuazione del programma criminoso da ravvisarsi non solo nella espressa "finalità eversiva dell'ordine democratico", ma anche nelle finalità politico - razziali del gruppo, che si esprimono nella progettazione di due distinte azioni criminose: il programmato pestaggio in danno del cittadino straniero e il programmato danneggiamento esterno del cancello di un centro sociale (attività programmate e poi rinviate). Che le azioni programmate siano state solo rinviate emerge anche dal contenuto di un documento sequestrato ((...) ogni azione programmata è stata rimandata(...)). Dunque, la sentenza risponde esaustivamente alle censure difensive, dimostrando come quanto in concreto realizzato dai due ricorrenti unitamente ai coimputati non risulta confinato in atti inidonei penalmente irrilevanti, ma si rivela quale programmazione di una serie di delitti da commettere per la realizzazione di uno specifico scopo illecito. La sentenza utilizza principi espressi da questa Corte anche allorquando si è occupata dei criteri distintivi tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato, da individuarsi nel carattere dell'accordo criminoso, che nel concorso di persone si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati - anche nell'ambito di un medesimo disegno criminoso - con la realizzazione dei quali si esaurisce l'accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale; nel reato associativo, invece, l'accordo risulta diretto all'attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell'effettiva commissione dei singoli reati programmati (ex multis, Sez. 5, n. 1964 del 07/12/2018 - dep. 2019 - Rv. 274442). 1.4. Il motivo di ricorso, nel richiamare gli elementi sinora descritti, non ne nega la esistenza, ma ne fornisce piuttosto una diversa lettura, ridimensionando fortemente la valenza delle espressioni utilizzate dagli imputati, delle conversazioni intercorse tra gli stessi e, in generale, la reale capacità criminale ed eversiva del gruppo creato dai ricorrenti, negandone l'offensività. Una rivalutazione in tal modo offerta in effetti postula una rivisitazione del fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione, che nel caso di specie può escludersi per le ragioni sinora esposte (SU, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944). 2. Il secondo motivo di ricorso di Si.Le., sovrapponibile al secondo motivo di ricorso di Ge.To. e come tale trattato congiuntamente, è infondato. La censura investe diversi profili riconducibili alla corretta qualificazione giuridica dei fatti. Come già anticipato nella esposizione dei motivi di ricorso, nella fase cautelare il giudice per le indagini preliminari, nell'accogliere la richiesta del Pubblico ministero avanzata per il reato di cui all'art. 604 bis cod. pen., aveva diversamente qualificato i fatti ai sensi dell'art. 416 cod. pen. In sede di esercizio dell'azione penale l'imputazione di cui all'art. 416 cod. pen. è risultata aggravata ai sensi dell'art. 604 ter cod. pen. 2.1. La prima censura mossa dai ricorrenti è quella della possibilità di contestare la circostanza aggravante di cui all'art. 604 ter cod. pen. in relazione alla fattispecie associativa: siffatta aggravante, secondo le difese, potrebbe circostanziare i singoli reati fine, ma non il reato associativo. Non sarebbe giuridicamente configurabile l'ipotesi dell'associazione a delinquere aggravata dall'art. 604 ter cod. pen., atteso che il legislatore ha comunque previsto la ipotesi autonoma di cui all'art. 604 bis cod. pen. 2.1.1. Per una più corretta interpretazione sistematica delle norme oggetto di esame, va ricordato che nell'ambito del Titolo XII del Libro secondo del Codice penale, dedicato ai reati contro la persona, al Capo III sui delitti contro la libertà individuale, l'art. 2, comma primo, lett. i), D. Lgs. 1 ° marzo 2018 n. 21 ha inserito la Sezione I-bis, comprendente gli artt. 604-bis e 604-ter, dedicata ai "delitti contro l'eguaglianza". L'art. 604-bis cod. pen. (Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa) stabilisce che: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito: a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 Euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni. Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l'istigazione e l'incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull'apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale." L'art.604-ter cod. pen. (Circostanza aggravante) così recita: "Per i reati punibili con pena diversa da quella dell'ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità la pena è aumentata fino alla metà. Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'articolo 98, concorrenti con l'aggravante di cui al primo comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante." L'attuale formulazione normativa degli articoli richiamati è frutto di un'evoluzione legislativa iniziata con la legge n. 654/1975 (c.d. "legge Reale"), che ha introdotto una fattispecie di reato autonomo per sanzionare la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico. Inoltre, ha punito l'incitamento alla discriminazione per motivi razziali o etnici e forme più intense di incitamento alla commissione o direttamente al compimento di atti di violenza o provocazione alla violenza. Infine, l'art. 3 della richiamata legge ha previsto un delitto associativo consistente nella partecipazione e assistenza ad associazioni od organizzazioni aventi lo scopo di incitare all'odio e alla discriminazione razziale. In ossequio alla Convenzione di New York del 1966, l'intervento normativo considerava, tuttavia, solo la discriminazione per motivi etnici, razziali e nazionali. La legge n. 205/1993 (c.d. "legge Mancino") ha ricompreso nella fattispecie anche le discriminazioni di carattere religioso. Inoltre, ha introdotto la circostanza aggravante del reato commesso con finalità di discriminazione per razza, etnia, nazionalità e religione. La legge n. 85/2006 ha da ultimo modificato l'art. 3 della "legge Reale", sostituendo alla precedente condotta di "diffusione" quella di "propaganda" e alla condotta di "incitamento" quella di "istigazione" alla "commissione di atti di discriminazione o a commettere violenza o atti di provocazione per i motivi di discriminazione" indicati dall'articolo in questione. La giurisprudenza di questa Corte, con riferimento all'interpretazione dell'art. 604 bis primo comma cod. pen., ha chiarito che la "propaganda di idee" consiste nella divulgazione di opinioni finalizzata ad influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico e a raccogliere adesioni; l'"odio razziale o etnico" è integrato da un sentimento idoneo a determinare il concreto pericolo di comportamenti discriminatori e non da qualsiasi sentimento di generica antipatia, insofferenza o rifiuto riconducibile a motivazioni attinenti alla razza, alla nazionalità o alla religione; la "discriminazione per motivi razziali" è quella fondata sulla qualità personale del soggetto e non - invece - sui suoi comportamenti.(Sez. 5, n. 32862 del 07/05/2019,Rv. 276857). Il concetto di propaganda, dunque, ha come caratteristica essenziale la diffusività delle idee presso un numero indeterminato di persone e una concreta idoneità di tale condotta a trovare consensi nel pubblico. Quanto alla fattispecie associativa di cui all'art.604-bis comma secondo cod. pen., la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che qualunque organizzazione può assumere rilievo ai fini dell'integrazione del reato, non essendo necessario che l'associazione presenti un minimo di organizzazione e stabilità: è la legge, infatti, a riferirsi anche a organizzazioni, movimenti e gruppi e non solo ad associazioni strutturate (Sez. 1, n. 7904 del 12/10/2021 dep. 2022- Rv. 282914). 2.1.2. Quanto sinora esposto, in relazione alla evoluzione normativa delle fattispecie in esame e alla interpretazione dell'art. 604 bis cod. pen., consente di ritenere pienamente condivisibile la mancata qualificazione dei fatti in esame sub art. 604 bis cod. pen., come correttamente rilevato sin dalla fase cautelare dal giudice per le indagini preliminari, ma allo stesso tempo di considerare correttamente inquadrata la condotta dei ricorrenti sub artt.416 e 604 ter cod. pen. Al riguardo, infatti, risulta evidente che la fattispecie di cui all'art. 604 bis cod. pen. punisce le condotte di propaganda discriminatoria e di istigazione e di incitamento a commettere atti discriminatori, anche in forma organizzata, "salvo che il fatto non costituisca più grave reato". Come correttamente evidenziato anche dalla sentenza impugnata (p .16), l'incriminazione è riferita alla partecipazione ad associazioni di qualsiasi tipo che si caratterizzano per la effettiva esternazione e per la direzione al proselitismo quale elemento essenziale della fattispecie. Diversa è la condotta imputata ai ricorrenti, che si sono associati al fine di commettere condotte penalmente rilevanti con finalità di discriminazione e, dunque, appare correttamente contestata la circostanza aggravante di cui all'art.604 ter cod. pen., che si estende a comprendere "i reati commessi al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità." La sentenza impugnata ha poi correttamente respinto la specifica censura mossa con l'atto di appello in ordine ad una possibile "illegittima sovrapposizione" tra la fattispecie di cui all'art. 604 bis e quella di cui agli artt. 416 - 604 ter cod. pen., richiamando le indicazioni della pronunzia a Sezioni Unite Giordano (SU n.1235 del 28/10/2010, Rv. 248864), secondo cui, in caso di concorso di norme penali che regolano la stessa materia, il criterio di specialità (art. 15 cod. pen.) richiede che, ai fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme può ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle. Dalla descrizione degli elementi costitutivi delle due fattispecie incriminatrici può escludersi un rapporto di continenza tra le norme e, dunque, non vi è alcuna preclusione alla contestazione così come operata nel caso in esame. 2.2. L'ulteriore doglianza, contenuta nel secondo motivo di ricorso, relativa all'insussistenza della contestata aggravante, appare manifestamente infondata non confrontandosi con il contenuto della sentenza impugnata e con la giurisprudenza di questa Corte. La censura, nella parte in cui ravvisa nel programmato pestaggio la risoluzione di una contesa legata a motivi personali, non si confronta con la giurisprudenza di questa Corte proprio relativa alle intercettazioni telefoniche secondo cui in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337). La sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi logici (p.14), ha espressamente richiamato e commentato i dialoghi intercorsi tra i ricorrenti dai quali emergono evidenti le ragioni di odio razziale/religioso e la piena consapevolezza delle motivazioni che spingevano gli imputati ad agire (Gh.:"(...) mi raccomando non bisogna dire negro di merda, non deve essere riconducibile a questioni razziali, ovvio che per noi è razziale però non dirgli negro di merda muori... bisogna picchiarlo e basta (...) sto negro musulmano pure)." La sentenza ha poi valorizzato, a conforto degli elementi emersi dai dialoghi, anche il contenuto e il tenore degli interrogatori di garanzia e le risposte fornite sulla scelta della vittima, tutte volte a richiamare la religione e il colore della pelle della stessa. La sentenza ha operato buon governo della giurisprudenza di questa Corte secondo cui la circostanza aggravante prevista dall'art. 604-ter cod. pen. è configurabile non solo quando l'azione, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulta intenzionalmente diretta a rendere percepibile all'esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio e, comunque, a dar luogo, in futuro o nell'immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ma anche quando essa si rapporti, nell'accezione corrente, ad un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, non avendo rilievo la mozione soggettiva dell'agente (così, in una fattispecie relativa al reato di lesioni personali in cui la vittima veniva apostrofata con l'epiteto "negro di merda", Sez. 5, n. 307 del 18/11/2020 - dep. 2021 - Rv. 280146). 2.3. Quanto infine alla ulteriore censura, contenuta nel secondo motivo di ricorso, relativa al rigetto dell'integrazione istruttoria volta a meglio chiarire l'identità della persona offesa, deve ritenersi la sua manifesta infondatezza sia perché la sentenza impugnata ha fornito risposta immune da vizi logici sul rigetto della richiesta, sia perché nel giudizio abbreviato d'appello le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istrutto ria, esercitabile dal giudice "ex officio" nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado (Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021 - dep. 2022 - Rv. 28258 5). 3. Il terzo motivo proposto nell'interesse di Si.Le. risulta fondato nei limiti che seguono. La sentenza impugnata nella parte motiva (p.17) evidenzia l'erronea conferma della sentenza di primo grado come riportata in dispositivo anche con riferimento al capo B), dal momento che il manganello è stato rinvenuto all'interno dell'abitazione del Si.Le., non è stato portato all'esterno e, dunque, non potendosi configura re la fattispecie di cui all'a rt. 4 1.110/75. Preso atto della indicazione contenuta nella sentenza impugnata, va evidenziato che il porto senza giustificato motivo del manganello rinvenuto nell'abitazione del Si.Le. è condotta contestata in concorso ad entrambi gli imputati ricorrenti, unitamente al porto del coltellino e dello sfollagente rinvenuti nella disponibilità di Ge.To. (artt. 81 cpv, 110 cod. pen.). Dunque, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al reato di porto ingiustificato del manganello rinvenuto nella abitazione di Si.Le. perché il fatto non sussiste in relazione ad entrambi i ricorrenti attesa la contestazione del concorso ai sensi dell'art. 110 cod. pen. La sentenza, tuttavia, deve essere confermata nella parte relativa alla condotta di detenzione ingiustificata del coltellino e dello sfollagente, contestata sempre ad entrambi gli imputati in concorso tra loro. Ai sensi dell'art. 620 lett. I) cod. proc. pen. la pena può essere così rideterminata: - per Si.Le. in anni uno e mesi dieci di reclusione; - per Ge.To. in anni uno e mesi cinque di reclusione. La pena così ridotta è stata determinata eliminando interamente: - l'aumento di mesi tre di reclusione operato per Si.Le., - l'aumento di mesi 1 e giorni 15 operato per Ge.To., a titolo di continuazione esterna con il reato di cui al capo A) e di continuazione interna rispetto al reato di cui al capo B). 4. L'ulteriore doglianza, contenuta nel terzo motivo del ricorso di Si.Le., in ordine alla eccessiva quantificazione della pena per l'aumento di pena in ordine alla circostanza aggravante di cui al capo A), maggiore rispetto all'aumento del coimputato Ge.To., è manifestamente infondata in quanto volta a sindacare il potere discrezionale del giudice di merito laddove ha quantificato l'aumento di pena in relazione all'imputato in misura superiore al coimputato, non dovendo il giudice nella determinazione degli aumenti applicare dei criteri di proporzione matematica rispetto ai diversi coimputati, a fronte di una motivazione immune da vizi logici. 5. Manifestamente infondati risultano, infine, il terzo e il quarto motivo di ricorso presentati nell'interessi di Ge.To. 5.1. Il terzo motivo è interamente versato in fatto e unicamente volto ad ottenere una rivalutazione della vicenda, a fronte di una motivazione, immune da vizi logici, in senso favorevole all'imputato e in quanto tale inammissibile in sede di legittimità (SU, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944). 5.2. Il quarto motivo è generico limitandosi a censurare le modalità con cui discrezionalmente la sentenza impugnata ha determinato la pena per il ricorrente, a fronte di una motivazione immune da vizi logici; né il motivo ha individuato degli elementi in concreto favorevoli che siano stati tralasciati dal giudice dell'impugnazione. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di detenzione ingiustificata del manganello rinvenuto nella abitazione di Si.Le., Si.Le. perché il fatto non sussiste e, per l'effetto, ridetermina la pena irrogata al Si.Le. in anni uno e mesi dieci di reclusione e la pena irrogata a Ge.To. in anni uno e mesi cinque di reclusione. Rigetta nel resto i ricorsi. Così deciso in Roma in data 17 novembre 2023 Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2024.
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