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Ramo d'azienda: entità economica organizzata che conserva la sua identità durante il trasferimento

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Cassazione penale sez. III, 15/02/2024, n.10244

Per "ramo d'azienda", ai sensi dell'art. 2112 cod. civ. (come sostituito dalla prima parte dell'art. 32 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276), deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile, la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, il che presuppone, comunque, una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma (potendo conservarsi solo qualcosa che già esiste), e non anche una struttura produttiva creata "ad hoc" in occasione del trasferimento o come tale unicamente identificata dalle parti del negozio traslativo, dovendosi ritenere preclusa l'esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici ovvero di articolazioni non autonome (nella specie, il servizio di manutenzione degli impianti ad uso ufficio e dei servizi ambientali da parte della Telecom), unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 10 luglio 2023, il tribunale del riesame di Bari dichiarava inammissibile l'appello cautelare proposto nell'interesse della @1Pa@ Technology Srl in persona del legale rappresentante pro tempore avverso il provvedimento emesso dal GIP del Tribunale di Bari in data 6 giugno 2022. 2. Avverso l'ordinanza impugnata nel presente procedimento, la predetta ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore di fiducia, deducendo due motivi, di seguito sommariamente indicati. 2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'art. 321, cod. proc. pen. con specifico riferimento al disposto di cui all'art. 649, cod. proc. pen. In sintesi, la difesa censura l'ordinanza impugnata nella parte in cui ha ritenuto di decretare l'inammissibilità del ricorso formulato in ragione dell'operatività di un'ipotesi di giudicato cautelare in relazione alla regiudicanda. Pur convenendo con il provvedimento in esame in relazione al fatto che, rispetto ai requisiti che ab origine avevano determinato l'emissione del provvedimento cautelare reale, sia intervenuta una stratificazione determinata dal rigetto dell'originaria istanza di riesame e dal successivo rigetto di un appello cautelare formulato a seguito di istanza di revoca, la difesa contesta l'ordinanza impugnata sostenendo che in sede di giudizio di riesame si era affrontato esclusivamente il tema del rapporto pertinenzialità tra i beni oggetto di apprensione e le condotte delittuose per cui era in atto il procedimento cautelare, non essendo stato operato alcun riferimento di sorta dalla difesa alla determinazione dell'oggetto dell'apprensione. La stessa ordinanza impugnata avrebbe fatto riferimento alla circostanza che, in sede di giudizio di riesame, a fronte della devoluzione riconnessa al fumus, era intervenuto un rigetto in relazione alle questioni devolute al tribunale del riesame, con la precisazione che per "impianto" doveva considerarsi il ramo di azienda relativo allo stesso, con tutto il complesso dei beni aziendali che ne facevano parte, precisazione ritenuta assolutamente gratuita dalla difesa in quanto non introdotta in alcun modo da rilievi difensivi. Analogamente, anche con riferimento alla seconda vicenda, ossia l'appello cautelare avverso il rigetto dell'istanza di revoca, era stata formulata una contestazione in ordine alla formulazione del giudicato cautelare sulle questioni di originaria insussistenza dei presupposti di pertinenzialità e strumentalità dell'impianto rispetto ai reati contestati. In altri termini, mai prima dell'emissione del provvedimento che qui si impugna, secondo la difesa, era stata posta in termini chiari ed espliciti la questione devoluta, ossia se il provvedimento di sequestro fosse da intendersi relativo agli impianti ovvero dovesse comprendere tutti i beni aziendali riferiti all'impianto medesimo tanto da costituire un vero e proprio ramo di azienda. Richiamati i principi affermati da questa Corte in tema di giudicato cautelare reale che può riferirsi solo alle questioni dedotte e non a quelle che pur deducibili non siano state oggetto di specifica e formale analisi, si denuncia l'errore di diritto in cui sarebbe incorsa l'ordinanza impugnata proprio in relazione al concetto di giudicato cautelare, non essendo mai stata dedotta la quaestio iuris dedotta dalla difesa in precedenza (essendo stata al più oggetto di una tralatizia precisazione ad opera dell'ordinanza che aveva deciso sul riesame, del tutto inconferente rispetto ai temi allora devoluti), quale quella della corretta perimetrazione dell'oggetto del sequestro. Parimenti l'errore valutativo si sarebbe perpetuato con riferimento al giudicato cautelare opposto rispetto a tale giudizio, che aveva ad oggetto la questione della consistenza dei beni oggetto di apprensione cautelare, ma che tuttavia aveva riguardato esclusivamente la pertinenzialità dei predetti beni rispetto al pericolo di ulteriore commissione dei reati per cui si procede, ossia in altri termini la strumentalità dell'impianto rispetto alla reiterazione delittuosa. Nessuna deduzione, dunque, era mai stata operata tale da attingere sotto il profilo statico la consistenza dei beni oggetto del sequestro, e rispetto alla quale fosse intervenuta una statuizione definitiva, dovendosi riscontrare, secondo la giurisprudenza, per aversi giudicato cautelare in materia reale un'assoluta coincidenza tanto soggettiva quanto oggettiva tra le decisioni oggetto di analisi. Detta coincidenza apparirebbe del tutto insussistente essendo intervenuto il predetto giudicato cautelare solo sul rapporto di strumentalità tra il deposito ed il reato per cui si procede, non certamente sul concetto di oggetto statico del sequestro, così da estenderne la portata tanto da farlo riferire ad un intero ramo d'azienda. I presupposti della vicenda odierna incidentale, peraltro, sarebbero del tutto diversi rispetto a quelli precedentemente assunti, posto che nel primo caso di poneva una questione di dimostrazione del rapporto di strumentalità tra i beni attinti ed i reati per cui si procedeva, mentre in questo caso si porrebbe un problema di corretta estensione del sequestro rispetto al principio di correlazione tra domanda cautelare e decisione. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'art. 321, cod. proc. pen., con specifico riferimento all'art. 178, co. 1, lett. b), cod. proc. pen. In sintesi, si censura l'ordinanza impugnata nella parte in cui ha inteso rifuggire da un onere valutativo decretando la connotazione non prettamente decisoria del provvedimento impugnato. Apparirebbe assolutamente incontroversa la differenziazione richiamata nei motivi di appello cautelare tra provvedimento amministrativo di natura ordinatoria, impugnabile solo con incidente di esecuzione, e provvedimento amministrativo di natura straordinaria, avente connotazione decisoria, impugnabile in sede cautelare reale. Secondo l'ordinanza impugnata, erroneamente, non vi sarebbe stata alcuna forma di decisione incidente sui diritti degli indagati ma solo una mera forma di interpretazione autentica di un provvedimento giurisdizionale già assunto in precedenza. Sul punto, richiamato l'oggetto del provvedimento di sequestro originario che riguarda l'impianto di produzione della società, si osserva che, quale possa ritenersi essere la precisazione intervenuta nelle varie fasi dell'impugnazione, sarebbe evidente come la stessa non avrebbe mai potuto estendere l'oggetto del sequestro senza rappresentare una palese violazione del disposto dell'art. 178, lett. b), cod. proc. pen., con conseguente nullità del provvedimento estensivo. Rispetto a tale nullità, si sostiene, nessun provvedimento deduttivo o devolutivo sarebbe mai intervenuto, donde l'assoluta novità della questione oggetto dell'odierna analisi e dell'evidente inopponibilità del giudicato cautelare, del tutto insussistente nella specie. Premesso, pertanto, che si tratterebbe secondo la difesa di un provvedimento decisorio e non amministrativo, ciò avrebbe presupposto una valutazione nel merito della questione, non certo il rifiuto di analizzarla opponendo un'insindacabilità in ragione dell'inoppugnabilità del provvedimento. Da qui, si conclude, la lesione dei diritti difensivi e dei principi generali osti a fondamento della materia che consentono alla parte di poter sottoporre ad impugnazione qualunque provvedimento abbia attinto il proprio diritto di proprietà. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, trattato in presenza, è complessivamente infondato. 2. Il primo motivo è infondato, rilevandosi peraltro come lo stesso per plurimi aspetti si esponga a censure di genericità e manifesta infondatezza. 2.1. Ed invero, si presterebbe anzitutto al giudizio di genericità per aspecificità, in quanto si confronta solo apparentemente con la motivazione dell'impugnata ordinanza, censurandola per un inesistente vizio di violazione di legge, rapportato al c.d. giudicato cautelare, senza tuttavia tener conto dei chiarimenti forniti dai giudici dell'appello cautelare che, con riferimento alla specifica questione dell'esistenza della (doppia) preclusione processuale, hanno fornito adeguata e puntuale risposta alle doglianze difensive. In particolare, è proprio la sequenza procedimentale illustrata diligentemente dai giudici dell'appello cautelare a specificare le ragioni dell'inammissibilità dell'istanza in quanto rivolta a riproporre questioni sulle quali si era già formato il giudicato in relazione ai provvedimenti resi, da una parte, in sede di giudizio di riesame rigettato con provvedimento 21.03.2022 del medesimo tribunale del riesame di Bari e, dall'altra, in sede di (primo) appello cautelare rigettato dal medesimo tribunale con il provvedimento 30.03.2023, provvedimenti, si noti, divenuti intangibili in quanto avverso gli stessi non veniva proposto ricorso per cassazione. 2.2. Che, poi, anche la questione dell'effettivo perimetro del sequestro avente ad oggetto gli impianti produttivi fosse stata analizzata dai giudici collegiali della cautela reale (oltre a quella della pertinenzialità degli stessi rispetto ai reati per cui si procede, questione, quest'ultima, su cui la stessa difesa concorda in ricorso) discende, anzitutto, dall'intervenuta trattazione, nel merito, della questione medesima sia in sede di riesame che in sede di (primo) appello cautelare reale, discende dalla lettura dei provvedimenti impugnati. 2.3. Anzitutto, il provvedimento reso a seguito dell'istanza di riesame in data 21.03.2022, in cui con riferimento al perimetro del sequestro riferito agli impianti - e, come risulta dallo stesso provvedimento genetico del GIP, emesso anche per finalità impeditiva, anche di tutti i beni strumentali allo svolgimento della relativa attività - era espressamente contenuto nell'ordinanza di rigetto in cui si precisava come per impianto doveva considerarsi il ramo di azienda relativo allo stesso con tutto il complesso di beni aziendali che ne facevano parte. Tale affermazione del tribunale del riesame, a dispetto di quanto sostenuto dalla difesa, non può certo qualificarsi in termini di precisazione "gratuita", stante l'ampio effetto devolutivo riconnesso alla istanza di riesame, che consente al tribunale, per pacifica giurisprudenza, di esaminare ogni aspetto relativo ai presupposti del sequestro (fumus e periculum), salvo gli aspetti ulteriori non investiti dall'istanza. Si è infatti chiarito che in tema di impugnazione delle misure cautelari reali, il cd. "effetto devolutivo" del riesame deve essere inteso nel senso che il tribunale è tenuto a valutare, indipendentemente dalla prospettazione del ricorrente, ogni aspetto relativo ai presupposti del sequestro ("fumus commissi delicti" e, in quello preventivo, "periculum in mora"), ma non anche a procedere all'analisi di aspetti ulteriori, quali, ad esempio, elementi fattuali - non espressamente dedotti - da cui possa desumersi un diverso inquadramento giuridico della fattispecie di reato contestata (Sez. 3, n. 37608 del 09/06/2021, Rv. 282023 - 01). Nel caso di specie, non può certo ritenersi che la specificazione del perimetro dell'oggetto del sequestro (impianto inteso quale ramo di azienda), costituisse un aspetto ulteriore su cui i giudici del riesame erano inibiti a pronunciarsi, trattandosi infatti di un aspetto la cui trattazione era essenziale rispetto alla questione oggetto dell'istanza difensiva involgente la strumentalità di tali impianti (dunque, l'oggetto del sequestro, che la difesa vorrebbe riproporre ritenendo che sullo stesso non si sia formato il giudicato cautelare) rispetto ai reati ipotizzati dal P.M. e per i quali era stato disposto il sequestro preventivo. 2.4. La questione dell'effettivo perimetro del sequestro preventivo, si noti, è stata poi nuovamente esaminata dal tribunale di Bari, in sede di primo appello cautelare, in sede di rigetto dell'istanza 9.01.2022 con cui la difesa della società ricorrente aveva formulato la richiesta di restituzione dell'impianto consistente in un ramo di azienda (dunque, riconoscendo la stessa difesa quale fosse l'effetto oggetto del sequestro), con revoca dell'amministratore giudiziario e del coadiutore con affidamento della custodia dell'immobile sequestrato all'amministratore della società. Ancora una volta, il tribunale di Bari, nel decidere sull'istanza, la rigettava evidenziando come la dinamica delittuosa posta in essere dagli indagati nella realizzazione del delitto di traffico illecito dei rifiuti risultava attuata mediante il continuo e duraturo utilizzo strumentale dell'impianto della @1Pa@ Srl appaltatrice dei lavori e della @2Va@ Srl intesi quale insieme di beni strumentali e finanziari. 2.5. La coessenziale ed inscindibile valutazione dell'oggetto del sequestro (impianto inteso quale ramo d'azienda) rispetto alla richiesta difensiva diretta a censurare il nesso strumentale di tali impianti rispetto ai reati per cui si procede, peraltro - oltre che dai plurimi provvedimenti interlocutori assunti dal GIP: a) in data 8.03.2022 (autorizzazione all'amministratore giudiziario a gestire l'intero complesso aziendale e quindi a proseguire tutti i rapporti giuridici pendenti (contrattuali e di lavoro con il personale dipendente) nonché ogni iniziativa utile alla continuità aziendale delle predette società; b) in data 4.05.2022, in cui autorizzava l'amministratore giudiziario a comunicare all'amministratore unico delle predette società le prerogative del proprio incarico "tenuto conto che il vincolo cautelare del sequestro riguarda i compendi aziendali della @1Pa@ Srl e della @2Va@ Srl"; c) in data 23.05.2022, in cui provvedendo su un'istanza di revoca del sequestro ed altro, formulata dall'amministratore unico delle società in data 13.05.2022, in parziale accoglimento ordinava la rettifica della trascrizione presso le camere di commercio nel senso che la nomina dell'amministratore giudiziario è limitata agli impianti e non anche alle società, giungendo a tale decisione dopo aver evidenziato che "non sono oggetto di sequestro le due società..., ma i due impianti oggetto della domanda cautelare (con ciò, si noti, emergendo l'assoluta insussistenza della denunciata violazione, di cui al ricorso per cassazione, fondata sull'asserita assenza di domanda cautelare del PM, n.d.r.) e che i suddetti impianti sono produttivi per cui la nomina dell'A.G. deve essere diretta ad incrementarne la produttività", aggiungendo che "l'autorizzazione del GIP del giorno 8.03.2022 fondata sulla necessità di garantire la prosecuzione dell'attività aveva ad oggetto il complesso dei beni aziendali riferibile unicamente agli impianti di M e di L e non all'intero complesso aziendale delle due società"; d) in data (5.05.2022, in cui il GIP, nel riscontrare l'istanza dell'amministratore giudiziario, dopo aver ribadito che "per "impianti deve intendersi (e non potrebbe essere diversamente) il ramo di azienda relativo agli stessi e, pertanto il complesso dei beni aziendali e di tutti gli ulteriori beni strumentali che ne fanno parte e, quindi: mezzi d'opera, autocarri, rimanenze di materie prime riferibili a tali impianti, altri mezzi di cantiere nonché saldi bancari (per la quota parte riferibile a tali rami d'azienda) specificava che ai rami d'azienda afferenti i due impianti vanno rapportati i poteri dell'amministratore giudiziario" - emerge inequivocabilmente dal passaggio argomentativo dell'ordinanza 30/03/2023, in cui, disattendendo la doglianza difensiva volta a sostenere l'estraneità dell'impianto rispetto al reato, i giudici dell'appello ritengono tale obiezione infondata "laddove si intenda l'impianto (come argomentato dal GIP prima e dal Riesame poi) comprensivo di tutte le componenti del ramo di azienda considerato nell'ottica della intera dinamica delittuosa, posta in essere grazie alla sinergia della @1Pa@ e della @2Va@ (amministrate dal medesimo soggetto) che simulavano il conferimento di svariate tonnellate di fresato di asfalto alla @2Va@ smaltendolo invece illecitamente altrove con l'impiego di tutti i mezzi strumentali (denaro, mezzi di trasporto, forza lavoro, ecc.) degli impianti considerati". 2.6. Al cospetto di tale apparato argomentativo, dunque, le doglianze della società ricorrente appaiono del tutto prive di pregio, in quanto tradiscono il "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dal giudice collegiale della cautela reale, quale giudice di merito, attingendo l'ordinanza impugnata e tacciandola per presunte violazioni di legge con cui, in realtà, si propongono doglianze non suscettibili di sindacato in sede di legittimità. La Corte di cassazione, infatti, non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 215745; Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428 - 01). Del resto, è la stessa giurisprudenza di questa Corte a chiarire che in tema di c.d. giudicato cautelare, la preclusione derivante da una precedente pronuncia del Tribunale del riesame concerne solo le questioni esplicitamente o implicitamente trattate e non anche quelle deducibili e non dedotte; pertanto, detta preclusione opera allo stato degli atti, ed è preordinata ad evitare ulteriori interventi giudiziari in assenza di una modifica della situazione di riferimento, con la conseguenza che essa può essere superata laddove intervengano elementi nuovi che alterino il quadro precedentemente definito (Sez. 2, n. 49188 del 09/09/2015, Rv. 265555 - 01). Nel caso di specie, la questione del perimetro del sequestro avente ad oggetto gli impianti produttivi non solo era stata trattata espressamente sia in sede di riesame che in sede di primo appello cautelare (i cui provvedimenti di rigetto non sono stati fatti oggetto di ricorso per cassazione), ma era coessenziale e inscindibile rispetto a quella dedotta riguardante l'esistenza del nesso strumentale degli impianti (dunque, proprio l'oggetto del sequestro, che la difesa asserisce di non aver mai dedotto espressamente), tal che quest'ultima non avrebbe potuto essere risolta se non pronunciandosi su quella dell'effettivo perimetro del sequestro avente ad oggetto gli impianti produttivi. Questione, lo si noti per completezza, poi, più volte ripresa anche nei provvedimenti interlocutori successivi all'ordinanza resa a seguito del primo appello cautelare reale da parte del GIP, come dianzi evidenziato. 3. Deve, conclusivamente, essere affermato il seguente principio di diritto: "In tema di c.d. giudicato cautelare, la preclusione derivante da una precedente pronuncia del Tribunale concerne le questioni esplicitamente o implicitamente trattate, in considerazione dell'effetto devolutivo tipico del giudizio di riesame, nonché quelle inscindibilmente connesse a quelle oggetto di esplicita deduzione, dal cui esame dipende la soluzione di queste ultime, non potendosi le stesse ritenere come deducibili e non dedotte. Pertanto, detta preclusione opera allo stato degli atti, ed è preordinata ad evitare ulteriori interventi giudiziari in assenza di una modifica della situazione di riferimento, con la conseguenza che essa può essere superata laddove intervengano elementi nuovi che alterino il quadro precedentemente definito". Il motivo di ricorso dev'essere pertanto rigettato. 4. L'infondatezza del primo motivo di ricorso si riverbera sulla conseguente infondatezza del secondo motivo. Ed invero, sul punto, si concorda con la corretta ricostruzione logico - giuridica operata dai giudici dell'appello cautelare che evidenziano come nella fattispecie in esame il provvedimento endoprocedimentale impugnato non ha inciso né sulla consistenza del bene né su alcun diritto soggettivo della parte, trattandosi di un semplice atto ricognitivo con cui si è specificato e ribadito, al preciso fine di circoscrivere e rapportare i poteri dell'amministratore giudiziario, che il sequestro preventivo del 17/02/2022 ha ad oggetto i rami d'azienda afferenti i due impianti @2Va@ Srl e @1Pa@ Srl. Come chiarito a più riprese nei due provvedimenti cautelari non ricorsi (riesame e primo appello cautelare), nonché nei successivi provvedimenti interlocutori intervenuti nel corso del procedimento, infatti, l'oggetto dell'ablazione non risulta essere stato "esteso" a qualcosa di diverso rispetto a ciò che costituiva oggetto della domanda cautelare (l'impianto produttivo), come ben chiarito dal tribunale di Bari nell'ordinanza impugnata, richiamandosi ad una consolidata giurisprudenza secondo cui per "ramo d'azienda", ai sensi dell'art. 2112 cod. civ. (come sostituito dalla prima parte dell'art. 32 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276), deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile, la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, il che presuppone, comunque, una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma (potendo conservarsi solo qualcosa che già esiste), e non anche una struttura produttiva creata "ad hoc" in occasione del trasferimento o come tale unicamente identificata dalle parti del negozio traslativo, dovendosi ritenere preclusa l'esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici ovvero di articolazioni non autonome (nella specie, il servizio di manutenzione degli impianti ad uso ufficio e dei servizi ambientali da parte della Telecom), unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità (Sez. L, n. 8757 del 15/04/2014, Rv. 630262 - 01). Sul punto, i giudici dell'appello cautelare, nell'ordinanza impugnata, chiariscono come l'azienda non è costituita esclusivamente dall'intero complesso dei beni organizzato dall'imprenditore, ma può essere limitata ad uno suo specifico segmento interno, avente una sua organizzazione autonoma, ossia il ramo d'azienda. Quindi, proprio in virtù della disposizione dell'art. 2112, co. 5, cod. civ., anche solo pochi beni possono costituire un ramo di azienda, sempre che gli stessi costituiscano un'organizzazione strumentale funzionalmente autonoma, come appunto i due impianti produttivi oggetto di sequestro. 5. Infine, con riferimento alla denunciata violazione del principio della domanda cautelare, è lo stesso tribunale di Bari a chiarire come lo stesso PM nella sua richiesta ed il GIP nel provvedimento genetico, avevano individuato in maniera chiara e trasparente l'oggetto del sequestro negli "impianti produttivi" e, quindi, sostanzialmente nei rami d'azienda di M e L, atteso che, osserva correttamente il Tribunale, se avessero voluto limitare il sequestro al solo macchinario, come auspicato dalla difesa, avrebbero scientemente utilizzato altra terminologia facendo riferimento al solo macchinario o ad altri singoli beni. Che, conclusivamente, corretta sia la soluzione cui perviene il giudice collegiale della cautela, discende del resto non solo dal provvedimento genetico ma dai successivi provvedimenti del tribunale non ricorsi, che, nel fornire soluzione alla questione della strumentalità di tali impianti produttivi rispetto ai reati ipotizzati, hanno a più riprese affrontato il tema dell'oggetto del sequestro rispetto al quale non può seriamente porsi in dubbio l'esistenza della domanda cautelare del PM, di talché nessuna nullità assoluta nei termini indicati dalla difesa si è verificata nel caso in esame, avendo il Tribunale di Bari correttamente pronunciato una declaratoria di inammissibilità del (secondo) appello cautelare a fronte della conclamata esistenza di un (plurimo) giudicato cautelare sul tema del perimetro dell'oggetto del sequestro. 6. Ne discende, quindi, che la denunciata violazione di legge processuale denunciata assenza della domanda cautelare, con conseguente asserita violazione dell'art. 178, lett. b), cod. proc. pen.), pur in assenza di un espressa pronuncia sul punto dei giudici dell'appello cautelare, non è idonea ad inficiare il provvedimento impugnato stante la sua inammissibilità a titolo originario. Ed è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in tema d'impugnazioni, è inammissibile, per carenza d'interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile "ab origine" per manifesta infondatezza, in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (tra le tante: Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Rv. 277281 -01). Principio, questo, applicabile anche alle impugnazioni in materia cautelare, come quella sottoposta all'esame di questa Corte. 7. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell'art. 616, cod. proc. pen. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso, il 15 febbraio 2024. Depositato in Cancelleria 12 marzo 2024.
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