RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza della Corte di Appello di Bologna del 20 settembre 2022 è stata riformata la decisione di assoluzione del Tribunale di Ferrara del 23 novembre 2016, con la condanna di Ho.Al. alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, relativamente al reato di cui all'art. 609 bis cod. pen. (perché, dopo averla chiusa con sé presso il bagno degli uomini del Be.@ costringeva Pa.Fe. con cui aveva intessuto una pregressa relazione sentimentale, mediante minaccia di morte e con violenza consistita nel tenerla con forza, a praticargli un rapporto sessuale orale; commesso il 18 marzo 2012).
2. L'imputato ha proposto ricorso in cassazione per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2.1. Omessa rinnovazione della testimonianza di Pa.Pa. nonostante la stessa sia stata ritenuta decisiva nella motivazione della sentenza.
La Corte di Appello ha riformato la sentenza di assoluzione pervenendo alla condanna del ricorrente sulla base della testimonianza della persona offesa (risentita in appello) e per il riscontro alle sue dichiarazioni costituito dalla testimonianza della collega di lavoro (Pa.Pa.), non risentita in appello.
In più parti della sentenza della Corte di appello si richiama la testimonianza di Pa.Ti. per ritenere attendibili le dichiarazioni della persona offesa. Essendo la testimonianza di Pa.Ti. ritenuta dalla stessa sentenza un elemento decisivo per la condanna, la teste andava risentita in appello a norma dell'art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen.
La rinnovazione deve, comunque, essere di sposta per quelle prove che abbiano contribuito alla riforma della sentenza di assoluzione (Cassazione n. 30779 del 2021). Infatti, la Corte di appello ha ampiamente valorizzato, come unico riscontro, le dichiarazioni di Pa.Ti.
La stessa Procura generale presso la Corte di appello aveva indicato la necessita del rinnovo della prova, nelle note prima dell'udienza.
2.2. Contraddittorietà della motivazione relativamente all'individuazione del momento in cui l'imputato avrebbe posto in essere le minacce alla parte offesa: prima, durante o dopo il fatto di cui all'imputazione.
La Corte di Appello nella sentenza fa espresso riferimento al fatto che la persona offesa sarebbe stata minacciata sia per compiere l'atto sessuale sia per evitare la richiesta di aiuto; durante l'esame della donna in primo grado la stessa dichiarava di essere stata minacciata "durante e dopo" il rapporto sessuale. Invece, nel controesame della difesa la persona offesa affermava che solo dopo l'atto sessuale avrebbe ricevuto delle minacce. Nella rinnovazione in appello Pa.Fe. affermava che anche prima del rapporto sessuale era stata minacciata. I racconti, pertanto, sono tutti contraddittori e non lineari come ritenuto dalla sentenza impugnata. Basta pensare che il fatto si è consumato nel bagno di un centro commerciale, affollato di domenica, e la donna avrebbe potuto urlare per chiedere aiuto. Inoltre, sussiste una oggettiva impossibilità di praticare un rapporto orale, con la bocca tappata (per non farla urlare).
2.3. Contraddittorietà della motivazione sulla omessa considerazione nella sentenza di una parte della querela utilizzata per le contestazioni.
La persona offesa in dibattimento non riferiva di tentativi dell'imputato di baciarla in bocca; tentativi di baci in bocca, invece, riferiti nella querela. Per la Corte di appello la querela non poteva valutarsi in quanto le contestazioni in sede di esame della teste erano relative solo alla pregressa conoscenza tra i due (relazione) o al fatto se avessero parlato poco prima del fatto di cui all'imputazione.
Invece, la difesa utilizzava la querela per la contestazione proprio della parte che riguardava, in querela, i tentativi di baci sulla bocca. Il tentativo di bacio sulla bocca non è stato mai riferito dalla donna in dibattimento, con questo si ampliano le contraddizioni del suo narrato.
2.4. Mancanza e contraddittorietà della motivazione relativamente alle numerose contraddizioni del narrato della donna.
Contraddittorie anche le dichiarazioni della donna sul momento dell'incontro con la collega di lavoro, Pa.Ti. Pa.Ti. afferma di aver incontrato la persona offesa mentre usciva dal bagno, Pa.Fe., invece, riferisce di essere uscita dal bagno e di aver cercato la collega.
Anche il momento specifico dell'ingresso dell'imputato nel bagno degli uomini non è riferito con coerenza dalla donna. In una prima versione la donna riferiva di aver incontrato l'imputato nel bagno degli uomini, mentre in una dichiarazione successiva riferiva di aver prima pulito il bagno e poi di aver visto l'imputato che era entrato in bagno. In sede di esame davanti alla Corte di appello la donna dichiarava di aver incontrato l'imputato nel bagno degli uomini (l'imputato la stava aspettando).
Per la parte offesa la violenza sarebbe durata 30/40 minuti; conseguentemente, in considerazione dell'affluenza nel centro commerciale - in considerazione del giorno festivo - sarebbe stato impossibile che nessuno avesse notato il fatto. La stessa donna riferiva di un afflusso al centro commerciale rilevate (tanto che ha dovuto pulire più volte i bagni).
La donna, inoltre, avrebbe potuto allertare la vigilanza con il suo telefono cordless. Invece, rientra nel bagno per sistemarsi e solo in un secondo momento ricerca la sua collega di lavoro alla quale dichiara di essere stata violentata da un albanese, senza specificare che con l'imputato aveva avuto una precedente relazione (ed era stata da questi lasciata, in quanto sposato).
Inverosimile anche la descrizione della violenza (la donna sarebbe stata immobilizzata e le sarebbe stata tappata la bocca; impossibile realizzare un rapporto orale con la bocca tappata; è inverosimile anche la posizione dei due all'interno del ristretto bagno.
Tutte queste contraddizioni non sono state adeguatamente analizzate dalla sentenza, con una motivazione rafforzata. Non sono state acquisite le videoriprese di sorveglianza, per l'identificazione in entrata ed in uscita dell'imputato. Anche il riscontro delle celle dei telefoni non risulta effettuato, come l'analisi delle tracce biologiche nel tampone orofaringeo prelevato alla donna (e sugli indumenti).
2.5. Violazione di legge (art. 2,609 nonies cod. pen. e 7 Cedu) relativamente alle pene accessorie.
Le pene accessorie applicate risultano illegittime in quanto al momento dei fatti (18 marzo 2012) non era prevista l'interdizione all'ufficio di amministratore di sostegno e l'interdizione temporanea dai pubblici uffici.
La modifica all'art. 609 nonies, cod. pen. e intervenuta con la L. 1 ottobre 2012, n. 172, successivamente alla data del commesso reato.
Ha chiesto, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta fondato relativamente alle pene accessorie dell'interdizione da qualsiasi ufficio attinente all'amministratore di sostegno e all'interdizione temporanea dai pubblici uffici per anni 5; infondato nel resto.
4. Per le pene accessorie dell'interdizione da qualsiasi ufficio attinente all'amministratore di sostegno e l'interdizione temporanea dai pubblici uffici si deve rilevare che al momento della commissione dei fatti la norma non prevedeva tale sanzione, ma esclusivamente l'interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela e alla curatela. Solo con l'art. 4, della legge 1 ottobre 2021 n. 172 è stata inserita la previsione per l'amministrazione di sostegno. Ai sensi dell'art. 2 cod. pen. conseguentemente non può applicarsi retroattivamente una pena accessoria non prevista al momento della commissione del fatto.
La sentenza deve quindi annullarsi senza rinvio relativamente alla pena accessoria dell'interdizione dall'ufficio di amministratore di sostegno e all'interdizione temporanea dai pubblici uffici. Le pene accessorie suddette possono eliminarsi da parte di questa Corte di Cassazione non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito.
5. Il ricorso è manifestamente infondato nel resto, in quanto i motivi sono generici, senza critiche specifiche di legittimità alle motivazioni della sentenza impugnata. Inoltre, il ricorso valutato nel suo complesso, richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione del fatto, non consentita in sede di legittimità. La decisione della Corte di appello contiene ampia e adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del ricorrente, e sulla piena attendibilità della parte offesa, peraltro con numerosi e convergenti riscontri alle sue dichiarazioni.
La sentenza, inoltre, risulta con motivazione rafforzata e con la rinnovazione dell'istruttoria (nel caso con il riascolto della parte offesa), come richiede la giurisprudenza nelle ipotesi di modifica dell'assoluzione in appello: "In tema di giudizio di appello, l'obbligo di motivazione rafforzata, previsto in caso di riforma della sentenza assolutoria, e concorrente, e non alternativo, con quello di rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, sicché la sentenza di appello che ribalti la decisione assolutoria di primo grado, con condanna dell'imputato, postula l'adozione di una motivazione rafforzata e la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ai sensi dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen." (Sez. 3, Sentenza n. 16131 del 20/12/2022 Ud. (dep. 17/04/2023 ) Rv. 284493 - 03).
Relativamente al primo motivo si deve rilevare che il rinnovo dell'istruzione in secondo grado nelle ipotesi di ribaltamento dell'assoluzione non è previsto per tutte le prove dichiarative (anche se la lettera della legge - art. 603 cod. proc. pen. - potrebbe far ritenere il contrario) ma deve limitarsi solo alle prove decisive per la tenuta logica della decisione di condanna. E' pur vero che il comma 3 bis, dell'art 603 cod. proc. pen. richiede il rinnovo dell'istruttoria dibattimentale ("il giudice dispone la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale") delle prove assunte dichiarative assunte in dibattimento, ma una rinnovazione di tutte le prove sarebbe irragionevole. Infatti, già al momento dell'ammissione il giudice deve ammettere solo le prove ritenute utili, escludendo le prove superflue o irrilevanti (art. 190 cod. proc. pen.).
Nel caso in giudizio la prova utile e rilevante è stata rinnovata in appello (la testimonianza della parte offesa). Non è stata risentita la teste Pa.Pa., collega di lavoro della parte offesa, in quanto l'attendibilità della parte offesa e la completezza della sua testimonianza sono state ritenute sufficienti per l'affermazione della responsabilità. Del resto, le dichiarazioni della collega di lavoro della vittima sono state valutate come di contorno non idonee a rappresentare un ribaltamento del giudizio di attendibilità della persona offesa.
Deve, conseguentemente confermarsi la giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto oggetto del rinnovo solo le prove ritenute decisive ai fini della valutazione di responsabilità: "In caso di impugnazione della sentenza assolutoria da parte del pubblico ministero, l'obbligo di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, previsto dall'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., non riguarda tutte le prove dichiarative assunte in primo grado, ma solo quelle che, secondo le ragioni specificatamente prospettate nell'atto di impugnazione, siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e siano ritenute decisive ai fini della valutazione di responsabilità" (Sez. 1, Sentenza n, 12928 del 07/11/2018 Ud. (dep. 25/03/2019) Rv. 276318 - 01).
6. Manifestamente infondati i tre motivi (2, 3 e 4) del ricorso che concernono questioni di fatto adeguatamente valutate dalla decisione impugnata, con motivazione logica e non contraddittoria. In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 - dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482).
In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, O., Rv. 262965). In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. (Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 - dep. 28/03/1995, Pischedda ed altri, Rv. 200705).
Infatti, in tema di reati sessuali, poiché la testimonianza della persona offesa e spesso unica fonte del convincimento del giudice, e essenziale la valutazione circa l'attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria. (Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006 - dep. 18/12/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).
Le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessita di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l'individuazione dell'iter logico - giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa. (Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 - dep. 14/01/2015, Pirajno e altro, Rv. 261730); le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 - dep. 24/10/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214).
Si tratta di accertamenti di fatto insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati, come nel caso in giudizio.
Con il secondo motivo l'imputato tenta di sindacare la ricostruzione del fatto relativamente all'atteggiamento minaccioso tenuto al momento della consumazione del rapporto sessuale. Nessun rilievo determinante potrebbe avere il momento delle minacce di morte, sulla consumazione del rapporto sessuale con violenza o minaccia. La contestazione nell'imputazione, infatti, contiene sia la violenza (nel tenerla con forza) sia la minaccia. Anche l'assenza di dichiarazioni su tentativi di baci in bocca (che invece sarebbero stati riferiti in querela) risulta non determinante per l'attendibilità della donna, valutata adeguatamente dalla decisione impugnata.
Altrettanto per il terzo motivo, laddove l'imputato in fatto analizza la situazione logistica dei bagni dove sarebbe stato consumato il rapporto sessuale ed esprime dubbi soggettivi sulla impossibilità della consumazione del rapporto nel bagno in una domenica affollata. Si tratta di evidenti accertamenti di fatto adeguatamente compiuti dalla sentenza impugnata.
Con il ricorso in cassazione l'imputato propone acriticamente dubbi soggettivi, adeguatamente risolti dalla sentenza della Corte di Appello.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie della interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla amministrazione di sostegno nonché alla interdizione temporanea dai pubblici uffici per anni cinque. Pene che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell'art. 52 del D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma il 5 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2024.