RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza resa in data 21/6/2023, la Corte di appello di Palermo in parziale accoglimento della richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da M.C., ha riconosciuto in favore dell'istante la somma di Euro 210.000,00 a titolo di indennizzo.
M.C., odierno ricorrente, indagato per i reati di omicidio volontario e rapina, in concorso con la madre, era stato sottoposto a custodia in carcere per un periodo protrattosi per giorni 1.119. Era stato poi definitivamente assolto dalle accuse con sentenza della Corte di Assise di Palermo irrevocabile il 24/5/2022 La Corte distrettuale, dopo attenta disamina della vicenda, ha escluso che il richiedente avesse dato causa all'adozione della misura restrittiva a suo carico attraverso comportamenti gravemente colposi.
Ha tuttavia ritenuto valutabile, ai fini della quantificazione dell'indennizzo, la circostanza che il richiedente si fosse avvalso della facoltà di non rispondere nel corso del procedimento, individuando in tale comportamento una colpa lieve.
Avverso il provvedimento di cui sopra ha proposto ricorso per cassazione il richiedente, dolendosi, a mezzo del difensore, della decurtazione operata dal giudice della riparazione nella quantificazione dell'indennizzo.
Sebbene il giudice della riparazione possa, nell'esercizio del suo autonomo potere di determinazione del quantum debeatur, considerare tutti gli elementi disponibili, egli deve offrire adeguata motivazione del suo convincimento. Ciò non si sarebbe verificato nel caso in esame, non avendo indicato in che misura ed entro quali limiti il comportamento silente avesse influito sull'applicazione della misura.
2. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
La liquidazione dell'indennizzo per la riparazione dell'ingiusta detenzione è svincolata da criteri rigidi, dovendo basarsi su una valutazione equitativa, che tenga globalmente conto di tutti gli elementi che abbiano influito sulla vicenda che ha determinato l'adozione del provvedimento restrittivo ingiusto.
La giurisprudenza di legittimità, in tema di liquidazione del quantum da riconoscere a titolo d'indennizzo per ingiusta detenzione, ha stabilito il principio della necessità di contemperare il criterio aritmetico - costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell'indennizzo di cui all'art.:315, comma 2, c.p.p. (pari ad Euro 516.456,90) e la durata massima della custodia cautelare di cui all'art. 303, comma 4, lett. c), c.p.p., pari a sei anni (ovvero 2190 giorni) moltiplicato per il periodo, anch'esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita - con il potere di valutazione equil:ativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto.
Riferimento imprescindibile per la valutazione da compiersi in tema di liquidazione è costituito dal parametro aritmetico (individuato, alla luce dei criteri sopra indicati, nella somma di Euro 235,82 per ogni giorno di detenzione in carcere). Siffatto parametro, tuttavia, non è vincolante: potendo il giudice derogare al criterio richiamato in senso ampliativo (purché nei limiti del tetto massimo fissato dalla legge) oppure in senso restrittivo, a condizione che, nell'uno o nell'altro caso, fornisca congrua e logica motivazione della valutazione esperita.
Le condotte colpose concausali possono assumere varie gradazioni, che vanno da quella lieve, purché apprezzabile, a quella grave, idonea ad escludere il diritto all'indennizzo. Nelle ipotesi diverse dalla colpa grave, la quale soltanto osta al diritto alla riparazione, il comportamento non rimane insignificante, dovendo essere valutato ai fini della determinazione del "quantum debeatur".
2. Ciò premesso, deve ritenersi erroneo il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine alla possibilità di considerare, allo scopo di diminuire il quantum dell'indennizzo riconosciuto, la circostanza che il richiedente abbia deciso di non fornire chiarimenti sulla vicenda, avvalendosi, nel corso del procedimento, della facoltà di cui all'art. 64, comma 3, lett. b) c.p.p..
La decisione assunta non è conforme al testo della norma ed alla ratio sottesa alla recente modifica apportata all'art. 314 cod. proc:. pen. dall'art. 4, comma 1, lett. b) D.Lgs. n. 8 novembre 2021 n. 188, non potendo il comportamento silente adottato dal richiedente essere qualificato in termini di "colpa lieve".
Per effetto dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 138/2021, recante
"Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali", al comma 1 dell'art. 314 c.p.p. è stato aggiunto il seguente periodo: "L'esercizio da parte dell'imputato della facoltà di cui all'art. 64, comma 3, lettera b), non incide sul diritto alla riparazione di cui al primo periodo".
Il legislatore ha così inteso adeguare la normativa nazionale alle disposizioni della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza.
Con specifico riferimento alla previsione che occupa, si è codificato il valore neutro dell'esercizio della facoltà dell'indagato o imputato di non rispondere alle domande dell'Autorità in interrogatorio e, più in generale, di rimanere silenti nel corso del procedimento.
In tal modo si è conferita attuazione all'art. 7, par. 1, della direttiva richiamata, il quale prevede che "Gli Stati membri assicurano che agli indagati e imputati sia riconosciuto il diritto di restare in silenzio in merito al reato che viene loro contestato"; ed al paragrafo 5 del medesimo articolo, in cui si precisa che "L'esercizio da parte degli indagati e imputati del diritto al silenzio o del diritto di non autoincriminarsi non può essere utilizzato contro di loro e non è considerato quale prova che essi abbiano commesso il reato ascritto loro".
Il recepimento di tali principi nel contesto dell'art. 314 c.p.p., con l'aggiunta nel comma 1 dell'ultimo periodo sopra richiamato, consente di affermare come il silenzio serbato dall'indagato o imputato nel corso del procedimento o nel giudizio penale, non solo non sia ostativo al riconoscimento dell'indennizzo per ingiusta detenzione, ma non possa essere validamente considerato ai fini della riduzione del quantum dell'indennizzo, trattandosi di comportamento non qualificabile in termini di colpa lieve.
Da quanto precede può ricavarsi il seguente principio: "In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, a seguito della modifica dell'art. 314 c.p.p. ad opera dell'art. 4, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 8 novembre 2021, n. 188, l'esercizio della facoltà di cui all'art. 64, comma 3, lett. b) c.p.p., oltre a non costituire causa ostativa al riconoscimento dell'indennizzo, non può essere considerato ai fini della diminuzione del quantum dell'indennizzo, assumendo un valore neutro non suscettibile di integrare una ipotesi di colpa lieve".
3. L'ordinanza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio alla Corte di appello di Palermo per nuovo esame limitatamente alla questione decisa.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Palermo.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 04 dicembre 2023