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Scommesse sportive: condannato il gestore del centro scommesse che mette a disposizione del cliente il proprio conto gioco

Scommesse sportive: condannato il gestore del centro scommesse che mette a disposizione del cliente il proprio conto gioco

Cassazione penale sez. fer., 13/08/2024, (ud. 13/08/2024, dep. 14/08/2024), n.32672

Quando il gestore di un centro scommesse italiano affiliato a un bookmaker straniero mette a disposizione dei clienti il proprio conto-gioco, consentendo la giocata senza far risultare chi la abbia realmente effettuata, il suo legame con detto bookmaker diviene irrilevante, configurandosi come una mera occasione per l'esercizio illecito della raccolta di scommesse.

Norme di riferimento

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con l'impugnata sentenza, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Napoli, la Corte d'Appello di Napoli ha ridotto a quattro mesi di reclusione, con i doppi benefici di legge, la pena inflitta nei confronti di Ru.An., nel resto confermando la pronuncia impugnata, che aveva affermato la penale responsabilità dell'imputata in relazione al delitto di cui agli artt. 110 cod. pen., 4, commi 1 e 1 -bis, I. n. 401 del 1989, perché, in qualità di titolare della ditta individuale "BET1128", esercitava abusivamente, in forma organizzata, attività di raccolta, riscossione e pagamento di scommesse sportive riservate allo Stato, prive di concessione, autorizzazioni o licenze ai sensi dell'art. 88 T.U.L.P.S. 2. Avverso l'indicata sentenza, Ru.An., per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi. 2.1. Con un primo motivo, denuncia la violazione dell'art. 606 comma 1. lett. e) cod. proc. pen. Espone il difensore che la sentenza impugnata, pur avendo ritenuto che l'imputata aveva messo a disposizione dei clienti un conto "proprio" ovvero "intestato a soggetti di comodo" così da raccogliere le giocate senza far risultare chi le avesse realmente effettuate, non avrebbe però fornito adeguata motivazione sul punto, non avendo indicato le risultanze probatorie a sostegno di tale conclusione. Ed invero, quanto all'uso di un conto proprio ovvero intestato a soggetti di comodo, ad avviso del difensore la ricorrente avrebbe ben potuto raccogliere le puntate, riscuotere le poste ovvero pagare le vincite non a nome proprio bensì nell'interesse del bookmaker Centuriobet LTD. Del resto, neppure il capo di imputazione farebbe riferimento non ad una raccolta di scommesse "per conto proprio", bensì ad una "raccolta scommesse al banco per conto di Centuriobet LTD", con ciò non comprendendosi le motivazioni a fondamento delle quali i giudici di merito avrebbero ritenuto provata la penale responsabilità della ricorrente. 2.2. Con un secondo motivo, denuncia la violazione dell'art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., non avendo la Corte di appello motivato in ordine alla lamentata discriminazione subita dal bookmaker "Centuribet LTD". Ed invero, l'imputata avrebbe avanzato istanza ex art. 88 T.U.L.P.S., producendo tutti i documenti necessari, ma avrebbe poi ottenuto un diniego da parte della Questura sulla base dell'insussistenza, in capo alla società maltese, dell'autorizzazione da parte dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli a esercitare in Italia l'attività di raccolta delle scommesse sportive, con ciò assumendo una motivazione evidentemente discriminatoria alla luce della giurisprudenza nazionale e sovranazionale puntualmente indicata. A tal proposito, la Corte di merito si sarebbe limitata a richiamare per relationem la motivazione assunta dal Tribunale, senza confrontarsi con le specifiche doglianze dedotte con l'atto di appello, ciò che integra il denunciato vizio motivazionale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Come noto, la normativa amministrativa prevede che le attività di raccolta e di gestione delle scommesse siano esercitabili solo da soggetti che abbiano ottenuto al termine di una pubblica gara una delle concessioni, di cui lo Stato fissa il numero complessivo. I medesimi soggetti debbono ottenere anche un'autorizzazione di polizia che, ai sensi dell'art. 88 T.U.L.P.S., "può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione". La proposta al pubblico di giochi d'azzardo senza concessione o autorizzazione di polizia è sanzionata penalmente ai sensi dell'art. 4, comma 4-bis, I. n. 401 del 1989. 3. La questione concernente la compatibilità di tale normativa con gli artt. 49 e 56 TFUE è già stata affrontata e risolta positivamente dalla CGUE, che, interrogata specificatamente sul punto, con la sentenza Biasci del 12 settembre 2013, ha espressamente affermato che i principi europei di libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi non ostano a una normativa nazionale, come quella italiana, che, al fine di contrastare la criminalità collegata ai giochi d'azzardo, imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d'azzardo l'obbligo di ottenere un'autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività, e che limiti il rilascio di siffatta autorizzazione segnatamente ai richiedenti che già sono in possesso di una simile concessione. La Corte di Giustizia è pervenuta a tale conclusione sul rilievo per cui l'obiettivo perseguito dalla normativa italiana, attinente alla lotta contro la criminalità collegata ai giochi d'azzardo, è idoneo a giustificare restrizioni alle libertà fondamentali, purché tali restrizioni soddisfino il principio di proporzionalità e nella misura in cui i mezzi impiegati siano coerenti e sistematici (punto 23, sentenza Biasci). Orbene, rispetto all'obiettivo perseguito dal legislatore italiano, la CGUE ha ritenuto non sproporzionata in sé la circostanza che un operatore debba disporre sia di una concessione sia di un'autorizzazione di polizia per poter accedere al mercato di cui trattasi (punto 27, sentenza Biasci). Tuttavia - ha proseguito la Corte - poiché le autorizzazioni di polizia sono rilasciate unicamente ai titolari di una concessione, irregolarità commesse nell'ambito della procedura di concessione di queste ultime vizierebbero anche la procedura di rilascio di autorizzazioni di polizia, perciò la mancanza di autorizzazione di P.S. non potrà essere addebitata a soggetti che non siano riusciti a ottenere tali autorizzazioni per il fatto di non aver potuto conseguire l'attribuzione di una concessione in violazione del diritto dell'Unione (punto 28, sentenza Biasci). La stessa Corte, con un precedente arresto (sentenza 16 febbraio 2012, Costa-Cifone, C-72/10 e C-77/10), ha affermato che quando una società estera svolge attività di gestione e raccolta delle scommesse in Italia esclusivamente attraverso CTD - ossia locali aperti al pubblico gestiti da operatori indipendenti contrattualmente legati alla società estera, nei quali gli scommettitori possono concludere scommesse sportive per via telematica accedendo direttamente al server della società ubicata in un altro Stato membro - grava sul bookmaker comunitario l'obbligo di ottenere una concessione per l'esercizio di attività di raccolta e di gestione delle scommesse in Italia, ciò che permetterebbe ai CTD di esercitare le loro attività. In relazione a tale situazione, la CGUE ha chiarito che, in ossequio agli artt. 43 e 49 CE, non possono essere applicate sanzioni per l'esercizio di un'attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia nei confronti di persone legate ad un operatore che era stato escluso da una gara in violazione del diritto dell'Unione. 4. Occorre tuttavia segnalare che questa Corte è intervenuta sul tema dell'esercizio abusivo di attività di gioco o scommessa, affermando il principio -ormai largamente consolidato - per cui, qualora l'agente non si sia limitato alla mera trasmissione delle scommesse effettuate dai clienti ad un allibratore straniero, ma abbia posto in essere la condotta di cui all'art. 4, comma 4-bis, I. n. 401 del 1989 attraverso un'attività di intermediazione e raccolta diretta delle scommesse, rimane precluso ogni profilo discriminatorio nella partecipazione dell'allibratore straniero alle gare, dovendo escludersi la sussistenza di una ipotesi di servizio transfrontaliere "puro" offerto dall'operatore estero, sì che l'attività di esercizio di raccolta di scommesse e la conseguente necessità di titolo autorizzativo vanno individuate direttamente in capo all'operatore italiano (in tal senso, Sez. 3, n. 13657 del 16/02/2024, Strogone, Rv. 286101; Sez. 3, n. 55329 del 16/07/2018, Gambuzza, Rv. 275179; Sez. 3, n. 889 del 28/06/2017, dep. 2018, Della Mura, Rv 271977; Sez. 3, ri. 44381 del 15/09/2016, Savastano, Rv.269282; Sez.3 n.19248 del 8/03/2012, De Rosa e altro, Rv.252623). Pertanto, quando il gestore di un centro scommesse italiano affiliato a un bookmaker straniero mette a disposizione dei clienti il proprio conto-gioco, consentendo la giocata senza far risultare chi la abbia realmente effettuata, il suo legame con detto bookmaker diviene irrilevante, configurandosi come una mera occasione per l'esercizio illecito della raccolta di scommesse. 5. Ed è proprio questa la situazione accertata con doppia conforme valutazione dei giudici di merito, laddove si dà atto che la polizia giudiziaria operante (cfr., in particolare, p. 4 e p. 5 della sentenza del Tribunale), in occasione dell'accertamento svolto presso l'esercizio della ricorrente, aveva accertato che esso non si limitava alla mera trasmissione dei dati relativi alle giocate, ma svolgeva una vera e propria attività di intermediazione illecita nella gestione delle scommesse sportive, concretamente realizzata nella messa a disposizione dei clienti di conti gioco con nomi fittizi, nella raccolta di puntate, nella riscossione di poste e nel pagamento di vincite, il che, in forza dei principi dinanzi indicati, integra a pieno titolo il reato in contestazione. A fronte di tale ricostruzione, la ricorrente oppone censure di fatto, tese a criticare la valutazione delle prove operata dai giudici di merito e sollecitando una diversa e più favorevole ricostruzione della vicenda, il che fuoriesce dalle ipotesi previste dall'art. 606 cod. proc. pen., essendo normativamente preclusa a questa Corte la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260). 6. Conseguentemente, le vicende del bookmaker estero e le discriminazioni che questo avrebbe subito in ragione del "bando Mo. 2012", dedotte con il secondo motivo, quand'anche accertate, sarebbero del tutto irrilevanti nel caso di specie, in quanto l'attività di esercizio di raccolta di scommesse e la conseguente necessità di titolo autorizzativo vanno individuate direttamente in capo all'operatore italiano. Conferma ciò la circostanza per cui l'attività di intermediazione nella raccolta delle scommesse, oltre a poter configurare reato ex art. 4, comma 4-bis, I. n. 401 del 1989 - anche quando è posta in essere per conto di un concessionario autorizzato - è espressamente vietata, in ogni sua forma, dall'art. 2, comma 5, del regolamento disciplinante le scommesse di cui al D.M. n.111/2006. Dunque, la raccolta di scommesse, anche quando ha luogo mediante strumenti telematici, può avvenire lecitamente solo se posta in essere da parte di soggetti titolari di concessione, non essendo ammesso che soggetti terzi raccolgano le scommesse per conto di concessionari o titolari di reti svolgendo una mera intermediazione (così, in motivazione, Sez.3, n.889 del 28/06/2017-dep. 2018, Della Mura; si v., ancora, più di recente Sez. 3, n. 42156 del 15/09/2020, dep. 2021, Bertora, n.m. nonché Sez. 3, n. 25439 del 09/07/2020, Rv. 279869). Di conseguente, non è censurabile la sentenza impugnata nella parte in cui, proprio valorizzando l'esito dell'accertamento operato dalla polizia giudiziaria presso l'esercizio della ricorrente, ha confermato la responsabilità penale della Ru.An. per il fatto oggetto di contestazione a prescindere da un'illegittima esclusione del bookmaker estero dai bandi di gara per il rilascio delle concessioni. 7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 13 agosto 2024. Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2024.
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