RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 16 maggio 2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo ha dichiarato il non luogo a provvedere sull'istanza di restituzione di monili in sequestro probatorio proposta da Fa.Sa.
2. Avverso l'indicata ordinanza, Fa.Sa. e Da.Ma., a mezzo del difensore di fiducia, propongono ricorso per cassazione, lamentando violazione di plurime disposizioni di legge e dei principi di proporzionalità, adeguatezza e residualità della misura cautelare reale.
In sintesi, i ricorrenti premettono che Fa.Sa. era stato indagato per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione del reato di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 74/200 nel proc. n. 3344/2019 R.G.N.R. mod. 21 e di aver subito l'esecuzione di un sequestro probatorio presso la propria abitazione in data 28/10/2019, all'esito del quale erano stati rinvenuti e sequestrati una serie di monili. Una prima istanza di restituzione dei beni, presentata dal ricorrente il 18/12/2019, era stata rigettata dall'Ufficio di Procura, con decreto del 07/01/2020, sul presupposto che i monili in sequestro fossero necessari per l'accertamento dei fatti, potendo essere stati oggetto di acquisto presso le case d'asta o i banchi-pegno in nome e per conto delle società estero-vestite. La posizione del ricorrente era stata archiviata con provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo del 03/04/2024 su richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo del 06/12/2023, previa separazione della posizione del ricorrente medesimo confluita nel procedimento di nuova iscrizione n. 11368/2023 R.G.N.R. mod. 21. Il ricorrente aveva quindi reiterato l'istanza di restituzione dei beni rispetto alla quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo aveva ritenuto "non esservi luogo a provvedere sull'istanza", previa acquisizione del parere contrario della Procura della Repubblica, parere motivato sul fatto che permanesse la rilevanza probatoria di quanto in sequestro nell'originario procedimento iscritto al n. 3344/2019 R.G.N.R. mod. 21.
Deducono i ricorrenti l'insussistenza di esigenze probatorie sottese al sequestro, in ragione della intervenuta archiviazione della posizione del ricorrente medesimo e della assertività della motivazione del provvedimento, non essendo stata spiegata la ragione per la quale sarebbe necessario il mantenimento del sequestro e non avendo il Pubblico Ministero acclarato la provenienza illecita e/o la connessione dei monili con i traffici descritti nelle informative di polizia giudiziaria. Richiamano giurisprudenza di legittimità in materia con riferimento ai principi di proporzionalità e di adeguatezza sia in relazione alle cose costituenti il corpo del reato, sia soprattutto in relazione alle cose pertinenti al reato e ribadiscono che, nella ordinanza impugnata, non erano stati chiariti: a) la provenienza illecita e/o l'asserita connessione dei monili con i traffici descritti nelle informative di polizia giudiziaria, b) quali gli accertamenti compiuti e/o da compiere, nonostante l'archiviazione della posizione del proprietario dei monili e quali le esigenze probatorie tali da giustificare il mantenimento del sequestro a tempo indeterminato dei monili, c) quali gli ulteriori tempi necessari per tali accertamenti, d) perché la connessione dei monili con i traffici descritti nelle informative dovrebbe essere accertata in dibattimento, e) perché i diritti del terzo non sarebbero limitati in modo ingiustificato rispetto ad un sequestro la cui finalità probatoria era stata prospettata solo genericamente. Ribadiscono infine che i beni erano oggetti esclusivamente personali non riconducibili in alcun modo al reato ascritto, bensì frutto di donazioni ereditarie dai propri familiari e/o reciproche regalie in occasione delle normali ricorrenze affettive familiari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
1.1 In via preliminare, deve richiamarsi la costante affermazione di questa Corte (cfr. ex plurimis Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell'art. 325 cod. proc. pen., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. Non può invece essere dedotta l'illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. E) dell'art. 606 cod. proc. pen. (in tal senso, cfr. Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710).
1.2 Deve poi richiamarsi l'insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 32938 del 19/01/2023, L., Rv. 284993) secondo cui lo schema di tutela codicistico, sia in tema di sequestro probatorio, sia in tema di sequestro preventivo, alla luce delle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 12/1991, è il seguente: a) il pubblico ministero ha il potere decisorio pieno sulla richiesta di restituzione dei beni sottoposti a sequestro probatorio (art. 263, comma 4, cod. proc. pen.); b) il pubblico ministero ha il compito di delibare la richiesta di revoca del sequestro preventivo provvedendo direttamente in caso di fondatezza della domanda oppure trasmettendola al giudice in caso contrario (mutuando dallo schema procedimentale previsto dall'art. 263, comma 4, prima della sua modifica); c) in entrambi i casi (sequestro probatorio e sequestro preventivo), il controllo giurisdizionale sulle decisioni del pubblico ministero è assicurato, rispettivamente, dall'opposizione al giudice per le indagini preliminari (art. 263, comma 5, cod. proc. pen.), in caso di sequestro probatorio e dall'appello al tribunale di cui all'art. 322-bis cod. proc. pen. in caso di sequestro preventivo; d) avverso il provvedimento del giudice che decide sull'opposizione a norma dell'art. 263, comma 5, è ammesso ricorso per cassazione per tutti i motivi previsti dall'art. 606 cod. proc. pen.; avverso il provvedimento del giudice che rigetta o accoglie la domanda di revoca del sequestro preventivo è ammesso appello ai sensi dell'art. 322-bis cod. proc. pen.; il provvedimento del giudice dell'appello cautelare è a sua volta sindacabile in sede di legittimità per la sola violazione di legge (art. 325 comma 1, cod. proc. pen.).
Le Sezioni Unite, sulla specifica questione di diritto rimessa per la risoluzione, concludono nel senso che l'ordinanza del giudice dell'udienza preliminare che decide sulla richiesta di restituzione del bene sottoposto a sequestro probatorio non sia impugnabile al pari della decisione del giudice del dibattimento che, ai sensi dell'art. 586 cod. proc. pen., deve essere impugnata insieme con la sentenza, spiegando che, nel caso di sequestro probatorio, la tutela del diritto di proprietà e assicurata dalla facoltà di chiedere il riesame, anche nel merito, del decreto che dispone il sequestro (art. 257 cod. proc. pen.) o del decreto del pubblico ministero che convalida il sequestro operato di iniziativa dalla polizia giudiziaria (art. 355, comma 3, cod. proc. pen.) e di impugnare, con ricorso per cassazione, il provvedimento del tribunale del riesame (art. 325, comma 1, cod. proc. pen.).
Successivamente (o in alternativa alla richiesta di riesame), il diritto di adire il giudice è assicurato dalla facoltà di sollecitare, in ogni stato e grado del giudizio di merito e senza limitazioni, la verifica della persistente necessità di mantenere il sequestro a fini di prova (art. 262 cod. proc. pen.).
Prima dell'esercizio dell'azione penale tale facoltà può essere fatta valere nei modi previsti dall'art. 263, comma 5, cod. proc. pen., mentre dopo può essere esercitata interloquendo direttamente con il giudice sulla necessità di mantenere li sequestro del corpo di reato o delle cose ad esso pertinenti a fini di prova dello specifico fatto oggetto di contestazione.
Si tratta di valutazioni che il legislatore ha inteso riservare esclusivamente al giudice che procede, escludendo, una volta esercitata l'azione penale, l'impugnazione dell'ordinanza prima che il giudice si pronunci sul merito dele accuse. Si è voluto evitare il rischio di conclusioni contrastanti circa l'utilità probatoria delle cose sequestrate, privilegiando quella del giudice chiamato a pronunciarsi sulla regiudicanda e assicurando, nel contempo, l'impugnazione "differita" dell'ordinanza insieme con la sentenza che definisce il grado del giudizio (art. 586 cod. proc. pen.).
1.3 Va, quindi, puntualizzato e ribadito che, in tema di sequestro probatorio, con specifico riferimento alla fase delle indagini preliminari, la restituzione delle cose sequestrate può essere richiesta al solo pubblico ministero procedente da parte dell'interessato, che potrà rivolgersi al giudice per le indagini preliminari solo in sede di opposizione avverso l'eventuale decreto reiettivo, sicché se l'interessato, nella medesima fase, adisce direttamente il giudice per le indagini preliminari il provvedimento che questi emette, previo parere del pubblico ministero, deve ritenersi affetto da nullità assoluta per incompetenza funzionale (Sez. 2, n. 6976 del 06/10/2022, dep. 2023, Papalia, Rv. 284183).
1.4 Infine, deve rilevarsi, in punto di fatto, che i beni di cui il ricorrente ha chiesto il dissequestro risultano ancora in sequestro nell'ambito del procedimento iscritto al n. 3344/2019 R.G.N.R. e non nell'ambito del procedimento iscritto al n. 11368/2023 R.G.N.R. nel quale è confluita la posizione del ricorrente ed è stato emesso decreto di archiviazione. L'istanza di restituzione è stata, invece, avanzata nel procedimento n. 11368/2023 R.G.N.R., dove - si ribadisce - è confluita la posizione del ricorrente, ma non il sequestro dei beni; il procedimento iscritto al n. 3344/2019 R.G.N.R., nell'ambito del quale i beni sono in sequestro, per quanto è dato ricavare dalle deduzioni contenute nel ricorso e dalle allegazioni documentali al ricorso stesso (è stato allegato l'avviso di conclusioni delle indagini preliminari), si trovava in una fase processuale anteriore all'esercizio dell'azione penale al momento in cui è stata avanzata l'istanza di restituzione.
2. Tanto premesso, i ricorsi sono evidentemente inammissibili, perché fuoriescono dallo schema di tutela codicistico come delineato dai principi sopra esposti per due ordini di motivi.
2.1 In primo luogo, l'istanza di dissequestro e restituzione dei beni è stata proposta in procedimento, conclusosi con decreto di archiviazione, nell'ambito elei quale non erano tuttavia confluiti i beni in sequestro; era stato, invece, mantenuto il sequestro dei beni nell'ambito del procedimento originario dove il ricorrente non era più indagato, essendo stata la sua posizione separata e definita con decreto di archiviazione.
L'istanza era stata pertanto proposta a giudice cui non spettava la competenza funzionale a provvedere sulla istanza di restituzione, perché i beni non erano in sequestro nell'ambito del procedimento archiviato, ma in altro procedimento che si trovava in una fase anteriore all'esercizio dell'azione penale al momento della presentazione dell'istanza di dissequestro.
2.2 In secondo luogo, per il procedimento nell'ambito del quale i beni si trovavano in sequestro, ricadente in una fase processuale anteriore all'esercizio dell'azione penale al momento dell'istanza di dissequestro, la tutela, in quella fase, è apprestata dalle disposizioni contenute nell'art. 263, commi 4 e 5, cod. proc. pen. L'interessato può rivolgersi non al giudice, ma al pubblico ministero procedente e, avverso il decreto di quest'ultimo, è consentito proporre opposizione al giudice per le indagini preliminari che provvederà a norma dell'art. 127 cod. proc. pen. Una volta che il procedimento transita in udienza preliminare o in dibattimento, l'interessato potrà rivolgersi al giudice dell'udienza preliminare o al giudice del dibattimento, le cui ordinanze non sono impugnabili se non unitamente alla sentenza che definirà il grado di giudizio ai sensi dell'art. 586 cod. proc. pen.
3. All'inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna elei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila, esercitando la facoltà introdotta dall'art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall'art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell'inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 14 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2024.