RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catanzaro ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di C.G. in ordine ai reati di cui agli artt. 595 c.p., commessi diffondendo, attraverso il suo profilo registrato sul social network Facebook, e sul sito (Omissis), notizie diffarnatorie ai danni di O.M., all'epoca Sindaco di (Omissis) (capi A e B).
Con la medesima sentenza la Corte distrettuale, in parziale riforma della decisione assolutoria di primo grado, accogliendo il gravame della parte civile, ha dichiarato la responsabilità di C., agli effetti civili, in ordine al reato di atti persecutori (capo C), commesso ai danni della medesima persona offesa, divulgando in modo sistematico, nella rete telematica, i post diffamatori di cui ai capi A) e B).
Di conseguenza l'imputato è stato condannato a risarcire alla parte civile anche i danni conseguenti al compimento di atti persecutori, rimettendone la liquidazione al giudice civile.
2. Avverso l'indicata pronuncia ricorre l'imputato, tramite il difensore, articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo eccepisce l'inammissibilità dell'atto di appello della parte civile.
Il gravame è stato proposto dalla parte civile ai sensi dell'art. 578 c.p.p., norma non pertinente al caso di specie, poiché riguarda l'ipotesi della condanna dell'imputato per un reato poi estinto per amnistia o prescrizione.
2.2. Con il secondo denuncia l'inosservanza dell'art. 573, comma 1-bis c.p.p..
2.3. Con il terzo deduce l'insussistenza degli elementi costitutivi del delitto di atti persecutori, che, anche secondo l'insegnamento della Corte di cassazione, non potrebbe essere integrato solo da condotte di reiterata diffamazione a mezzo stampa.
2.3. Con il quarto motivo lamenta violazione dell'art. 51 c.p. e 21 Cost. perché la Corte di appello non avrebbe valutato la sussistenza della esimente del diritto di critica.
3. Il ricorso è stato trattato, senza intervento delle parti, nelle forme di cui all'art. 23, comma 8 L. n. 176 del 2020 e successive modifiche. Le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La parte civile è legittimata a proporre impugnazione avverso le sentenze di proscioglimento ex art. 576, comma 1, c.p.p..
L'errore, nell'atto di parte, nella indicazione della norma di legge non incide sulla ammissibilità dell'impugnazione, in forzi del principio iura novit curia.
3. Il secondo motivo è infondato.
Sul regime temporale di applicabilità dell'art. 573 comma 1-bis c.p.p. (introdotto dall'art. 33 D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150) era sorto un contrasto tra le sezioni semplici della Corte di cassazione, che è stato composto dall'intervento delle Sezioni Unite con una pronuncia resa nel medesimo torno di tempo in cui è stato proposto ricorso per cassazione.
Le Sezioni Unite hanno stabilito che l'art. 573, comma 1-bis, c.p.p., si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione (Sez. U, n. 38481 del 25/05/2023, D., Rv. 285036 - 01).
Nella specie la costituzione di parte civile è avvenuta ben prima della data citata.
4. Il terzo motivo è infondato.
4.1. Va chiarito che la disamina viene svolta nella specifica prospettiva della responsabilità civile.
Ergo la sussistenza o meno di fatti integranti il delitto di atti persecutori rileva esclusivamente ai fini del risarcimento dei danni conseguenti.
4.2. Secondo la ricostruzione del giudice di merito, l'imputato si è reso responsabile di una campagna mediatica denigratoria sferrata, con la pubblicazione, quasi giornaliera, sulla pagina Facebook e sul blog, di post contenenti violenti attacchi calunniosi ai danni della persona offesa.
Ciò ha causato nella vittima uno stato di ansia e malessere, tanto da rendere necessario il ricorso a cure farmacologiche con diagnosi di: sindrome ansioso depressiva con disturbi dell'umore e somatizzazioni multi organo.
4.2. Il quesito sollevato in ricorso concerne la possibilità di ravvisare la condotta materiale del reato di atti persecutori nella commissione di ripetute condotte diffamatorie di per sé già costituenti il reato di cui all'art. 595 c.p..
Il collegio ritiene di fornire risposta positiva nei termini e per le ragioni che seguono.
4.2.1. Secondo gli insegnamenti della Corte Costituzionale e della Corte di cassazione, la fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p. si configura come specificazione delle condotte di minaccia o di molestia già contemplate dal codice penale.
Molestare significa alterare in modo fastidioso o importuno l'equilibrio psichico di una persona (così Corte Cost. sent n. 172 del 2014).
Rientra nella nozione di molestia, quale elemento costitutivo del reato di atti persecutori, qualsiasi condotta che concretizzi una indebita ingerenza o interferenza, immediata o mediata, nella vita privata e di relazione della vittima, attraverso la creazione di un clima intimidatorio e ostile idoneo a comprometterne la serenità e la libertà psichica (Sez. 5 n. 1753 del 16/09/2021, dep. 2022, Q., Rv. 282426).
Con lo speciale reato di cui all'art. 612-bis c.p. il legislatore ha ulteriormente connotato le condotte di minaccia e molestia, richiedendo che le stesse siano realizzate in modo reiterato e idoneo a cagionare almeno uno degli eventi indicati nel testo normativo (stato di ansia o di paura, timore per l'incolumità e cambiamento delle abitudini di vita).
L'evento deve essere il risultato della condotta illecita valutata nel suo complesso, nell'ambito della quale possono assumere rilievo anche comportamenti solo indirettamente rivolti contro la persona offesa e anche di tipo subdolo (cfr. Sez. 6, n. 8050 del 12/1/2021, G., Rv. 281081).
4.2.2. Nel concetto di molestia possono rientrare anche condotte diffamatorie quando, oltre a ledere ingiustamente l'altrui reputazione, si connotino in concreto, per modalità di attuazione e ripetitività, come vere e proprie molestie realizzando un'indebita ingerenza o interferenza, immediata o mediata, nella vita privata e di relazione della vittima, attraverso la creazione, ai danni di quest'ultima, di un clima intimidatorio e ostile idoneo a comprometterne la serenità e la libertà psichica (Sez. 5, n. 15734 del 13/01/2023, M., Rv. 284587) o, comunque, si correlino all'aggravamento e consolidamento della lesione della riservatezza della persona offesa e della manipolazione della sua identità personale nel contesto familiare, lavorativo, sociale, politico (cfr. Sez. 5, n. 29826 del 05/03/2015, P., Rv. 264459).
Il collegio intende riaffermare il principio, già oggetto di precedenti arresti giurisprudenziali, secondo cui integra il delitto di atti persecutori l'opera di reiterata delegittimazione della persona offesa realizzata dal soggetto attivo attraverso una serie protratta di condotte diffamatorie che, travalicando i limiti del legittimo esercizio della libertà di espressione e informazione, configurano uno stillicidio persecutorio ai danni della persona offesa, costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita e sottoponendola ad uno stato di ansia e di turbamento determinato dalla costante paura di essere vittima di attività denigratoria (Sez. 5, n. 1813 del 17/11/2021, dep. 2022, Biundo, Rv. 282527; Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, T., Rv. 262635).
Nel caso in esame, dalla sentenza impugnata è emerso uno stillicidio persecutorio delle condotte poste in essere dall'imputato nel corso della sua (illecita) campagna mediatica contro la persona offesa (cfr. iri motivazione Sez. 5, n. 1813 del 17/11/2021, dep. 2022, Biundo) senza dubbio idoneo a integrare la condotta materiale degli atti persecutori.
Diversi i casi decisi, in senso solo apparentemente difforme da altre pronunce della quinta sezione.
In quelle ipotesi il delitto di atti persecutori è stato escluso (cfr. Sez. 5, n. 48007 del 19/10/2016, D. G., Rv. 268462), poiché le condotte diffamatorie non presentavano anche i caratteri delle molestie; anzi, nel caso affrontato da Sez. 5, n. 34512 del 03/11/2020, P., Rv. 279977, si è addirittura riconosciuto che le specifiche condotte oggetto di quel processo rientrassero nei limiti della legittima libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di critica.
4.2.3. Non è superfluo rimarcare che il delitto di atti persecutori può concorrere con quello di diffamazione anche quando nelle modalità della condotta diffamatoria si esprimono le molestie reiterate costitutive del reato previsto dall'art. 612-bis c.p. (Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, T., Rv. 262635; in senso analogo, Sez. 5, n. 29826 del 05/03/2015, P., Rv. 264459).
Ciò in quanto, il confronto tra fattispecie astratte - unico criterio idoneo a riconoscere o negare il concorso apparente di norme (Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, Rv. 270902; Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865; Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962; Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, Marino, Rv. 232302) - rende evidente come ricorra un concorso di reati; né d'altra parte opera la clausola di riserva dell'art. 612-bis c.p. (riferita al fatto costituente più grave reato), né, infine, si verte in una situazione di reato complesso ex art. 84 c.p., posto che il reato di diffamazione non è elemento costitutivo del delitto di atti persecutori.
4.3. Va aggiunto che l'elemento forte ‘tipizzante il delitto di cui all'art. 612-bis c.p., quello che lo connota distinguendolo da altri fatti meno gravi, è l'evento di danno.
Sul prodursi dell'evento del reato, la sentenza impugnata esibisce una sufficiente motivazione (pag. 6), che non forma oggetto di alcuna critica e dunque, in assenza di devoluzione, non consente ulteriore vaglio in questa sede.
5. Il quarto motivo è inedito e generico.
La censura non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall'art. 606 comma 3 c.p.p..
Inoltre, la doglianza si esaurisce in deduzioni astratte che invocano il diritto di critica, del tutto sganciate però dalle specifiche condotte in rilievo e da un reale confronto argomentativo con la motivazione della sentenza di condanna.
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che, tenuto conto dell'opera prestata, possono liquidarsi, in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
L'oggetto del processo e il riferimento a condizioni di salute della persona offesa impongono, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2023