RITENUTO IN FATTO
1. B.D., D.I.D.G., D.G.M.V., D.G.P., G.R. e T.F. sono stati tratti a giudizio, unitamente ad altri ventisette coimputati non ricorrenti, con l'accusa di aver costituito un'associazione a delinquere finalizzata alla commissione di frodi assicurative. Ai coimputati sono stati inoltre variamente addebitati 120 reati fine (34 episodi) commessi ai danni di tredici compagnie assicurative, indotte a corrispondere indennizzi per sinistri stradali in alcuni casi del tutto inesistenti oppure svoltisi con persone, veicoli, danni materiali e lesioni personali diversi da quelli rappresentati.
2. Con sentenza del 26 settembre 2013, il g.u.p. del Tribunale di Torino, per quanto qui di interesse, così statuiva:
- B.D. e D.G.P. erano ritenuti responsabili dei reati a loro scritti, con esclusione di quelli indicati ai capi 9), 9A), 9B), 10, 10A), 10B), 19) 21) e 21A) dell'imputazione, dai quali venivano assolti perchè il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, e del reato di cui al capo 15), estinto per intervenuta prescrizione;
- D.G.M.V. veniva dichiarato responsabile del solo reato (quello associativo) a lui ascritto;
- G.R. veniva condannato per tutti i reati a lui addebitati;
- T.F. veniva assolto dal reato associativo, per non aver commesso il fatto, e condannato per tutti gli altri reati ascrittigli;
- D.I.D.G. era dichiarato colpevole di tutti i reati contestatigli, con eccezione di quello di cui al capo 14), non procedibile per tardività della querela.
Seguivano le sanzioni accessorie e le statuizioni civili.
3. Con sentenza del 21 gennaio 2016, la Corte d'appello di Torino ha parzialmente riformato la decisione di primo grado.
In particolare, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di B.D. e D.G.P. per i reati indicati ai capi 2A), 2B), 3A), 3B), 5A), 5B), 6A), 6B), 7A), 7B), 7C) 7D), 13A), 13B), 16), 16A), 16B), 16C), 16D), 17), 17A), 18A), 23), 23A), 23B), 23C), 23D), 23E), 27A), 27B), 30A), 30B), 30C), 30D), 30E) e 30F) perchè estinti per intervenuta prescrizione;
ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di G.R. in ordine ai reati a lui ascritti ai capi 27A) e 27B) perchè estinti per intervenuta prescrizione;
ha assolto T.F. dai reati a lui ascritti ai capi di imputazione 2A), 2B), 2C), 2D), 3A), 3B), 3C), 3D), 4A), 4B), 4C), 4D), 13A), 13B), 13C), 13D), 16A), 16B), 16C), 16D), 18A), 18B) e 18C) per non aver commesso il fatto; ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per il reato di cui al capo 16) perchè estinto per intervenuta prescrizione;
ha assolto D.I.D.G. dai capi di imputazione 1A), 1B), 1C), 1D), 5A), 5B), 5C), 9A), 9B), 10A), 10B), 11A), 11B), 11C), 11D), 14A), 14B), 14C), 14D), 22A), 22B), 22C), 26A), 26B), 29A), 29B), 29C), 29D) e 29E), per non aver commesso il fatto;
ha qualificato il delitto di cui al capo A) ascritto a B.D. come violazione dell'art. 416 c.p., comma 2 e 5;
ha riconosciuto a D.G.P. le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti;
ha dichiarato le circostante attenuanti generiche, già riconosciute a B.D., prevalenti sulle contestate aggravanti;
ha conseguentemente rideterminato le pene inflitte agli imputati e le sanzioni accessorie, confermando nel resto la sentenza di primo grado, anche con riferimento alle statuizioni civili, e condannando gli stessi al pagamento delle spese del grado d'appello e alla rifusione delle spese legali sostenute nel grado dalle parti civili.
4. Contro tale statuizione hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione B.D., D.G.P. e D.G.M.V..
Inoltre, hanno proposto separatamente ricorso G.R., T.F. e D.I.D.G..
5. B.D., D.G.P. e D.G.M.V. deducono anzitutto la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza dell'associazione per delinquere: la corte d'appello non avrebbe tenuto in alcun conto una tesi difensiva esposta nell'atto di impugnazione e non avrebbe motivato sull'elemento soggettivo del reato; la motivazione sarebbe afflitta da un salto logico, nella parte in cui afferma la "trasformazione" della struttura dello studio professionale di D.G.P. in una associazione per delinquere, omettendo quell'indagine sull'elemento psicologico che ha invece portato all'assoluzione dal reato associativo di altri coindagati.
Si tratterebbe, invece, di reati commessi a seguito di accordi presi di volta in volta, con difetto della consapevolezza di contribuire a dar vita a una associazione per delinquere.
Inoltre, la posizione della B. sarebbe stata erroneamente valutata, essendo compartecipe dei singoli reati fine, ma non dell'associazione, in quanto addetta a mansioni puramente esecutive e soggiogata al marito ( D.G.P.).
Anche il figlio D.G.M., "colpevole" solo di aver lavorato a lungo nello studio del padre, pur resosi conto che le pratiche trattate erano relative a falsi sinistri, non avrebbe mai maturato la consapevolezza di partecipare al sodalizio criminoso.
6.1 Poi, con particolare riferimento alla posizione del solo D.G.P., viene censurato anche il giudizio di equivalenza, anzichè di prevalenza, delle circostanze attenuanti generiche, basato su una motivazione ("l'assenza di una piena confessione") in contraddizione con quella adottata a giustificazione del riconoscimento delle circostanze medesime ("ampie ammissioni delle proprie responsabilità").
6.2 Sempre con riferimento al solo D.G.P., in relazione all'evento contestato al capo 5) dell'imputazione, si deduce il travisamento del contenuto delle dichiarazioni rilasciate dallo stesso a riguardo, ritenute erroneamente dalla corte d'appello come aventi contenuto confessorio.
Nell'incipit del ricorso, la condanna per questo reato viene contestata anche con riferimento alla posizione della B., ma nel successivo svolgimento manca ogni riferimento a tale doglianza.
6.3 Ed ancora, i ricorrenti osservano che, avendo la corte d'appello "corretto", ai fini del computo della prescrizione, la data di commissione dei reati, deve ritenersi che l'imputazione sulla base della quale sono stati tratti in giudizio fosse errata e che, pertanto, sarebbe dovuto essere il pubblico ministero ad apportare le necessarie correzioni. Tale omissione avrebbe comportato un grave pregiudizio del diritto di difesa, incidendo sulla possibilità di individuare con esattezza i fatti contestati.
In ogni caso, proprio ai fini del calcolo della prescrizione, in presenza di incertezze in ordine alla data di consumazione dei reati, la corte territoriale avrebbe dovuto dare attuazione al principio del favor rei, invece rimasto disapplicato.
7. G.R. censura la sentenza impugnata limitatamente alla parte in cui è stata negata la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, già concesse dal giudice di primo grado, sulla contestata aggravante in considerazione della gravità del danno (circa Euro 10.000,00) subito dalla Fondiaria Sai Assicurazioni s.p.a.. Sostiene il ricorrente che tale danno, invece, non sarebbe grave, anche in considerazione delle capacità patrimoniali della parte civile.
8. T.F. censura la sentenza impugnata per due distinti aspetti.
Per un verso denuncia la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in quanto la corte d'appello avrebbe confermato la sua condanna per il delitto di cui all'art. 642 c.p. pur in assenza del dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice. In sostanza, il ricorrente sostiene che la natura generica o specifica del dolo andrebbe riferita esclusivamente alla prima delle condotte ascrivibili alle previsioni dell'art. 642 c.p., sebbene gli sia stata contestata una pluralità di violazioni della medesima norma; ciò posto, poichè tale condotta consisteva nella presentazione di documenti dalla cui falsificazione è stato assolto in grado d'appello, egli sostiene che tale assoluzione inciderebbe, nel senso di escluderlo, sull'elemento soggettivo del delitto di frode assicurativa.
Con il secondo motivo di ricorso il T. deduce l'intervenuta prescrizione dei reati, sostenendo l'erroneità del calcolo fatto dalla corte d'appello, elaborato avendo riguardo non dal momento consumativo del reato, bensì a condotte successive costituenti mero post factum penalmente non rilevante.
9. D.I.D.G. denuncia il vizio di motivazione della sentenza di appello nella parte in cui ha ritenuto la sua responsabilità penale per il delitto di associazione per delinquere, anzichè il concorso di persone nei singoli reati fine.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono tutti infondati e devono essere rigettati.
2.1 La prima censura esposta nel ricorso presentato nell'interesse della B. e del D.G. concerne la sussistenza dell'associazione per delinquere. Tale doglianza è comune anche al D.I., in quanto anch'egli, al pari dei primi ricorrenti, sostiene che trattasi di singoli episodi delittuosi commessi in occasionale concorso di persone.
Sotto questo profilo, i ricorsi possono essere trattati congiuntamente.
Tali censure risultano infondate, già solo se si considera che sono ben centoventi i reati fine commessi dagli associati, nell'ambito di trenta distinti episodi.
2.2 In presenza di una condotta criminosa così pervicace, l'onere motivazionale espresso in capo alla corte d'appello sarebbe stato davvero minimo, essendo in re ipsa che una simile impresa delittuosa richiedesse un'organizzazione stabile e, al contempo, che era materialmente impossibile per gli associati, prevedere in anticipo tutti i singoli delitti che sarebbero andati a compiere.
Ed invece la Corte d'appello si fa carico di ampia e approfondita motivazione (pag. 103-118) in ordine alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'associazione per delinquere.
Tale motivazione risulta immune da vizi logici e giuridici, dovendosi concordare sul fatto che la gestione di un numero così elevato di pratiche assicurative relative al sinistri simulati non può essere ricondotta ad una partecipazione "occasionale" ai singoli fatti delittuosi, non potendo non essere ben presente, nella rappresentazione di tutti compartecipi, il fatto che lo Studio DR sistematicamente operava come una struttura organizzata per porre in essere frodi assicurative. Va dunque condivisa l'affermazione fatta dalla corte d'appello circa "la stabilità del vincolo associativo, trascendente la commissione dei singoli reati fine, e l'indeterminatezza del programma criminoso", che trovano conferma "nel susseguirsi ininterrotto e frenetico, per un ampio lasso temporale, delle attività delittuose realizzate dai soggetti facenti capo allo Studio DR".
2.3 Con particolare riferimento alla posizione della B., stabile collaboratrice dello Studio DR (intestato al marito D.G.P.), la corte di merito puntualizza che costei aveva il compito di seguire talune fasi delle pratiche relative alle richieste di risarcimenti per falsi sinistri.
Il suo ruolo, privo di compiti organizzativi direttivi, è stato adeguatamente ponderato dalla corte d'appello e gli è valso la qualificazione del suo apporto nella veste di semplice partecipe dell'associazione, con relativa rideterminazione della pena.
Tuttavia, la ritenuta essenzialità dei compiti affidatigli nella realizzazione delle truffe in danno delle compagnie assicuratrici e per il conseguimento dei relativi profitti illeciti, hanno condotto i giudici di merito ad escludere la fondatezza della tesi difensiva secondo cui costei si sarebbe limitata a concorrere e in taluni dei reati fine (la B., infatti, si recava presso gli ispettorati delle compagnie assicurative per definire le pratiche relative ai sinistri simulati, spendendo talora anche il nome del sedicente avvocato Fortini, quale legale delle vittime dei falsi sinistri, e manteneva i contatti con gli uffici postali ove venivano versati gli assegni dei risarcimenti; il costante contributo della B. nell'organizzazione delinquenziale diretta dal marito ha trovato riscontro nelle dichiarazioni dei coimputati C. e M., nonchè in alcune conversazioni telefoniche intercettate).
2.4 Quanto a D.G.M., egli era incaricato di svolgere compiti analoghi a quelli del coimputato non ricorrente C.F., il quale gestiva continuativamente i rapporti con i carrozzieri compiacenti e predisponeva fotografie contraffatte e dei danni asseritamente subiti dai veicoli coinvolti nei falsi sinistri.
A riprova della stabile compartecipazione dello stesso al sodalizio criminoso, la corte d'appello evidenzia in modo analitico numerosi passaggi delle sue stesse dichiarazioni, rese nel corso delle indagini, nonchè il contenuto di alcune conversazioni telefoniche intercettate, dalle quali emerge la partecipazione alle attività illecite dello Studio DR in misura ancora maggiore di quella ammessa dall'imputato.
2.5 Il D.I., invece, era uno di quei carrozzieri che provvedevano ripetutamente a rilasciare fatture relative a riparazioni dei veicoli apparentemente coinvolti nei falsi incidenti, pur essendo certamente consapevoli della falsità delle stesse e di non aver effettuato i lavori ivi indicati.
Anche in questo caso, la continuità del rapporto con lo Studio DR deve condurre alla conclusione che certamente non si è trattato, come invece sostiene il ricorrente, del concorso nella commissione occasionale di reati, bensì di un apporto stabile e durevole al sodalizio.
2.6 Venendo, infine, alla questione più generale dell'esistenza dell'associazione per delinquere, censurato dai ricorrenti con particolare riferimento all'elemento soggettivo, si deve richiamare il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, in presenza di un accordo tra più soggetti di realizzare uno o più reati il discrimine tra la fattispecie plurisoggettiva di tipo associativo e quella meramente concorsuale risiede nella necessaria consapevolezza, in capo agli associati, dell'esistenza di una struttura permanente finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti (Sez. 6, n. 7957 del 05/12/2003 - Giacalone ed altri, Rv. 228482); laddove il semplice concorso di persone nel reato consta di un accordo funzionale alla realizzazione di uno o più reati, consumati i quali lo stesso si esaurisce o si dissolve (Sez. 6, n. 9320 del 12/05/1995 - Mauriello, Rv. 202036).
Va dunque ribadito, con riferimento alla censura in esame, che l'evidente organizzazione della struttura associativa (praticamente identificabile con lo Studio DR) e la continuità e l'intensa frequenza della commissione delle frodi assicurative non potevano lasciare alcun dubbio, in capo agli imputati, circa il loro fattivo apporto ad uno stabile sodalizio criminale.
Anche sotto questo profilo, pertanto, la sentenza impugnata si sottrae alle censure rappresentate dai ricorrenti.
2.7 In conclusione, il primo motivo del ricorso della B. e dei D.G. nonchè l'intero ricorso del D.I. sono infondati e devono essere rigettati.
3. D.G.P. si duole del giudizio di equivalenza, anzichè di prevalenza, delle circostanze attenuanti generiche. Egli sostiene che la motivazione impiegata dai giudici di merito ("l'assenza di una piena confessione") sarebbe in contraddizione con quella adottata per giustificare il riconoscimento delle circostanze medesime ("ampie ammissioni delle proprie responsabilità").
In realtà, la motivazione non presenta alcun elemento di contraddittorietà, dal momento che il concetto di "ampie ammissioni" non è logicamente incompatibile con quello di "assenza di piena confessione".
Ciò posto, legittimamente la Corte di appello ha ritenuto che, perchè le circostanze attenuanti generiche potessero essere ritenute prevalenti sulla contestata aggravante, sarebbe stata necessaria una confessione non soltanto "ampia" ma anche "piena", ossia totale e completa.
La decisione, pertanto, si sottrae a censure di legittimità.
4. D.G.P. deduce, inoltre, con riferimento all'evento contestato al capo 5) dell'imputazione, il travisamento del contenuto delle dichiarazioni da lui stesso rilasciate, ritenute erroneamente dalla corte d'appello come aventi contenuto confessorio.
Si tratta, in realtà, di una ricostruzione alternativa in punto di fatto, che non può trovare ingresso nel processo di cassazione.
Inoltre, il ricorrente non ha neppure dedotto la decisività del rilievo conferito alle sue stesse dichiarazioni, nè l'assenza di altre prove in proposito.
Anche tale motivo di ricorso è dunque infondato.
5. I D.G. - B., infine, sostengono che la correzione della data di commissione dei reati avrebbe dato luogo ad un'imputazione diversa, talchè sarebbe dovuto essere il pubblico ministero e non il giudice ad apportare le necessarie correzioni. In ogni caso, la difformità fra i fatti originariamente contestati e quelli ritenuti in sentenza sarebbe tale da pregiudicare gravemente il diritto di difesa, incidendo sulla possibilità di individuare con esattezza i fatti contestati.
Inoltre, ai fini del calcolo della prescrizione, nell'individuazione della data di consumazione dei reati, la corte territoriale avrebbe dovuto attenersi al principio del favor rei.
Anche questa doglianza è infondata e deve essere rigettata.
Infatti, deve escludersi la violazione del principio di correlazione tra accusa contestata e decisione adottata nel caso in cui nell'imputazione risulti una data del commesso reato diversa da quella effettiva, a condizione che dagli atti emerga il tempo di consumazione del reato e che l'imputato abbia avuto modo di difendersi e di conoscere tutti i termini della contestazione mossagli (Sez. 2, n. 17879 del 13/03/2014 - Pagano ed altri, Rv. 260009; Sez. 4, n. 18611 del 18/12/2003 - dep. 22/04/2004, Cappello, Rv. 228342).
Quanto all'invocato principio del favor rei, si deve osservare che lo stesso può trovare applicazione, ai fini dell'individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione del reato, solo qualora non emergano elementi che depongano in senso contrario. Avendo la Corte d'appello provveduto a una più esatta datazione dei singoli eventi addebitati agli imputati, non vi era spazio per una datazione più favorevole.
6. Le censure del G. concernono il diniego della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, già concesse dal giudice di primo grado, sulla contestata aggravante.
La questione è stata affrontata expressis verbis dalla corte d'appello, che ha valorizzato in senso sfavorevole all'imputato la gravità del danno (circa Euro 10.000,00) subito dalla Fondiaria Sai Assicurazioni s.p.a..
Si tratta di un apprezzamento di merito che - essendo immune da vizi logici e giuridici - non può essere censurato in questa sede.
7. Le prime doglianze del T. concernono l'assenza del dolo specifico richiesto dall'art. 642 c.p.. A riprova della carenza dell'elemento soggettivo, egli sottolinea di essere stato assolto dalla falsificazione dei documenti della cui presentazione ai fini dell'ottenimento degli indennizzi assicurativi egli è imputato: non conoscendo della falsità dei documenti, non potrebbe essere ritenuto responsabile neppure del delitto di frode assicurativa.
Le ulteriori censure concernono il termine di decorrenza del termine di prescrizione. Il T. sostiene che la corte d'appello avrebbe errato, avendo individuato quale dies a quo non il momento di consumazione del reato, bensì talune condotte successive costituenti mero post factum penalmente non rilevante.
I motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto entrambi concernono - a ben vedere - la struttura del reato.
In proposito va detto, anzitutto, che l'art. 642 c.p., strutturato come una norma penale mista del tutto peculiare, prevede nei suoi commi primo e secondo cinque diverse fattispecie di reato - in particolare, il danneggiamento dei beni assicurati e la falsificazione o alterazione della polizza, nel comma 1; la mutilazione fraudolenta della propria persona, la denuncia di un sinistro non avvenuto e la falsificazione o alterazione della documentazione relativi al sinistro, nel comma 2 - che, ove ricorrano gli estremi fattuali, possono concorrere fra loro (Sez. 2, n. 1856 del 17/12/2013 - dep. 17/01/2014, Unipol Assicurazioni S.p.a., Rv. 258012).
Consegue che, qualora la condotta materiale dell'agente integra gli estremi di due o più delle diverse fattispecie di reato previste dall'art. 642 c.p., deve applicarsi la disciplina del reato continuato, anzichè - come sostiene il ricorrente - arrestare la rilevanza penale solo al primo episodio, qualificando il resto come post factum non punibile.
Ciò comporta, per un verso, che la prescrizione inizia a decorrere dall'ultima condotta. Sotto altro verso, che l'elemento soggettivo va verificato - e dunque eventualmente escluso - in relazione a tutte le condotte penalmente rilevanti e non solo alla prima di esse.
Tanto chiarito, si aggiunga che il dolo specifico (l'intento di frodare le compagnie assicurative) non è incompatibile la connotazione dell'elemento soggettivo in termini di dolo eventuale (ossia di accettazione del rischio della probabile falsità dei documenti presentati per la liquidazione degli indennizzi assicurativi). In tal senso, si veda l'elaborazione giurisprudenziale in tema di bancarotta preferenziale, ove la specificità del dolo non è ritenuta incompatibile con l'accettazione dell'eventualità del danno secondo lo schema del dolo eventuale (Sez. 5, n. 16983 del 05/03/2014 - Liori e altri, Rv. 262904; Sez. 5, n. 592 del 04/10/2013 - dep. 09/01/2014, De Florio, Rv. 258713).
Anche questo ricorso è, dunque, infondato.
8. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè alla refusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili, la cui liquidazione va differenziata non solo per restare nei limiti dalla domanda, ma anche perchè occorre considerare la riduzione dovuta nel caso di assistenza difensiva comune per più parti.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese del grado in favore delle parti civili costituite Italiana Assicurazioni s.p.a., Società Reale Mutua di Assicurazioni s.p.a., AXA Assicurazioni s.p.a. e Allianz s.p.a., liquidate per le prime due in Euro 1.500,00 ciascuna e per le altre in Euro 3.000,00 ciascuna, oltre maggiorazione del 15% per spese generali, c.p.a. e i.v.a..
Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2016.
Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2016