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Violenza privata: l'aggravante dell'aver commesso il fatto avvalendosi della forza intimidatrice da associazioni segrete non coincide con quella prevista dall'art. 416-bis.1 c.p.

Violenza privata

Cassazione penale sez. II, 17/11/2023, n.51659

In tema di violenza privata, l'aggravante dell'aver commesso il fatto avvalendosi della forza intimidatrice derivante da associazioni segrete, di cui all'art. 339, comma 1, c.p., in presenza della quale il delitto diviene procedibile d'ufficio, non coincide con quella prevista dall'art. 416-bis.1 c.p., in quanto le associazioni segrete cui fa riferimento il citato art. 339, comma 1, c.p. sono quelle aventi le finalità descritte dall'art. 1 l. 25 gennaio 1982, n. 17, ossia quelle che "anche all'interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto o in parte e anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta a interferire sull'esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale".

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO B.C., C.A., E.C., P.A., S.L. e M.N. per il tramite dei rispettivi difensori e con separati ricorsi, impugnano la sentenza in data 24/02/2023 della Corte di appello di Salerno, che ha confermato la sentenza in data 15/10/2021 del Tribunale di Nocera Inferiore, nella parte in cui ha condannato gli odierni ricorrenti per i reati loro rispettivamente ascritti, riformandola in punto di determinazione della pena. In particolare, B., C., E. e P. sono stati condannati per il reato di cui all'art. 416-ter c.p. contestato al capo A); E. e P. anche per il reato di cui agli artt. 56 e 610 c.p., aggravato dalle modalità mafiose, contestato al capo C); M. e S. per il reato di cui al D.P.R. n. 570 del 1960, art. 86 aggravato dalle modalità mafiose contestato al capo B); S. anche del reato di cui agli artt. 56 e 629 c.p., aggravato dalle modalità mafiose, contestato al capo D). Deducono: 1. B.C.. 1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 416-ter c.p.. Il ricorrente denuncia l'insussistenza dei requisiti richiesti per ritenere configurato il reato di cui all'art. 416-ter c.p. in ragione della candidatura di E.C., che rendeva insussistente alcun patto, accordo o intesa tra B. e P. nel senso descritto al capo A) dell'imputazione, per come si assume emergere dalle conversazioni intercettate e, in particolare, da quella registrata il 27/06/2017 e intercorsa con O.R.. Aggiunge che la motivazione è altresì illogica e contraddittoria, in quanto non considera che P. era stato assolto dal reato di associazione di tipo mafioso per l'insussistenza del sodalizio, così risultando impossibile l'intesa con soggetti mafiosi, non essendo possibile valorizzare in tal senso la storia processuale di P., senza alcun addentellato all'attualità, rispetto a un soggetto oramai ravveduto e privo di autorità mafiosa all'epoca dei fatti. A ulteriore supporto del ricorso vengono illustrate e compendiate le emergenze processuali. 2. C.A.. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla nozione di utilità. Il ricorrente premette che lo scambio politico elettorale è stato individuato nel capo d'accusa nella promessa di voti fatta da P. a B. per l'adozione di una delibera d'indirizzo per il cambio di destinazione urbanistica di un fondo ubicato nelle vicinanze delle proprietà della Diocesi di (Omissis), sul quale doveva essere realizzato un edificio da destinare a mensa della Caritas. Rimarca, quindi, come la delibera d'indirizzo fosse oggettivamente inutile ai fini del procedimento di variante al piano urbanistico comunale, per come spiegato anche da una consulenza sottoscritta da docente universitario, pure allegata al ricorso. Segnala che con l'atto di gravame aveva dedotto che al fine della configurabilità del reato era necessaria un'utilità effettiva, non essendo invece sufficiente un'utilità soggettivamente ritenuta dai soggetti coinvolti. Lamenta che la Corte di appello non ha dato risposta al motivo di gravame, limitandosi a enunciare che l'atto era utile in quanto prodromico all'ulteriore svolgimento del procedimento, così non considerando che la delibera d'indirizzo non produce alcun effetto sull'amministrazione, che non è obbligata a dare corso al procedimento di variante. Aggiunge che la motivazione è insufficiente anche perché la Corte di appello aveva reso delle argomentazioni diverse da quelle del giudice di primo grado, così richiedendosi una motivazione rafforzata. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla nozione di "metodo mafioso". A tal proposito il ricorrente osserva che già il giudice di primo grado ha assolto gli imputati dal reato di associazione mafiosa, così dimostrandosi che P. ha promesso il proprio intervento per reperire voti a titolo personale e non nella qualità di intraneo a una consorteria mafiosa, per come ricostruito anche dal giudice di primo grado. Sulla base di ciò si assume che è rimasto indimostrato che l'accordo elettorale prevedesse anche il ricorso al metodo mafioso quale strumento di procacciamento dei voti, non essendo sufficiente ai fini della configurabilità dell'aggravante il riferimento al solo profilo della percezione soggettiva di B., costituito dall'affidamento nutrito da questi sulla capacità di P. di intercettare voti mediante il metodo mafioso. Aggiunge che non può considerarsi appagante il richiamo alla sentenza pronunciata sullo stesso punto dalla Corte di cassazione in sede cautelare (n. 22840 del 18/04/2018), attesa la diversa piattaforma probatoria e valutativa della sede cautelare rispetto alla cognizione piena. Osserva altresì come la Corte di cassazione non potesse considerare gli elementi istruttori sopravvenuti, quale la consulenza raccolta in relazione al concetto di utilità, per come già richiamata. 2.3. Vizio di motivazione in relazione alla partecipazione di C. all'accordo politico elettorale mafioso; violazione di legge in riferimento alle dichiarazioni rese da B. in sede di interrogatorio di garanzia, mentre in sede di dibattimento si è avvalso della facoltà di non rispondere. In questo caso il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui fa prevalere una prova logica rispetto a una prova storica e oggettiva, costituita dall'accertata assenza di C. nel luogo e nel giorno (ossia l'11 marzo) in cui si sarebbe perfezionato il patto incriminato; deduce altresì che la Corte di appello ha fatto spostare la presenza di C. sulla base delle dichiarazioni rese da B. in sede di interrogatorio di garanzia, ma inutilizzabili in quanto questo si è sottratto al contraddittorio in sede dibattimentale, dove si avvaleva della facoltà di non rispondere. Da qui si deduce la totale assenza di prova circa la partecipazione di C. all'accordo incriminato. 2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al dolo del reato di cui all'art. 416-ter c.p.. In relazione al dolo il ricorrente lamenta che con il gravame aveva dedotto che la fama criminale di P. era oramai inattuale all'epoca dei fatti e che la Corte di appello ha superato la censura facendo riferimento alla storia processuale dello stesso P. e sulla base delle possibili conoscenze di C., ossia sulla base di elementi inidonei a provare il dolo. 2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'attenuante di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 1. A tale riguardo si sottolinea come l'opera che si assume oggetto dell'accordo elettorale sarebbe stato realizzato in un quartiere degradato di Nocera Inferiore e avrebbe offerto aiuto a molte famiglie non abbienti residenti nel quartiere, così che la negazione dell'attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale è avvenuta sulla base di una motivazione che non considera la natura soggettiva della stessa. 2.6. Va segnalato che sono sopravvenute note in replica alla requisitoria scritta del pubblico ministero. 3. E.C.. 3.1. Violazione di legge in relazione all'art. 416-ter c.p. e vizio di omessa valutazione dei rilievi difensivi formulati con l'atto di appello. Il ricorrente ripercorre l'iter argomentativo della sentenza di appello e si duole della mancata risposta alle deduzioni difensive in relazione alla sussistenza del metodo mafioso in riferimento a un soggetto estraneo a una consorteria mafiosa - per come nel caso di P. - oltre che sulla necessità di una valutazione adeguata circa la sussistenza dell'accordo illecito e sulla specifica programmazione del ricorso all'intimidazione o alla prevaricazione mafiosa, secondo le modalità di cui all'art. 416-bis c.p., comma 3. 3.2. Violazione dell'art. 270 c.p.p. per avere individuato la responsabilità di E. per il reato di tentativo di violenza privata sulla base di intercettazioni inutilizzabili. Il ricorrente premette che la responsabilità di E. è stata ritenuta sulla base di una sola intercettazione, tuttavia inutilizzabile, in quanto pacificamente acquisita in diverso procedimento e utilizzata in relazione al reato di cui agli artt. 56,610 c.p., mancando ogni connessione qualificata con il reato per il quale erano state autorizzate e disposte le attività di intercettazione. 3.3. Violazione dell'art. 610 c.p. per improcedibilità dell'azione penale. Secondo il ricorrente la Corte di appello ha erroneamente ritenuto che il reato fosse procedibile d'ufficio in ragione del richiamo all'art. 339 c.p.p. che però - si assume - non è riferibile all'ipotesi dell'aggravante mafiosa, atteso il suo riferimento ai gruppi sovversivi e alle associazioni segrete, ma non anche alle consorterie mafiose, peraltro mancanti nella vicenda in esame. 4. P.A.. 4.1. Vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei presupposti di cui all'art. 416-ter c.p. e sulla sua attribuibilità a P.. Dopo avere illustrato i requisiti richiesti per la configurabilità del reato di cui all'art. 416-ter c.p. e dopo aver ripercorso la vicenda processuale e le motivazioni esposte dai giudici per ritenere la sussistenza del reato e la responsabilità di P. per esso, il ricorrente illustra e compendia una serie di elementi e di emergenze processuali che - si sostiene - smentiscono le conclusioni raggiunte dai giudici di merito; lamenta l'omessa motivazione sulle plurime censure mosse in relazione - tra l'altro - alla sussistenza dell'accordo e delle modalità mafiose e sull'interesse al cambio di destinazione d'uso, che sarebbe da ricondurre alla Diocesi di (Omissis) che, per il tramite di Padre S., era interessata alla realizzazione della mensa della mensa della CARITAS. Aggiunge che in tal senso riferiva anche il proprietario del terreno, tale P.L.. 4.2. Vizio di motivazione in relazione al tentativo di violenza privata e all'esistenza dell'aggravante della modalità mafiosa contestato al capo C). Il ricorrente premette che il tentativo di violenza privata è stato ricostruito nel senso che E., su mandato di P., rintracciava tale G., autore del furto di una stufa, per costringerlo a chiedere scusa per tale azione. Osserva, dunque, che E. ha riferito dell'estraneità di P. a tale fatto, ma la Corte di appello ha superato senza motivazione tali dichiarazioni liberatorie, pur essendo emerso che S. non conosceva il menzionato G.. 5. S.L.. 5.1. Vizio di motivazione in relazione all'aggravante del metodo mafioso, con riguardo al reato di tentativo di estorsione in danno di S.M.. Il ricorrente assume l'assenza di violenza e di minaccia oltre che l'assenza delle modalità mafiose. Osserva come la minaccia non ha comunque sortito gli effetti sperati, visto che Stanzione ha proseguito nella sua campagna elettorale e comunque ha riferito nelle circostanze di tempo e di luogo indicate nel capo d'imputazione non subiva alcuna minaccia o tentativo di estorsione. Aggiunge che la Corte non ha motivato circa l'evocazione della fama criminale di P.. 5.2. Violazione di legge in relazione all'art. 610 c.p.. Il ricorrente sostiene che l'assenza del danno avrebbe dovuto ricondurre il fatto all'ipotesi della violenza privata. 5.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al D.P.R. n. 570 del 1960, art. 86. Si deduce infine l'omessa motivazione in relazione alla configuabilità del reato in questione, non essendo stato provato in quali circostanze di tempo e luogo e con quale candidato sia intervenuto lo scambio promessa-beneficio. 6. M.N.. 6.1. Violazione di legge e inosservanza di norma processuale in relazione all'art. 415-bis c.p.p. per il mancato deposito della consulenza estrattiva dei contenuti dei telefoni cellulari sequestrati agli imputati. Per come si evince dall'intitolazione, il ricorrente denuncia la nullità dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e di tutti gli atti successivi, per il mancato deposito della perizia estrattiva dei contenuti dei cellulari degli imputati, depositata in data successiva alla notifica dell'avviso ex art. 415-bis c.p.p.. 6.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al contenuto dei motivi di appello afferenti alla prospettazione di un'ipotesi alternativa rispetto a quella preferita in sentenza, con conseguente violazione dell'art. 110 c.p. e del D.P.R. n. 570 del 1960, art. 86. Si assume l'assenza di elementi sufficienti a far ritenere integrato il reato contestato a M. e si lamenta l'omessa considerazione dei motivi esposti con il gravame. 6.3. Il ricorso è stato ulteriormente supportato e illustrato con motivi nuovi. CONSIDERATO IN FATTO 1. I ricorsi di B., C., E. e P., in relazione al capo A) sono fondati e possono essere esaminati congiuntamente, in ragione dell'identità delle questioni da esaminare. 1.1. Al capo A) viene contestato il reato di cui all'art. 416-ter c.p. che, secondo l'ipotesi d'accusa convalidata dalla doppia sentenza conforme, si sarebbe realizzato perché B.C., candidato al Consiglio comunale di Nocera Inferiore, accettava da P.A. la promessa di procurare voti - avvalendosi delle modalità mafiose - in cambio della erogazione di una utilità, rappresentata dal cambio di destinazione urbanistica di un fondo ubicato nelle vicinanze delle proprietà della Diocesi di (Omissis), sul quale doveva essere realizzato un edificio da destinare a mensa della CARITAS. Va precisato che, rispetto all'imputazione originaria, i giudici del merito hanno assolto i menzionati B., C., E. e P. dal reato di associazione di tipo mafioso, per insussistenza del fatto. 1.2. Ciò premesso, possono prendersi le mosse esaminando i temi sottesi al requisito dell'utilità, al cui riguardo vale la pena ricordare che la sua erogazione o la sua promessa di erogazione debba essere pattuita in favore del soggetto che - a sua volta - abbia promesso di procurare voti avvalendosi delle modalità mafiose. Non è rilevante, invece, ai fini che qui interessano, l'ulteriore possibilità prevista dalla norma, che collega il patto politico mafioso alla disponibilità di soddisfare gli interessi o le esigenze dell'associazione mafiosa, visto che i giudici hanno espressamente escluso la sussistenza di un sodalizio ex art. 416-bis.1 c.p.. Quanto alla nozione di utilità, questa Corte ha già avuto modo di spiegare che "ai fini della configurabilità del reato di scambio elettorale politico-mafioso, previsto dall'art. 416-ter c.p., l'oggetto materiale della erogazione offerta in cambio della promessa di voti può essere rappresentato non solo dal denaro, ma da qualsiasi bene traducibile in un valore di scambio immediatamente quantificabile in termini economici (ad es., mezzi di pagamento diversi dalla moneta, preziosi, titoli, valori mobiliari, ecc.), restando invece escluse dal contenuto precettivo della norma incriminatrice altre "utilità" che solo in via mediata possono essere oggetto di monetizzazione", (Sez. 2, Sentenza n. 46922 del 30/11/2011, Marrazzo, Rv. 251374 - 01; Sez. 6, Sentenza n. 20924 del 11/04/2012, Gambino, Rv. 252788 01; più di recente, non massimate sul punto, Sez. 1, Sentenza n. 46006 del 01/06/2023, Scozzari, Sez. 1, Sentenza n. 17455 del 30/01/2018, Alesci). 1.3. Ebbene, tale rapporto di immediatezza non si rintraccia nella motivazione impugnata e - per il vero - neanche nel fatto così come descritto nell'imputazione. Invero, nella motivazione della doppia sentenza conforme è più volte confermato e ribadito che la modifica della destinazione urbanistica del terreno avrebbe riverberato effetti (utilità) soltanto in favore della Diocesi di (Omissis) che - grazie a quella modifica - avrebbe potuto conseguire un finanziamento della CEI, per la realizzazione di una mensa della Caritas proprio su quel terreno. Vale la pena rimarcare che il terreno in questione - all'epoca dei fatti - era di proprietà di tale P.L., del tutto estraneo alla vicenda; che l'unico interessato all'acquisto del fondo in questione è stato indicato (in entrambe le sentenze di merito) in don S.A., titolare della Parrocchia di (Omissis), che aveva il progetto di ampliare le proprietà della parrocchia, al fine della realizzazione della mensa per i poveri. Sulla base di ciò, i ricorrenti hanno fondatamente eccepito come i giudici abbiano del tutto omesso di spiegare quale dovesse essere l'utilità che avrebbe conseguito P. dalla promessa di procurare voti. A tale proposito va osservato come tale utilità non possa essere individuata nell'obiettivo - peraltro latamente benefico - di consentire la realizzazione di una mensa per i poveri presso la parrocchia di (Omissis), in mancanza di esplicitazioni che pongano in luce l'esistenza di elementi concreti, utili e idonei a dimostrare che tale iniziativa avesse la funzione di riverberare un'utilità economica in favore dello stesso P., con i caratteri di immediatezza già sopra richiamati. La sentenza va dunque annullata, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, che terrà conto dei rilievi fin qui esposti al fine di delibare la sussistenza dell'utilità richiesta dall'art. 416-ter c.p.. 1.4. La sentenza impugnata, invece, risulta conforme ai principi di diritto fissati da questa Corte in riferimento alla componente del reato costituita dal metodo mafioso nella raccolta del consenso elettorale. La giurisprudenza di legittimità ha in proposito recentemente chiarito che "in tema di scambio elettorale politico-mafioso, l'esistenza dell'intesa per il procacciamento di voti con modalità mafiose può desumersi, in via indiziaria, da indicatori sintomatici quali la fama criminale del procacciatore, la forza intimidatrice promanante dagli affiliati ad associazione di tipo mafioso reclutati per la raccolta dei consensi e la valutazione di utilità del loro apporto nella zona d'influenza dell'organizzazione criminale, risultando, per converso, irrilevante il post factum costituito dal mancato incremento delle preferenze" (Sez. 5, n. 26426 del 07/05/2019, Merola, Rv. 275638, in precedenza Sez. 6, n. 9442 del 20/02/2019, PMT c/Zullo, Rv. 275157). La motivazione dei giudici di merito risulta conforme a tali canoni ermeneutici, in quanto il requisito del procacciamento di voti secondo modalità mafiose è stato legittimamente desunto non solo e non tanto dai gravissimi precedenti penali per cui aveva riportato condanna P. (plurimi omicidi e 416-bis c.p., tra l'altro), ma anche da ulteriori fatti ricostruiti nel corso dell'istruttoria e diffusamente descritti nella sentenza di primo grado (intervento da paciere nella contesa relativa all'occupazione di abitazioni (Omissis); la "spedizione" ad (Omissis) per scoraggiare pretese estorsive; l'episodio della lite tra " E. il (Omissis)" e Pi.Al.; la vicenda relativa alla stufa sottratta a P.; lo stato di detenzione domiciliare in cui versava P. all'epoca dei fatti), che hanno fatto ritenere ai giudici di merito che P., all'epoca dei fatti, godesse ancora di una fama criminale in grado di incutere un timore tale da consentirgli di reperire voti avvalendosi delle modalità mafiose. Da ciò discende l'infondatezza delle censure esposte dalle difese sul punto. 1.5. La sentenza risulta parimenti immune da censure nella parte in cui spiega le ragioni per cui E., C., P. e B. dovevano considerarsi coinvolti nell'accordo. A tale proposito tutti i motivi di ricorso si risolvono in inammissibili valutazioni di merito, non scrutinabili in sede di legittimità. 2. Si esamina, ora, il ricorso di E.C. in relazione al capo C) della rubrica. Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto la procedibilità d'ufficio del delitto di tentativo di violenza privata, aggravata ai sensi dell'art. 416-bis.1 c.p.. Si legge a tale riguardo, alla pagina 29 della sentenza impugnata: "Così ricostruita la vicenda, va pure ritenuta, anche a seguito del D.Lgs. n. 150 del 2022, la perdurante perseguibilità d'ufficio del reato, commesso "valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte", come testualmente previsto dall'art. 339 c.p., richiamato dal riformulato art. 610 c.p.: essendo evidente che agli occhi della vittima la minaccia di una "squadretta" punitiva doveva evocargli - oltre alla concreta figura del P. - anche la ancor maggior forza intimidatrice promanante dal gruppo che lo "zio A." era in grado di manovrare". In sostanza, la Corte di appello, all'indomani dell'entrata in vigore della c.d. riforma Cartabia (D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150) si pone il problema della perdurante procedibilità d'ufficio (ovvero a querela) del reato di cui all'art. 610 c.p.. Invero, il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della Legge Delega 27 settembre 2021, n. 134, per l'efficacia e l'efficienza della giustizia penale, gli artt. 2 e 3 ha disposto l'estensione del novero dei reati procedibili a querela della persona offesa. Tale innovazione ha investito anche il reato di violenza privata previsto dall'art. 610 c.p. che, prima della riforma, era procedibile d'ufficio. La riforma, invece, ha disposto la procedibilità del reato a querela della persona offesa, salvo che il fatto sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità, ovvero che ricorra l'aggravante speciale di cui al suo comma 2, che si configura quando concorrono le condizioni prevedute dall'art. 339 c.p., ossia (per quello che qui interessa) "valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte" (cfr. art. 339 c.p., comma 1, ultimo inciso). Dal brano di motivazione surriportato si evince che la Corte di appello ritiene che la condizione prevista dall'art. 339 c.p., comma 1, ultimo inciso, (ossia il fatto di valersi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte) si configuri quando ci si avvalga delle modalità mafiose. A tale proposito, il ricorrente ha fondatamente dedotto che una tale interpretazione configura una violazione di legge. La Corte di appello opera una sostanziale sovrapposizione tra la condizione prevista dall'art. 339 c.p. e l'art. 416-bis.1 c.p., così riconducendo le associazioni di tipo mafioso nel paradigma delle associazioni segrete. Tale operazione, però, non considera che le associazioni segrete cui fa riferimento l'art. 339 c.p. sono quelle descritte dalla L. 25 gennaio 1982, n. 17, art. 1, ossia quelle che "anche all'interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto od in parte ed anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire sull'esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale". E il fatto che il legislatore del 2022 volesse fare riferimento proprio a tale tipologia di associazione emerge anche dall'ovvia considerazione che - pur potendo astrattamente richiamare le condizioni di cui all'art. 416-bis.1 c.p. - ha scelto di richiamare specificamente le condizioni di cui all'art. 339 c.p. e - con esso -alle associazioni segrete che svolgono attività diretta a interferire sull'esercizio delle pubbliche amministrazioni, latamente intese. Tanto si evince anche dai contenuti del correttivo alla riforma introdotto dalla L. 24 maggio 2023, n. 60 che, con il suo art. 1, comma 2, ha aggiunto un comma 5 all'art. 416-bis.1 c.p., che dispone che si procede sempre d'ufficio per i delitti aggravati ai sensi dell'art. 416-bis.1 c.p.. Lo specifico - successivo - riferimento all'aggravante di cui all'art. 416-bis.1 c.p. dimostra come il legislatore distingua tra le condizioni previste dall'art. 339 c.p. e le modalità mafiose di cui all'art. 416-bis.1 c.p.. Va ulteriormente precisato che tale ultima disposizione non era ancora in vigore nel momento in cui la Corte di appello ha deciso sulla procedibilità. La sentenza della Corte di appello, invero, è stata pronunciata il 24/02/2023 mentre l'art. 416-bis.1 c.p., comma 5, è in vigore dal 16/06/2023. Tanto importa che la Corte di appello, al momento della sua decisione, avrebbe dovuto applicare la norma sulla procedibilità più favorevole all'imputato, dovendosi ribadire che "in tema di reati divenuti perseguibili a querela a seguito della modifica introdotta dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la previsione della procedibilità a querela comporta che, stante la natura mista, sostanziale e processuale, della querela, nonché la sua concreta incidenza sulla punibilità dell'autore del fatto, il giudice, in forza dell'art. 2 c.p., comma 4, deve accertare l'esistenza della stessa anche per i reati commessi anteriormente all'intervenuta modifica", (Sez. 5 -, Sentenza n. 22641 del 21/04/2023, P., Rv. 284749 - 01). Da ciò discende che il delitto di cui all'art. 610 c.p., così come contestato al capo C) - considerato al tempo della pronuncia della sentenza impugnata - era un reato procedibile a querela della persona offesa, per come correttamente eccepito da E.. Perciò, deve essere dichiarata l'improcedibilità del reato per difetto di querela L'improcedibilità qui rilevata va dichiarata anche nei confronti di P., imputato del medesimo fatto-reato mancante della querela. 2.1. Ne discende che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di E.C. e P.A., limitatamente al reato di cui al capo C), perché il reato è improcedibile per difetto di querela. 3. I ricorsi di M. e di S. sono inammissibili. 3.1. Con riguardo all'impugnazione di M., con il primo motivo d'impugnazione il ricorrente denuncia la nullità dell'avviso di chiusura delle indagini preliminari, in quanto dopo la sua notificazione il pubblico ministero depositava la relazione del proprio consulente, cui - nel corso delle indagini preliminari e prima della loro scadenza - era stato conferito l'incarico di estrarre i dati acquisiti con la copia forense dei telefoni cellulari dell'indagato. Aggiunge che il pubblico ministero non ha ritenuto di rinnovare la notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini neanche successivamente al deposito di tale relazione. Sulla base di ciò, denuncia la nullità dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e di tutti gli atti a esso successivi, con conseguente regressione del processo alla fase delle indagini preliminari ovvero l'inutilizzabilità dei risultati dell'attività estrattiva. 3.1.1. Così sintetizzata la questione, va preliminarmente rimarcato che deve intendersi quale atto d'indagine soltanto la c.d. copia forense del telefono cellulare, tempestivamente messa a disposizione della difesa che - a sua volta - poteva estrarne copia. La consulenza conferita per estrarre i dati della copia forense, invece, costituisce una mera attività conoscitiva dei contenuti di un atto di indagine già nella piena disponibilità della difesa, il cui espletamento non costituisce un nuovo atto d'indagine e lascia inalterato il quadro accusatorio a carico dell'indagato. Non ogni attività svolta dal pubblico ministero, invero, costituisce nuova indagine, dovendo ritenersi tale soltanto la ricerca e il reperimento di elementi che si pongano come "nuovi" rispetto al quadro investigativo cristallizzato al momento della notifica dell'avviso di chiusura indagini. Proprio in ragione di tale differenza sostanziale, è stato possibile affermare che "in tema di prove, l'espletamento dell'attività di esame e di studio svolto dall'ausiliario oltre il termine di durata delle indagini preliminari sul materiale informatico tempestivamente posto in sequestro ed acquisito, pur impedendo l'acquisizione in via diretta al fascicolo del dibattimento dei risultati in tal modo ottenuti, non osta alla loro utilizzazione a seguito dell'esame dello stesso ausiliario effettuato nel contraddittorio delle parti", (Sez. 3, Sentenza n. 40774 del 06/06/2019, Rigano, Rv. 277164 - 02); e che "in tema di accertamenti tecnici irripetibili, l'attività di esame e di studio espletata oltre il termine di durata delle indagini preliminari dal consulente tecnico del P.M. sulla documentazione e sull'attività tempestivamente compiuta (nella specie, esame autoptico), pur impedendo l'acquisizione della relazione di consulenza al fascicolo del dibattimento, non osta alla formazione della prova a seguito dell'esame dell'ausiliario nel contraddittorio delle parti", (Sez. 4, Sentenza n. 18473 del 06/03/2014, Marataro, Rv. 261961 - 01). Tali principi sono stati rispettati nel caso in esame, dovendosi rilevare non solo che la consulenza è stata acquisita all'esito dell'esame - nel contraddittorio delle parti - del consulente del pubblico ministero, all'udienza celebrata il 5 marzo 2019, ma bisogna altresì rimarcare che la sua acquisizione è stata concordata dalle parti, ai sensi dell'art. 493 c.p.p., comma 3, per come evidenziato dal tribunale alla pagina 16 della sentenza di primo grado. Da tutto ciò discende la manifesta infondatezza dell'eccezione difensiva, visto che l'aderenza ai suesposti principi di diritto e l'acquisizione ai sensi dell'art. 493 c.p.p., comma 3, rendono pienamente utilizzabile la relazione del consulente del pubblico ministero di che trattasi. 3.1.2. Le ulteriori argomentazioni sviluppate nel ricorso di M. si risolvono in una rivalutazione delle emergenze istruttorie alternativa e antagonista a quella dei giudici della doppia sentenza conforme. Esse, invero, non sono volte a evidenziare violazioni di legge o mancanze argomentative e manifeste illogicità della sentenza impugnata, ma mirano a sollecitare un improponibile sindacato sulle scelte valutative della Corte di appello (compiutamente esposte alle pagine da 20 a 25 della sentenza impugnata) e reiterano in gran parte le censure già sollevate dinanzi a quel Giudice, che le ha ritenute infondate sulla base di una lineare e adeguata motivazione, strettamente ancorata a una completa e approfondita disamina delle risultanze processuali, nel rispetto dei principi di diritto vigenti in materia. 3.1.2.1. A fronte di tale evenienza, va ricordato che "in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento", (Sez. 2 -, Sentenza n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747 - 01). 3.1.2.2. In tal senso, anche la censura di non aver preso in esame tutti i singoli elementi risultanti in atti, costituisce una censura del merito della decisione, in quanto tende, implicitamente, a far valere una differente interpretazione delle emergenze processuali, sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri. Si deve considerare, infatti, che il giudice di merito non ha l'obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo elemento eventualmente acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente. A tal proposito questa Corte ha già avuto modo di affermare che "non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza", (Sez. 4 -, Sentenza n. 5396 del 15/11/2022 Ud., dep. il 2023, Lakrafy, Rv. 284096 - 01; Sez. 5 -, Sentenza n. 6746 del 13/12/2018 Ud., dep. 12/02/2019, Currà, Rv. 275500 01). 3.1.3. Quanto esposto conduce all'inammissibilità del ricorso di M.. 3.2. A eguale conclusione d'inammissibilità si perviene in relazione al ricorso di S.. Al suo riguardo, la Corte di appello: ha confermato la responsabilità in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 570 del 1960, art. 86 contestato al capo B) valorizzando la sua attività di controllo della effettiva espressione di voto, anche mediante l'acquisizione delle foto dei voti espressi dagli elettori; ha confermato la responsabilità per il reato di tentativo di estorsione contestato al capo D) valorizzando i contenuti delle intercettazioni e delle immagini videoregistrate, che smentiscono anche le negazioni della persona offesa; ha ritenuto l'aggravante di cui all'art. 416-bis.1 c.p. risaltando le modalità e i contenuti della minaccia, evocatrici di un sodalizio criminale. La presenza della minaccia correlata al conseguimento dell'ingiusto profitto patrimoniale, infine, colloca la condotta nel paradigma dell'estorsione (seppur tentata). 3.2.1. A fronte di una motivazione completa e puntuale, le doglianze articolate nel ricorso, anche in questo caso, non sono volte a evidenziare violazioni di legge o mancanze argomentative e manifeste illogicità della sentenza impugnata, ma mirano a sollecitare un improponibile sindacato sulle scelte valutative della Corte di appello (esposte alle pagine e reiterano in gran parte le censure già sollevate dinanzi a quel Giudice, che le ha ritenute infondate sulla base di una lineare e adeguata motivazione, strettamente ancorata a una completa e approfondita disamina delle risultanze processuali, nel rispetto dei principi di diritto vigenti in materia. Valgono, perciò, le medesime ragioni d'inammissibilità del ricorso evidenziate ai paragrafi 3.1.2.1. e 3.1.2.2. 3.3. Alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna di M. e di S. al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di E.C. e P.A., limitatamente al reato di cui al capo C), perché il reato è improcedibile per difetto di querela. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di B.C., C.A., E.C. e P.A., limitatamente al reato di cui al capo A), con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli. Dichiara inammissibili i ricorsi di M.N. e S.C., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 17 novembre 2023. Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2023
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