RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza deliberata in data 16/05/2018, la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza del 17/09/2014 con la quale il Tribunale di Lecce aveva dichiarato P.V. responsabile dei reati di atti persecutori in danno di B.N. e di M.S. (capo A: fino al (OMISSIS)) e di violenza privata in danno del secondo (capo B: fino al (OMISSIS)) e lo aveva condannato alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Lecce ha proposto ricorso per cassazione P.V., attraverso il difensore avv. Giuseppe Bonsegna, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Il primo motivo denuncia vizi di motivazione in relazione all'imputazione di atti persecutori. La Corte di appello non ha fornito una lettura sistematica e unitaria delle censure proposte con l'atto di appello, che, complessivamente valutate avrebbero fatto emergere il ragionevole dubbio circa la sussistenza dei fatti contestati: il riferimento alla concordanza delle dichiarazioni delle due persone offese trascura la circostanza che detta concordanza era de relato, laddove la testimonianza di G. è stata ritenuta falsa solo perchè difforme dal racconto delle parti civili. Erroneamente è stata disattesa la richiesta di acquisizione di una piantina della strada interessata dall'episodio, che avrebbe avvalorato una descrizione alternativa dell'accadimento, che vide l'imputato seguito da M. e non viceversa, così come errata è la valutazione sul post dello stesso, che fa emergere dubbi sulle ragioni della rottura del rapporto tra le due persone offese.
2.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza della legge penale in relazione all'imputazione di violenza privata, erroneamente ritenuta non assorbita nel reato di atti persecutori, in considerazione dell'affinità dei beni giuridici e dell'evento ex art. 612-bis c.p. rappresentato dal mutamento delle abitudini di vita riconducibile alla libertà di autodeterminazione tutelata dal delitto di violenza privata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non merita accoglimento, ma deve essere rilevata l'estinzione per prescrizione del reato di violenza privata.
2. Il primo motivo, pur presentando plurimi profili di inammissibilità, deve essere rigettato. Le censure reiterano, in larga misura, quelle esaminate e disattese con motivazione esente da vizi logico-argomentativi dalla Corte di appello, che ha confermato il giudizio di attendibilità del racconto delle persone offese, riconoscendo la coerenza delle dichiarazioni, non infirmata dai rilievi difensivi (con riguardo, ad esempio, alla dedotta difformità tra due denunce di M. o alla circostanza che B. aveva fornito all'imputato il numero della propria utenza cellulare, o meglio, come precisa la Corte, al legale dell'imputato, la cui "intermediazione" conferma anzi la definitiva compromissione del legame con P.). Quanto alla testimonianza di G., ritenuta mendace già dal giudice di primo grado, la Corte argomenta la conferma del giudizio di inattendibilità richiamando dati e argomenti (ad esempio, il racconto da parte del teste di circostanze del tutto erronee o smentite dallo stesso imputato) rispetto ai quali il ricorso si sottrae ad una puntuale e specifica disamina critica.
Gli ulteriori rilievi (compresi quelli relativi all'acquisizione della piantina stradale) articolano questioni di merito, sollecitando una rivisitazione, esorbitante dai compiti del giudice di legittimità, della valutazione del materiale probatorio che la Corte distrettuale ha operato, sostenendola con motivazione coerente con i dati probatori richiamati ed immune da vizi logici, laddove esula "dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibè).
3. Il secondo motivo non è fondato, dovendosi escludere, per le ragioni di seguito indicate, il concorso apparente di norme e l'assorbimento con riguardo alle fattispecie in esame.
3.1. Nel definire i confini tra concorso apparente di norme e concorso formale dei reati, la giurisprudenza di legittimità è saldamente attestata sul riferimento al criterio di specialità ricollegato all'identità di materia ex art. 15 c.p. e interpretato in senso logico-formale sulla base della comparazione della struttura astratta delle fattispecie. Non vengono, invece, in rilievo criteri valutativi incentrati, in particolare sul bene giuridico tutelato (al quale, peraltro, fanno riferimento anche decisioni attinenti proprio al rapporto tra atti persecutori e violenza privata: ad esempio, Sez. 5, n. 2283 del 11/11/2014 - dep. 2015, Rv. 262727): invero, "il riferimento alla identità o diversità dei beni tutelati può dare adito a dubbi nel caso di reati plurioffensivi" (Sez. U, n. 23427 del 09/05/2001, Ndiaye, Rv. 218771), sicchè nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri valutativi diversi da quello di specialità previsto dall'art. 15 c.p., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l'implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668).
Più in particolare, la giurisprudenza di legittimità afferma, in tema di concorso di reati e concorso apparente di norme, che il criterio di specialità di cui all'art. 15 c.p. (e, mette conto precisare, la c.d. "specialità unilaterale") "è da intendersi in senso logico-formale, ritenendo, cioè, che il presupposto della convergenza di norme, necessario perchè risulti applicabile la regola sulla individuazione della disposizione prevalente posta dal citato art. 15, possa ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le stesse, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le fattispecie astratte rispettivamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie stesse" (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, Giordano, Rv. 248864; conf.: Sez. U, n. 22225 del 19/01/2012, Micheli). In questa prospettiva, "norma speciale" è tradizionalmente definita "quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, che hanno appunto funzione specializzante, sicchè l'ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell'ambito operativo della norma generale; è necessario, cioè, che le due disposizioni appaiano come due cerchi concentrici, di diametro diverso, per cui quello più ampio contenga in sè quello minore, ed abbia, inoltre, un settore residuo, destinato ad accogliere i requisiti aggiuntivi della specialità" (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, Giordano, cit.; conf. Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, cit.).
Alla luce degli elementi costitutivi delle due fattispecie incriminatrici in esame, non sussiste, fra di esse, un rapporto di specialità unilaterale.
Già sul versante della condotta, mette conto rilevare che la fattispecie di atti persecutori è reato non a base violenta, il che rende ragione di un'area di condotte tipiche del tutto eterogenee rispetto a quelle della fattispecie di violenza privata, la cui nota caratterizzante, con riguardo alla condotta di violenza, va, invece, ineludibilmente ravvisata nell'"idea della aggressione "fisica"" (Sez. U, n. 2437 del 18/12/2008 - dep. 2009, Giulini, Rv. 241752): deve escludersi, pertanto, che l'una fattispecie incriminatrice possa essere "raffigurata" come un cerchio concentrico dell'altra.
Conclusione, questa, confermata anche dalla considerazione degli eventi dei due reati, posto che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, l'"alterazione delle abitudini di vita" di cui all'art. 612-bis c.p. non può considerarsi una peculiare ipotesi di violenza privata, avendo la prima un'ampiezza di molto maggiore rispetto al fare, omettere o tollerare qualcosa per effetto della coartazione esercitata sulla volontà della vittima (Sez. 5, n. 4011 del 27/10/2015 - dep. 2016, Rv. 265639), mentre la violenza privata "è poi soprattutto finalizzata a costringere la persona offesa a fare, non fare, tollerare o omettere qualche cosa, cioè ad obbligarla ad uno specifico comportamento" (Sez. 5, n. 20895 del 07/04/2011, Rv. 250460, che ha escluso il concorso apparente di norme; contra, isolatamente, Sez. 3, n. 25889 del 20/03/2013, Rv. 255561, secondo cui il reato di violenza privata è speciale rispetto al reato di atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p.).
Non si versa dunque nell'ipotesi in cui una delle due fattispecie incriminatrici sia "contenuta", come un cerchio concentrico, nell'altra, sicchè le due fattispecie non si pongono in rapporto di specialità "unilaterale".
3.2. Nella giurisprudenza di questa Corte, tuttavia, riprendendo un indirizzo dottrinale, si è ritenuta l'identità della materia ex art. 15 c.p. - e, dunque, il concorso apparente di norme - in relazione ad alcune figure di "specialità reciproca": "l'identità di materia si ha sempre nel caso di specialità unilaterale per specificazione perchè l'ipotesi speciale è ricompresa in quella generale; ciò si verifica anche nel caso di specialità reciproca per specificazione (si veda per es. il rapporto tra artt. 581 e 572 c.p.) ed è compatibile anche con la specialità unilaterale per aggiunta (per es. artt. 605 e 630) e con la specialità reciproca parte per specificazione e parte per aggiunta (art. 641 c.p. e art. 218 L. Fall.). L'identità di materia è invece da escludere nella specialità reciproca bilaterale per aggiunta nei casi in cui ciascuna delle fattispecie presenti, rispetto all'altra, un elemento aggiuntivo eterogeneo (per es. violenza sessuale e incesto: violenza e minaccia nel primo caso; rapporto di parentela o affinità nel secondo)" (Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010 - dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722; conf. Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, cit.).
L'"allargamento" della nozione di "stessa materia" ex art. 15 c.p. ad alcune figure di specialità reciproca o bilaterale era stato, in precedenza, escluso dalla giurisprudenza di questa Corte: si era infatti affermato che, nel caso della "c.d. specialità bilaterale, quando cioè entrambe le norme, al di là degli elementi comuni, contengono uno o più elementi specializzanti", "si è al di fuori dell'ambito del criterio di specialità, poichè non vi è subordinazione della norma speciale alla norma generale e non si è più in grado di determinare quale norma sia da applicare in quanto speciale rispetto all'altra", sicchè finisce per esservi "una interferenza tra norme che come tale potrebbe comportare, in contrasto con le esigenze razionali ed equitative, non un concorso apparente di norme bensì un concorso reale di norme e di reati" (Sez. U, n. 22902 del 28/03/2001, Tiezzi, Rv. 218874). In linea con quest'ultimo orientamento, si è di recente rimarcato in dottrina come unica forma di specialità ipotizzabile sia quella unilaterale, posto che le altre tipologie di relazioni tra norme - quali appunto la specialità reciproca o bilaterale - non evidenziano alcun rapporto di genus ad speciem.
In ogni caso, anche a voler valorizzare, ai fini dell'individuazione dei casi di identità di materia di cui all'art. 15 c.p. la nozione di specialità reciproca o bilaterale, si verte, con riguardo ai rapporti tra atti persecutori e violenza privata, nel caso di specialità reciproca bilaterale per aggiunta in cui siffatta identità è esclusa anche da Sez. U, n. 1963/2011, Di Lorenzo, posto che ciascuna delle fattispecie presenta, rispetto all'altra, elementi aggiuntivi eterogenei: ossia, i vari eventi delineati dall'art. 612-bis c.p., e, in particolare, come si è visto, l'evento sub specie di "alterazione delle abitudini di vita", nonchè la reiterazione degli atti persecutori, comprensivi delle molestie, per il reato di atti persecutori; la condotta violenta, elemento costitutivo eterogeneo rispetto a quelli delineati dall'art. 612-bis c.p., per il reato ex art. 610 c.p..
4. Non essendo inammissibile il secondo motivo, deve essere rilevata l'estinzione del reato di violenza privata, perfezionatasi, con le sospensioni intervenute nel corso del processo, il (OMISSIS): pertanto, in parte qua, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione e deve essere eliminato l'aumento per la continuazione pari a mesi 3 di reclusione - disposto per tale reato rispetto al più grave reato di atti persecutori; nel resto - ed anche con riguardo al reato di violenza privata agli effetti civili - il ricorso deve essere rigettato. L'inerenza della vicenda a rapporti di tipo familiare impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata limitatamente al reato di violenza privata perchè estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi tre di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019