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Truffa contrattuale online: simulazione della disponibilità del bene e ingiusto profitto configurano il reato

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Tribunale Pescara, 11/04/2024, n.49

Integra il reato di truffa contrattuale (art. 640 c.p.) la condotta di chi, attraverso artifici e raggiri, simuli la disponibilità di un bene mediante annunci su piattaforme di vendita online, con il fine di indurre in errore l’acquirente e ottenere un ingiusto profitto, a prescindere dalla successiva irreperibilità del venditore o dall’assenza di contatti diretti. Il danno economico e la particolare vulnerabilità dell’acquirente caratterizzano la fattispecie come penalmente rilevante e non come mero inadempimento civile.

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
D.TI. è stato chiamato a rispondere del reato ascritto in epigrafe con Decreto di giudizio immediato emesso ex art. 646 c.p.p. dal GIP in sede.

Nel corso del processo è stata espletata attività istruttoria consistita nell'esame dei testi indicati nella lista del P.M. e nell'acquisizione di documenti.

Quindi, all'udienza del 15 novembre, esaurita la discussione, il giudice ha pronunciato dispositivo di sentenza di cui è stata data immediata lettura in aula rinviando all'udienza del 12 gennaio 2024 per decidere in ordine alla sostituzione della pena detentiva breve avendo il Difensore dell'imputato, munito di procura speciale, esplicitamente richiesto la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità.

Quindi, all'udienza fissata, il giudice, all'esito del deposito del programma per il lavoro di pubblica utilità e della documentazione allegata, ha pronunciato dispositivo integrato ai sensi dell'art. 545 bis c.p.p.

Brevemente sintetizzando l'oggetto del processo, il 28 agosto 2021 la p.o., CR.EM., entrava in contatto con l'odierno imputato tramite il noto sito di vendita online (…); intenzione della CR. era quella di acquistare la stufa a pellet descritta in rubrica al prezzo di euro 750, quindi, contattava l'inserzionista al numero telefonico indicato nell'annuncio al quale rispondeva un uomo; le parti, conclusa la trattativa, concordavano il versamento della somma di euro 750 a cui doveva seguire la spedizione del bene; il CR. su indicazione del venditore, eseguiva il pagamento con versamento della somma pattuita tramite bonifico in favore dell'IBAN n. (…) associato al conto corrente intestato a D.TI.; una volta effettuato il pagamento, la P.O. non riceveva più notizie dell'oggetto né del venditore, che non rispondeva più al telefono; a quel punto, non avendo avuto più riposta dall'uomo con il quale aveva avuto contatti telefonici e che gli aveva assicurato la spedizione della (…), né il rimborso della somma versata, il CR. sporgeva denuncia querela.

Gli accertamenti di PG consentivano di appurare che titolare del conto corrente su cui avvenne l'accredito, era l'odierno imputato.

Nonostante i dubbi che la tesi difensiva ha cercato di introdurre al riguardo, deve ritenersi provato che il soggetto autore della condotta oggetto di addebito sia effettivamente D.TI., il quale risulta il titolare del conto sul quale veniva accreditata la somma pattuita.

Non può ragionevolmente ipotizzarsi che il soggetto intestatario fosse un terzo rispetto alla pattuizione descritta dal querelante, sia in quanto si tratta in ogni caso del beneficiario della somma, dunque necessariamente consapevole dell'accredito, sia perché il fine ultimo della condotta era chiaramente quello di ottenere un profitto ingiusto, e quest'ultimo è avvenuto in favore di un IBAN avente un preciso titolare; a tutto voler concedere, quest'ultimo necessariamente sarebbe dovuta essere concorrente nel reato eventualmente compiuto da terzi, proprio in quanto destinatario della somma.

E, in ogni caso, alcuna allegazione è pervenuta dalla difesa circa la riferibilità della condotta a possibili soggetti diversi dal D.TI.

Del resto l'imputato, sentito in dibattimento, si è limitato a dichiarare di non essere titolare dell'utenza telefonica utilizzata per commettere la truffa, e di voler restituire alla p.o. parte della somma ottenuta illecitamente.

Dubbi non vi sono in ordine all'identificazione dell'imputato che è avvenuta attraverso l'acquisizione della documentazione prodotta presso l'istituto bancario dove il D.TI. ha aperto il conto su cui è stato effettuato il versamento, producendo i suoi documenti di identità. Tali documenti non risultano denunciati né come smarriti né come rubati. Sintomatico appare del resto che costei non abbia, pur notiziata del procedimento, avanzato alcuna difesa né sul fatto né sulla propria identificazione nel suo autore.

Ciò posto in termini di ricostruzione del fatto, non vi è dubbio che nella condotta sopra descritta possano ritenersi sussistenti gli estremi del delitto di truffa.

E condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui la messa in vendita di un bene per via telematica attraverso un sito di e - commerce noto e serio, nella fattispecie subito.it, costituisca sicuramente un mezzo per indurre in errore i potenziali acquirenti sulle effettive intenzioni truffaldine di chi offre in vendita beni senza alcuna intenzione di consegnarli, risultando così configurato non un semplice inadempimento civile, ma il reato di truffa di cui all'art. 640 cod. pen.

Gli artifizi e raggiri vanno ricavati dalla complessiva condotta del venditore, tenuto conto della particolare modalità di questo tipo di compravendite che avvengono tramite internet, senza che le parti possano avere contatti diretti e senza che alle stesse siano conoscibili le rispettive esatte generalità e che sono caratterizzate dal fatto che il compratore deve pagare anticipatamente il bene e sperare poi che il venditore glielo faccia pervenire. Tale meccanismo di vendita pone l'acquirente in una particolare situazione di debolezza e di rischio e di questo approfittano truffatori, seriali o meno, che realizzano cospicui guadagni vendendo beni che in realtà non hanno alcuna intenzione di alienare e dei quali non hanno il più delle volte neppure l'effettiva disponibilità.

Gli elementi da cui ricavare la sussistenza della frode - proprio per l'assenza di contatti diretti e l'assenza di testimoni - si riducono a quelli ricavabili dai messaggi e dalle telefonate intercorse tra le parti. Nel caso di specie da tali emergenze è possibile riscontrare la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre in errore l'acquirente.

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, integra una condotta truffaldina la messa in vendita di un bene su un sito internet, accompagnata dalla mancata consegna del bene stesso all'acquirente e posta in essere da parte di chi falsamente si presenta come alienante con il solo proposito di indurre la controparte a versare una somma di denaro e a conseguire, quindi, un profitto ingiusto (Sez. 2, n. 51551 del 04/12/2019, Rocco, Rv. 278231; Sez. 2, n. 40045 del 17/07/2018, Omnis, Rv. 273900; Sez. 6, n. 17937 del 22/03/2017, Cristaldi, Rv. 269893; Sez. 2, n. 43706 del 29/09/2016, - Pastafiglia, Rv. 268450).

Inoltre, neppure la negligenza e superficialità della persona offesa escludono la sussistenza del reato, posto che "la rilevanza penale dell'accertata, fraudolenta, induzione in errore non viene meno per il solo fatto che il deceptus abbia a sua disposizione strumenti di difesa, in ipotesi non compiutamente utilizzati, poiché in siffatta situazione la responsabilità penale è sempre collegata al fatto dell'agente, ed è indipendente dalla eventuale cooperazione, più o meno colposa, della vittima negligente"" (Sez. 2, n. 42867 del 20/06/2017, Gulì, Rv. 271241; in senso conforme cfr., ad es., Sez. 2, n. 52316 del 27/09/2016, Riva, Rv. 268960 nonché, da ultimo, Sez. 2, n. 16021 del 12/02/2020, Ardiero, n. m.).

Orbene, nel caso di specie, dapprima mediante l'induzione dell'acquirente a trattare l'acquisto del bene, poi instaurando con costui le trattative, fornendogli rassicurazioni sulla disponibilità del bene e sull'iter relativo alla consegna, simulando nei confronti dell'acquirente un falso interesse alla vendita, rassicurandolo poi, una volta eseguito il pagamento di consegnare la merce e, infine, rendendosi non rintracciabile, è stata posta in essere una serie dinamica di condotte certamente finalizzate al conseguimento, da parte del venditore, del prezzo della merce mai recapitata all'acquirente, e in ciò contravvenendo agli accordi presi con la p.o.; tanto basta ad escludere la sua buona fede. E' infatti evidente che un simile comportamento non si concilia con la volontà di condurre a buon fine l'acquisto, secondo quanto pattuito. E appena il caso di precisare che, in presenza degli elementi sopra descritti, non può parlarsi di condotta di rilevanza meramente civilistica. Infatti, vi è stato l'accordo, con la p.o., per la vendita di un bene con il proposito di non consegnarlo pur dopo la ricezione del pagamento, e tale proposito è stato perseguito con la condotta artificiosa e menzognera sopra descritta. Ciò non solo ha recato alla vittima un danno economico, ma altresì, in considerazione della sussistenza degli elementi oggettivi e dell'elemento soggettivo del delitto contestato, ha pienamente integrato la fattispecie di truffa in contrahendo.

Va, conclusivamente, affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato ascritto.

Nei confronti dell'imputato, gravato da due precedenti condanne per le truffe commesse, che denotano la abitualità della condotta, non può trovare applicazione la disciplina ex art. 131 bis c.p.; né il danno economico procurato alla vittima, pari ad euro 750, può essere ritenuto di lieve entità.

Valutati gli elementi tutti di cui all'art. 133 c.p., esclusa la concessione di attenuanti generiche che non rovano nel caso di specie alcuna giustificazione, stimasi aderente alle esigenze di emenda del caso concreto la pena nella misura di mesi sei di reclusione ed euro 100 di multa. Segue per legge la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali. L'imputato non può beneficiare della sospensione condizionale della pena, visti i precedenti ed avendone già fruito.

Ricorrendo le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all'articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689 ed avendo l'imputato, a mezzo di procuratore speciale, espresso il consenso alla sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità, visto il programma pervenuto in cancelleria, si dispone in conformità. Il lavoro di pubblica utilità sarà svolto presso la CARITAS DIOCESANA, ente che ha manifestato la propria disponibilità secondo il programma predisposto dall'UEPE.

Nulla si dispone ai fini del risarcimento del danno alle PO non essendo pervenute richieste in tal senso da parte della persona offesa.

P.Q.M.
Visti gli artt.533, 535 c.p.p. dichiara D.TI. colpevole del reato ascritto e per l'effetto lo condanna alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 100,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Motivazione entro 90 gg.

Sostituisce la pena detentiva sopra indicata nella pena del lavoro di pubblica utilità sostitutivo per mesi sei pari a 180 giorni e quindi 360 ore (180 gg per 2) complessive di lavoro di pubblica utilità da svolgere presso la CARITAS DIOCESANA di Pescara come aiutante in cucina presso la mensa della Cittadella dell'Accoglienza con sede in (…) e per l'effetto dispone che il condannato svolga detto lavoro secondo gli orari e le modalità già concordate dalle parti con dichiarazione di disponibilità dell'ente acquisita agli atti (8 ore a settimana, con un limite massimo giornaliero di 8 ore).

Le parti potranno adeguare le condizioni già pattuite alle esigenze dell'ente e del condannato, fermo restando l'obbligo di svolgere il numero complessivo di ore di lavoro stabilite con la presente sentenza.

Che il condannato mantenga i contatti con l'UEPE secondo le modalità concordate con il Funzionario incaricato del procedimento;

che il condannato continui l'attività lavorativa presso la (…) S.r.l. comunicando ogni eventuale variazione attinente la posizione lavorativa.

Visto l'art 56 ter L. 689/1981:

impone all'imputato le seguenti prescrizioni:

1) dovrà permanere all'interno della Regione Abruzzo;

2) non potrà detenere o portare a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi, anche se stata concessa la relativa autorizzazione di polizia;

3) non potrà frequentare senza giustificato motivo, pregiudicati, soggetti sottoposti a misure di sicurezza o di prevenzione o comunque persone che lo espongono al rischio di commissione di reati, salvo che si tratti dei familiari o di altre persone stabilmente conviventi;

4) dovrà conservare e portare sempre con sé e presentare ad ogni richiesta degli organi di polizia copia del presente provvedimento (e di eventuali modifiche) o un documento di identificazione;

dispone il ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell'espatrio di ogni altro documento equipollente;

avverte il condannato al lavoro di pubblica utilità sostitutivo che, in caso di violazioni di legge o di violazioni gravi e reiterate degli obblighi e delle prescrizioni, la pena sostitutiva potrà essere revocata con conversione del residuo nella pena detentiva ovvero aggravato nella semilibertà o nella detenzione domiciliare sostitutive.

Le FF.OO. e l'UEPE segnaleranno immediatamente al giudice che ha applicato il lavoro di pubblica utilità ogni eventuale inadempimento agli obblighi o violazioni delle prescrizioni.

Incarica l'Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Pescara/ le FF.OO. competenti per territorio per la verifica della esecuzione e i controlli.

Motivazione entro 90 gg.

Si comunichi la presente sentenza all'UEPE.

Così deciso in Pescara il 12 gennaio 2024.

Depositata in Cancelleria l'11 aprile 2024.

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