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Truffa online: responsabilità penale per l'utilizzo di strumenti digitali con aggravante di minorata difesa

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Tribunale Nocera Inferiore, 03/07/2024, n.1405

La truffa online integra gli elementi del reato di cui all'art. 640 c.p. quando, mediante l'uso di piattaforme telematiche, l'agente realizza un inganno idoneo a determinare un atto di disposizione patrimoniale con pregiudizio economico per la vittima e profitto ingiusto per il reo. L'utilizzo di strumenti digitali che favoriscono la minorata difesa della vittima costituisce un'aggravante specifica, ai sensi dell'art. 640 comma 2 n. 2 bis c.p.

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Con decreto ex art. 429 c.p.p., emesso all'esito dell'udienza preliminare del 13.10.2022, TR.Ma. veniva tratto a giudizio innanzi a questo Tribunale, in composizione monocratica, per rispondere del reato meglio specificato in fatto nella sopra trascritta imputazione.

All'udienza del 14.12.2022, dopo aver dichiarato nel contraddittorio delle parti l'assenza dell'imputato (regolarmente raggiunto dalla notificazione del decreto introduttivo del giudizio e non comparso), a causa dell'assenza dei testi di lista del Pubblico Ministero il processo veniva differito fino all'udienza del 20.12.2023. All'udienza del 20.12.2023, in mancanza di questioni preliminari veniva dichiarata l'apertura del dibattimento e venivano ammesse le prove orali e documentali così come richieste dalle parti in quanto ammissibili, rilevanti e pertinenti rispetto all'imputazione; le parti concordavano, ai sensi dell'art. 493 comma 3 c.p.p., l'acquisizione del verbale di denuncia orale a firma della persona offesa Fe.Gi., nonché della comunicazione di notizia di reato del 12.9.2020 (con relativi allegati) in luogo dell'esame del teste De.Ba.

All'esito, il processo veniva rinviato ai fini della discussione all'udienza del 3.7.2024. All'udienza odierna, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e indicati gli atti utilizzabili ai fini della decisione ex art. 511 comma 1 c.p.p., le parti hanno concluso come in epigrafe. Al termine della conseguente camera di consiglio si è data lettura della presente sentenza, comprensiva dei motivi della decisione.

Motivi della decisione
Ritiene questo Giudice che gli esiti dell'istruttoria dibattimentale conducano ad affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità di TR.Ma. in ordine al reato a lui ascritto in rubrica.

Dalle risultanze dibattimentali, e in particolare dalle dichiarazioni acquisite ex art. 493 comma 3 c.p.p., nonché dall'analisi della documentazione confluita all'interno del fascicolo del dibattimento, emerge la seguente ricostruzione della vicenda in esame. In data 23.6.2020, Fe.Gi. richiedeva un preventivo online per assicurare la sua autovettura Citroen Picasso, inserendo i propri dati personali, ivi incluso il proprio recapito telefonico; dopo qualche giorno, veniva contattato dall'utenza (…) da un interlocutore di sesso femminile presentatosi quale "Ag.", che gli proponeva di stipulare un contratto di assicurazione con la compagnia online "(…)", al prezzo di euro 449,00.

Ritenendo l'offerta vantaggiosa, il Fe. si determinava ad effettuare il versamento della predetta somma, a mezzo bonifico bancario, all'IBAN all'uopo fornitogli, ricevendo quindi tramite whatsapp, in data 29.6.2020, copia del certificato di assicurazione asseritamente stipulato.

Tuttavia, dopo qualche giorno (precisamente in data 7.7.2020), il Fe. veniva contattato da un sedicente broker assicurativo il quale, dopo avergli rappresentato che il bonifico precedentemente disposto non era andato a buon fine, lo invitava ad effettuare un nuovo pagamento, che la persona offesa provvedeva ad eseguire a mezzo postepay.

Agli inizi del mese di agosto, il Fe. forniva alla cognata Me.An., avendo anch'ella necessità di stipulare un contratto assicurativo, il numero telefonico del broker con il quale egli si era interfacciato; la donna, dopo aver concluso l'accordo, si accorgeva tuttavia che il proprio veicolo non risultava assicurato, e di tanto rendeva edotto il Fe. il quale, disposte le opportune verifiche, si accorgeva che anche la sua autovettura risultava, del pari, sprovvista di assicurazione. Tentava quindi di contattare telefonicamente il broker, senza tuttavia ricevere alcuna risposta: decideva quindi di sporgere formale denuncia.

Così brevemente sunteggiati gli estremi fattuali della vicenda, non può che ritenersi - ad avviso dello scrivente - ampiamente raggiunta la prova della penale responsabilità di TR.Ma. in ordine alla fattispecie delittuosa a lui ascritta in rubrica. All'interno del verbale di denuncia orale del 22.8.2020, acquisito ai sensi dell'art. 493 comma 3 c.p.p. e dunque pienamente utilizzabile, Fe.Gi. - il quale, non essendosi neppure costituito parte civile, ha dimostrato l'assenza di ragioni di carattere economico relative all'esito della vicenda, ed è pertanto da considerarsi vieppiù attendibile - ha esposto in maniera coerente e precisa i fatti per cui è causa, riferendo dettagliatamente le circostanze che l'avevano indotto al versamento della somma di denaro in favore dell'imputato.

A tale riguardo, come è noto, secondo l'insegnamento della Suprema Corte (che questo Giudice ritiene di condividere), la testimonianza della persona offesa - anche se costituita parte civile - ben può porsi a fondamento della pronuncia di colpevolezza se dotata dei requisiti, come nel caso di specie, di linearità, coerenza e puntualità.

Va poi rammentato che, ancora secondo l'insegnamento della Suprema Corte, il Giudice, pur essendo tenuto a valutare criticamente, verificandone l'attendibilità, il contenuto della testimonianza, non è però certamente tenuto ad assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso, salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi - non ricorrenti nel caso di specie - atti a rendere fondato un sospetto di tal genere. In assenza di siffatti elementi, quindi, il Giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve, perciò, limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità tra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza (cfr. Cass. Pen. Sez. 4, sentenza n. 35984 del 10.10.2006). Non può inoltre sottacersi la circostanza per cui l'imputato, nell'esercizio di una sua pur legittima facoltà, ha deciso di non comparire in dibattimento, di fatto privandosi consapevolmente della possibilità di fornire una versione alternativa della vicenda.

In ogni caso, va evidenziato che, sebbene le dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa - da sottoporre ad un'indagine accurata circa i profili di attendibilità oggettivi e soggettivi - possano assurgere a fonte di prova sufficiente ad affermare la colpevolezza dell'imputato, non applicandosi in automatico il criterio di valutazione di cui all'art. 192 c.p.p. (cfr. Cass. Pen. Sez. 4, Sentenza n. 16860 del 13.11.2003, Rv. 227901), nel caso che ci occupa esse non esauriscono il compendio probatorio, ma risultano confortate da ulteriori elementi di riscontro.

Si fa riferimento, in particolare, alla documentazione acquisita nel corso dell'istruttoria dibattimentale, dalla quale è agevole evincere sicuri indici di riferibilità oggettiva e soggettiva del fatto-reato a TR.Ma.

In particolare, nonostante la persona offesa abbia inizialmente intrattenuto contatti telefonici con un soggetto di sesso femminile identificatosi (ma, verosimilmente, al solo scopo di celare la sua vera identità) come "Ag.", non sussistono dubbi circa la riconducibilità del conto corrente n. (…), acceso presso la banca (…), al TR. (nei cui confronti milita dunque indubitabilmente la logica del cui prodest), in quanto lo stesso risulta intestato proprio all'imputato, dovendosi evidenziare come costui, all'atto dell'attivazione del conto, abbia fornito i propri documenti identificativi, in relazione ai quali risulta una denuncia di smarrimento datata 2.7.2020, successiva rispetto ai fatti per cui è processo, e dunque verosimilmente effettuata al solo scopo di depistare le indagini. Si consideri, peraltro, come - in occasione dei contatti telefonici avuti con il sedicente broker assicurativo - alla persona offesa veniva fornito proprio il codice fiscale dell'imputato.

Infine, gli effettivi versamenti del premio assicurativo si desumono agevolmente dalla lettura delle ricevute di pagamento effettuate dalla persona offesa, recanti la data del 25.6.2020 e del 7.7.2020.

Il reato di cui all'art. 640 c.p. risulta dunque senz'altro integrato nei suoi elementi oggettivi: non può infatti revocarsi in dubbio che la predisposizione di un sito web ove formulare richieste di preventivi per assicurazioni auto abbia funto da concreto elemento decettivo - idoneo a generare l'inganno dell'ignaro acquirente - produttivo dell'atto di disposizione patrimoniale da parte di quest'ultimo, dal quale è disceso pregiudizio economico per la persona offesa e ingiusto profitto (incremento patrimoniale) per la sfera dell'agente.

Ritiene infatti la giurisprudenza, in maniera univoca, che l'offerta di un bene per via telematica attraverso un sito di e-commerce costituisca sicuramente un mezzo per indurre in errore i potenziali acquirenti circa le effettive intenzioni truffaldine di chi offre in vendita beni senza alcuna intenzione di consegnarli, risultando così configurato non un semplice inadempimento civile, ma il reato di truffa di cui all'art. 640 c.p.

Gli artifizi e raggiri vanno infatti ricavati dalla complessiva condotta del venditore (in particolare, dalle comunicazioni epistolari e telefoniche intercorse tra le parti), tenuto conto della particolare modalità di questo tipo di compravendite online, caratterizzate dall'assenza di contatti diretti tra le parti e, nella quasi totalità dei casi, dal pagamento anticipato del bene, meccanismo di vendita che pone l'acquirente in una peculiare situazione di rischio.

Nel caso che ci occupa, è possibile riscontrare la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre in errore l'acquirente, in particolare la pubblicazione di un annuncio civetta su un apposito sito di vendita online e, ricevuto il pagamento, l'irreperibilità del venditore.

Nel caso che occupa il TR., dopo aver concordato le modalità di pagamento del premio assicurativo mediante metodi tracciabili, e dopo aver fornito copia del contatto (poi rivelatosi inesistente), carpendo in tal modo la fiducia del Fe., inducendolo in errore, si rendeva di fatto irreperibile.

Ebbene, secondo la giurisprudenza di legittimità (cui lo scrivente presta convinta adesione) pronunciatasi in materia di truffa contrattuale, il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto inizialmente concordate con l'altra parte, con condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l'elemento degli artifici e raggiri richiesti per la sussistenza del reato di cui all'art. 640 c.p. e, in particolare, l'elemento che imprime al fatto dell'inadempienza il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti - determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo - rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria (cfr. Cass. Pen. Sez. 2, sentenza n. 5801 del 8.11.2013, Rv. 258203; Cass. Pen. Sez. 6, sentenza n. 10136 del 17.2.2015, Rv. 26280).

Non può, di conseguenza, in alcun modo dubitarsi della volontarietà del fatto e della cosciente direzione della condotta posta in essere da TR.Ma., volta a trarre in inganno il Fe. e a determinare, in tal modo, la disposizione patrimoniale e il correlativo ingiusto profitto.

Del resto, quand'anche si volesse ritenere non essere stata raggiunta una prova certa sul fatto che sia stato proprio il TR. a porre in essere il primo segmento della sequenza delittuosa, sostanziatosi nel primo contatto telefonico con la persona offesa (alla quale era stato fornito un numero intestato ad un soggetto di nazionalità pakistana), è innegabile che l'imputato abbia concorso ex art. 110 c.p. alla commissione del reato, compartecipando con soggetti rimasti ignoti. In tale ipotesi, il TR. avrebbe invero offerto un contributo materiale non solo agevolatore, ma essenziale al perfezionamento dell'illecito eventualmente plurisoggettivo, mettendo a disposizione il conto corrente bancario su cui è confluito l'illecito profitto; anzi, il conseguimento dello stesso si è avuto proprio con l'accredito del pagamento sul conto a lui intestato.

Si tratterebbe pertanto di una compartecipazione di massima importanza, tenendo presente anche che la somma pervenuta sul conto corrente del TR. non avrebbe potuto essere prelevata e utilizzata senza la sua collaborazione diretta, o quantomeno concedendo ai correi la facoltà di operare sul suo conto, anche mediante strumenti di pagamento.

La consapevole partecipazione del TR. alla commissione del reato appare dunque palese, non emergendo dal compendio probatorio alcun ragionevole dubbio contrario: invero, nell'ipotesi alternativa che le somme siano confluite sul suo conto corrente per mero errore, e nell'ignoranza dell'imputato, sarebbe stato più che ragionevole aspettarsi un disconoscimento dell'accredito, quanto meno prospettando la propria estraneità alla vicenda, e dunque un'offerta di restituzione dell'importo erroneamente incamerato.

Nulla di tutto ciò ha manifestato il TR., che non ha mai contestato l'addebito, e non si è mai dissociato (neppure successivamente in dibattimento, preferendo non comparire) dalla condotta criminosa che gli è stata ascritta.

Tali rilievi rendono del tutto irragionevole l'ipotesi che terzi abbiano utilizzato il conto corrente intestato al TR. a sua insaputa, coinvolgendolo senza colpe nella complessiva operazione fraudolenta, apparendo parimenti illogico che gli autori della condotta truffaldina, laddove diversi dall'imputato, abbiano fatto pervenire i profitti del reato su un conto senza poter contare sulla collaborazione del titolare per incassarli.

In definitiva, TR.Ma. va ritenuto - al di là di ogni ragionevole dubbio -responsabile della fattispecie delittuosa a lui ascritta in rubrica. Trascorrendo, a questo punto, al trattamento sanzionatorio, possono riconoscersi all'imputato - allo scopo di adeguare il trattamento sanzionatorio alle peculiarità del caso concreto - le circostanze attenuanti generiche.

Tali circostanze vanno ritenuti equivalenti con la contestata aggravante della minorata difesa di cui all'art. 640 comma 2 n. 2 bis c.p., configurabile in tema di truffa online allorquando - come nel caso che ci occupa - l'autore abbia tratto, consapevolmente e in concreto, specifici vantaggi dall'utilizzazione dello strumento della rete, in quanto proprio le particolari modalità di svolgimento della vendita di beni online (assenza di contatti diretti tra le parti, pagamento anticipato) hanno reso possibile l'attuazione del proposito criminoso perseguito dall'agente. Valutati gli indici di cui all'art. 133 c.p., si stima dunque equa la pena finale di anni 1 di reclusione ed euro 300,00 di multa.

Alla dichiarazione di responsabilità dell'imputato segue poi, per legge, la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali.

Sussistono i presupposti per la concessione a TR.Ma. del beneficio della sospensione condizionale della pena, in relazione all'episodicità del fatto, elemento che autorizza la prognosi circa la capacità del medesimo di astenersi per il futuro dalla commissione di ulteriori reati.

P.Q.M.
Letti gli artt. 533, 535 c.p.p.,

dichiara TR.Ma. colpevole del reato a lui ascritto in rubrica e per l'effetto, riconosciute al medesimo le circostanze attenuanti generiche, in regime di equivalenza con la contestata e ritenuta aggravante, lo condanna alla pena di anni 1 (uno) di reclusione ed euro 300,00 (trecento) di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali.

Letto l'art. 163 c.p., sospende la pena inflitta a TR.Ma. a termini e condizioni di legge.

Motivi contestuali.

Così deciso in Nocera Inferiore il 3 luglio 2024.

Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2024.

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