Indice:
1) Premessa
6) Conclusioni
1) Premessa
La commissione di massimo scoperto è una spesa aggiuntiva che la banca può addebitare al correntista, in caso di superamento dell'importo massimo concesso in un conto corrente, noto come scoperto.
In altre parole, rappresenta la remunerazione richiesta dalla banca quando il cliente utilizza più denaro di quanto gli sia stato concesso attraverso il conto corrente.
Quando un correntista effettua transazioni o prelievi che superano il saldo disponibile nel conto corrente, si verifica uno "scoperto".
La commissione di massimo scoperto viene applicata su questo scoperto, ed è spesso calcolata in base all'importo e alla durata dello scoperto.
Tuttavia, è importante notare che la commissione di massimo scoperto è stata oggetto di un acceso dibattito, ed invero, secondo alcuni la commissione deve essere applicata solo come una compensazione per la messa a disposizione dei fondi, per altri ritengono può essere applicata anche come una sorta di penalità per l'uso eccessivo del credito.
Il problema della commissione di massimo scoperto è stato affrontato in vario modo dalla giurisprudenza e, con riferimento al periodo anteriore alla data di entrata in vigore della legge di conversione 28 gennaio 2009 n. 2 (ed, a fortiori, prima dell'art. 117 bis del TUB successivamente introdotto), si erano affermati i seguenti orientamenti:
2) Il primo orientamento
Un primo orientamento, ha ritenuto la CMS sempre munita di causa negoziale lecita, quale che sia la natura di detta commissione ed il parametro di sua applicazione. Ex multis, in tal senso, Tribunale Chieti 22 ottobre 2013, secondo il quale "l'obbligazione del cliente di corrispondere alla banca un ulteriore compenso, per l'apertura di credito, oltre alla misura degli interessi pattuiti, può essere considerata sorretta da causa lecita, in quanto, appunto, remunerazione correlata all'obbligo, a carico della banca, di tenere sempre a disposizione del cliente il massimo importo affidato, o in quanto correlata al rischio crescente che la banca assume, in proporzione all'ammontare dell'utilizzo concreto di detto credito da parte del cliente";
3) Il secondo orientamento
Un secondo orientamento giurisprudenziale, ha invece ritenuto che, in assenza di diversa specificazione ed al di fuori di fattispecie peculiari, la CMS abbia sempre una propria causa laddove sia parametrata allo "scoperto del conto", non potendo estendersi con certezza detta conclusione nelle altre ipotesi. In tal senso, tra gli altri, Tribunale Mondovì, 17 febbraio 2009, secondo il quale "la "commissione di massimo scoperto" contenuta nei contratti bancari, così denominata e senza altra specificazione, può quindi ritenersi sorretta da causa lecita – in ipotesi - solo in relazione allo scoperto di conto. Non sussistendo, entro il limite del fido, per definizione, uno "scoperto" e potendo riconoscere validità, per quanto sopra esposto, alle clausole contrattuali che prevedano "commissioni di massimo scoperto", solo se costituenti corrispettivo per l'utilizzo, da parte del cliente, di importi superiori al credito a sua disposizione, deve concludersi per l'illegittimità della clausola contrattuale che ponga a carico del cliente il pagamento di una somma, a tale titolo, da calcolarsi anche su importi entro il limite del fido, in quanto priva di causa. Qualora la banca ritenga di dover richiedere una commissione anche per il credito affidato o per il credito utilizzato, la relativa pattuizione dovrà essere esplicita in tal senso, dimostrativa della causa giuridica che la sorregge, ed il relativo importo dovrà aggiungersi agli interessi pattuiti nel "costo" del finanziamento concesso";
4) Il terzo orientamento
Un terzo orientamento giurisprudenziale ha ritenuto che la CMSA abbia valida causa solo laddove prevista come corrispettivo per la messa a disposizione delle somme del fido e sia, pertanto, calcolata sull'importo accordato e non utilizzato, rimanendo priva di causa laddove calcolata sulle somme in concreto utilizzate dal correntista. In tal senso, Tribunale Firenze 16 luglio 2013, secondo il quale "Quanto alla CMS trimestrale, si osserva che con la sentenza n. 870 del 18 gennaio 2006 la Cassazione ha finalmente dato una corretta definizione della commissione di massimo scoperto, definendola come la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma. La CMS assume dunque, carattere di corrispettivo dell'obbligo della banca di tenere a disposizione del cliente una certa somma per un certo lasso di tempo, indipendentemente dall'utilizzazione del credito. Se è tale la funzione della CMS, allora la stessa deve essere computata solo ed unicamente nel caso in cui il cliente non abbia mai utilizzato l'apertura di credito. Viceversa, quando la banca, come di solito accade, applica tale commissione in caso di utilizzo dell'apertura di credito, la CMS risulta essere priva di una giustificazione causale, in quanto il corrispettivo della messa a disposizione del cliente di una certa somma è rappresentato dagli interessi corrispettivi applicati, che dovranno essere calcolati, nella misura convenuta, sulla somma concretamente utilizzata e per tutto il periodo di tempo in cui la somma è stata utilizzata. Pertanto, la CMS va calcolata o sull'intera somma messa a disposizione della banca (accordato) ovvero sulla somma rimasta disponibile in quel dato momento e non utilizzata dal cliente. Da ciò discende che la CMS applicata nel trimestre sull'utilizzato altro non è che un onere mascherato e come tale va trattata e quindi non è dovuta poichè priva di causa. A maggior ragione, l'applicazione di tale commissione risulta oltremodo priva di giustificazione causale, in caso di chiusura del conto, che determina il venir meno anche dell'apertura di credito in esso regolata. La CMS va, dunque, ritenuta indebita in quanto applicata trimestralmente insieme agli interessi passivi, ovvero sull'utilizzato";
5) Il quarto orientamento
- Infine, un quarto indirizzo giurisprudenziale ha ritenuto invece la CMS priva di causa negoziale tout court, in ogni fattispecie, sia se calcolata sull'utilizzato (indifferentemente intra o extra fido), sia se calcolata sull'accordato (in tal senso Tribunale di Novara 1. ottobre 2012).
In tale contesto, a livello normativo, si sono invece susseguiti diversi interventi sino all'attuale disciplina dettata dall'art. 117 bis del T.U.B. (introdotto dall'art. 6 bis del D.L. 6.12.2011 n. 201, convertito nella L. 22.12.2011 n. 214 e poi nuovamente modificato nel 2012).
6) Conclusioni
Alla luce di tale complessa evoluzione giurisprudenziale e normativa, si deve ritenere che, con riferimento al periodo antecedente il 2009, coincidente con la data del primo intervento normativo, la CMS abbia un'idonea causa giustificatrice solo qualora sia prevista come corrispettivo per la messa a disposizione delle somme del fido e sia, pertanto, calcolata sull'importo accordato e non utilizzato, conformemente all'orientamento riportato sub c) ed alla posizione espressa dalla Suprema Corte, secondo cui la CMS rappresenta "la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma" (in tal senso, Cass. 18.1.2006 n. 870) servendo a riequilibrare i costi sostenuti dalla Banca per approvvigionarsi del denaro che sarebbe stato concesso alla clientela.
Per contro, la CMS deve essere ritenuta priva di causa laddove calcolata sulle somme in concreto utilizzate dal correntista. Ed infatti, appare legittimo che i contratti di apertura di credito prevedano la CMS come una remunerazione della messa a disposizione di un importo da parte della Banca, nella misura in cui detta somma non sia utilizzata: trattasi, invero, di una prestazione dell'istituto di credito che ha (a prescindere dal suo ammontare) un costo per lo stesso, segnatamente nemmeno remunerato dagli interessi, generalmente calcolati solo sull'importo utilizzato se, quando e nella misura in cui si verifichi l'utilizzazione.
D'altro canto, non può riconoscersi un'idonea causa giustificatrice laddove la CMS sia applicata sull'utilizzato, indifferentemente intra o extra fido. Rileva in tal senso non solo e non tanto la previsione di interessi sull'importo utilizzato (la quale già remunera la banca della concreta privazione di liquidità), ma anche e soprattutto l'atteggiarsi della CMS in dette ipotesi.
Ed invero, laddove la CMS sia applicata sull'utilizzato, la stessa – in genere – viene parametrata all'utilizzo più elevato nel trimestre di riferimento, a prescindere dalla durata di detta massima esposizione debitoria. Orbene, è proprio l'irrilevanza della durata della massima esposizione debitoria nel periodo di riferimento a palesare la mancanza di causa della CMS in dette ipotesi: in questi termini, infatti, la CMS perde la logica di un corrispettivo per la somma utilizzata, prescindendo dalla concreta durata della perdita di liquidità della banca, atteggiandosi invece come una sorta di inammissibile clausola penale per il "fatto lecito", in quanto, da un lato, quantificata in un forfait a prescindere dalla durata dell'erogazione del credito e, dall'altro, inaccettabilmente prevista per quanto è oggetto del contratto di apertura di credito e non anche per l'inadempienza dello stesso. Inoltre, va anche considerato che i contratti di apertura di credito in genere prevedono un interesse moratorio convenzionale specifico per le somme rese disponibili extra fido.