La massima
Nella valutazione della prova del testamento olografo non rinvenuto, il giudice può basarsi su qualsiasi mezzo probatorio idoneo, comprese le testimonianze e le presunzioni, purché rispettino il principio del contraddittorio e siano supportate da una valutazione logica e congruente delle risultanze processuali. La mancanza di un testamento olografo può essere presunta come revoca, ma tale presunzione può essere superata dimostrando che il testamento esisteva ancora al momento dell'apertura della successione e che la sua irreperibilità non è imputabile al testatore oppure che il testamento è stato distrutto da un terzo o è andato perduto senza il concorso della volontà del testatore. La valutazione delle prove deve essere effettuata in modo imparziale e non può essere basata su congetture o deduzioni illogiche, ma deve essere supportata da un'analisi approfondita e puntuale delle circostanze emerse durante il processo.
La decisione evidenzia, inoltre, l'importanza di garantire il rispetto del contraddittorio e la corretta valutazione delle prove, in modo che la decisione finale sia fondata su basi solide e non suscettibili di essere contestate per vizi processuali.
La sentenza integrale
Cassazione civile sez. II, 12/01/2024, (ud. 14/12/2023, dep. 12/01/2024), n.1318
FATTI DI CAUSA
1. Ga.Sa. ha esposto al tribunale di Torino di esser nipote di An.Ga., coniugato con Al.Sa. e deceduto senza lasciare figli in data 20.11.2006; che in virtù dello strettissimo rapporto affettivo, il de cuius aveva sempre manifestato in vita la volontà di lasciare al nipote taluni terreni e l'azienda agricola di cui era titolare; che alla morte dello zio, la moglie Al.Sa. aveva sempre negato che il marito avesse disposto dei propri beni con testamento, circostanza successivamente smentita da talune ammissioni fatte all'attore pochi mesi prima della introduzione del giudizio da parte di Ro.Ga., che aveva riferito che il testamento, con cui il de cuius aveva lasciato al nipote i terreni e l'azienda e alla moglie le il denaro, era stato distrutto o occultato. Ha chiesto di accertare l'esistenza del testamento e di ordinare la consegna dei beni ereditari, il pagamento dei frutti, il conferimento dei beni mobili alla massa con richiesta di dichiarare l'indegnità a succedere di Al.Sa., instando per il risarcimento del danno anche nei confronti di Fu.Gi, Tr.Vi. e Tr.An. per la sottrazione o distruzione delle disposizioni di ultima volontà testamento.
I convenuti hanno resistito, chiamando in causa Ma.Ga. ed Ga.An. per essere manlevati; Fu.To. e Fu.Vi., Sa.An., Sa.Ma.e Sa.Te., eredi di Al.Sa., deceduta dopo la notifica della citazione introduttiva, sono rimasti contumaci.
Il Tribunale, assunti l'interrogatorio formale di Ma.Ga. e la prova per testi, ha accolto la domanda, ha dichiarato la sussistenza del testamento e, disposta l'apertura della successione di An.Ga., ha riconosciuto Ga.Sa. proprietario per successione dei beni rientranti nell'asse, dichiarando l'incapacità a succedere di Al.Sa.; ha condannato Fu.Gi al pagamento di Euro. 16.185,00, oltre accessori, con rigetto di ogni altra richiesta e con regolazione delle spese processuali.
La sentenza è stata integralmente riformata in appello.
La Corte territoriale ha respinto le domande di Ga.Sa., ritenendo indimostrata la sussistenza del testamento.
La sentenza ha posto in rilievo che l'interrogatorio formale di Ma.Ga. non era stato reso su circostanze sfavorevoli all'interrogato, violando la ratio del mezzo istruttorio finalizzato ad ottenere la confessione; ha ritenuto le risposte dell'interrogato estremamente sintetiche e prive di conferme nelle testimonianze, giudicando queste ultime irrilevanti io inattendibili.
Mancava - secondo il giudice distrettuale - un dato oggettivo riguardante l'esistenza del testamento alla morte del de cuius e non vi era prova certa di quando il Ma.Ga. avesse appreso dell'esistenza delle disposizioni di ultima volontà.
Per la cassazione della sentenza Ga.Sa. propone ricorso in cinque motivi.
Le altre parti non hanno proposto difese.
In prossimità della pubblica udienza sono state depositate memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L'eccezione di inammissibilità del ricorso è infondata, non essendo sollecitata una revisione del giudizio di fatto, ma proposti quesiti in diritto sia in ordine alla valenza delle dichiarazioni rese nel corso dell'interrogatorio libero, ai fini della prova della soppressione del testamento, sia riguardo alla sussistenza di un abuso del processo a seguito della chiamata in giudizio di un soggetto, già indicato dagli attori come teste, per impedirne l'escussione, sia riguardo alla logicità della valutazione di sufficienza delle prove ai fini della decisione ai sensi dell'art. 132, comma secondo, n. 4 c.p.c..
2. Il primo motivo censura la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., lamentando che la Corte di merito abbia ritenuto di poter accertare l'esistenza di un testamento e la sua soppressione solo mediante le dichiarazioni del Ma.Ga., valutandole quale semplici indizi o come principio di prova, ma non quali elementi eventualmente sufficienti a provare i fatti della domanda, non sussistendo in materia limitazioni probatorie.
Il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per carenza di motivazione in violazione degli artt. 24 e 111 Cost., sostenendo che, qualora la sentenza dovesse essere interpretata nel senso di aver escluso che l'esistenza del testamento potesse esser provata sulla base di qualsiasi elemento di prova, incluse le dichiarazioni non confessorie rese nell'interrogatorio formale, avrebbe omesso di pronunciare sulla eccepita sussistenza di un abuso del processo perpetrato dai resistenti, consistito nell'aver chiamato in causa
Ma.Ga., già indicato come teste in citazione, in modo da precostituire una ragione di incapacità a deporre.
I due motivi sono infondati.
In genere, poiché il testamento olografo può essere revocato dal testatore anche mediante distruzione o lacerazione (art. 684 cod. civ.), il suo mancato reperimento giustifica la presunzione che il "de cuius" lo abbia revocato, distruggendolo deliberatamente; per vincere tale presunzione occorre allora provare o che la scheda testamentaria esisteva ancora al momento dell'apertura della successione e che la sua irreperibilità non può farsi risalire al testatore, oppure che quest'ultimo, benché autore materiale della distruzione, non voleva revocarlo (Cass. 12098/1995; Cass. 22191/2020).
La prova contraria può essere data anche per presunzioni, non solo attraverso la prova della esistenza del testamento al momento della morte (ciò che darebbe la certezza che il testamento non è stato revocato dal testatore), ma anche provando che il testamento, non rinvenuto prima della morte del testatore, sia stato distrutto da un terzo o sia andato perduto fortuitamente o comunque senza alcun concorso della volontà del de cuius (Cass. 22191/2020; Cass. 645/1956; Cass. 3636/2004; Cass. 17237/2011; Cass. 3286/1975).
Ferma la prioritaria esigenza che sia data la dimostrazione contraria alla presunzione di revoca, sono applicabili al testamento le norme degli artt. 2724 n. 3, e 2725 c.c. sui contratti.
È quindi ammessa ogni prova, compresa quella testimoniale e per presunzioni, sull'esistenza del testamento, purché la scomparsa non sia dovuta a chi chiede la ricostruzione del testamento.
Poste tali premesse, il primo motivo non merita accoglimento, poiché la Corte distrettuale non ha affatto negato che le dichiarazioni rese dal Ma.Ga. nell'interrogatorio formale, non aventi carattere confessorio, potessero in astratto provare, anche da sole, la distruzione del testamento, avendo giudicato inattendibili o irrilevanti le dichiarazioni dei testi, e contraddittorie, prive di specificità, o non credibili le dichiarazioni del Ma.Ga., equiparate alle dichiarazioni assunte con l'interrogatorio libero, tutti elementi che ha esaminato analiticamente e in concreto, in implicita adesione al principio per cui la prova dell'esistenza di un testamento non rivenuto, che sia stato occultato o soppresso da soggetti diversi dal testatore, può essere fornita con ogni mezzo, anche sulla base delle dichiarazioni rese nel corso dell'interrogatorio, le quali, pur non avendo natura confessoria restavano elementi valutabili (Cass. 18687/2020; Cass. 16142/2018; Cass. 22171/2017; Cass. Cass. 12712/2017; Cass. 27407/2014; Cass. 6510/2004; Cass. 15489/2001).
Le conclusioni assunte riguardo alla sufficienza della prova appaiono conseguenza non di un ipotetico limite di utilizzo in sé del mezzo di prova, ma della ritenuta insufficienza e genericità delle dichiarazioni rese dall'interrogato.
In ogni caso, l'incapacità a deporre sussiste non soltanto nei confronti di coloro che abbiano assunto la veste formale di parte processuale, nel lato o attivo o passivo del rapporto processuale, ma anche a carico della parte potenziale, portatrice di un interesse che ne legittimerebbe la partecipazione al giudizio (art. 246 c.p.c.; Cass. 1344/2015).
L' art. 246 cod. proc. civ. riflette (nella forma di una presunzione assoluta d'incapacità a testimoniare delle parti, anche potenziali) l'insuperabile antinomia tra teste e titolare dell'interesse fatto valere, giustificandosi nel bilanciamento tra i contrapposti diritti di difesa, attuato dal legislatore nel disciplinare i modi di partecipazione al processo e nel distinguere tra fonti di prova e mezzi istruttori (Corte Cost. 494/1987; Corte cost. 75/1997).
Quindi, ove pure il Ma.Ga. non fosse stato chiamato in garanzia, i convenuti avrebbero potuto eccepirne l'incapacità a deporre per effetto del suo personale coinvolgimento nella sottrazione od occultamento, sia pure con un ruolo secondario, potendo rispondere per il danno, fatta salva la possibilità del giudice di risolvere prima del merito ogni questione relativa all'intervento, così garantendo la corretta corrispondenza tra l'apporto al processo e la situazione soggettiva di chi vi prenda parte (cfr. in tal senso, Corte Cost. 95/1997).
L'attore aveva, comunque, disponibilità di altri fonti di prova (le testimonianze assunte in istruttoria), sebbene rivelatisi insufficienti e, comunque, il regime della incapacità a deporre non viola il diritto di "agire difendendosi" neppure quando la testimonianza sia l'unico mezzo disponibile per la prova dei fatti di causa, potendo l'interessato ottenere con altri mezzi che le dichiarazioni fossero portate all'esame del giudice, tramite - appunto - l'interrogatorio formale o quello libero, quest'ultimo peraltro non esperibile ove il Ma.Ga. non fosse stato evocato in giudizio, in virtù del divieto ricavabile a contrario dall'ultimo comma dell'art. 421 c.p.c.. (cfr. Corte cost. Corte cost. 494/1987).
In questo senso va ricordato che il giudice delle leggi, con sentenza n. 431/2009, ha avuto modo di chiarire che la presunzione assoluta d'incapacità a testimoniare delle parti (sostanziali o potenziali) non si pone in contrasto con l'art. 6 CEDU (e ai principi affermati dalla CGUE con sentenza del 27 ottobre 1993, Serie A n. 274), evidenziando che, per la giurisprudenza comunitaria il sistema dei mezzi di prova è materia riservata alle scelte discrezionali del legislatore nazionale e che il principio di parità di armi non vale ove le limitazioni riguardino tutte le parti, escludendo, per ciascuna di esse e nella stessa maniera, la possibilità di indicare come testi le persone che sarebbero legittimate a partecipare al giudizio in corso, non solo l'attore.
2. Il terzo motivo denuncia la nullità della sentenza per vizio di motivazione, per aver la Corte di merito giudicato insufficienti le dichiarazioni assunte in istruttoria, con motivazioni palesemente illogiche e con palese travisamento del loro contenuto.
Si evidenzia, in particolare, che il giudice distrettuale: a) avrebbe individuato contraddizioni non realmente sussistenti tra le dichiarazioni dei testi At. e Ro. e quelle rese dal Ma.Ga. circa l'esistenza di un precedente testamento, e per aver sviluppato su tale errata premessa un ragionamento dubitativo e privo di base logica, dichiarando l'inattendibilità dei testi; b) avrebbe negato valore probatorio alle dichiarazioni del Ma. perché estremamente sintetiche e meramente confermative dei fatti o capitolati, senza richiedere chiarimenti o rinnovare la prova; c) avrebbe valutato l'attendibilità delle dichiarazioni non per il loro contenuto, ma alla luce delle deduzioni difensive dell'attore su particolari assolutamente trascurabili e secondari, senza procedere ad una lettura integrale delle deposizioni, dando preminenza a circostanze prive di significatività (quali, ad es., l'aver l'attore denunciato in sede penale i convenuti anni dopo aver appreso dell'occultamento del testamento).
Il quarto motivo denuncia la violazione dell'art. 116 c.p.c., per aver la Corte di merito ritenuto inattendibili le dichiarazioni del Ma.Ga., valorizzando esclusivamente il rapporto di coniugio (o di parentela) con le altre parti.
Il quinto motivo denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo e la violazione degli artt. 116 e 117 c.p.c., per aver il giudice omesso di tener conto di una pluralità di fatti decisivi idonei a provare la distruzione del testamento, consistenti nel rapporto affettivo e nel legame particolarmente stretto tra il de cuius ed il nipote, nel comportamento di abuso del processo da parte dei convenuti, negli esiti del procedimento penale a carico dei convenuti per distruzione del testamento, conclusosi con declaratoria di estinzione per prescrizione e non con l'assoluzione degli incolpati.
3. Il terzo motivo è fondato; le altre cesure sono assorbite.
Giova premettere che la valutazione delle risultanze di causa e il giudizio sull'attendibilità dei testimoni e sulla maggiore credibilità di alcuni rispetto ad altri, come la scelta fra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto, riservati, come tali, al prudente criterio discrezionale del giudice del merito, ma restano sindacabili nei limiti in cui è consentito, attualmente, il controllo sulla motivazione (Cass. s.u. 8053/2014; Cass. 13054/2014; Cass. 18896/2015; Cass. 21187/2019; Cass. 17981/2020).
Nel caso di cui si discute, la sentenza ha dichiarato inattendibili o influenti le testimonianze, privando di valore probatorio le dichiarazioni rese nel corso dell'interrogatorio formale da Ma.Ga. anche perché non supportate dalle deposizioni dei testi.
Entrambe le valutazioni appaiono gravemente viziate nelle argomentazioni che le sostengono.
Il giudizio di attendibilità dei testi riposa su un ragionamento dubitativo sviluppato sul presupposto che uno dei testi avesse riferito di aver incontrato il testatore in data anteriore alla redazione delle disposizioni del 2005, asseritamente distrutte o smarrite (ma che aveva affermato di non ricordare esattamente la data dell'incontro, approssimativamente avvenuto negli 2000-2002).
Valorizzando tale dichiarazione, la sentenza ha ritenuto che il teste avesse riferito dell'esistenza di una precedente scheda testamentaria di cui non vi era prova e che, se pure fosse esistita, An.Ga. l'avrebbe stato certamente revocata in modo espresso "per l'accuratezza propria degli anziani quando sanno di aver già confezionato un precedente testamento", reputando perciò inutilizzabili le deposizioni.
Nessun'altra valutazione si riviene né riguardo al contenuto complessivo della testimonianza, né in merito a quanto riferito dagli altri testi.
Appaiono allora evidenti: a) l'incongrua valorizzazione di una circostanza tutt'altro che certa (l'esistenza di un testamento redatto dal 2000 - 2002), per inficiare, attraverso un ragionamento dubitativo, non altrimenti verificato, l'intero contenuto della deposizione, senza ulteriori verifiche di tipo soggettivo e oggettivo (la qualità e vicinanza alle parti, l'intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e la convergenza di queste con gli altri elementi di prova acquisiti: Cass. 1547/2015; Cass. 7623/2016; Cass. 21239/2019); b) l'impiego di una mera congettura (circa le modalità di revoca dei testamenti), non fondata sull'"id quod plerumque accidit" o su regole generali, tale da invalidare la plausibilità del ragionamento decisorio.
Risulta dunque minata la logica che sostiene l'apprezzamento delle prove, anche - di rimando - per quanto attiene alle dichiarazioni rese nell'interrogatorio libero, che il giudice ha ritenuto insufficienti perché prive di conferme processuali sulla base di un non corretto giudizio di inattendibilità dei possibili elementi di riscontro (le testimonianze) e senza porre a confronto in maniera puntuale le rispettive risultanze.
Inoltre, riguardo a quanto riferito dal Ma.Ga., la Corte di merito ne ha escluso l'utilizzabilità tramite l'enfatizzazione di elementi secondari e non logicamente inficianti sia riguardo alla prova dell'esistenza del testamento alla morte di An.Ga. (con riferimento al momento in cui l'interrogato aveva dichiarato di aver preso visione della scheda, individuato in due diverse date, non distanti, ma entrambe successive al decesso), sia sull'identità di chi lo avesse detenuto dopo la morte del testatore (circostanza meglio chiarite nel corso dell'interrogatorio), non mediante una valutazione di intrinseca coerenza, ma in base al solo confronto le deduzioni formulate negli atti difensivi.
La stessa genericità di parte delle dichiarazioni appare dedotta non dalla specificità delle domande e delle circostanze capitolate, ma dalla laconicità delle risposte, benché integralmente confermative di fatti circostanziati nei capitoli, reputando contraddittoriamente non credibile l'interrogato anche quando le sue risposte erano state analitiche (riguardo al contenuto e alla forma del testamento non reperito).
Da tanto consegue l'accoglimento del terzo motivo di ricorso, il rigetto dei motivi primo e secondo, con assorbimento di ogni altra censura.
La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d'appello di Torino, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i motivi primo e secondo e dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d'appello di Torino, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 14 dicembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2024.