Il giudice non può negare l'affidamento in prova solo per mancanza di documenti sul lavoro all'estero, se prima non verifica lui stesso i fatti (Cass. pen. n. 16467/25)
- Avvocato Del Giudice
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1. Premessa
Con la sentenza n. 16467 del 24 aprile 2025, la Prima Sezione della Corte di cassazione torna a pronunciarsi sul delicato rapporto tra misure alternative alla detenzione e condannati residenti all'estero, riaffermando il dovere di attivazione istruttoria officiosa da parte del giudice di sorveglianza, soprattutto quando l'accertamento investe circostanze suscettibili di verifica mediante cooperazione giudiziaria.
2. Il fatto
Il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro aveva rigettato l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale, presentata da Ac.Do., cittadino tedesco, sulla base del mancato deposito della documentazione relativa all'attività lavorativa svolta in Germania. Il titolo esecutivo risultava sospeso ex art. 656, co. 5, c.p.p., e la misura alternativa era finalizzata a svolgersi nel Paese di cittadinanza del condannato.
Il giudice di merito aveva subordinato la concessione della misura alla produzione di certificati stranieri debitamente tradotti, reputando insoddisfacente quanto già allegato in istanza.
3. Le censure del ricorrente
Nel ricorso per cassazione, la difesa ha dedotto:
violazione degli obblighi istruttori officiosi da parte del giudice ex art. 666, co. 5, c.p.p.;
vizio di motivazione per omessa considerazione degli elementi allegati, e per avere incentrato l'intera valutazione esclusivamente sull'attività lavorativa;
assenza di una visione complessiva del percorso post-delictum del condannato, con omesso apprezzamento delle prospettive di reinserimento e dei segni di emenda.
4. La decisione della Corte
La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, richiamando il consolidato orientamento secondo cui:
l'affidamento in prova è misura a contenuto rieducativo, in cui la disponibilità di un lavoro può essere elemento importante, ma non esclusivo o imprescindibile;
il giudice di sorveglianza è tenuto a svolgere autonomamente ogni accertamento rilevante ai fini della decisione, anche all'estero, mediante i canali della cooperazione giudiziaria;
la mancata istruttoria officiosa, ove incida su un punto determinante, vizia irrimediabilmente il giudizio di merito;
la prognosi sul reinserimento deve basarsi su una valutazione complessiva della personalità, non su singoli elementi atomistici.
5. Il principio di diritto
In tema di affidamento in prova al servizio sociale da eseguirsi all'estero, il giudice di sorveglianza è tenuto ad attivare i poteri istruttori officiosi previsti dall'art. 666, comma 5, c.p.p., anche attraverso la cooperazione giudiziaria internazionale, e non può rigettare l'istanza per mancata produzione documentale senza aver previamente accertato la fondatezza delle allegazioni difensive.
6. Conclusioni
La sentenza ribadisce che la funzione rieducativa della pena non tollera una visione burocratica o meramente formale dell'istruttoria relativa alle misure alternative. In un contesto europeo caratterizzato da mobilità transnazionale, il giudice è chiamato a superare i limiti dell'impostazione formalistica, valorizzando il potenziale di recupero del condannato e attivando strumenti cooperativi per colmare eventuali deficit probatori non imputabili alla parte.
La sentenza integrale
Cassazione penale sez. I, 24/04/2025, (ud. 24/04/2025, dep. 02/05/2025), n.16467
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro rigettava l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale, avanzata da Ac.Do. in relazione a titolo esecutivo sospeso ai sensi dell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen.
Poiché la misura alternativa avrebbe dovuto eseguirsi in Germania, Paese di cittadinanza dell'istante, la difesa era stata onerata dal Tribunale della produzione del certificato penale tedesco, del certificato di buona condotta e di documentazione, debitamente tradotta in italiano, in ordine all'attività lavorativa svolta all'estero.
A sostegno del diniego della misura alternativa il Tribunale richiamava il mancato assolvimento dell'onere, con riferimento al profilo dell'attività lavorativa.
2. Ricorre il condannato per cassazione, con il ministero del difensore di fiducia, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione.
Il ricorrente rileva che la documentazione sull'attività lavorativa svolta in Germania era stata già allegata all'istanza di misura alternativa e che, in ogni caso, sussisterebbe il potere/dovere del Tribunale di sorveglianza di istruire d'ufficio i procedimenti e di acquisire le informazioni del caso sulle allegazioni difensive incidenti sulla decisione.
Il ricorrente censura, inoltre, il fatto che il diniego di misura alternativa sia incentrato unicamente sul mancato riscontro dell'attività lavorativa, senza la necessaria valutazione conclusiva di sintesi sul percorso del condannato, successivo alla consumazione dei reati oggetto dell'esecuzione penale di cui si tratta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. L'affidamento in prova al servizio sociale, disciplinato dall'art. 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è misura alternativa alla detenzione carceraria, che attua la finalità costituzionale rieducativa della pena.
La misura può essere adottata, entro la generale cornice di ammissibilità prevista dalla legge, allorché, sulla base dell'osservazione della personalità del condannato condotta in istituto, o del comportamento da lui serbato in libertà, si ritenga che la medesima, anche attraverso l'adozione di opportune prescrizioni, possa contribuire alla menzionata rieducazione, prevenendo il pericolo di ricaduta nel reato. Ciò che assume rilievo, rispetto all'affidamento, è l'evoluzione della personalità registratasi successivamente al fatto-reato, nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale (Sez. 1, n. 10586 del 08/02/2019, Catalano, Rv. 274993 - 01; Sez. 1, n. 33287 del 11/06/2013, Pantaleo, Rv. 257001 - 01). Il processo di emenda deve essere significativamente avviato, ancorché non sia richiesto il già conseguito ravvedimento, che caratterizza il diverso istituto della liberazione condizionale, previsto dal Codice penale (Sez. 1, n. 43687 del 07/10/2010, Loggia, Rv. 248984 - 01; Sez. 1, n. 26754 del 29/05/2009, Betti, Rv. 244654 - 01; Sez. 1, n. 3868 del 26/06/1995, Anastasio, Rv. 202413).
Nell'ottica della prognosi di reinserimento, la disponibilità di un lavoro costituisce un elemento importante ai fini di una favorevole valutazione, ancorché in assoluto non dirimente, potendo il requisito essere surrogato dall'impegno in altre attività, anche volontaristiche, utili in chiave di reintegrazione sociale (Sez. 1, n. 18939 del 26/02/2013, E.A., Rv. 256024 - 01; Sez. 1, n. 26789 del 18/06/2009, Gennari, 244735 - 01; Sez. 1, n. 5076 del 21/09/1999, Jankovic, Rv. 214424 - 01).
3. Occorre poi ricordare che - se rientra nella discrezionalità del giudice di merito l'apprezzamento sull'idoneità o meno, ai fini della risocializzazione e della prevenzione della recidiva, delle dedotte prospettive di reinserimento - la relativa valutazione resta incensurabile in sede di legittimità solo se sorretta da motivazione adeguata e rispondente a canoni logici (Sez. 1, n. 652 del 10/02/1992, Caroso, Rv. 189375 - 01), la quale non può prescindere da un'esaustiva, ancorché se del caso sintetica, ricognizione degli incidenti elementi di giudizio nel loro insieme.
Tale ricognizione deve essere preceduta dall'assunzione, anche officiosa, di congrue informazioni, a norma dell'art. 666, comma 5, cod. proc. pen., richiamato dall'art. 678 stesso codice, e le eventuali difficoltà connesse ad accertamenti da effettuare in territorio estero debbono essere superate anche mediante l'attivazione dei previsti canali di cooperazione giudiziaria, senza imporre all'interessato oneri radicalmente condizionanti.
4. L'ordinanza impugnata è viziata alla luce dei principi innanzi esposti, sia perché in merito all'attività lavorativa in Germania era stata effettuata un'allegazione specifica in istanza e il Tribunale avrebbe potuto e dovuto svolgere autonomamente, in merito, la debita istruttoria, sia perché la decisione è interamente focalizzata su detto presupposto lavorativo ed è priva di una visione d'insieme sul percorso di vita del condannato, successivo ai fatti di reato per cui è intervenuta condanna, anche in rapporto alle caratteristiche della devianza e alle prospettive di reinserimento e contenimento che erano state dall'interessato indicate e in qualche misura già documentate.
Il provvedimento, non adeguatamente motivato alla stregua delle esposte considerazioni, deve essere pertanto annullato, con rinvio al giudice che l'ha adottato per rinnovato giudizio al riguardo.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Catanzaro.
Così deciso il 24 aprile 2025.
Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2025.